CORSO BASE DI FOTOGRAFIA



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Transcript:

CORSO BASE DI FOTOGRAFIA DALL ANALOGICO AL DIGITALE Quando si inizia a raccontare una storia si comincia con c era una volta e questa storia non fa eccezione. Molti anni fa quando iniziarono a diffondersi le macchine fotografiche, la tecnologia a disposizione era essenzialmente meccanica. L elettronica era di là da venire. La meccanica invece era già molto sofisticata. Senza addentrarsi nella storia, o complicare le idee con la fisica, ed in particolare con i principi di ottica, diciamo solo che la luce che colpisce un soggetto, esegue un percorso verso i nostri occhi che attraverso il cristallino, provvede a capovolgere l immagine in modo che il nostro cervello la recepisca esattamente come la vediamo. Lo stesso processo avviene con le lenti di un obiettivo, sia esso progettato per macchine analogiche che digitali. In sostanza le lenti di un obiettivo assolvono le funzioni della retina del nostro occhio. L immagine attraversa l obiettivo e si imprime sulla pellicola posta nel dorso della macchina. Non abbiamo mai visto come un immagine viene impressionata su di una pellicola, ma sull emulsione della pellicola l immagine è capovolta. Abbiamo già introdotto un paio di vocaboli a molti sconosciuti : pellicola, emulsione. La pellicola è un supporto di celluloide ( o lastre di vetro ) su cui il produttore spalma uno strato di materiale sensibile detto emulsione a base di alogenuro di argento. Tale materiale è sensibile alla luce per cui va conservato al buio totale. Tale emulsione, attraverso un processo chimico, porta allo sviluppo del negativo ed all ottenimento della foto da stampare su carta fotografica. Tale carta è anch essa spalmata di materiale sensibile. Il negativo, inserito in un apparecchio (ingranditore) viene proiettato sulla carta, che sottoposta al procedimento chimico simile a quello del negativo produce la nostra foto stampata. Tutti questi procedimenti, relativamente al bianco/nero, venivano fatti in casa da molti fotografi. Non era complicato, non era dispendioso ed era soprattutto appassionante. Anche a quel tempo, in camera oscura venivano effettuati interventi di miglioramento e/o modifica dell immagine. Contrasto, luminosità, tagli, sfumature, erano accorgimenti quasi banali ed alla portata di molti. Per quanto riguarda il colore, il costo delle apparecchiature per lo sviluppo la stampa erano costose (DRUM) per cui molti si affidavano ad un laboratorio. Inoltre la qualità di una foto era basata sulla qualità della pellicola più adatta per quel tipo di ripresa, sulla sua sensibilità (ISO/ASA), sull accuratezza della scelta della migliore coppia tempo/diaframma, oltre che sull inquadratura. Ora tutto questo non c è più.

Per la parte ottica, non è cambiato nulla, la fisica ottica è rimasta quella!! Al posto della pellicola c è il sensore. Cos è il sensore, com è fatto, quanto è grande, come recepisce l immagine, come la tratta, ecc. Al posto della sensibilità della pellicola ci sono i PIXEL. Cosa sono, come sono fatti, quanti ne servono, ecc.. Cercheremo di rispondere a queste domande. IL SENSORE Ecco com è fatto il sensore, e capite anche le sue dimensioni. E posizionato sul piano focale, dove si sarebbe trovata la pellicola.

La luce, attraverso l'obiettivo della nostra macchina fotografica arriva su un rettangolino più o meno grande che è, appunto, sensibile alla luce (fotosensibile). Questo rettangolino è il sensore, e nelle fotocamere digitali svolge la stessa funzione che, nelle macchine fotografiche tradizionali, svolgeva la pellicola. Davanti ad esso, come davanti alla pellicola, c'è una specie di velo che blocca la luce e che si alza quando si preme il pulsante di scatto: nell'intervallo di tempo in cui il sensore o la pellicola sono esposti alla luce, nasce l'immagine che poi vedremo su carta o sul monitor del computer. In estrema sintesi, dunque, il sensore serve a convertire la luce in elettroni. Ma com'è fatto un sensore? Per comprenderlo bisogna sapere cos'è un fotodìodo: è un dispositivo sensibile alla luce, che quando intercetta una determinata lunghezza d'onda (quella della luce, appunto), genera una carica elettrica. Un sensore altro non è che un rettangolino di silicio, pieno zeppo di fotodiodi e dotato dei vari collegamenti necessari, sia interni che verso il resto delle componenti della fotocamera. In pratica la griglia di fotodiodi, solitamente di forma rettangolare, viene innestata su un wafer (cioè una lastra circolare) di silicio, ed al termine di un delicato processo produttivo da ogni wafer si ricava un certo numero di sensori. S'intuisce facilmente che, partendo da una lastra di silicio di una data dimensione, più sono grandi i sensori richiesti minore è il numero che se ne riesce a tirar fuori. Insomma, data una torta, più sono gli invitati più piccole saranno le fette, c'è poco da fare! Questo è uno dei motivi per cui più il sensore è grande, più costa. La qualità di una foto digitale prodotta da una fotocamera digitale è la somma di svariati fattori, alcuni riconducibili alle macchine fotografiche reflex. Il numero di pixel (di solito indicato in megapixel, milioni di pixel) è solo uno dei fattori da considerare, sebbene sia di solito quello più marcato dalle case di produzione. Il fattore più critico è comunque il sistema che trasforma i dati grezzi (raw data) in un'immagine fotografica. Da considerare vi sono anche, ad esempio: la qualità delle ottiche: distorsione (aberrazione sferica), luminosità, aberrazione cromatica... il sensore utilizzato: CMOS, CCD, che fra l'altro gioca un ruolo centrale nella ampiezza della gamma dinamica delle immagini catturate,... il formato di cattura: numero di pixel, formato di memorizzazione (Raw, TIFF, JPEG,...) il sistema di elaborazione interno: memoria di buffer, algoritmi di elaborazione immagine.

