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MEMORANDUM Le pagine che seguono, scritte verso la fine del 2012, sono ciò che rimane di un semestre di delirio, un'idea, un incontro, vero e proprio innamoramento, che rivoltò la mia vita come un calzino da succhiare. Quell'incontro lo battezzammo Leafdrift (LD), idea di un portale per la condivisione di testi, o meglio opere, dalla narrativa alla saggistica eccetera, affinché possano essere recensite e commentate da una comunità di lettori. Possibilità di mettere in vendita le stesse opere preferibilmente a prezzo basso. Possibilità di tradurle nelle varie lingue nazionali. Possibilità di creare dei file audio delle stesse. Possibilità di pubblicazione canonica in modo sostenibile per l'ambiente. Quell'incontro è ciò che dopo anni nel corpo, o meglio nel porco, del Perottoni, mi riportò in me stesso. All'epoca per campare insegnavo Filosofia e Storia qua e là per i licei della provincia autistica, ma soprattutto ero appunto Benedetto, fedele al motto "scrive, calando il rasoio di Occam su tutto il resto". Da allora sono passate tre ere e quattro partite IVA, da scrittore fallito e aspirante startupper mi occupo di consulenze per startup e accompagno coloro che come me allora sono innamorati del proprio progetto. Sia che come me allora vogliano salvare il mondo, sia che vogliano farci meramente del vil denaro. Meno innamorato del mio scrivere e più consapevole della realtà delle cose, mi rendo conto ora che le

pagine che seguono sono deliranti tanto quanto lo ero io (noi? Voi? Eh eh, questa la capirete in seguito...) e che per parlare di LD andrebbero sensibilmente riprese. Tuttavia ho deciso di lasciarle così come sono, a testimonianza di quel periodo matto e disperatissimo. Per riprenderle e creare un testo più attuale, o meglio più funzionale (a candidarsi a finanziamento, a intercettare investitori, a fare tutte quelle meraviglia sul quale ci si industria a ogni piè sospinto) non ci vorrà poi molto alla fine. Ora che il concetto di sharing economy è sulla bocca di tutti, e che è chiaro ed evidente che il capitalismo giunto al suo apice è destinato a passare il testimone (un sistema che si regge sulla ricchezza generata non può reggere qualora in vece della ricchezza generi povertà) si potrebbe anche rivedere questo testo e ampliare quello che era un orizzonte editoriale ad un panorama molto più vasto, e adoperarlo come base per ripensare l'appunto crisi capitalistica. E invece lascio che quel destino che le chiamò Memorandum ne faccia un memorandum vero proprio, lasciandole invariate. Credo che godano ora più di allora di un qual certo fascino, e che nelle reiterazioni e nei richiami meglio traspaia quel delirio stizzoso che per un semestre tanto bello quanto maledetto. Godetevelo, io ci sono già passato. Se vi intriga, mi trovate sui social. Alessio Salvetti

0. ora io da piccino ero un bimbetto normale, cresciuto in modo normale, con gente normale in un posto normale. ora io di anni ne avevo otto. Che io ricordi, ho sempre avuto un rapporto piuttosto ambivalente con la tecnologia. Passavo pomeriggi interi a costruire dei giocattoli in legno adoperando gli utensili di mio padre, così come uscivo di senno per i videogiochi. Se si escludono gli insetti o in genere le forme di vita che un sapiens non ritiene ontologicamente dignitose (potrà parere ridicolo, ma quello della dignità ontologica è un problema che afflisse le migliori menti dell'età di mezzo), ho ucciso una volta, fino ad ora, adoperando un arco e delle frecce costruite da me, scoccandone una di proposito contro l'ultimo d'una parata di pulcini a seguito della chioccia. Probabilmente il mio primo ricordo. Per contro, credo di aver rubato, fino ad ora, solo qualche spicciolo per correre al bar del paese e buttarlo nello stomaco della console del momento. Per noi nati nell'anno del punk, era normale giocare a pallone in strada mentre le cassette impiegavano un'ora e mezza a caricare Jumping Jack, tirando il fiato sparando parolacce contro i robottini. Così come divenne normale raccattare due lire piegando la gobba tanto in campagna quanto nella manutenzione di casa per poi pigliarsi le prime sbronze pomeridiane giocando a Galspanic, imprecando per quel cinque per cento del quadro perennemente malcelato dalla pixellosa biancheria intima. Poi sono arrivate le letterette e la filosofìca, che hanno spazzato via tanto il manuale quanto il tecnologico, portando seco quella misantropica alterigia esiziale sia alla sociotecnica, tant'è che credo d'essermi dotato di un telefono ben dopo l'accadimento dei maledetti ventisette, sia alla manualpratica, tant'è che immagino di non aver più toccato utensile se non costretto dagli eventi.

