INDICE. Metafora, organizzazione e scuola. La metafora della palestra



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INDICE 9 PREFAZIONE 11 INTRODUZIONE 17 Capitolo primo Metafora, organizzazione e scuola 1. Oltre i limiti del linguaggio denotativo 2. Comprendere qualcosa nei termini di qualcos altro 3. Un approccio fecondo, ma potenzialmente fuorviante 4. La metafora come lente d ingrandimento. Il cannocchiale di Galileo 5. La storia di un viaggio 6. La scuola come organizzazione 33 Capitolo secondo La metafora della palestra 1. Introduzione 2. La scuola e la palestra 3. L apogeo del processo di meccanizzazione: l introduzione delle «macchine per insegnare» nella scuola 4. Meccanicismo, disumanizzazione e tecnologia 47 Capitolo terzo Le istituzioni didattiche come sistemi a legame debole. La metafora della squadra di calcio 1. Introduzione 2. I legami deboli nelle scuole 3. Non è tutto oro quello che luccica. Vantaggi e svantaggi dei sistemi a legame debole 4. Legame debole o legame forte? 59 Capitolo quarto Il Comune medievale. Quando la scuola diventa un luogo di cooperazione 1. Introduzione 2. La scuola come organizzazione formale 3. L efficacia e l efficienza organizzative 4. La scuola come organizzazione informale e i suoi rapporti con quella formale 73 Capitolo quinto La scuola come Chiesa 1. Introduzione 2. La scuola. Organizzazione o istituzione? 3. La leadership nel processo di istituzionalizzazione delle scuole 4. I compiti chiave della leadership scolastica

91 Capitolo sesto La metafora dell artigiano, ovvero l insegnante come professionista 1. Introduzione 2. L urgenza di un codice deontologico 3. La formazione degli insegnanti e la progressione di carriera 4. L artigiano e il professore. Due percorsi che (parzialmente) s intrecciano 5. Qualità dell artigiano e qualità dell insegnante 109 Capitolo settimo La metafora del gruppo dei pari 1. Introduzione 2. Di nuovo sulla burocrazia 3. Gli istituti educativi come realtà isomorfiche 4. L ispezione e il controllo nelle organizzazioni didattiche 5. Riflessioni conclusive 125 Capitolo ottavo L uomo del Rinascimento, ovvero la metafora della cultura 1. Introduzione 2. La cultura organizzativa nelle scuole 3. Come valutare se nella scuola esiste una cultura organizzativa 4. Perché scegliamo alcuni valori al posto di altri? 135 CONCLUSIONI 139 Bibliografia

Prefazione 9 prefazione di Michele Colasanto 1 L attenzione per gli assetti organizzativi delle istituzioni scolastiche è un fatto piuttosto recente, e non è casuale che essa stia crescendo proprio in questi ultimi tempi. La conformazione verticistica che la scuola aveva assunto con la riforma Gentile non lasciava dubbi in proposito: in cima alla piramide sedeva il Ministro della Pubblica Istruzione; seguivano i Provveditori agli Studi, i presidi, i docenti e, infine, gli studenti. Tutti ricordano ancora oggi le circolari, lo strumento con cui il Ministro stesso governava e governa «dall alto» gli enti educativi. Attualmente, le cose sono cambiate, seppure solo in parte. Gli schieramenti di centro-sinistra e di centro-destra, alternatisi alla guida del Paese dalla metà degli anni Novanta, hanno condiviso una strategia comune, ferme restando le differenze, talvolta di ordine culturale, talaltra ideologico, che li caratterizzavano. Gli uni e gli altri hanno appoggiato la prospettiva dell autonomia, cercando di modificare, nel breve volgere di un decennio, i connotati di una realtà che resisteva, ancorché con qualche cambiamento di rilievo, da più di mezzo secolo. Ciò nonostante, l impegno degli addetti ai lavori si è concentrato soprattutto sul versante ordinamentale, lasciando un po in ombra la dimensione processuale della scuola. Sarebbe auspicabile, invece, che questi ultimi mostrassero maggiore sollecitudine per quanto concretamente si verifica all interno degli istituti, imparando dalle esperienze concrete, dalle quali conviene senz altro partire per elaborare le necessarie prospettive teoriche di riferimento e superando così definitivamente il paradosso per cui, ciò che non è vietato, non è automaticamente consentito e richiede sempre, in qualche modo, un intervento gerarchico. È proprio la prospettiva che il presente contributo si propone di adottare. Il suo approccio, certo, è eminentemente speculativo, benché l autore abbia messo a frutto un decennio di insegnamento nella scuola secondaria di secondo grado e soprattutto una copiosa messe di materiali, riflessioni e rielaborazioni confluiti successivamente in 1 Professore Ordinario, Direttore del Dipartimento di Sociologia dell Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