IL PIXEL È l'unità elementare di cui è costituita una fotografia digitale. Le immagini delle foto digitali sono composte da milioni di piccoli quadratini chiamati pixel (contrazione della locuzione inglese picture elements). Solitamente i puntini o quadratini sono così piccoli e numerosi da non essere distinguibili ad occhio nudo, ma se paragoniamo un pixel alla tessera di un mosaico, è facile capire come tanti punti colorati possono andare a formare l'immagine. Più pixel sono usati per rappresentare un'immagine, più il risultato assomiglierà all'immagine originale, più alta è la risoluzione e quindi più alta qualità della foto. La qualità dell immagine di una foto può essere determinata dal numero di pixel per pollice che formano l'immagine stessa. Abbiamo detto che ogni sensore è composto di un certo numero di fotodiodi, disposti come una scacchiera. Ogni fotodiodo è in grado di catturare una certa quantità di luce e di conseguenza genera una carica elettrica, che viene raccolta da dei circuiti pure disposti sul sensore e convogliata verso i componenti della fotocamera preposti all'elaborazione dell'immagine (insieme, al rumore, che è una costante di tutte le apparecchiature di questo tipo). Quindi le fotografie digitali sono composte da un certo numero di punti, ed ogni punto è generato da un fotodiodo. Per esempio, se da una fotocamera digitale si ottiene una foto grande 2560x1920 pixel, sappiamo che il suo sensore ha in tutto 4.915.200 fotodiodi (basta moltiplicare 2560 per 1920), cioè quasi cinque milioni. Insomma, è una fotocamera da cinque megapixel. In realtà ogni fotocamera ha sempre qualche pixel in più, perché non tutti quelli presenti sul sensore vengono usati per creare l'immagine (ma servono ad altri scopi, diciamo così, "di servizio", relativi ad esempio alla temperatura dei colori, al contrasto, e così via). Ecco perché talvolta si parla di "risoluzione effettiva", indicando i pixel che realmente sono utilizzati per formare la fotografia. C'è una triste verità che prima o poi ogni appassionato di fotografia digitale scopre. I fotodiodi "vedono" in bianco e nero, o meglio, non sono in grado di individuare il colore della luce che hanno intercettato ed immagazzinato. Ma allora come mai le foto escono a colori? Perché davanti ai fotodiodi è posizionata una griglia composta di tanti piccoli filtri colorati, ognuno di uno dei tre colori primari (rosso, verde e blu; sono i tre colori che, combinandosi, danno luogo a tutto l'insieme di colori che l'occhio umano può percepire). Il tipo di filtro più diffuso è quello denominato di Bayer (immagine in basso): si noti che i filtri verdi sono più numerosi di quelli degli altri due colori; questo avviene perché l'occhio umano è più sensibile al verde, rispetto al rosso ed al blu, quindi il filtro tende a replicare questa sensibilità.

Ogni singolo filtro lascia passare solo la luce del suo colore, quindi un fotodiodo che ha davanti un filtro blu immagazzinerà solo la luce blu, e così via per gli altri due colori. Da notare che, per massimizzare la raccolta di luce, negli spazi vuoti tra un fotodiodo e l'altro sono talvolta posizionate delle microlenti che convogliano nel fotodiodo luce che altrimenti sarebbe andata persa. Una volta completata l'immagine, cioè la raccolta della luce (più precisamente, ogni fotodiodo raccoglie il valore di luminanza di un colore, cioè il rapporto tra l'intensità luminosa e l'area della superficie che vi è esposta; si esprime in candele per metro quadro, la sigla è Cd/m2), il sistema di elaborazione della fotocamera analizza questo insieme di dati (ognuno dei quali, lo ricordiamo, è relativo ad uno solo dei tre colori primari) e, attraverso un processo denominato "demosaicing", demosaicizzazione, calcola quale sia il colore effettivo di ogni singolo punto, prevalentemente grazie al confronto tra i pixel vicini. In pratica, prendendo i pixel a gruppi, a seconda della distribuzione dei tre colori primari il software della fotocamera ricostruisce il vero colore della scena ripresa, e via via ripete questo processo per tutti i gruppi di pixel dell'immagine. Ma sono davvero cinque i megapixel cui accennavamo prima? Ecco, ci sarebbe una seconda terribile verità... E' vero che se un sensore ha 2560x1920 punti produce un'immagine composta di cinque milioni di pixel, ma non è vero che ognuno di questi cinque milioni di punti contenga anche l'informazione relativa al colore (vero) di cui è composto: abbiamo visto che ogni punto è solo di un colore primario, e tutto il resto è abilità del software. In pratica, i 2560 pixel disposti sulla prima fila del sensore sono metà rossi (o blu) e metà verdi; sulla seconda fila avremo metà punti blu (o rossi) e metà verdi; e così via. Quindi, se anziché parlare di "punti" in senso generico, parliamo di "punti che contengono anche un'informazione relativa al colore vero (non primario)", ci rendiamo conto che, poiché come abbiamo visto la fotocamera usa più pixel per arrivare a determinare il vero colore della scena, è come se a nostra disposizione ci fossero metà dei punti, sia in orizzontale che in verticale.

Ovvero 1280x960, cioè circa 1,3 megapixel. Se non siete ancora svenuti, potete consolarvi pensando che ognuno di questi 1,3 milioni di pixel contiene l'informazione relativa al colore reale (della scena ripresa), e non più solo ad uno dei tre colori primari. Naturalmente esistono dei sistemi che limitano questo problema della "finta risoluzione", il più semplice dei quali è quello che, pur continuando a ricavare il colore reale esaminando quattro pixel alla volta, analizza più volte gli stessi pixel, combinandoli ogni volta in gruppi differenti. Si potrebbe pensare che il modo migliore per avere immagini di alta qualità sia riempire il sensore di quanti più fotodiodi possibile: più fotodiodi (più pixel) ci sono, maggiore è la risoluzione dell'immagine finale; ed ecco spiegato il continuo incremento di megapixel nelle fotocamere che via via vengono lanciate sul mercato. Ma basta ragionare un istante per rendersi conto che, se su un sensore' prima c'erano quattro milioni di fotodiodi, ed ora ce ne vanno sette, è evidente che si stanno usando dei fotodiodi più piccoli. E più i fotodiodi sono piccoli, meno sono capaci di catturare la luce, dunque assieme al segnale da loro generato (l'immagine) c'è una maggiore quantità di quello che viene definito "rumore", cioè carica elettrica che sull'immagine finale si manifesta sotto forma di puntini più o meno colorati e di dimensione variabile. Va osservato che qualunque dispositivo elettronico che abbia a che fare con un segnale ha inevitabilmente un certo grado di rumore. In generale, possiamo dire che esistono due tipi di rumore, quello legato al segnale e quello indipendente dal segnale stesso; quest'ultimo possiamo immaginarlo come un inevitabile sottofondo di tutti i circuiti elettronici, e semplificando potremmo dire che è generato proprio dalle operazioni di trasferimento della carica elettrica dai fotodiodi ai vari circuiti della fotocamera, dalla sua conversione in un segnale digitale, e così via. Spesso lo si definisce "rumore di lettura". Per misurare il rumore spesso si preferisce indicarne la quantità rispetto al segnale: è il cosi detto "rapporto segnale/rumore". Più è alto questo rapporto, minore è il rumore rispetto al segnale. L'aspetto pratico più importante che riguarda il rumore è che esso diventa più visibile man mano che aumenta la sensibilità a cui si scattano fotografie. Ai tempi della pellicola, per scattare foto con poca luce si caricava in macchina una pellicola ISO 400, o ISO 800, e così via. Così facendo si utilizzava un supporto più sensibile alla luce; ma nel caso del digitale il sensore non si può sostituire, e la sua sensibilità è quella che è. Quello che si può fare è amplificare maggiormente il segnale raccolto dai fotodiodi, e questo comporta anche un aumento del rumore prodotto. Come si amplifica il segnale dei fotodiodi? Lo facciamo impostando, sulla nostra fotocamera digitale, il valore ISO, aumentandolo a ISO 200, 400 o più. In generale, più i fotodiodi sono piccoli e più sono soggetti al rumore dipendente dal segnale, per cui le compatte digitali generano immagini più rumorose, mentre le fotocamere con sensori di formato APS-C riescono a fornire immagini più pulite, anche a parità di risoluzione.