Dunque, per dirla col poeta, ci si ritrova di questi tempi nel bel mezzo del cammin di nostra vita, normodotato e caucasico, eterossessuale d'età maggiore, capace d'intendere e di volere, di corporatura ordinaria e d'aspetto ordinato, educato e colto, laureato, abilitato e quant'altro col massimo del voto, con la testa sul collo e un tetto sul capo in quest'urbe ai confini dell'impero, valle dove passa il treno, provincia autistica, contea degli spritz, repubblica delle banane o bel paese se si vuole, vecchio continente. In tasca il telefono intelligente, sul tavolo il portatile connesso alla rete, ci si è imparati ai brunch tanto quanto ai social, ci si è imparati a leggere tanto il reale quanto il virtuale, e s'incomincia pur ad avere il sentore che quest'ultimo non si innesti più sul reale, quanto piuttosto che si stia assistendo a un processo inverso, più Akira che Frankenstein, in virtù del quale sia il reale a germogliare dal virtuale. Lungi dal vedere questo come una minaccia (io? Noi? poco importa a questo punto, dopo la dichiarata fine del postmoderno), crediamo che questo possa liberare un potenziale capace di infrangere in toto o almeno in parte l'attuale strutturazione del campo oggetto di questo memorandum, quello dell'editoria. Vogliamo essere la pancia capace di partorire il mostro, creare il campo per raccogliere i potenziali necessaria per la ristrutturazione di ciò che ci sta a cuore. Che altro? un bell impiccamento direi, niente di meno o niente più che idoneo a un ingordo dio del groppo, per ogni volta che l uno è poco, e il due pur troppo.

I. Leafdrift (LD) è un social network costruito ad hoc per condividere, attraverso la pubblicazione, la promozione e la distribuzione, testi di differenti forme e materie: dalla narrativa e saggistica canoniche, alla traduzione in più lingue o passaggio al formato audio di poesie, pièce teatrali, monologhi o sperimentazioni vocali. LD giustifica il suo operato fondandolo su un principio concettuale. È il nucleo della filosofia platonica: giustificare un'opinione o un operato sulla base d'un fondamento o principio concettuale. L'idea di marito (fondamento o principio concettuale) dirà chi tra i pretendenti è degno di infilare un anello al dito della contesa, giustificandone la pretesa. L'idea di editoria dirà chi tra i pretendenti è un degno editore. Quello che in Grecia era definito con idea, la filosofia due millenni e mezzo dopo ha poi chiamato concetto. E il concetto sulla quale LD si fonda, giustificando così il proprio operato è quello di Ethishing ("ethic publishing"). Quello di Ethishing non è un mero neologismo, ma appunto un concetto, una creazione immateriale, un costrutto formato da una molteplicità di componenti: il rifiuto di qualsiasi strategia di castrazione, da parte dell'editore, alla libera circolazione di testi ed opere (dunque rifiuto del copyright, tant'è che gli autori sono tenuti all'uso della licenza Creative Commons, e rifiuto dei DRM; rifiuto della censura, tant'è che a chiunque verrà data la possibilità di pubblicare una proprio opera o testo così come di esprimere la propria opinione in recensioni e repliche; open source; adozione di una politica di for free or low cost, come propellente alla diffusione culturale); la sostenibilità ambientale, da parte