10 Organizzare la scuola uno studio di caso condotto secondo i princìpi del metodo etnografico. L indagine sul campo, durata circa un anno e mezzo, si è rivelata un ottima occasione per mettere in pratica quella che comunemente si definisce «osservazione partecipante». Fermarsi con gli studenti davanti alla macchina del caffè, parlare con i professori nei corridoi, partecipare ai consigli di classe e alle riunioni sindacali, fare tappa presso l ufficio del dirigente scolastico: questi sono stati alcuni momenti significativi attraverso cui questa esperienza si è sviluppata presso una scuola «superiore» della Provincia di Milano. Un altro punto sul quale è necessario insistere, se si vuole rendere credibile il discorso educativo, riguarda i destinatari e gli erogatori del servizio: gli studenti, i docenti e i dirigenti, che nel complesso costituiscono le risorse umane dell organizzazione scolastica. Chi parla di valorizzazione di risorse umane, di solito, si riferisce a un contesto aziendale, mentre la scuola non è un impresa. Ciò non toglie, però, che la scuola dovrebbe mutuare dal modello-impresa l alta considerazione per il capitale umano e il valore strategico, oltre che sociale, delle relazioni formali e informali presenti proprio nelle organizzazioni. Tale osservazione, poi, è strettamente connessa con il discorso sulla professionalità e la differenziazione dei ruoli. In proposito, bisogna ricordare come non sia accettabile che, nella scuola, l unico criterio distintivo tra un insegnante e il suo collega consista nell anzianità di servizio! Il problema è stato adeguatamente illustrato nel capitolo sesto di questo libro, con la metafora dell artigiano, dove trovano diritto di cittadinanza tematiche quali lo sviluppo di conoscenze e competenze, l urgenza di un codice deontologico e dell aggiornamento dei docenti nella prospettiva di una formazione continua. Anche in ordine alla professionalità, tuttavia, il rischio di cadere nella tentazione degli ordinamenti è grande. Bisognerebbe piuttosto ascoltare la voce di chi, giorno dopo giorno, lavora con gli allievi, così da tenere lontano lo spettro di leggi «preconfezionate». Dovrebbero saperlo il Ministro dell Istruzione, che in genere proviene da un ambiente che poco ha a che fare con il mondo dell istruzione, e dovrebbero saperlo i sindacati di categoria, che ormai non possono non aprirsi a una dimensione delle tutele che valorizzi la professionalità medesima tanto quanto l orario di lavoro o il salario. Milano, settembre 2008

Introduzione 11 Introduzione C è chi sostiene che la scuola non sia un organizzazione, con il timore che, se concedesse ciò in cui afferma di non credere, sarebbe costretto ad ammettere che la differenza tra quella e l impresa non è poi così chiara e netta. Secondo altri, invece, si tratta sì di un organizzazione, ma sui generis. Come sottolinea giustamente Piero Romei (2005), tuttavia, chi si riconosce nella suddetta posizione cade in un aporia, in una strada a fondo cieco da cui è davvero impossibile uscire: quali sarebbero i caratteri che differenziano la scuola, che è sui generis, da altre organizzazioni, che tali non sono? Molti, conquistati dalle retoriche che oggi vanno per la maggiore, non fanno nessuna fatica ad affermare che scuola e impresa siano dominate dalle stesse logiche, che la prima, in fondo, dovrebbe comportarsi come la seconda. Se anche non lo dicono esplicitamente è chiaro, dai concetti che usano si pensi ad espressioni come «studente-cliente» e «qualità totale», per esempio, che si orientano in quel modo. Altri ancora noi compresi, tanto per essere chiari fin dal principio sono dell idea che non sia soltanto l azienda a potersi fregiare del titolo di organizzazione, poiché esso spetta di diritto a chiunque faccia uso di una serie di risorse per raggiungere un obiettivo. È proprio quello che intendiamo dimostrare. Per farlo, useremo la metafora, il cui potenziale esplicativo permette al lettore di andare oltre i limiti dei contesti denotativi, dove una proposizione significa effettivamente quel che dice, senza sottintesi o rimandi. Questo non significa lo vedremo nel primo capitolo, che la razionalità debba essere messa da parte. Come ricorda nella sua magistrale Storia della filosofia antica Giovanni Reale riguardo al valore del mito in Platone, alla forza della «fede» che si esplica nel mito, Platone affida, talora, il compito di trasportare e di elevare lo spirito umano in ambiti e sfere di superiori visioni, alle quali la pura ragione dialettica, da sola, fatica ad accedere [ ]. Ma è altresì un mito che non subordina a sé il logos (la ragione), ma fa da stimolo al logos e lo feconda nel senso che abbiamo spiegato, e perciò è un mito che, in un certo senso, arricchisce il logos. (Reale, 1991)

12 Organizzare la scuola La metafora, al pari del mito, è essenzialmente un modo per «andare oltre»; prende per mano l interlocutore lasciandolo libero di dare alla realtà i significati che l immagine evoca in lui. In ultima istanza, il discorso è molto simile a quello che Edgar Schein (2005) faceva a proposito della consulenza di processo: il modo migliore per fare il consulente, diceva, è quello di puntare proprio sul processo, aiutando le persone ad attivarsi per risolvere un problema. Così, la metafora ci coinvolge, ci chiama a fornire interpretazioni con gli strumenti e i vissuti esistenziali che ciascuno possiede. Nel secondo capitolo illustreremo il paradigma meccanicistico, che gli studiosi delle organizzazioni hanno reso in modi di volta in volta differenti, ricorrendo all espediente dell automobile, dell orologio o ad altro ancora. Noi abbiamo proposto la variante della palestra, per sottolineare come uno scopo sia spesso legato all impiego di mezzi che poco lasciano alla creatività, nella persuasione che il fine si ottenga tramite il sacrificio, il metodo, il rigore e il ricorso a procedure standardizzate. Una traccia di questa mentalità è chiaramente visibile nell attività degli uffici dell amministrazione scolastica, guidati dal Direttore dei servizi generali e amministrativi (Dsga), ma si può trovare anche laddove meno ce lo si aspetta: nel concreto lavoro degli insegnanti, impegnati nei processi di valutazione degli studenti. Il modello meccanicistico, nella scuola, trova ampio spazio soprattutto nella proposta educativa di Burrhus Skinner, cui daremo il giusto risalto. Skinner (1972) gli esperti di Pedagogia lo sanno bene introdusse le macchine per insegnare, vale a dire degli apparecchi tecnologicamente avanzati, per favorire l apprendimento degli studenti, che avrebbero potuto completare i rispettivi curricula anche senza l aiuto degli insegnanti, dotati certo di buon senso ma non di quella precisione e di quel grado di «esattezza» tipici delle macchine. Il terzo capitolo si sofferma sulla metafora della «squadra di calcio», che utilizzeremo per descrivere il modello dei legami deboli adottato da Karl Weick più di trent anni fa. Perciò, questa parte del volume forse non è la più originale. In verità, lo studioso americano parlò di «campo da calcio», mentre qui si fa riferimento al team, cioè all insieme dei giocatori che si battono sul rettangolo verde con la compagine avversaria, per ottenere la vittoria. Ma le due immagini, com è evidente, sono molto simili. Ci siamo riproposti di discuterne, poiché l indagine di Weick è partita proprio dalla scuola caso rarissimo nell ambito degli studi organizzativi classici, dove, accanto a considerazioni che tanto concedono alla razionalità, al controllo, alla pianificazione e alla logica, si collocano pure casi in cui l azione è ispirata in primo luogo dagli affetti, dall amicizia e, più in generale, dalle relazioni interpersonali. Cercheremo poi di mostrare come, in qualche circostanza, i legami deboli siano in realtà legami forti, visto che risultano strutturati in maniera da non apparire alla «luce del sole» e da rimanere «sotto traccia», lontani da sguardi indiscreti.