Sarebbe inesatto dire che questo avviene perché le compatte hanno sensori più piccoli; è più giusto dire che il maggior rumore dipende dai fotodiodi più piccoli. In conclusione, se parliamo di rumore, più che la dimensione del sensore in assoluto conta il suo... affollamento, cioè quanti fotodiodi (e dunque quanti megapixel) ospita: meno ce ne sono, più sono grandi, dunque minore è il rumore legato al segnale. Dunque ci si trova di fronte a due forze contrastanti: l'aumento del numero di pixel (cinque megapixel, sette megapixel, e così via) produce immagini più definite, ma allo stesso tempo peggiora la resa del sensore alle sensibilità medio-alte. All'atto pratico, quanto dovrebbe essere grande un fotodiodo? Poiché la luce visibile ha una lunghezza d'onda che va più o meno dai 400 ai 750 nanometri (un nanometro è un milionesimo di millimetro), ovvero da 0,4 a 0,75 micron (un micron, ovvero micrometro, è un milionesimo di metro), perché un fotodiodo la catturi non può ovviamente essere più piccolo di tali valori. Ad oggi, i fotodiodi delle compatte hanno dimensioni che vanno dai 2 ai 3 micron, mentre quelli dei sensori APS-C oscillano intorno ai 5-6 micron. E' probabile che l'innovazione tecnologica consenta in futuro di realizzare fotodiodi sempre più piccoli e meno "rumorosi", ma questo non annulla il vantaggio che un sensore più grande ha su uno di dimensioni inferiori, visto che entrambi potranno beneficiare dei miglioramenti tecnologici via via disponibili. Se parliamo di qualità d'immagine, in generale più un sensore è grande meglio è. Ma naturalmente tutto ha un prezzo: sensori più grandi significa fotocamere più grandi, maggior consumo di energia, obiettivi più grandi (perché l'immagine che devono formare deve essere grande almeno quanto il sensore), e costi maggiori. Usando sensori più ampi, i fotodiodi possono essere più grandi: questo produce immagini meno "rumorose", come abbiamo visto, e con una gamma dinamica più ampia. Cos'è la gamma dinamica? Sintetizzando, è un'espressione che indica l'intervallo di sfumature dal bianco puro al nero pieno che un sensore è in grado di registrare. Un fotodiodo di ampie dimensioni può immagazzinare, a parità di tempo, più luce rispetto ad uno più piccolo, e dunque produrre un'immagine più ricca di passaggi tonali, perché riesce a raccogliere più informazioni sull'intensità luminosa di un punto immagine. E' un po' come avere due lampade, una con un normale interruttore, che può essere solo "accesa" o "spenta", ed una con un potenziometro, dove tra "acceso" e "spento" c'è la possibilità di impostare una gamma di luminosità intermedie. Per mettere alla prova la gamma dinamica basta fotografare una scena dove ci sia una forte differenza di luminosità tra le zone chiare e quelle scure, pensiamo ad esempio ad un bambino all'ombra di un albero con un cielo molto luminoso sullo sfondo. Se nella foto il bambino risulterà chiaro e leggibile, il cielo sarà un uniforme lenzuolo bianco senza nessuna sfumatura. Più i fotodiodi sono piccoli, più le immagini sono esposte a questo rischio.

L ATTREZZATURA FOTOGRAFICA REFLEX Il mercato offre una quantità veramente elevata di apparecchi digitali reflex. E ovvio che ci sono differenze tra le varie marche produttrici, altrimenti non sarebbe giustificata la differenza di prezzo tra i vari apparecchi. E non mi azzarderò ad elogiare o criticare una marca o un altra. Diciamo solo che i marchi storici, costituiscono sempre una garanzia di qualità, affidabilità, durata e valore commerciale nel tempo. Coloro i quali hanno iniziato con un certo marchio, nel periodo analogico, saranno portati a proseguire con quel marchio per poter utilizzare il parco obiettivi già in loro possesso, anche se tali ottiche sono pesanti, non hanno l autofocus. Ma hanno una qualità di lenti di gran lunga superiore alle nuove ottiche in cui le lenti sono realizzate in materiale plastico. Cosa scegliere, quanti megapixel, DX o FX, a quale marchio affidarsi, ecc Diciamo che la discriminante fondamentale è costituita dal prezzo. A parità di prestazioni è meglio affidarsi ad un marchio storico o scegliere uno di minore rilevanza ma dal costo inferiore? E la nostra prima macchina digitale? Abbiamo obiettivi antichi che vogliamo riutilizzare?. Se intendiamo acquistare la nostra prima digitale, per il nostro primo approccio alla fotografia, ritengo consigliabile riflettere in prima battuta sul nostro hobby. Sarà solo un divertimento o intendiamo proseguire con passione? Nel primo caso sarà meglio iniziare con una macchina di costo inferiore (anche se la qualità dovesse essere scarsa) e vedere se ci si appassiona. Se invece siamo sicuri di avvicinarci alla fotografia con passione e curiosità, allora varrà la pena di investire per apparecchiature più costose. Potremo nel tempo arricchire il parco obiettivi in funzione del tipo di fotografia che ci appassionerà di più. In ambedue i casi, vista la rapidità con cui si muove il mercato, è preferibile acquistare il modello più recente, in modo da avere a disposizione il meglio; e fare uno sforzo economico per comprare una digitale FX. Alla luce di quanto detto prima, sarà preferibile acquistare la digitale con il più alto numero di megapixel.