dell'editore, riguardo alla creazione e alla diffusione di opere e testi (di primo acchito l'adozione di formati digitali, in seconda battuta l'utilizzo di carta riciclata o certificata FSC per i formati cartacei, e in terzo luogo la sola stampa delle copie cartacee effettivamente richieste); il considerare la propria utenza, la comunità di collaboratori, lettori e scrittori, al pari di individui all'interno di un collettivo e non meri produttori-consumatori all'interno d'un capitalismo consumista (dunque destinazione dell'importo relativo a un opera interamente all'autore della stessa; dunque rifiuto di qualsivoglia forma di "pubblicità", tant'è che né nelle edizioni né nel portale verrà dato spazio alla promozioni di altri brand o servizi, tolte fondazioni, enti o portali ritenuti affini per vision o mission; tutela della privacy e rifiuto di qualsiasi forma di divulgazione dei dati dell'utenza ). Questa volontà di giustificare il nostro operato sulla base del concetto di Ethishing, di nostra creazione, ci pone come un outsider sul mercato globale. È un vero e proprio manifesto: noi facciamo questo. Certo è prassi comune mettere nero su bianco la propria missione, dunque s'invita l'utenza a commensurare questo aspetto per proprio conto. Ciò a partire dalla questione che per diritto, innanzitutto e perlopiù, tanto i gruppi editoriali quanto i piccoli e medi editori pongono l'accento sulla loro opera di "educazione alla cultura", di "promozione culturale", di "istruzione sociale" eccetera. Ma quanti poi abbandonano di fatto quella pratica reazionaria che è l'apposizione dei diritti d'autore? Quanti rinunciano a parte del profitto per salvaguardare l'ambiente? Quanti investono sulla pubblicazione e promozione di testi eccellenti, pur sapendo che questi avranno un'utenza a dir poco scarna? Alti e

bassi, magri e grassi sotto i colpi del mercato si stanno convertendo al fenomeno degli ebook, ma quanti di fatto rinunciano ai sistemi di protezione (DRM) che bloccano il passaggio di opere in mani differenti da quelli dell'acquirente? La retorica della "cultura" lascia il tempo che trova, la verità nuda e cruda è che la nuova fetta di mercato, che per inciso sta pagando dividendi da capogiro, solletica il palato.

II. Fino a qui, tutto bene. Si è connotato col termine editoria il campo di pertinenza delle case editrici. Ma l'editoria, e lo sa bene chi opera nel giornalismo, abbraccia un settore ben più ampio, che nella fattispecie è quello dell'informazione. Nella repubblica delle banane quest'ultima è palesemente compromessa, al soldo per dirla in due parole dei soliti noti che dai predellini invocano la "libertà" al pari d'una réclame, e che nel nome del padrino, del figliol prodigo e dello spirito in saldo, si sono impadroniti durante la Seconda repubblica di buona parte del patrimonio pubblico, e che entro la Terza completeranno l'opera cedendo al privato il resto del mosaico, portando a compimento quella svendita cominciata con telefonia e autostrade cedendo istruzione, sanità, e chi più ne ha più ne metta di dita in gola per scampare a questa indigestione di democrazia. Accade nel bel paese, ma mai come in questo sembra imporsi la saggezza popolare con sul celebre motto, tutto il mondo è paese. Accade nel bel paese che il gruppo editoriale L'espresso, controllato dalle Compagnie Industriali Riunite (De benedetti), ingloba la Repubblica, l'espresso, Radio Deejay, Radio Capital, M2o e una moltitudine di testate minori, tra cui il portale ilmiolibro.it che a furia di buttare sul tavolo mazzette da cinquanta negli ultimi mesi del ventidodici si sta accaparrando quell'utenza di internauti che bisognosi d'aria fresca si vedranno propinata la solita minestra, ma digitale (promozioni mirate, pubblicità, eccetera). Accade nel bel paese che il gruppo RCS, che tanto per gradire ottiene dallo stato 23 milioni di euro all'anno per mandare al macero una quantità abominevole delle copie stampate, e che tra i maggiori azionisti vanta Mediobanca, FIAT, Pirelli (Tronchetti Provera), i signori dell'autostrada