Introduzione 13 Il quarto capitolo affronta il tema della cooperazione, servendosi della strumentazione concettuale elaborata da Chester Barnard nel suo lavoro sulle funzioni del dirigente (1974). La metafora che abbiamo scelto, in proposito, è quella del Comune medievale, la quale ben si presta a descrivere il fenomeno in questione. Le società moderne, sottolinea Barnard, sono permeate da un forte individualismo; spesso le persone fanno fatica a collaborare, sia perché ciò comporta un grande dispiego di energie, sia perché, specie nel lungo periodo, l attività di équipe esige dei livelli di concentrazione, costanza e dedizione che non tutti possiedono. In ogni caso, affinché vi sia effettivamente un rapporto di collaborazione, non si può prescindere dalla definizione di un obiettivo, da un adeguata comunicazione e dalla volontà di cooperare, che è sempre il frutto, secondo Barnard, di un attenta valutazione dei costi e dei benefici richiesti dall azione. Altre due coppie di concetti risultano particolarmente significative nella nostra prospettiva. La prima si riferisce all efficacia e all efficienza, la seconda agli aspetti formale e informale degli enti educativi. Chi non compie il proprio dovere (efficacia) rischia di scomparire. Lo stesso accade se un organizzazione si dimostra inefficiente. Il termine efficienza, qui, non sta a indicare l uso razionale e ordinato delle risorse, quanto piuttosto il grado di soddisfazione di chi vive nel mondo della scuola. Formale e informale, infine, sono due dimensioni che si implicano a vicenda; l una non può stare senza l altra: regolamenti, orari, programmi continuano ad esistere, anche se i rapporti personali quei rapporti che talvolta identificano i legami deboli sono spesso elementi fondamentali per comprendere una determinata realtà. Nel capitolo quinto tratteremo della metafora della Chiesa, che a sua volta si caratterizza e in quanto istituzione e in quanto organizzazione. Nel primo caso, ci riferiamo a un ambiente che incarna valori, credenze, aspettative e convinzioni. Nel secondo, coerentemente con quanto afferma Philip Selznick (1976), parliamo di un «oggetto consumabile», concepito per compiere un lavoro e assolvere a compiti specifici, che pure a quei valori sopra ricordati si dovrebbero ricondurre. Istituzione e organizzazione, insomma, sono due facce della stessa medaglia. L analisi di Selznick è utile pure per l acuta ricerca condotta dall autore a proposito della leadership. Possiamo davvero accostare il leader al dirigente scolastico? Se sì, da quale punto di vista? Cercheremo di offrire alcuni spunti per contribuire a un eventuale dibattito, prendendo in considerazione concetti quali «decisioni di routine» e «decisioni critiche» le sole che, a rigore, spetterebbero al «capo», ma contestualmente accenneremo ai compiti che, in un organizzazione, il leader stesso è tenuto ad assumersi: la definizione della missione e del ruolo di un istituzione, l «incorporazione» dello scopo, la difesa dell integrità e la composizione dei conflitti. Il sesto capitolo, con la metafora dell artigiano, si concentra sulla professionalità docente. L insegnante ci chiediamo è un professionista, come lo sono