CAVALLETTI A volte ci si può trovare in situazioni in cui per scarsità di luce, per esigenze di esposizione o di presenza del fotografo stesso, sia necessario posizionare l apparecchio in modo che stia fermo e magari comandabile a distanza. A queste esigenze si può rimediare con un cavalletto. Ci sono di tutte le dimensioni e prezzi. Testa rotante, gambe allungabili, ecc.. In funzione delle nostre esigenze fotografiche sceglieremo quello più adatto. Da quello tascabile e pieghevole a quello da valigia. Per esempio, ci può servire quando fotograferemo la cupola di una chiesa dal basso e con poca luce, vorremo riprendere la scia di una cometa con tempi molto lunghi, catturare gli schizzi delle onde del mare in tempesta, creare l effetto di mosso della gente in una stazione, catturare immagini di animali selvatici a cui non ci si può avvicinare per molto tempo. Sono tutte situazioni in cui ci si potrà trovare dopo un certa esperienza; non vale la pena di munirsi di tutto il possibile se non andremo mai a fare un safari.

FILTRI Il filtro è una lente priva di effetti ottici da posizionare davanti all obiettivo e adatta a modificare i risultati di ripresa. Prima di tutto suddividiamoli in categorie.: universali; per bianco/nero; per colore; per materiale. Il materiale dei filtri può essere sia di vetro che di gelatina I filtri universali sono assolutamente trasparenti e incolori (Skylight o UV). Oltre a rappresentare una protezione assolutamente necessaria per la lente frontale (un filtro rigato si cambia, un obiettivo si butta), servono ad eliminare i raggi ultravioletti. Per certi utilizzi, può essere utile il filtro polarizzatore; ruotando una ghiera, si eliminano i riflessi di specchi, vetrine, finestre, della superficie dell acqua, della sospensione di vapore nell aria. Per le foto in bianco/nero, esiste una varietà di filtri colorati che servono ad enfatizzare e modificare il contrasto. Il filtro giallo aumenta il contrasto tra nuvole e cielo rendendolo più scuro; quelli arancione o rosso hanno lo stesso effetto ma via via più marcato, quello verde diminuirà l intensità delle foglie mentre aumenterà quello di tetti e frutti. Per il colore i filtri vengono sostituiti dalla funzione di bilanciamento del bianco.

OBIETTIVI La prima nozione che si deve introdurre riguarda l angolo di campo che un obiettivo è capace di coprire. I nostri occhi abbracciano una visuale attorno ai 45-50 gradi. Da qui si capisce il perché l obiettivo detto normale sia il 50 mm. Non ritengo opportuno o necessario introdurre ora concetti di fisica ottica per spiegare il perché della forma delle lenti, della loro composizione in gruppi, della rifrazione, della diffrazione, ecc., chi è particolarmente curioso di approfondire l argomento, potrà trovare molto materiale in internet (http://it.wikipedia.org/wiki/lente). Il genere di fotografia che ci interessa, che ci appassiona, che pensiamo ci darà il maggio numero di emozioni, ci farà deciderà quale tipo di obiettivo scegliere. Da lì in poi, allargheremo il nostro interesse e proveremo con altri generi. E conseguentemente ci muniremo delle ottiche più adatte o necessarie. Fotografia macro, generale, ritratti, architettura, paesaggi, sportiva, reportage, safari; sono tutti generi di fotografia, ognuno dei quali necessita, oltre che di un approccio particolare, di uno studio di inquadrature approfondito e di una tecnica collaudata. L attuale gamma di ottiche che ogni produttore mette a disposizione, è veramente vasto. Attualmente gli obiettivi zoom, hanno raggiunto una tale qualità che, a parte casi particolari, possono far parte di un corredo ottico e risolvere una vasta serie di esigenze. Però, per tracciare delle linee di demarcazione e dare delle indicazioni precise in base a cui orientare la scelta, si può dire che le serie macro, in genere chiamati 55 macro, sono appunto adatti a riprese ravvicinate per le quali la distanza di messa a fuoco deve essere minima. Per quanto riguarda il ritratto, è necessario avere un medio tele, 85 o 105, Con rispettivamente 28 e 22 gradi di angolo di campo. Con queste focali, la cui qualità (così come il costo) è molto elevata, si possono ottenere dei primi piani in cui, giocando opportunamente con la profondità di campo, si ottengono risultati notevoli.

Se invece ci interessiamo di architettura, di paesaggi, avremo bisogno di un grandangolo; qui possiamo partire da un medio 28 mm con 75 gradi, fino ad uno spinto 14 mm con 114 gradi. E ovvio che al di là del costo di questi obiettivi fissi, che comunque è una discriminante, la scelta dovrà essere guidata dagli interessi fotografici specifici. Se il nostro interesse è invece rivolto verso riprese tipo safari fotografico, con animali in lontananza, o soggetti sportivi, allora dovremo posizionarci su una serie di obiettivi di grande lunghezza focale (a partire dal 300 mm) che hanno un angolo di campo da 8 gradi in giù. La fermezza della mano, la nostra stabilità e quella della macchina, ci potranno dare risultati piacevoli. Sono obiettivi destinati anche a riprese sportive, con soggetti in movimento. In questo caso è necessario utilizzare tempi di scatto brevi e seguire il soggetto anche dopo lo scatto.

Avvicinandoci agli obiettivi zoom, è necessario individuare con attenzione le nostre esigenze. Come detto prima, se i nostri interessi sono rivolti più alla fotografia macro o al ritratto, ci potremo dotare di un 18-105 che svolge più che bene le funzioni, macro, paesaggio, generale e ritratto. Sappiamo per esperienza, per cultura, che poi ci verrà la voglia di cimentarci in fotografia naturalistica, catturando immagini di soggetti lontani. Se poi siamo anche appassionati sportivi, è facile che venga la voglia di esplorare anche questa parte della fotografia. In ambedue i casi uno zoom come il 70-300, copre una vastissima gamma di esigenze e situazioni.