(Benetton) e Banca Intesa San Paolo, controlla il Corriere della sera, la Gazzetta dello Sport, Radio 105, Radio Montecarlo, Virgin Radio e le case editrici Rizzoli, Bompiani, Fabbri Editori, Sonzogno, Sansoni, Adelphi e altre. Accade nel bel paese che il gruppo Mondadori (Berlusconi), oltre a il Giornale, Radio 101 e una sequela di periodici, si porta a casa la fetta più grossa del mercato editoriale con in primis la stessa Mondadori e case editrici collegate, e poi Electa, Random House, Piemme e non ultima Sperling & Kupfer. Continua a accadere nel bel paese che il Messaggero e il Mattino appartengono al gruppo Caltagirone del boss Gaetano, la cui figlia è compagna del leader dell'udc Casini. La Stampa è targata FIAT, il Sole 24 ore Confindustria. Questo basta a far capire, in linea di principio, senza entrare nel merito delle televisioni di pubbliche o private che dir si voglia, il perché lo stivale sia di colore arancione. Per quanto riguarda l'editoria slegata dal contesto prettamente dell'informazione, il gruppo editoriale Mauri-Sagnol (GEMS), le vecchie Messaggerie tanto per capirci, controllo del tutto o in buona parte l'operato di un pout pourri di editori, da Bollati Boringhieri a Fazi, passando per Garzanti, Guanda, il Corbaccio, Longanesi, Salani, Tea e Chiarelettere. I gruppi Giunti e Feltrinelli, più che nell'accorpare editori sono impegnati nel padroneggiare la filiera editoriale in toto (produzione, distribuzione, vendita), diffondendo le loro librerie capillarmente sul territorio, smantellando mano a mano quel sostrato di librerie indipendenti, ultimo baluardo di testi dalla scarsa collocazione sul mercato poiché poco adatti alle vendite su larga scala. Nella repubblica delle banane sono dunque cinque gruppi editoriali a farla da padrone nell'anno ventidieci: Mondadori (più del 27%), RCS (poco meno del 12%), GEMS (più del 10%), Giunti (poco meno del 8%), Feltrinelli (circa il 6%).

Ora mi annoio come allora, e neanche un prete per chiaccherar. Potremo snocciolare dati come si snocciola il rosario, pregando per noi peccatori in attesa della Sua venuta, ma preferiamo proporre qualcosa di più concreto a un impotente piagnisteo, poiché crediamo da un lato che il lettore disincantato saprà arrangiarsi nell'approfondire la ricerca sul cancro dell'editoria, mentre dall'altro vorremo mostrare qual è la conseguenza dello scenario descritto.

III. L'industria editoriale è una macchina massimizzante e massificante. La logica isterica di massimizzazione del profitto, sul quale si fonda l'operato dei gruppi editoriali di cui sopra, concorre alla indiscriminata massificazione dell'individuo, dunque del collettivo. Tornando a Platone si dirà che, in luogo de "l'etico", "il profitto" è il fondamento in virtù della quale i gruppi editoriali sopra descritti giustificano il loro operato. Da "Ethishing" a "Cashing". Quest'ultimo, al pari del primo, in quanto costrutto gode di una molteplicità di componenti: l'adozione di strategie di castrazione, da parte dell'editore, alla libera circolazione di testi ed opere; la scarsa sostenibilità ambientale, da parte dell'editore, riguardo alla creazione e alla diffusione di testi ed opere; la considerazione della propria utenza, la comunità di collaboratori, lettori e scrittori, al pari di meri produttoriconsumatori. Si lascia al lettore in altra sede il compito di braccare le varie componenti del provocatorio concetto di Cashing, in questa ci si limita a definire ciò che viene giustificato per mezzo di quel fondamento o principio concettuale: l'operato dell'industria editoriale si determina tramite la tendenza a pubblicare-pubblicizzare, innanzitutto e perlopiù, i prodotti capaci di condurre a un profitto maggiore. La logica massimizzante innesca una dinamica massificante sia di fatto che per diritto. Di fatto, poiché la tendenza a pubblicarepubblicizzare, innanzitutto e perlopiù, i prodotti