14 Organizzare la scuola l avvocato, il giornalista, il medico o il consulente? Secondo Piero Romei (2005), è più facile a dirsi che a farsi. Certo, i professori godono della libertà d insegnamento. Nessuno, in linea di principio, può dire loro come fare lezione. Essi possiedono un insieme di conoscenze specialistiche e di competenze, ma non dispongono di un codice deontologico universalmente condiviso e non sono obbligati a seguire corsi di formazione o di aggiornamento. Ciò che sanno va incontro a un veloce processo di obsolescenza; il rischio assai concreto è quello di non rimanere al passo con i tempi. È chiaro che, in tale ottica, ciò che fa la differenza è il senso di responsabilità che contraddistingue il singolo individuo. Non esiste un percorso di progressione di carriera, con gli eventuali aumenti stipendiali che ne conseguirebbero. Come sottolinea giustamente Michele Colasanto nella Prefazione di questo libro, anche le rappresentanze sindacali non sono esenti da responsabilità: è pacifico che oggi le tutele non possano andar disgiunte da una adeguata valorizzazione della professionalità dell insegnante. Tutelare le differenze, infatti, non significa necessariamente tutelare le diseguaglianze. Allo stesso modo, la libertà d insegnamento, che per certi aspetti si rivela un arma a doppio taglio, rende vana l ormai imprescindibile necessità di controllare l operato del docente. Se un artigiano crea un oggetto che non riscuote il mio gradimento, la prossima volta mi rivolgerò ad altri; ma il discorso non cambia nel caso in cui rimanessi poco soddisfatto della prestazione dell ortopedico o dell avvocato. Sarebbe opportuno chiedersi, allora: chi controlla il controllore (l insegnante)? Il settimo capitolo introduce la metafora del gruppo dei pari, un immagine mutuata dalla psicologia, in cui si presenteranno alcuni aspetti del Neoistituzionalismo di DiMaggio e Powell (2000), come pure di Meyer e Rowan (1978). Mostreremo come l ambiente sia in grado di esercitare una grande influenza sulle organizzazioni, che, con il passare del tempo, finiscono per assomigliarsi sempre di più. Tutte tendono a comportarsi allo stesso modo, a diventare isomorfiche. Descriveremo quindi le varie forme di isomorfismo: coercitiva, mimetica e normativa, a seconda che la somiglianza si origini a partire da pressioni esercitate dall esterno, da tentativi, deliberati o meno, di copiare l operato altrui o dalla condivisione della medesima attività professionale. Se le scuole assumono caratteristiche analoghe è perché desiderano legittimare se stesse di fronte alle istituzioni che le circondano, così da ottenere rispetto, considerazione, stima e, perché no, finanziamenti, come avviene nel caso di progetti nei quali sono coinvolte aziende o rappresentanti della più ampia società civile. In un fondamentale, ancorché datato, saggio sulle istituzioni scolastiche americane, Meyer e Rowan (1978) si domandano anche quanto incida il controllo sulle realtà educative. La loro ipotesi è quella di un controllo volutamente lasso, che non comporta, ipso facto, l avvento dell anarchia. Al contrario, esso potrebbe limitare il livello di conflitto tra dirigenti scolastici e

Introduzione 15 docenti: chi evita d incrociarsi non fa che minimizzare l impatto delle turbolenze ambientali. Infine l ottavo capitolo, che si soffermerà sul tema della cultura organizzativa attraverso la metafora dell uomo del Rinascimento. Potremmo considerare quest ultima, in un certo senso, la metafora delle metafore, poiché le ricomprende tutte focalizzando l attenzione su credenze, tradizioni e assunti, impliciti ed espliciti, di qualsiasi soggetto che si proponesse di portare a termine un compito. Chi sceglie di adottare un modello meccanicistico, di insistere sui legami deboli, sull importanza ricoperta dalle istituzioni o dalle professioni, lo sappia o meno, fa sempre riferimento alla cultura.

Metafora, organizzazione e scuola 17 Capitolo primo Metafora, organizzazione e scuola Però, essendo il fine della poesia d addomesticare la ferocia del volgo, del quale sono maestri i poeti, non era d uom saggio di tali sensi e costumi cotanto fieri destar nel volgo la maraviglia per dilettarsene, e col diletto confermargli vieppiù. Non era d uom saggio al volgo villano destar piacere delle villanie degli dèi nonché degli eroi, come, nella contesa, si legge che Marte ingiuria «mosca canina» a Minerva, Minerva dà un pugno a Diana, Achille ed Agamennone, uno il massimo de greci eroi, l altro il principe della greca lega, entrambi re, s ingiuriano l un l altro «cani», ch appena ora direbbesi da servidori nelle commedie. (Giambattista Vico, Scienza Nuova, 1744) 1. Oltre i limiti del linguaggio denotativo Per chi si occupa di organizzazioni, l uso della metafora non è certo una novità. Capita sempre più spesso che un esperto in comunicazione la utilizzi per essere più familiare, diretto e accattivante quando si rivolge alle persone sedute di fronte a lui. E il motivo è molto semplice: la metafora è uno strumento che stimola l immaginazione e, proprio per questo, esercita una presa immediata sull uditorio, senza lasciare troppo spazio alle astrazioni. Con Images, il pregevole lavoro di Gareth Morgan (2002), la metafora ha ricevuto la propria consacrazione definitiva e ha assunto un ruolo di primo piano nella letteratura organizzativa. Già prima, però, gli psicologi avevano mostrato il potenziale creativo di un mezzo in grado di configurare «nuove realtà, [ ] nuove esperienze che non sarebbero altrimenti designabili» (Fonzi e Negro Sancipriano, 1975, p. 3), ma insieme di suscitare nell ascoltatore un certo disorientamento, per la temporanea perdita di punti di riferimento, che nel linguaggio denotativo sono

18 Organizzare la scuola stabili e, in genere, ben esplicitati. Il linguaggio denotativo si attiene rigorosamente alle verità ricavate in sede logica, come accade nel sillogismo, dove compaiono due premesse e una conclusione, che ne rappresenta la necessaria conseguenza. Se affermiamo, per esempio, che: a) Socrate è un uomo; b) tutti gli uomini sono mortali; la conclusione che possiamo trarre è soltanto una: c) Socrate è mortale. La metafora, al contrario, non ci obbliga a seguire percorsi rigidamente determinati, ma apre, come abbiamo sottolineato poc anzi, allo stupore e al disorientamento, che inducono gradualmente gli uomini a spingersi sempre più in là sulla strada che li porta verso la conoscenza. Aristotele, nel primo libro della Metafisica, ricordava come gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle realtà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori. La meraviglia dischiude l interesse, sottraendo la persona a una condizione di passività e consentendole di percepire il problema come qualcosa di attuale, vivo e davvero importante nel momento stesso in cui ne sta trattando. Benedetto Croce disse che la storia esige la contemporaneità come suo carattere costitutivo. Lo stesso potrebbe dirsi per la metafora: Storia contemporanea si suol chiamare la storia di un tratto di tempo, che si considera un vicinissimo passato: dell ultimo cinquantennio o decennio o anno o mese o giorno, e magari dell ultima ora e dell ultimo minuto. Ma, a voler pensare o parlare con istretto rigore, contemporanea dovrebbe dirsi sola quella storia che nasce immediatamente sull atto che si viene compiendo, come coscienza dell atto; la storia, per esempio, che io faccio di me in quanto prendo a comporre queste pagine, e che è il pensiero del mio comporre, congiunto necessariamente all opera del comporre. E contemporanea sarebbe detta bene in questo caso, appunto perché essa, come ogni atto spirituale, è fuori del tempo, (del prima e del poi) e si forma nel tempo stesso dell atto a cui si congiunge, e da cui si distingue mercè una distinzione non cronologica ma ideale. (Croce, 1989, p. 13) Il linguaggio metaforico ci aiuta a superare le barriere linguistiche dell hic et nunc entro le quali ci costringe l enunciato, spezzando la referenzialità convenzionale dei segni. Nella frase «Sei una iena» si esprime un identificazione tra una persona e un animale con caratteristiche ben precise. Chi l ha pronunciata, non ha certo inteso ribadire, senza ombra di smentita, che l uomo possieda quattro