LA COMPOSIZIONE DELL IMMAGINE LA REGOLA DEI TERZI La regola dei terzi è un accorgimento che è stato utilizzato per secoli dai pittori ed è tuttora molto diffuso nella composizione di una fotografia. Dividendo l'immagine in terzi e ponendo il soggetto in uno dei punti di intersezione delle linee immaginarie ottenute, si ritiene che l immagine risulti più dinamica (rispetto ad una composizione che pone il soggetto al suo centro), ma armonica al tempo stesso. La regola è talmente popolare che alcune macchine fotografiche sono dotate di mirini con una griglia di suddivisione in terzi per aiutare il fotografo. Oltre al posizionamento del soggetto, la regola dei terzi viene utilizzata anche per valutare il posizionamento dell'orizzonte nei dipinti o nelle fotografie panoramiche, secondo la tesi per cui un orizzonte a metà dà la stessa importanza al cielo e al paesaggio, effetto in genere non voluto. Secondo la regola dei terzi all'immagine va idealmente sovrapposto un reticolo composto da due linee verticali e due linee orizzontali (linee di forza), equidistanti tra loro e i bordi dell'immagine. L'immagine viene quindi divisa in nove sezioni uguali: il riquadro centrale prende il nome di "zona aurea" ed è delimitato dai quattro punti di intersezione delle linee (punti di forza, punti focali o fuochi). Questi sono i punti in cui l'occhio si concentra maggiormente dopo aver guardato il centro dell'immagine e dai quali raccoglie maggiore informazione. In generale, per rendere l'immagine più dinamica il soggetto deve essere posto sulle linee di forza dell'immagine (solitamente quelle verticali) o più precisamente nei punti focali dell'inquadratura; la posizione decentrata ne risalta l'importanza (se facciamo un ritratto di un soggetto che guarda verso destra, lo posizioneremo nell angolo sinistro in alto della zona aurea). Le linee di forza orizzontali, nella composizione di fotografie paesaggistiche, sono utilizzate come riferimenti per posizionare l'orizzonte ed i piani di prospettiva. Inoltre si possono utilizzare come linee guida quelle diagonali che passano per due fuochi opposti. La regola dei terzi è applicabile ad ogni formato, che può essere quindi anche quadrato o panoramico, ogni volta, cioè, che è possibile suddividere l'immagine in terzi con le linee di forza. La Regola dei Terzi, così come altre regole utilizzate nella pittura e nelle arti grafiche, trae origine dal fatto che l'osservatore di un'immagine è portato a guardarla in un certo modo. Utilizzando la regola dei terzi possiamo avvicinarci a questa modalità di visione in modo che, agli occhi dell'osservatore, l'immagine appaia bilanciata. Vediamo qui di seguito le situazioni in tale regola può essere utile ed applicabile.

Panorami Possiamo utilizzare, ad esempio, una delle linee orizzontali per posizionare l'orizzonte. Potremo destinare una porzione maggiore della foto al cielo posizionando l'orizzonte lungo la linea orizzontale inferiore, oppure, al contrario, privilegiare la spiaggia sul cielo posizionando l'orizzonte lungo la linea orizzontale superiore. L'immagine qui sopra mostra la linea dell'orizzonte posizionata lungo la linea inferiore della nostra griglia e il pennacchio della palma posizionato in corrispondenza di uno dei punti di intersezione delle linee.

Ritratti Il "trucco" sta nel posizionare il soggetto che vogliamo riprendere fuori dal centro della foto, lungo una delle linee orizzontali o verticali, oppure in uno dei quattro punti di intersezione. Reportage La regola dei terzi è applicabile anche nelle foto di reportage così come nella street Photography. La ricerca di una composizione che applichi una o più volte la regola (ad esempio piazzando il soggetto principale nel punto di intersezione in alto a sinistra e un secondo soggetto lungo una delle linee, oppure in un altro dei punti di intersezione) può servire da stimolo per approfondire la ricerca in fatto di composizione della foto.

LA QUALITA E LA RISOLUZIONE DI UN IMMAGINE DIGITALE Nel momento in cui ci troviamo ad utilizzare una macchina fotografica digitale, per prima cosa dovremo imparare a comprendere due aspetti molto importanti, quali la RISOLUZIONE e la QUALITA che vorremo ottenere dall immagine stessa. Cos è la RISOLUZIONE? Un immagine digitale è formata da pixel, quadrati piccolissimi dove ciascuno "porta" con se una parte delle informazioni relative all immagine acquisita A seconda del tipo di macchina fotografica digitale che adopereremo, potremo scegliere la quantità del numero dei pixel con i quali vogliamo "costruire" la DIMENSIONE della nostra immagine in relazione alle possibilità offerte dal sensore. Maggiore sarà il loro numero (pixel), e maggiore sarà la quantità di informazioni che potremo sfruttare per la sua stampa. Se immaginiamo un rettangolo composto da tanti quadratini, moltiplicando il numero dei pixel dei due lati che formano le dimensioni otterremo la risoluzione complessiva dell immagine. Ad esempio: n. 2048 x 1536 = 3.145.728 di pixel n. 3008 x 2000 = 6.016.000 di pixel n. 3264 x 2448 = 7.990.272 di pixel Il numero di pixel di cui è composta l immagine vincolerà le DIMENSIONI DI STAMPA dal momento che, a seconda del suo formato, andremo ad ingrandire sulla carta questi pixel di cui è composta. Poiché il numero dei pixel costituisce anche il "dettaglio" dell immagine, si comprende il motivo per cui sia più conveniente impostare la macchina fotografica alla MASSIMA RISOLUZIONE disponibile per quel tipo di sensore. Il pixel è l unità minima gestibile dal computer sul monitor. A seconda del numero di pixel che il monitor o il CCD della fotocamera digitale possono gestire, la qualità dell immagine risultante varia in modo proporzionale: questo vuole dire che, se nello stesso spazio (il monitor o il CCD) trovano posto più pixel, la loro dimensione sarà minore, rendendoli quindi meno visibili ad occhio nudo. Il termine risoluzione indica appunto il numero di punti che il nostro monitor o la nostra fotocamera riescono a gestire.