capaci di condurre a un profitto maggiore instaura un circolo omologante, virtuoso per l'industria editoriale nella misura in cui attraverso l'omologazione del prodotto massimizza il profitto, vizioso per l'individuo nella misura in cui attraverso l'omologazione del prodotto massifica il collettivo. La tendenza a pubblicare-pubblicizzare, innanzitutto e perlopiù, i prodotti capaci di condurre a un profitto maggiore, è massificante anche per diritto nella misura in cui condiziona tanto gli scrittori quanto i lettori a chinare il capo alla legge di mercato. Gli scrittori sono condizionati nella misura in cui sono tenuti a produrre opere che meglio possano incontrare il favore della massa, i lettori sono condizionati nella misura in cui sono tenuti a consumare opere che meglio possano incontrare il favore della massa. Queste opere sono dunque al tempo stesso omologate e omologanti. Torniamo a Platone: lo scrittore giustifica il suo operato, la produzione di un testo, fondandolo sul concetto di Desiderio. Ciò non significa che egli concettualizzi i propri desiderata e, scovandovi lo scrivere, pennino alla mano, giustifichi il suo operare. Ciò significa che è la stessa produzione di desiderio ad essere l'autore, ed essendo questa condizionata a priori dalla Legge di mercato (non si scrive certo per sé stessi, dunque il mercato poco o tanto ci si mette di mezzo) tenderà a partorire opere omologate (in ogni società si oppongono istanze antiproduttive, che facendo leva sulle paure ingabbiano i desideri). Omologate dunque, poiché la loro genesi da espressione (di un individuo desiderante) tende a divenire rappresentazione (desiderata per un collettivo). Ciò significa, per contro, che le individualità desideranti dei lettori difficilmente saranno disturbate o scosse, come invece potrebbero esserlo sbattendo contro un desiderio non rappresentato ma espresso in opera, un verbo fattosi carne. Omologanti dunque, poiché poiché non

disturbando la quiete del lettore, lo mantengono saldo nelle proprie certezze, non innescano nell'individuo dubbi e non suscitano problemi, ovvero non "danno a pensare". Il circolo omologante produce sempre meno prodotti disturbanti, omologando la collettività privandola della condizione di possibilità di incontrare prodotti che potrebbero disturbarne il torpore intellettuale, libri che "danno a pensare". Tendenzialmente, nel mondo editoriale, i prodotti capaci di condurre a un profitto maggiore sono omologati e omologanti. Questo discorso non gode di una dicotomia universale-singolare, dunque di una forma, quella del "così fan tutti" contrapposta a un "solo LD si differenzia"; questo discorso gode di una dicotomia generale-particolare, dunque di una forma, quella del "molti fanno questo" contrapposta a un "pochi si differenziano". Ciò non significa che i grandi gruppi editoriali non propongano opere non omologanti pur adottando strategie massimizzanti, così come non significa che molti piccoli e medi indipendenti non propongano opere non omologanti pur adottando strategie editoriali non massificanti. Ciò significa che, innanzitutto e perlopiù, la logica isterica di massimizzazione del profitto concorre alla indiscriminata massificazione del collettivo. Esiste un'alternativa alla logica di massimizzazione del profitto? La massificazione è davvero un cancro? Opinioni e analisi si sprecano, tanto nella rete quanto nei salotti mediatici dove il braccio della massificazione (cosa buffa!) la stigmatizza, piagnucolando a ogni piè sospinto la scarsezza di un nonmegliospecificato "pensiero critico". Alcuni sostengono che meglio leggere Fabio Volo piuttosto che non leggere affatto. Altri che il processo di massificazione è inevitabile nel momento in cui da oggetto elitario destinato a pochi eletti, a fronte di una massiccia

