Sentenza n. 4836 del 28 febbraio 2014 (ud 13 gennaio 2014) - della Cassazione Civile, Sez. V - Pres. CIRILLO Ettore - Est. CONTI Roberto Giovanni - Pm. SORRENTINO Federico Svolgimento del processo 1. L Agenzia delle Entrate di Modena notificava alla società B. A. spa un avviso di accertamento relativo all anno 2001 che, non ritenendo efficace la dichiarazione di condono L. n. 298 del 2002, ex art. 8, presentata dalla contribuente, rettificava le operazioni imponibili della contribuente in relazione agli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza dai quali emersa l indebita applicazione del c.d. regime del margine ad operazioni invece inquadragli fra gli scambi intracomumtari di autoveicoli usati. 2. La società contribuente, per quel che qui rileva, impugnava l avviso innanzi alla CTP di Modena che lo accoglieva. A fronte dell appello proposto dall amministrazione, la quale riconosceva l operatività del condono ribadendo l interesse all impugnazione per essere gli importi versati insufficienti a coprire il maggior carico fiscale derivante dalla corretta applicazione del regime VIA, la CTR dell Emilia Romagna, con sentenza n. 74 depositata il 28 novembre 2008 rigettava l impugnazione. Osservavano i giudici di merito, per quel che qui rileva, che non esisteva alcuna causa ostativa alla validità del condono presentato dalla società contribuente, poichè il p.v.c. del 31.10.2002 aveva mero valore di atto interlocutorio ed era stato assorbito dal p.v.c. del 22.3.2005. 3. Aggiungevano, quanto al merito, che il regime del margine previsto dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, non prevedeva a carico dell acquirente la verifica delle condizioni legittimanti l utilizzo dell agevolazione, rendendo giustificato il ricorso a tale regime nel caso in cui il soggetto passivo non fosse in grado di percepire o conoscere l eventuale illegittimità degli atti precedenti. Secondo la CTR quest ultimo era tenuto a verificare che il cedente fosse soggetto passivo IVA, che il mezzo avesse percorso oltre 6000 chilometri e risultasse immatricolato da più di sei mesi e che in fattura fosse indicato il regime del margine, ma non certo di verificare la veridicità di quanto applicato dal cedente UE. Per di più la Corte di giustizia aveva riconosciuto che il sistema del margine non era impedito dalla frode perpetrata da uno dei precedenti cedenti del bene ove il cessionario ultimo non fosse a conoscenza o non potesse conoscere la frode. 4. Evidenziavano, quindi, che l indicazione del regime del margine contenuta nelle fatture emesse dai cedenti aveva determinato un affidamento nei confronti della società contribuente, nemmeno essendo emerso alcun coinvolgimento della stessa nella frode commessa dal cedente comunitario.
5. L Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a 3 motivi, al quale ha resistito la società contribuente con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c.. Motivi della decisione 5. Con il primo motivo di ricorso l Agenzia deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 36, conv. nella L. n. 85 del 1995 e modificato dal D.L. n. 41 del 1995, in relazione all art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Deduce che gli accertamenti fiscali avevano consentito di appurare che i cedenti stranieri erano tutti fornitori comunitari e che tra questi la società britannica M. c. L. aveva emesso per le vetture cedute una doppia fattura in modo da fare figurare nella fatture in possesso della cedente la natura di cessione intracomunitaria soggetta ad IVA ordinaria e in quella in possesso del cessionario l applicazione del regime del margine. 5.1 Chiariva ancora che per le altre società estere fornitrici era risultato che le cessioni di vetture erano state tutte inserite nei modelli Intrastat, come era emerso dalla consultazione del Sistema informativo del Ministero delle Finanze - circostanza esposta a pag.3 dell avviso ed a pag. 4 dell atto di appello. Peraltro, dall ispezione nei locali della contribuente era emerso che in quattro libretti di circolazione relativi ad auto invendute rinvenute era risultato che gli stessi provenivano da società di autonoleggio o da rivenditori di automobili. Orbene, rispetto a tale compendio di elementi, la CTR si era limitata ad affermare che la cessionaria non aveva alcun compito di verificare la veridicità di quanto affermato dai cedenti, tralasciando di considerare che il regime del margine richiedeva l esistenza in via obiettiva di precisi e obiettivi presupposti, in ragione dei quali il bene per il quale il cedente aveva potuto detrarre l IVA sull acquisto non poteva fruire di tale regime. 5.2 Proprio l esame degli elementi probatori anzidetti avrebbe consentito di escludere la legittimità dell operato della contribuente all atto di applicare il regime speciale del margine, che costituiva deroga rispetto a quello ordinario. La circostanza che le autovetture usate fossero state tassate a monte con detrazione dell IVA impediva il riconoscimento di tale meccanismo, dotato di connotazione prettamente obiettiva. 6. Con il secondo motivo l Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 45 del 1995, art. 36, conv. nella L. n. 85 del 1995 e modificato dal D.L. n. 415 del 1995, nonchè dell art. 2697 c.c., in relazione all art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente evidenzia che la ctr aveva omesso di considerare che l onere di provare l esistenza dei presupposti per fruire del regime speciale del margine incombeva sul contribuente cessionario, in questo modo nono solo tralasciando di esaminare tutti quegli elementi che,