Lo stesso vale per scanner e stampanti, con la sola differenza che questi strumenti lavorano riferendo il numero di punti ad un unità di spazio, in genere il pollice anglosassone: dpi (dots per inch) e ppi (points/pixels per inch) sono le misure della risoluzione di stampanti e scanner più utilizzate. Avendo la possibilità di scegliere la risoluzione con cui fotografare o acquisire le immagini, è meglio optare per quella più elevata, onde evitare di dover inserire punti non reali con il metodo dell interpolazione al fine di incrementare le dimensioni dell immagine acquisita troppo piccola. Il processo di interpolazione per aumentare la dimensione dell immagine, eseguibile solo tramite software dedicati, non fà altro che copiare i pixel adiacenti ed adattarli alla risoluzione finale richiesta. Pertanto, non è in grado di aggiungere più dettaglio rispetto a quello presente in origine sull immagine. Al contrario, un ridimensionamento dell immagine non diminuisce la qualità dei pixel, ma determina solo delle dimensioni più piccole della stessa. L immagine acquisita con la nostra macchina fotografica digitale potremo stamparla su carta alla risoluzione di stampa (dpi) preferita, consapevoli però che la sua qualità sarà proporzionale al suo valore dpi ed alle sue dimensioni (in pixel o cm.). Dobbiamo quindi imparare a fare riferimento ai dpi a seconda del supporto sul quale vogliamo vedere l immagine (computer - carta), tenendo presente che un monitor classico non supera la risoluzione di 96 dpi, mentre su carta molto dipenderà dalla stampante utilizzata, sia essa quella di un laboratorio quanto la nostra ink-jet. Risoluzioni differenti per ogni dispositivo di visualizzazione, che a loro volta determinano la qualità finale percepita in funzione anche della nostra vista. Da qui si comprende come non si possano avvertire differenze qualitative sulle immagini a bassa risoluzione (ad esempio quelle pubblicate sul WEB), indipendentemente dal dispositivo di acquisizione utilizzato, sia esso professionale quanto amatoriale. Esiste quindi un vincolo reale tra dimensione (risoluzione) dell immagine e dpi effettivi che vanno a finire sulla stampa. Prendiamo ad esempio un file da 6 milioni di pixel di una reflex digitale. L immagine acquisita dal sensore avrà le dimensioni di n. 3008x2000 pixel. In quali dimensioni potremo stamparla? Se decidessimo di mantenere i dpi al valore di 300 otterremo una dimensione di stampa di cm. 25,47x16,93. Mentre se riduciamo il valore dei dpi a 240, la stessa immagine raggiungerà le dimensioni di cm. 31,83x23,17. Aumenteremo quindi le dimensioni dell immagine su carta diminuendo la risoluzione di stampa espressa in dpi. A questo punto è lecito chiedersi fino a che punto possiamo diminuire la risoluzione della stampa senza avvertire un calo della sua qualità.

La risposta è ovviamente vincolata dalla distanza alla quale osserveremo tale stampa e soprattutto dalla qualità originale del file. Teoricamente, la nostra vista non è in grado di distinguere (alle brevi distanze) oltre 240 dpi, prendendo in considerazione una vista perfetta senza diminuzione di diottrie. Se accettiamo tale parametro di riferimento (240 dpi), e proviamo a stampare la stessa immagine ad una risoluzione superiore (diminuendo di conseguenza la sua dimensione), difficilmente saremo in grado di percepire più dettaglio sulla carta. La stessa sensazione di medesima qualità potremo verificarla anche ad una risoluzione immediatamente inferiore a tale soglia, tipo 200 dpi, in grado di produrre una stampa delle dimensioni di cm. 38,2x25,4 dallo stesso file di 6 Mpx. Man mano che andiamo a diminuire la risoluzione in stampa (per avere una dimensione più grande su carta) dobbiamo imparare ad accettare una lieve perdita di qualità che d altra parte potremo osservare solo analizzandola da vicino, cosa questa abbastanza insolita per stampe di grande formato. Se ingrandiamo l immagine sul nostro monitor al 100% potremo osservare grosso modo il risultato finale dell immagine su carta, dal punto di vista qualitativo, riferita alle dimensioni derivate da tale risoluzione. Ma con tale ingrandimento a monitor (96 dpi) equivarrebbe ad osservare (alla breve distanza) una stampa delle dimensioni di circa cm. 80x53 Come potremo notare, a questa dimensione i pixel non sono ancora distinguibili perché la loro dimensione è inferiore a tale risoluzione video. Naturalmente il discorso è basato sull analisi di un file così come è stato memorizzato sul supporto di memoria.

ACQUISIZIONE, CATALOGAZIONE E GESTIONE DELLE IMMAGINI Una volta conclusa la nostra uscita fotografica, avremo voglia di vedere i risultati. Per cui collegheremo la nostra macchina al computer, o vi inseriremo la SD, e cominceremo ad acquisire sul computer le immagini scattate. Ogni produttore mette a disposizione un software specifico che aiuta a creare la cartella, a scaricarci le immagini, a consentirci di catalogarle e di modificarle. E di stamparle. Per esperienza personale parlerò di VIEWNX2, il software della NIKON. Gli altri non li conosco, ma sicuramente hanno le stesse funzioni. Il software VIEWNX2, propone delle scelte circa il nome della cartella di salvataggio e sulla sua posizione all interno del computer. Una volta avviato, il trasferimento copierà le foto dalla SD della macchina fotografica all interno della cartella indicata sul computer. E sempre consigliabile effettuare anche il back-up della cartella su di un altro supporto; non si sa mai!! A questo punto potrete visionare le vostre foto. Sia con VIEWNX2 che con il visualizzatore di Windows (è meglio perché più veloce). Da questo punto in poi, libertà alla fantasia. Cancellate quelle che non vi piacciono, rinominatele tutte, a gruppi, o come vi pare. Inserite su ogni foto dei commenti. Tipo : Atene; 2014; Partenone; tizio e caia. In questo modo, successivamente quando avrete diverse cartelle di foto e non vi ricordate se nel 2014 siete stati ad Atene, o chi c era, basterà inserire come chiave di ricerca solo tizio e caia ed il software selezionerà TUTTE le foto di tizio e caia; oppure inserite Atene e vi verranno presentate TUTTE le foto di Atene, e così via. Vi consiglio di fare questa attività SUBITO, altrimenti dopo non la farete più; anzi si accumuleranno le cartelle di foto senza commenti e più ne avrete meno vi andrà di inserire i commenti. Farlo dopo costa molto tempo, è noioso e lo farete male ed in fretta. Ne sono l esempio vivente. Dopo questa fase di catalogazione, sarete pronti a modificare le vostre foto e potrete stamparle. Tanto per divertimento e curiosità, stampatene subito una, magari in piccolo formato, tanto per vedere l effetto che fa. Dopo però sarà opportuno visionarle una ad una e verificare se l inquadratura è corretta, se il contrasto, la luminosità, i colori, sono quelli che vi ricordate di aver ripreso. Iniziate a giocare con il contrasto aumentandolo e diminuendolo; fate lo stesso con la luminosità. Per i colori fate attenzione, non è semplice imparare tutti i termini e capirne il significato. Se però avrete scattato foto curando bene l esposizione, non sarà necessario modificarli. Lo stesso vale per l inquadratura. Se l avete sbagliata perché c è qualcosa o qualcuno di troppo, potrete tagliare la foto Fate attenzione a selezionare il rettangolo correttamente in modo da escludere quello che non volete. Alla fine di questo procedimento (per ogni foto) ricordatevi di salvarle con un nome diverso. Questo perché successivamente potreste avere voglia o necessità di effettuare altre modifiche; potrete così partire o dall originale o dalla foto modificata.