scolarizzazione il libro è diventato appunto oggetto popolare. Alcuni rimpiangono i bei tempi andati di una volta, prima che la città santa della letteratura fosse ridotta a un mercato a cielo aperto dopo il tradimento dei suoi ministri, i principi vescovi detentori del potere editoriale. Altri che il passaggio dal mecenatismo filantropico all'imprenditoria capitalistica ha corrotto la purezza della lettera, e che in fin dei conti si stava meglio quando si stava peggio. Ora non si tratta di stare a ponderare un'analisi costi benefici della cosa per venirne a capo su quale sia il male minore, come il chiedersi tirando in ballo Foucault quale sia la condizione preferibile tra società della sorveglianza e società del controllo, quanto piuttosto si tratta di forgiare nuove armi e creare un nuovo esercito per combattere la dura legge del Mercato. Noi siamo i giovani, i giovani più giovani. Noi siamo l'esercito, l'esercito del surf. Questo discorso è avulso da qualsivoglia dibattito sulla "letterarietà" reale o presunta di un testo, così come da una analisi sulla "eticità" di scrittori e lettori che, pur apertamente critici nei confronti del Mercato, pubblicano e acquistano prodotti per o di case editrici schierate coi grandi gruppi editoriali citati nelle sezioni precedenti. La legge di Mercato è uguale per tutti, belli e brutti. Dibattere sulla reale o presunta letterarietà di un testo non muterà le dinamiche in atto. Qualcosa potrebbe mutare qualora produttori e consumatori boicottassero i prodotti provenienti dall'industria editoriale, ma solo nella misura in cui si agirebbe sul Mercato stesso (iniziativa probabilmente effimera, che sarebbe arginata in un lasso di tempo ridicolo agendo sulla leva del prezzo). Per mutarne le dinamiche occorre agire sul Mercato stesso, perché solo questo può avere un impatto tale da incrinarne le logiche, occorre fare quel passo al quale mio (nostro? vostro?) padre alludeva sempre ogniqualvolta da ragazzo mi vedeva

inviperito contro la malapolitica, sentenziando sovente che per cambiare la politica occorreva fare politica, che le sassate sulle vetrine servivano solo a finire dentro. E lui, umile ferroviere cacciato da un istituto tecnico a diciassette anni, lo sapeva bene: era il sessantotto, e ai confini dell'impero la facoltà di Sociologia era una delle più agguerrite (Curcio et al). Ora quella stagione è lontana anni luce, e rimpiangere la rivoluzione è reazionario. Occorre fare Mercato, rischiando di scomparire nel vortice iperliberista e turbocapitalista che ingolla ogni sorta di "cosa" o "persona", di qualsiasi sesso o estrazione, da Dan Brown a Michael Moore, dalla Litizzetto-Mazzantini a Tommaso Ottonieri passando per Nick Cave e Tarantino, Dada e il Teatrino Clandestino. Questo discorso non critica l'operato delle case editrici affamatrici di popoli, che colpevoli di cedere alla logica isterica di massimizzazione concorrono alla indiscriminata dinamica di massificazione, ovvero alla propagazione del Pensiero Unico. Questo discorso mette in luce la questione che quella determinata logica conduce a quella determinata dinamica. Qui non si mira a disobbedire, boicottare, denunciare o fare alcunché di politico o, ancora peggio, politicizzato. Si tratta di forgiare nuove armi, creare un nuovo esercito per combattere la dura legge del Mercato: fare il Mercato stesso. Così come è reazionario lamentarsi dei bei tempi andati della rivoluzione di una volta, altrettanto lo è disquisire sul grado di "letterarietà" di un prodotto (e lo stesso dicasi per le categorie utilizzate di omologanteomologato) così come lo è dibattere sul grado di "liberalità" dell'industria editoriale (Mondadori che vanta editor "di sinistra" e pubblica saggi "di sinistra"). È reazionario lamentarsi della pochezza dell'italica accademia (per quanto il problema dell'alfabetizzazione sia reale e squisitamente politico) così come lo è la sassata sulle vetrine delle scuole (che in virtù delle nuove riforme