Metafora, organizzazione e scuola 19 zampe, una coda o un muso. È chiaro come la metafora si prefigga di cogliere i caratteri di un elemento, facendo ricorso agli specifici attributi di un altro. Ma, ciò che più conta, essa si aggancia al pensiero intuitivo, lasciando sullo sfondo la prospettiva razionale e orienta l interlocutore, piuttosto che imporgli una soluzione; lo aiuta a «non perdere la pregnanza dei propri contenuti emozionali, ma vuole anzi comunicarla» (Oggero, 2004, p. 15). Spezzare la referenzialità convenzionale dei segni, fare ampio uso dell immaginazione e privilegiare quest ultima rispetto al linguaggio denotativo, però, non significa rinunciare alla dimensione cognitiva. Se così fosse, il discorso non avrebbe alcun significato. La metafora, pertanto, non è riducibile a una sorta di «operazione magica», dovuta a chissà quale ispirazione misteriosa (Della Volpe, 1954, p. 21). Per quanto ne valorizziamo la componente emotiva, non possiamo trascurare il suo fondamentale contributo in chiave gnoseologica. Potremmo dire, anzi, che i due ambiti sono legati a tal punto che la scienza, nel corso della propria storia, si è spesso servita dell immaginazione e dell intuizione e grazie ad esse si è sviluppata, raggiungendo quel livello di elaborazione che conosciamo. Negli studi di anatomia dell occhio, il dato metaforico comparve in un primo tempo sotto forma di aggettivo. La parte che più assomigliava a una lente venne definita umor cristallinus, per l analogia con il cristallo; la rete del bulbo oculare, a causa della consistenza spugnosa, fu chiamata tunica uvea, dal momento che richiamava alla mente le caratteristiche dell uva. La membrana dura e trasparente, infine, si trasformò nella tunica cornea. In un secondo tempo, l aggettivo mutò in sostantivo, giacché si cominciò a parlare di cristallino, uvea e cornea. Anche la scienza, quindi, si serve dei termini che appartengono al linguaggio quotidiano. Cionondimeno, le strategie adottate in proposito dalla letteratura e dall osservazione dei fenomeni naturali divergono sensibilmente: «se quella aspira a rendere evidente la matrice metaforica, questa, dopo essersene giovata per formare un neologismo, punta a renderlo opaco, a dimenticarsi della sua origine» (Battistini, 2006, pp. 32-33). 2. Comprendere qualcosa nei termini di qualcos altro La metafora non è soltanto un argomento d esclusivo interesse letterario, una figura retorica utile per abbellire un discorso. Codificata nell antichità nell ambito della retorica, essa si rivelò ben presto un utile strumento per sedurre qualsiasi tipologia di ascoltatore. Gorgia di Lentini, sofista del IV secolo a. C., attribuiva un grande valore pedagogico alla capacità di fascinazione dell individuo, ben sapendo che la logica e la razionalità, da sole, non sarebbero mai riuscite a tenere in pugno le assemblee, cui spettava il potere di assumere deliberazioni di ogni

20 Organizzare la scuola genere. Rivalutata nella Scienza Nuova di Vico, dopo essere andata incontro ad alterne fortune, di recente la metafora è stata addirittura posta alla base del nostro sistema concettuale (Lakoff e Johnson, 1982, p. 19), benché non si sia omesso di segnalarne i limiti, primo fra tutti la parzialità. Infatti, concentrando l attenzione su un aspetto di un dato concetto [ ] un concetto metaforico può impedirci di mettere a fuoco altri aspetti dello stesso concetto che sono incompatibili con quella data metafora. (Lakoff e Johnson, 1982, p. 27) Se diciamo: «Questa scuola è una caserma!», enfatizziamo la rilevanza di un educazione rigida, di un severo regolamento al quale bisogna conformarsi, sottoscriviamo la necessità di ubbidire agli ordini dei superiori, che non si discutono. La caserma è una realtà caratterizzata da una certa staticità, con una sua struttura; perciò, può essere classificata come una metafora strutturale. In tal senso, essa viene spesso considerata alla stregua a) di un entità o una sostanza, b) di un contenitore, c) di un campo visivo o d) di una persona. Quando ci si rivolge a un compagno di classe con queste parole: «Sei un cervellone!», si vuol sottolineare una caratteristica che lo riguarda e che spicca sulle altre: l intelligenza. Talvolta, la metafora strutturale può essere presente, sebbene in forma implicita. «Che cervellone!» è un modo per dire la stessa cosa, pur sottacendo uno dei due termini: il soggetto. Talaltra, non è un problema di esplicitazione, ma d indagine un po più approfondita, per capire cosa si stia realmente dicendo. La frase: «Giovanni è su di giri» ne sottende un altra: «Giovanni è un motore». Solo il motore di un automobile, e non una persona, può essere, stricto sensu, «su di giri». In San Martino del Carso, Ungaretti (2005) si serve della metafora del contenitore, quando afferma: «Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Ma nel cuore nessuna croce manca È il mio cuore il paese più straziato». Il cuore è in realtà un cimitero, dove tutti gli affetti sono ricordati, senza dimenticare nessuno.