Il VIEWNX2 vi permette anche, come altri software del resto come PROSHOW, COREL PAINT, PHOTOSHOP, di preparare una presentazione di foto; da proiettare a casa, per voi, per gli amici, da portarvi appresso su una pennetta per lavoro. Potrete inserire titoli di testa, di coda, musica, ecc..per personalizzarla. Create una cartella per le presentazioni, altrimenti vi toccherà andarle a cercare su ogni cartella di foto. Perché a distanza di mesi, non vi ricorderete se l avete fatta o no, e dove caspita l avete salvata. Vi assicuro che varrà la pena aver fatto tutto con cura, perché poi vi verrà voglia di fare altre foto, altre presentazioni e così via. Più il risultato vi soddisferà più sarete stimolati a fare di più e meglio. Ricordatevi, fotografiamo per passione, per gusto estetico, per soddisfazione personale, per trasmettere agli osservatori sensazioni, per farlo calare nella dimensione emotiva che ci ha portato a realizzare quelle foto non per passare ore al PC a modificare gli scatti effettuati con superficialità, senza meticolosità..

COME MISURARE LA LUCE: L'ESPOSIMETRO L esposimetro è costituito da un circuito elettronico che fornisce la misura della quantità di luce presente su una scena. La misurazione viene data o da un ago galvanometrico sollecitato dalla carica elettrica prodotta su una cella di solfuro di cadmio, o da un valore su schermo LCD. Gli esposimetri si dividono in due categorie, : quelli che misurano la luce riflessa e quelli che misurano quella incidente. In quest ultimo caso, l esposimetro è puntato vicino al soggetto ed una misurazione così precisa ed accurata è dedicata principalmente alla foto da studio, o ad ambienti cinematografici. Gli esposimetri che misurano la luce riflessa sono invece interni alla fotocamera e vengono chiamati TTL (trough the lens attraverso le lenti) ed infatti misurano la quantità di luce che un soggetto riflette. Esistevano solo tre possibilità di aree di lettura dell esposizione: totale, integrata con prevalenza della zona centrale e spot. Impostando la lettura totale si correva il rischio di non centrare per nulla la luce in condizione di forti contrasti o squilibri, dal momento che effettuando una media dei valori tonali in tutta l area, lo strumento entrava in crisi. Quella a prevalenza della zona centrale tiene conto di tutto il campo inquadrato ma con una sensibilità decrescente più ci si avvicina ai bordi, dando per scontato che il fulcro dell inquadratura, sia il centro dell immagine. E evidente che questo tipo di lettura presenta possibilità di errori. Quella spot naturalmente cerca di ovviare ai limiti delle precedenti misurazioni, prendendo in considerazione una zona ristretta, centrale o anche periferica scelta all interno di un ampio range (multispot). Il sistema di lettura delle attuali reflex è di tipo multizonale, con l individuazione di aree che vengono lette separatamente. Pur apparendo la summa delle precedenti, la scelta delle aree di illuminazione anomale e di zone interessanti viene pur sempre operata con una logica meccanica, alle volte per fortuna opposta all umana ed è per questo motivo che i tre tipi di lettura arcaici continuano a sopravvivere.

I VALORI ESPOSITIVI E GLI STOP Qui di seguito due esempi di come gli esposimetri misurino la quantità di luce.

LA CORRETTA ESPOSIZIONE. In generale affidarsi alla misurazione automatica e conseguentemente considerare tale tipo di esposizione corretto, non è sbagliato. Potremo però imparare molto da quanto suggerito dall esposimetro, tenendo nota scritta di quanto proposto. Il valore di esposizione o EV, è un valore di intensità luminosa a cui corrispondono delle coppie di diaframma e tempo dell'otturatore che forniscono alla pellicola o al sensore fotografico la stessa quantità di luce. Non dobbiamo guardare a questo EV con diffidenza o altro. E solo un valore che impareremo a gestire. Rappresenta la quantità di luce ottimale che l esposimetro ed il sensore ritengono necessari e sufficienti per una foto correttamente esposta. Nel determinare la corretta esposizione, si assume che si stia lavorando con una pellicola dalla sensibilità 100 ASA o che la nostra macchina abbia impostato questo valore. INTRODUZIONE ALLA TRIADE: TEMPI, DIAFRAMMI ED ISO. La corretta esposizione non è unica o assoluta. E qui introduciamo il concetto di forchetta. Sempre assumendo i 100 ASA come standard, potremo avere diverse coppie tempo/diaframma per ottenere lo stesso risultato. Ma solo in termini di luce!!! Con questo si intende dire che il tempo di 1/250 accoppiato a f 5.6, è equivalente a 1/500 ed f 4 oppure 1/30 ed f 16. Il risultato della quantità di LUCE che colpirà il sensore, sarà uguale, ma gli effetti molto diversi.

LA PROFONDITA DI CAMPO E qui introduciamo un altro concetto fondamentale : la profondità di campo. Ad ogni coppia tempo/diaframma corrisponde una determinata profondità di campo; cioè una zona di messa a fuoco ottimale. Dalla tabella qui sopra, si vede che tutte le diagonali da sinistra a destra, e dal basso verso l alto, hanno lo stesso valore. E un numero indicativo, di riferimento. Nel nostro esempio tale valore è 13 e TUTTE le accoppiate di quella diagonale sono equivalenti in termini di quantità di luce. Poniamo che il soggetto sia posizionato a tre metri dalla macchina; utilizzando la seconda coppia di tempo/diaframma (1/500 ed f 4), avremo a fuoco solo il soggetto inquadrato, ma prima e dopo tale soggetto, tutto sarà sfocato. Questo è utilissimo e soprattutto indicato per ritratti o foto macro. Se utilizzassimo la terza coppia (1/30 ed f 16) avremo una zona di messa a fuoco pressoché totale. Controllando sui nostri obiettivi e premendo l opportuno pulsante sulla macchina, potremo identificare l estensione della zona di messa a fuoco e, in funzione del risultato che intendiamo ottenere, scegliere la coppia più opportuna. Qui di seguito vengono proposte immagini esemplificative. Da questi esempi e dalle due prime tabelle, dovrebbe essere chiaro come distanza dal soggetto e diaframma siano estremamente legati. In funzione del risultato che vorremo ottenere, degli effetti che vogliamo realizzare, sceglieremo di volta in volta, la coppia più adatta.