"aziendali" incassano finanziamenti in base al numero di studenti licenziati, la qual cosa si traduce in un invito da parte dei dirigenti o presidi, più o meno perentorio, al non respingere studenti). Ciò che non è reazionario è ragionare sulla macchina: anziché insistere sulla letterarietà di un'opera in quanto piede di porco per deliziare i palati e scardinare le coscienze, occorre definire un dispositivo il cui operato non si determini tramite la tendenza a pubblicarepubblicizzare, innanzitutto e perlopiù, i prodotti capaci di condurre a un profitto maggiore. LD si candida ad essere questo dispositivo, e la sua struttura stessa è la condizione di possibilità per sostituire la tendenza in questione sdoppiandola in due movimenti differenti: la pubblicazione di qualsivoglia prodotto; la pubblicizzazione da parte dell'utenza di ciò che l'utenza stessa riterrà eccellente o meritevole. Questa struttura dovrebbe garantire la visibilità tanto ai testi omologati e omologanti, quanto a quelli che non lo sono. Dovrebbe garantire tanto ai produttori quanto ai consumatori una fetta di Mercato avulso dalle logiche sopra descritte: la possibilità di vendere e comprare senza condizionamenti di sorta. Occorre ragionare sulla macchina, lavorare sulla struttura. I prodotti potranno essere recensiti da parte dell'utenza che potrà smentirne o confermarne il valore, e ciascuna recensione, o direttamente il testo stesso in questione, potrà essere commentato dagli stessi utenti. La piovra dell'industria, e così il tentacolo dell'editoria, parla la lingua del profitto. Lo scenario della riproducibilità tecnico-seriale di un'opera, che il buon Benjamin vedeva come condicio sine qua non per l'allargamento dell'accesso alla cultura da un ambito elitario a uno popolare, ha avuto come effetto collaterale la tendenza menzionata in precedenza di pubblicare-

pubblicizzare, innanzitutto e perlopiù, i prodotti capaci di condurre a un profitto maggiore (l'acciaio docet, sparato a tutta durante nei giorni caldi dello Strega finito poi nel canale Mussolini se la memoria non inganna). La coincidenza delle figure dello scrittore e del lettore con quelle del produttore e del consumatore merita una riflessione approfondita: occorre ragionare sulla macchina. La dinamica del social network, connessa alle pari opportunità di pubblicazione-pubblicizzazione, può mutare in popolare il dialogo culturale elitario dei salotti borghesi. Critici e intellettuali, esiliati dai quotidiani (ricordo nella fattispecie un articolo di Scarpa, un paio di Strega or sono, che lamentava l'esclusione sistematica degli scrittori dalla dimensione dell'attualità), potrebbero ricominciare a far sentire la propria voce (indottrinare il popolino, cacciare teste), tornando a filtrare la realtà in favore del collettivo, ruolo misconosciuto e ridicolizzato dalla classe politico aziendale che non può che trarre giovamento dalla mancanza di alternative plausibili al Pensiero Unico.

IV. LD giustifica il suo operato fondandolo su un principio concettuale: "l'etico", un costrutto formato da una molteplicità di componenti: il rifiuto di qualsiasi strategia di castrazione alla libera circolazione di testi ed opere; la sostenibilità ambientale; il considerare la propria utenza al pari di individui e non meri produttori-consumatori. Il rifiuto di qualsiasi strategia di castrazione è un problema di controllo sociale. Le prime norme sul diritto di copia (copyright) furono emanate dalla monarchia inglese nel XVI secolo con la volontà di operare un controllo sulle opere pubblicate nel territorio. Col diffondersi delle prime macchine automatiche per la stampa, infatti, iniziò ad affermarsi una libera circolazione fra la popolazione di scritti e volumi di ogni argomento e genere. Il governo, poiché la censura era all'epoca una funzione amministrativa legittima come la gestione della sicurezza pubblica, avvertì il bisogno di controllare ed autorizzare la libera circolazione delle opinioni. Ragion per cui fondò una corporazione privata di censori la London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra) - i cui profitti sarebbero dipesi da quanto fosse stato efficace il loro lavoro di censura filogovernativa. Agli Stationers (ovvero gli editori) furono concessi i diritti di copia (copyright, appunto) su ogni stampa, con valenza retroattiva anche per le opere pubblicate precedentemente. La concessione prevedeva il diritto esclusivo di stampa, e quello di poter ricercare e confiscare le stampe ed i libri non autorizzati, finanche di bruciare quelli stampati illegalmente. Ogni opera, per essere stampata, doveva essere registrata nel