Metafora, organizzazione e scuola 21 L Infinito leopardiano (Leopardi, 2005), invece, ci introduce al discorso del campo visivo. La siepe, tanto cara al Poeta di Recanati, è all interno del suo orizzonte che ha di nuovo funzione di contenitore, ma gli rende difficoltoso lo sguardo: «Sempre caro mi fu quest ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte il guardo esclude». È lo stesso Leopardi (2005), tra l altro, che, nel Canto notturno di un pastore errante dell Asia, offre una chiara esemplificazione di quanto si diceva a proposito della personalizzazione. Proprio in apertura, egli interroga la luna, trattandola come se fosse una persona, per conoscere il senso dell esistenza umana e del vivere quotidiano: «Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei paga di riandare i sempiterni calli?» Diversamente dalle metafore strutturali, quelle di orientamento mettono al centro la spazialità, evidenziata da vocaboli quali dentro-fuori, davanti-dietro, su-giù, centro-periferia. 1 A prescindere dalla tipologia descritta strutturale o di orientamento, non si può non riconoscere che, come in certi casi si oppongono l un l altro i valori e gli assunti culturali, lo stesso si verifica rispetto alle metafore che da essi prendono spunto (Lakoff e Johnson, 1982, p. 41). Ecco, allora, che in proposizioni del tipo: «Sei una giovenca», il sostantivo che chiude la frase si presta ad essere interpretato secondo criteri che nulla hanno in comune tra loro. Da una parte, la giovenca sarebbe non senza ironia l emblema di una donna decisamente sovrappeso, sgraziata nei movimenti e poco attraente; dall altra, la sua qualità si legherebbe indissolubilmente a caratteri quali la fertilità e la gioventù. La metafora, insomma, ci aiuta a capire qualcosa nei termini di qualcos altro. Quando diciamo: «la macchina è un missile», le parole «macchina» e «missile» costituiscono rispettivamente il determinabile e il determinante, il soggetto e il predicato. In quanto concetti, sono realtà suscettibili di un certo grado di astrazione, che vivono soltanto nel pensiero e nell atto linguistico attraverso cui le esplicitiamo e le mettiamo in relazione. Potremmo fare però un ulteriore distinzione, classificando i concetti in 1 Si considerino, ad esempio, le seguenti espressioni: «Oggi mi sento su!»; oppure: «Sono giù di morale!».

22 Organizzare la scuola concreti e astratti, dove i primi sono referenti «di una parola che è dimostrabile nel mondo [mentre i secondi concernono] quel tipo di referente che viene formato nell immaginazione e che, quindi, non è dimostrabile» (Danesi, 2003, p. 38). In sostanza, quindi, se concordiamo sul fatto che la macchina sia un missile riveliamo un aspetto veramente unico del pensiero umano, e cioè, riveliamo che pensiamo a cose astratte in termini di cose che conosciamo con i sensi o attraverso l esperienza di esse. In tal modo «trasferiamo» al concetto astratto le proprietà che scorgiamo in un concetto concreto. Questo trasferimento viene chiamato metaforico. (Danesi, 2003, p. 38) Potremmo concludere che la macchina nel senso di automobile è il tenore, il tema principale, mentre il missile funge da veicolo, cioè da referente, al quale associamo lo stesso tenore. Il loro fondersi e compenetrarsi, infine, produce il significato, detto fondamento. Sarebbe scorretto sostenere che un termine sostituisce l altro, come se si trattasse di un semplice sinonimo. Quello che si verifica è un incontro o uno scontro, a seconda delle circostanze, in cui ciascuno dei due termini partecipa della ricchezza dell altro, assumendone in un certo senso le caratteristiche, in una prospettiva bidirezionale. Dante, nel Canto XIII dell Inferno, entra con Virgilio nel settimo cerchio, dove sono relegati i suicidi e i dissipatori dei propri beni. I due s inoltrano in un bosco senza sentieri; per l abbondanza della vegetazione fanno fatica ad attraversarlo. Gli arbusti richiamano alla mente del Poeta gli sterpeti della Maremma. Le arpie nidificano tra i rami ed emettono strani lamenti. Virgilio, quindi, spiega a Dante che si trovano nel secondo girone e lo invita a guardare con attenzione, perché assisterà a dei fatti che nemmeno l immaginazione più fervida saprebbe rappresentarsi. A un certo punto, quest ultimo coglie «un ramicel da un gran pruno; e «l tronco suo gridò: Perché mi schiante? Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: Perché mi scerpi? Non hai tu spirto di pietade alcuno? Uomini fummo, e or siam fatti sterpi». Cosa era successo? Si erano imbattuti in Pier della Vigna, uomo che iniziò la propria carriera nel 1220, in qualità di notaio, al servizio dell imperatore Federico II. Cinque anni dopo fu giudice della Magna Curia e gli vennero affidate diverse missioni diplomatiche. Il suo cursus honorum si arricchì, nel 1247, con la nomina a capo della cancelleria imperiale, che lo vide impegnato nel delicato compito di gestire il bilancio del sovrano. Nel 1249 venne arrestato a Cremona, benché i motivi della detenzione non fossero mai stati chiariti. Ponendolo nella selva dei suicidi, Dante lo assolse di fatto dall accusa che gli era stata rivolta di aver tradito il