Adesso però, se non siete troppo depressi dal non aver capito nulla, introduciamo un altra variabile. La lunghezza focale. Scherzi a parte, ormai dovreste aver familiarizzato con le accoppiate tempo/diaframma, con le equivalenze, l esposizione, la messa a fuoco. La tecnologia digitale non ha sovvertito le leggi di fisica ottica, quelle sono rimaste le stesse; per cui, a parte certi accorgimenti, facilitazioni ed altre piccole cose, la progettazione e lo schema ottico di un obiettivo è rimasto sostanzialmente lo stesso. All inizio avevamo parlato degli obiettivi catalogandoli in tre grossi insiemi, in base all angolo di campo da essi coperti. L angolo di campo è la quantità di scena che l obiettivo è in grado di inquadrare. Il nostro occhio cattura un angolo di circa il 45-50 gradi; è per questo che gli obiettivi di questa fascia vengono chiamati normali. Quelli che coprono un angolo maggiore della scena (cioè dai 70 fino ai 114 gradi) vengono chiamati grandangolari. Quelli che invece inquadrano una porzione ristretta della scena (dai 28 fino ai 7 gradi), sono detti teleobiettivi. Di questo ne avevamo già parlato e non sto qui a rispiegarlo; il concetto da introdurre ora è che la profondità di campo è correlata, dipendente dalla lunghezza focale.

Per far capire con un esempio, così come è stato fatto con il diaframma smontato, ecco alcune immagini. Stiamo parlando di un teleobiettivo con lunghezza focale 400 mm. Cioè un tubo di oltre 40 cm!! con apertura massima 6,3 e minima 32. Nella prima immagine abbiamo messo a fuoco un soggetto posto a circa 9 metri di distanza. Se usassimo il diaframma massimo, 6,3, cioè tutta apertura, la zona di profondità di campo, cioè di messa a fuoco, sarà compresa tra circa 8,90 metri e 9,10, cioè minima. Se invece volessimo inquadrare un soggetto posto diciamo a 100 metri, vediamo che, usando il diaframma minimo, 32, la zona coperta sarà compresa tra 50 metri e l infinito; cioè molto ampia.

Le linee che vediamo partire dal punto rosso e che avvicinano la ghiera di messa a fuoco dove sono indicate le distanze, ci permettono di individuare, già in partenza, quanta profondità di campo avrò a disposizione, in funzione della distanza di messa a fuoco e del diaframma impostato. Chiaro? No? Ed allora proviamo con un altro esempio.

In questo caso parliamo di un obiettivo di 28 mm di lunghezza focale. Nella prima immagine inquadriamo un soggetto a 2 metri di distanza e, impostando il diaframma alla massima apertura, in questo caso 2,5, la profondità di campo sarà compresa tra 1,5 e 2,5 metri. Se invece inquadriamo lo stesso soggetto ma impostando il diaframma a 16, vediamo che la zona di messa a fuoco inizierà da meno di un metro e si estenderà fino ai dieci metri. A questo punto dovrebbe essere chiaro che gli obiettivi grandangolari, per schema ottico, forniscono una estesa profondità di campo inquadrando anche una porzione elevata della scena. D altra parte i soggetti inquadrati risulteranno comunque più lontani che visti ad occhio nudo. I teleobiettivi invece, inquadreranno una piccola porzione della scena, avvicineranno il soggetto ed avranno una profondità di campo meno estesa. Sarà il fotografo, in funzione del risultato che vorrà ottenere, della distanza del soggetto, della scena da inquadrare, a scegliere il tipo di ottica e la coppia tempo/diaframma più adatto al tipo di ripresa. Se torniamo ad analizzare i due esempi delle modelle, notiamo che in quella a colori la profondità di campo è di circa 15 centimetri, non di più; e l effetto di sfocatura attorno e dietro il soggetto, è di notevole effetto. Se analizziamo la foto della prima modella, possiamo dedurre che è stato utilizzato un teleobiettivo, con diaframma aperto al massimo, tanto da far risaltare esclusivamente gli occhi; al punto che la profondità di campo è ristretta a 3-4 centimetri facendo risaltare fuori fuoco anche parte dei capelli ed il bordo del cappello. L effetto visivo è di notevole qualità. LA MESSA A FUOCO Gli esempi di messa a fuoco e di inquadratura, dovrebbero rendere di più immediata comprensione questo nuovo capitolo. Le ultime quattro foto vi possono dare la misura del significato di profondità di campo, ma anche che quanto più accurata sarà la messa a fuoco, tanto più di effetto visivo sarà la vostra foto. La messa fuoco consiste nell inquadrare il soggetto della foto che intendiamo scattare e, così come facciamo automaticamente con gli occhi, ruotare la ghiera dell obiettivo in modo che tale soggetto sia il più definito possibile. Le ottiche autofocus oggi a disposizione, assolvono egregiamente questa funzione. Però possono presentarsi occasioni in cui è necessario passare in manuale ed effettuare le regolazioni, appunto in manuale. Ad esempio condizioni di luce particolarmente scarsa in cui il sensore dell autofocus non riesce a leggere correttamente la zona inquadrata, o ancora zone abbastanza lontane in cui l autofocus mette tempo a regolarsi.

Nelle fotografie sportive, quando si inquadra una curva, in attesa della macchina che passi, una barca alla boa, una moto sulla collina, un bambino che corre, è più conveniente effettuare la messa a fuoco manuale su di un punto preciso e scattare in manuale. Altrimenti il ritardo dell autofocus ci farà perdere lo scatto. Lo stesso può essere necessario in quasi tutte le occasioni in cui la rapidità dello scatto esige il passaggio al manuale. Nella fotografia sportiva, contrariamente a quanto verrebbe intuitivo supporre, sarà indispensabile avere un tempo di scatto di 1/250 o 1/125. Tempi di scatto più rapidi sono sconsigliabili; risultano inefficaci nel fermare l immagine, producono effetti indesiderati. Non è che più il soggetto corre più devo correre io con il tempo di scatto. Aspetterò il soggetto, lo inquadrerò appena lo vedo, lo seguirò nel movimento e scatterò al punto prescelto in precedenza e CONTINUERO a seguirlo anche dopo lo scatto. Che non è mai CONTEMPORANEO alla pressione del pulsante. Ed ora via libera alla fantasia, e speriamo che, con quanto avrete appreso dalle lezioni, anche in funzione di quanto siamo riusciti ad essere chiari ed esaurienti, possiate iniziare a scattare e cominciare a divertirvi. Buone foto a tutti!!!! Claudio Pagnotta