Registro della corporazione, registrazione che era effettuabile solamente dopo un attento vaglio ad opera del Censore della corona o dopo la censura degli stessi editori. La corporazione degli editori esercitava perciò a tutti gli effetti funzioni di polizia privata, dedita al profitto e controllata da parte del governo. Ogni nuova opera veniva annotata nel registro della corporazione sotto il nome di uno dei membri della corporazione il quale ne acquisiva il copyright, ovvero il diritto esclusivo sugli altri editori di pubblicarla; una corte risolveva le eventuali dispute fra membri. Il diritto sulle copie (copyright), perciò, nasce come diritto specifico dell'editore, diritto sul quale il reale autore non può quindi recriminare alcunché né guadagnare di conseguenza. Nel successivo secolo e mezzo la corporazione dei censori inglesi generò benefici per il governo e per gli editori: per il governo, esercitando un potere di controllo sulla libera diffusione delle opinioni e delle informazioni; per gli editori, traendo profitto dal proprio monopolio di vendita. Sul finire del XVII secolo, però, l'imporsi di idee liberali nella società frenò le tradizionali politiche censorie e causò una graduale fine del monopolio delle caste editrici. Temendo una liberalizzazione della stampa e la concorrenza da parte di stampatori indipendenti ed autori, gli editori fecero valere la propria moral suasion sul Parlamento. Basandosi sull'assunto che gli autori non disponessero dei mezzi per distribuire e stampare le proprie opere (attività all'epoca assai costosa e quindi riservata a pochi), mantennero tutti i privilegi acquisiti in passato con un'astuzia: attribuire ai veri autori diritti di proprietà sulle opere prodotte, ma con la clausola che questa proprietà potesse essere trasferita ad altri tramite contratto. Di lì in poi gli editori non avrebbero più generato profitto dalla censura sulle opere, ma semplicemente dal trasferimento dei diritti firmato (più o meno volontariamente) dagli autori, trasferimento in ogni caso necessario per la

altrimenti troppo costosa pubblicazione delle opere. La storiella di cui sopra, che bene spiega la ragione della castrazione, è quel che si dice un "wiki", un documento reso libero dalla scelta di non vincolarlo ad alcun diritto di copia. Un documento che non sarebbe stato possibile divulgare se l'operato di Wikipedia fosse giustificato sulla logica della massimizzazione del profitto. La scelta di considerare l'utenza al pari di individui all'interno di un collettivo, e non meri produttori-consumatori all'interno di un capitalismo consumista, è ovviamente una questione squisitamente politica (e si badi, politica, non politicizzata). Se è vero che il secolo ventesimo può esser detto deleuziano, lo è nella misura in cui la sentenza per eccellenza è stata "desiderare è produrre" e in virtù di essa è il desiderio ha produrre tanto l'io quanto il mondo e Dio. Se desiderare è produrre (già, sono i vostri nostri? miei? desideri a creare il mondo, tanto nel grande quanto nel piccolo) si capisce che la tanto la pubblicità quanto la diffusione dei dati dell'utenza per indagini di mercato non possono che contribuire da un lato a indirizzare il desiderio del collettivo vincolandoli a un prodotto mentre dall'altro a mantenere le individualità nel ruolo di meri consumatori. L'essere quel che si dice un social media, da un lato user-generated content e dall'altro consumer-generated media fa di LD la condizione di possibilità per creare una comunità capace di territorializzare il dibattito culturale deterritorializzandolo dal Mercato, e per far ciò ha bisogno di un popolo, non di meri consumatori. E il popolo va tutelato, trattato come tale e non come massa di consumatori, tanto appunto evitando di diffonderne le abitudine quanto evitando di esporlo a pubblicità di altri prodotti. Allo stesso modo, la scelta di destinare la