Metafora, organizzazione e scuola 23 suo signore. È interessante notare come l anima di colui che si è tolto la vita non sia inserita nel pruno, ma coincida con esso. Tra i due, non esiste sovrapposizione, ma identificazione: «Uomini fummo, e or siam fatti sterpi». Nella suggestiva metafora è evidente il carattere biunivoco della relazione (Battistini, 2006, p. 22); lo spirito di Pier della Vigna parla come parlerebbe una pianta, dolendosi di essere stato mutilato nei rami e nelle fronde. Al contempo, il vegetale è rappresentato allo stesso modo di un essere umano, che si lamenta e utilizza il linguaggio per testimoniare la misera condizione che lo affligge. 3. Un approccio fecondo, ma potenzialmente fuorviante Per la sua indeterminatezza, la metafora porta con sé un eccedenza di significato. Infatti, mentre la similitudine connota in modo specifico l oggetto del contendere, quella mantiene un persistente livello di ambiguità. Si consideri la proposizione: «Giorgio è veloce come un ghepardo». Il termine «veloce» costituisce il medium che tiene insieme Giorgio e il ghepardo. Se si dice, invece: «Giorgio è un ghepardo», ciò che li rende simili non solo non è specificato, ma non è nemmeno immediatamente afferrabile. L apparentamento è possibile rispetto alla velocità, alla leggerezza o a che altro? La metafora è aperta a tutte queste interpretazioni. L interlocutore ha il compito di rielaborarla e di scoprire, aiutandosi con l intuizione, il nesso di similarità tra i due oggetti accostati. Per qualcuno, il legame è immediatamente visibile; altri non lo scorgono affatto. In ultima istanza, la similarità è soggettiva, unica (Fonzi e Negro Sancipriano, 1975, p. 22), è un fatto personale. Ecco perché alla metafora non interessa andare alla ricerca della contraddizione, che viene volentieri confinata al linguaggio formale. Tra i suoi caratteri distintivi, figurano il dinamismo, l unicità, la soggettività e la relativa referenzialità (Oggero, 2004, pp. 34-36). Sull unicità è bene fare qualche ulteriore precisazione. Come gli studi di una corrente psicologica, la Gestalt, hanno adeguatamente dimostrato con una serie imponente di prove sperimentali, «nella percezione si ha coscienza di un tutto organizzato che non è determinato dalla forma dei suoi elementi, ma da leggi strutturali interne al tutto» (Galimberti, 1999b, p. 671). Quindi, «nessuno potrà sostenere di fronte alla percezione interna che Dinamismo Soggettività Unicità Relativa referenzialità Fig. 1.1 I caratteri distintivi della metafora.

24 Organizzare la scuola al concludersi di una melodia (a volte può essere un brano musicale più lungo) da lui perfettamente colta, egli possiede nella coscienza un immagine mnestica di tutte le sue note» (Funari et al., 1984, pp. 42-43). Allo stesso modo, il pensiero metaforico coglie primariamente l intero, in cui le parti sono «magmaticamente» fuse insieme, non disponibili in modo chiaro e distinto. Sulla soggettività non è il caso di insistere. Per quanto concerne la relativa referenzialità, infine, va ricordato che l immagine metaforica si distanzia dalla nostra rappresentazione abituale del termine metaforico stesso, pur senza perdere del tutto il legame. Consideriamo la frase: «Luca è un bisonte». La parola «bisonte», che designa un animale di grandi dimensioni, è realmente riferibile a Luca, se con questa si vogliono mettere in luce alcuni attributi che lo riguardano: la mole, il peso, ecc. Se, invece, si vuol proprio affermare che Luca e il grosso animale che ci sta di fronte sono la stessa cosa, è chiaro che l identificazione non è sostenibile. Perciò, come dice giustamente il Morgan (2002, p. 22), la metafora a) è potenzialmente fuorviante: la sua interpretazione letterale conduce a un assurdo logico; b) è una falsità costruttiva: l accostamento di due termini è solo un artificio umano, un invenzione (invenio) per comprendere una cosa nei termini di un altra. Qualche ulteriore precisazione è necessaria, per meglio comprendere la figura retorica che stiamo considerando e per collocarla nella sua giusta dimensione. In primis, se è vero che immaginazione e ragione corrispondono a due facoltà differenti, enfatizzarne troppo l alterità potrebbe indurci egualmente in errore. A volte, i concetti non ci lasciano indifferenti, ma suscitano in noi un impressione, positiva o negativa, perché li leghiamo a eventi realmente vissuti, che per noi hanno una certa importanza. Chi ha compiuto esperienze traumatiche, specie durante l infanzia, rievoca il disagio patito in quel periodo della vita soprattutto quando il discorso si sofferma su alcune questioni, anche di natura teorica, che magari, per la persona che si trova di fronte, non significano nulla. E. Jones, psicanalista e biografo di Freud, introdusse il termine «razionalizzazione» per indicare le procedure con cui un soggetto cerca di dare una spiegazione che risulti coerente sul piano logico e accettabile sul piano morale di un sentimento, di un azione, di una condotta, di un rituale o di un sintomo di cui non si vogliono scorgere le motivazioni profonde. (Galimberti, 1999c, pp. 801-802) Un ottimo esempio di razionalizzazione ci viene fornito da Esopo, famoso scrittore dell antica Grecia vissuto nel VI secolo a.c. Provvisto di uno spirito arguto, inventò numerose favole, spesso riferite agli animali, alle piante, agli dèi e agli uomini anche se dirette essenzialmente a questi ultimi, che noi possediamo in redazioni risalenti all Età ellenistica. Celeberrimo,