esposti nel primo motivo, avrebbero escluso l accesso a tale sistema ma anche omettendo di considerare che il mero riferimento formale in fattura dell applicazione del regime del margine non poteva affatto giustificare in via automatica l applicazione del regime speciale. 7. Con il terzo motivo l Agenzia ha dedotto il vizio di insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Lamenta, in via subordinata rispetto alle altre censure, che la CTR aveva taciuto ogni riferimento al fatto che dai modelli Intrastat presentati dai cedenti stranieri fosse risultato che si trattava di cessioni intracomunitarie soggette al regime IVA ordinario, come anche sulla circostanza che i libretti di circolazione rinvenuti contenessero indicazione circa l operatività dei soggetti cedenti nel settore del noleggio auto. 8. La società contribuente, nel controricorso, ha dedotto l inammissibilità del ricorso che non conteneva una compiuta disamina della vicenda in esame, avendo trattato in modo unitario tre diversi avvisi di accertamento solo parzialmente sovrapponigli, senza specificare le peculiarità di ogni singola fattispecie. Specificava, in particolare, rispetto al caso posto al vaglio di questa Corte con riguardo alla pretesa IVA per l anno 2001, che l originaria pretesa aveva riguardato l IVA su vendite ed acquisti oltre che le relative sanzioni. Peraltro, la ricorrente non aveva fatto cenno agli effetti che si erano prodotti in ragione del condono del quale essa società si era avvalsa, ormai riconosciuto applicabile dal giudice di appello con statuizione definitiva. 8.1 Evidenziava, in ogni caso, l inammissibilità per inidoneità dei quesiti ed infondatezza delle censure. Anzitutto, l eventuale inserimento dei beni nei modelli Intrastat non era probante in ordine alla mancata applicazione del regime del margine. Peraltro, essa società non poteva accedere nè alla documentazione posseduta dal commercialista britannico della M. C. L. nè tanto meno a quella relativa ai modelli Intrastat - elemento, che, peraltro, non era stato esposto, ad onta di quanto diversamente affermato dall Agenzia, nè nell avviso nè nell atto di appello dell Ufficio. 8.2 Quanto al terzo motivo, lo stesso aveva omesso di prendere in esame la parte della motivazione del provvedimento impugnato che aveva escluso il coinvolgimento della società contribuente nella frode commessa dal cedente comunitario. 9. Orbene, occorre anzitutto evidenziare che la parte ricorrente non ha impugnato la statuizione del giudice di appello relative all intervento condono L. n. 289 del 2002, ex art. 8. Il punto, sul quale pure si è soffermata la parte controricorrente, ha sicura rilevanza. 9.1 Ed invero, la questione relativa al condono era stata già posta in discussione in sede di avviso di accertamento, dal momento che l Ufficio aveva ritenuto inefficace la
dichiarazione L. n. 289 del 2002, ex art. 8, presentata dalla società, per come pure rammentano i giudici di appello a pag. 2 della sentenza impugnata. 9.2 Il giudice di appello, nel respingere l impugnazione proposta dall Agenzia, osservò che...non esiste alcuna causa ostativa alla validità del condono presentato dalla società, in quanto il p.v.c. redatto dall ufficio in data 31.10.2002 ha assunto il valore di atto interlocutorio e non definitivo essendo stato assorbito nel processo verbale del 22.3.2005. 9.3 Tale statuizione non è stata oggetto di gravame da parte dell Agenzia, la quale ha invece censurato la decisione della CTR in ordine alla riconosciuta possibilità della contribuente di fare ricorso a tale sistema. 9.4 Ora, è vero che questa Corte ha affermato che la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 8, nella parte in cui consente la definizione in via agevolata delle violazioni in materia di IVA (nella specie, sanzioni irrogate per omessa emissione di autofattura), va disapplicato perchè in contrasto con gli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della Sesta direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relativamente all IVA, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, in causa C- 132/06 - cfr. Cass. n. 13505/2012. 9.5 E tuttavia, non pare potersi revocare in dubbio che la mancata impugnazione della statuizione relativa al condono - sfavorevole all amministrazione - da parte dell Agenzia impedisce a questa Corte di rivedere la decisione alla stregua dei principi già ricordati essendo questa, in parte qua, ormai coperta da giudicato interno, resa dalla CTR quanto all insussistenza dei presupposti per adottare l accertamento notificato alla parte contribuente in ragione della definizione bonaria della lite. 9.6 In questa direzione, del resto, milita l insegnamento di questa Corte - sent. n. 25320/2010 - a cui tenore il diritto comunitario, così come costantemente interpretato anche dalla Corte di Giustizia dell Unione Europa (sentenza 3 settembre 2009, in causa C- 2/08 Olimpiclub e sentenza 16 marzo 2006, in causa C-234/04, Kapferer) non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne da cui deriva l autorità di cosa giudicata di una decisione, nemmeno quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione, salve le ipotesi, da ritenersi assolutamente eccezionali, in cui ricorrano discriminazioni tra situazioni di diritto comunitario e situazioni di diritto interno ovvero che sia reso in pratica impossibile o estremamente difficile l esercizio dei diritti conferiti dall ordinamento comunitario. Da tale principio si è quindi tratta la conclusione che l eventuale contrasto della decisione di primo grado con il diritto comunitario non tempestivamente impugnata non poteva rendere comunque ammissibile l appello, ancorchè proposto in violazione del termine ex art. 327 cod. proc. civ..
9.7 Se sono vere le superiori conclusioni, non pare potersi revocare in dubbio che il passaggio in giudicato/interno) della sentenza impugnata in ordine all applicabilità della L. n. 289 del 2002, art. 8, non consente di passare all esame delle ulteriori doglianze esposte dall Agenzia, risultando il ricorso inammissibile. Le spese seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della società contribuente in Euro 25.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori come per legge.