Metafora, organizzazione e scuola 25 in particolare, è il breve passo in cui si narra che una volpe affamata, non appena vide un pergolato ricco di grappoli d uva, provò ad afferrarli senza riuscirvi. Non le restò che allontanarsi, guardando di sottecchi gli acini e affermando: «Mah, sono ancora acerbi». È evidente come, in questo caso, la volpe abbia «razionalizzato», nascondendo a se stessa l insuccesso, in quanto sarebbe stato motivo di frustrazione, mascherandolo con una motivazione plausibile, attraverso il linguaggio denotativo. Il concetto era venuto in soccorso alle emozioni, troppo deboli per essere manifestate sotto il loro vero aspetto. La metafora, poi, è comprensibile solo all interno di un determinato contesto culturale, condiviso da coloro che la utilizzano. Detta condivisione, in effetti, è proprio ciò che le permette di esprimere una valenza gnoseologica. La proposizione «Quell uomo è un orso», per esempio, non avrebbe senso se fosse pronunciata davanti al membro di una tribù situata su un isoletta sperduta della zona equatoriale. Non è da escludersi che né lui né gli altri che ne condividono la sorte non abbiano mai sentito parlare di orsi. D altro canto, anche ammesso che la figura retorica in questione sia in grado di comunicare un messaggio il carattere scontroso e schivo di una persona, per il fatto che emittente e ricevente soggiacciono alle medesime coordinate culturali, chi ne fa uso deve «maneggiarla» con cautela. Talvolta, essa si rivela assai utile, a patto che non scompaia dall orizzonte della persona che se ne serve il suo carattere di parzialità. La prospettiva che la metafora offre non è certo esaustiva, come si è detto sopra, ma illumina soltanto qualche aspetto della realtà, offrendo una chiave di lettura, che necessariamente ne esclude altre. Senza contare che un enunciato può avere un significato letterale in un ambito e uno metaforico in un altro (Santelli Beccegato, 2006, p. 195). Usualmente, chiamiamo prestigiatore colui che maneggia gli «attrezzi del mestiere» con destrezza, che riesce a convincere gli astanti di aver compiuto un azione straordinaria. Il trucco c è, ma non si vede. Conigli che escono dai cilindri, mazzi mischiati abilmente dall illusionista, capace di estrarre sempre la carta giusta, ovunque essa si trovi. Spesso, però, affermiamo metaforicamente che uno ha fatto un gioco di prestigio, togliendoci dai guai con una mossa inaspettata, proprio nel momento in cui disperavamo di concludere positivamente la vicenda. 4. La metafora come lente d ingrandimento. Il cannocchiale di Galileo Grandi cose per verità in questo breve trattato propongo all osservazione e alla contemplazione di quanti studiano la natura. Grandi, dico, e per l eccellenza della materia stessa, e per la novità non mai udita nei secoli, e infine per lo strumento mediante il quale queste cose stesse si sono palesate al nostro senso. (Galilei, 2006, p. 11)

26 Organizzare la scuola Così, nel marzo del 1610, Galileo iniziava il Sidereus nuncius, dedicato al Granduca di Toscana, Cosimo II De Medici. L entusiasmo, di cui le sue parole recavano testimonianza, poggiava sopra tre ordini di considerazioni: a) l oggetto di studio, b) le nuove conoscenze acquisite intorno ad esso e c) il rivoluzionario strumento utilizzato per osservare i fenomeni. Di quale marchingegno si trattava? Del telescopio, o meglio, del perspicillum, costituito dalla combinazione di lenti concave e convesse, che permettevano di ammirare anche i corpi più lontani. Forse, non è del tutto fuori luogo paragonare la metafora a una sorta di perspicillum, a una lente d ingrandimento che consente di guardare «da vicino» le diverse organizzazioni, da quelle semplici alle più complesse. Galileo, invero, non poteva vantare l invenzione di quello strumento (Ronchi, 1942, p. 3). Qualcosa di simile era già stato realizzato, anche se in maniera piuttosto grossolana, da alcuni artigiani olandesi particolarmente abili nel fabbricare le lenti. Nello stesso torno di tempo, Johannes Kepler, con il quale Galilei era in contatto, aveva messo a punto una teoria che gli consentì di comprendere come le lenti dovessero essere combinate, per ottenere un ingrandimento che non andasse a svantaggio della focalizzazione degli oggetti. Lo scienziato italiano capitalizzò gli sforzi di chi lo aveva preceduto, approntando quel meraviglioso artificio «mediante il quale queste cose stesse si sono palesate al nostro senso» (Galilei, 2006, p. 11). Similmente, la metafora deriva dalla fusione di due elementi; presi singolarmente, essi non presentano alcunché di originale. È la loro combinazione, piuttosto, a produrre la novità. È il nesso metaforico tra scuola e caserma, per riprendere un esempio fatto in precedenza, che genera il suddetto novum, e non i concetti di per sé considerati. Il primo diventa leggibile nei termini del secondo, cioè è effettivamente in grado di dirci qualcosa di più circa il mondo della scuola. Tra metafora e realtà esiste un rapporto biunivoco: il maggiore affinamento dell una mette lo studioso in condizione di cogliere in modo più adeguato l altra. È anche vero, per converso, che osservare meglio l oggetto d indagine offre l opportunità di forgiare strumenti più adeguati ed efficaci, al fine d illuminare meglio alcune zone d ombra, altrimenti difficili da penetrare. Del pari, la scienza della natura ha beneficiato non poco dell invenzione del telescopio, così come gli esperimenti e i ripetuti tentativi di guardare la natura stessa in profondità hanno permesso agli scienziati di costruirsi strumenti sempre più precisi. Se la metafora è una lente d ingrandimento, come si è sostenuto fin qui, per suo mezzo diventano visibili corpi celesti prima celati allo sguardo umano, come certi caratteri delle organizzazioni. Altri sono focalizzati con maggiore precisione. Il sole e la luna non hanno una superficie liscia, come volevano i filosofi aristotelici, ma presentano rugosità e irregolarità. Allo stesso modo, talune dinamiche organizzative acquisiscono la loro vera fisionomia solo se vengono studiate da uno specifico punto di vista.