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D.LGS. 231/2001 RIFLESSIONI SUI RECENTI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA LIGURE E LOMBARDA AVV. FRANCESCO BRIGNOLA

Trib. Milano (GIP) - Sent. 27/02/07 e Ord. 12/03/08 Criterio di attribuzione della responsabilità 231 Secondo tali pronunce (alle quali hanno fatto seguito decisioni della Suprema Corte quali Cass. pen., Sez. VI, n. 36083 del 17/09/2009 e Cass. pen., Sez. VI, n. 27735 del 16/07/2010), il D.Lgs. n. 231/2001 ha introdotto un tertium genus di responsabilità rispetto ai sistemi tradizionali di responsabilità penale e di responsabilità amministrativa, prevedendo un autonoma responsabilità amministrativa dell ente in caso di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati in esso espressamente elencati. Tale responsabilità è dunque considerata diretta, ossia derivante da fatto proprio dell ente, ed autonoma, ossia slegata dalla responsabilità della persona fisica autrice del reato. In sostanza l ente, in forza del rapporto di immedesimazione organica con il suo dirigente apicale, per fatto proprio, senza coinvolgere il principio costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui (art. 27 Cost.). Quindi, il D. Lgs. 231/2001 non delinea un ipotesi di responsabilità oggettiva, prevedendo, al contrario, la necessità che sussista la c.d. «colpa di organizzazione» dell ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all ente dell illecito penale realizzato nel suo ambito operativo (colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale).

Trib. Milano (GIP) - Sent. 14/02/12 Interesse e Vantaggio dell ente Tale sentenza, rifacendosi a più celebri precedenti in tema di omissione di cautele antinfortunistiche (Trib. Trani 11/01/10; Trib. Torino 17.11.08) riprende due nozioni fondamentali ai fini dell attribuzione della responsabilita ex. D.Lgs. n. 231/2001 all ente: 1) Nozioni di Interesse e di Vantaggio Nella ratio ispiratrice della profonda innovazione introdotta dalla L. n. 231 del 2001,l'ente collettivo, al di là di grossolane concezioni antropomorfiche, è considerato il vero istigatore, esecutore o beneficiario della condotta criminosa materialmente commessa dalla persona fisica in esso inserita. Con esclusione di responsabilità, quindi, per i fatti illeciti posti in essere nell interesse esclusivo delle persone fisiche autrici del reato e dunque estranei alla politica di impresa. Occorre dunque ravvisare un interesse o un vantaggio derivante all ente dalla commissione del reato. Tali interesse e vantaggio devono essere ravvisati ex ante e non ex post e sono individuati in via alternativa. Si può inferire che il profitto non è un elemento costitutivo del reato e che l'interesse ed il vantaggio possono anche essere non patrimoniali, purché siano concretamente ed obiettivamente individuabili.

Trib. Milano (GIP) - Sent. 14/02/12 Delitti colposi 2) Operatività 231 in tema di delitti colposi o contro l intenzione. Si è messa in dubbio l'operatività del sistema normativo ex D.Lgs. n. 231/2001 in caso di delitto colposo. Se infatti un soggetto agisce colposamente, non agisce per un fine criminale. Tale constatazione renderebbe vano il criterio dell'interesse e del vantaggio. In realtà, secondo i Giudici, non si è considerato il fatto che i reati colposi introdotti sono reati di evento scaturenti da una condotta colposa (i.e. La morte o le lesioni rappresentano l'evento, mentre la condotta è il fatto colposo che ne sta alla base). Ne discende che, quando nel realizzare la condotta si agisca nell'interesse dell'ente, la responsabilità di quest'ultimo è integrata. Analoga conclusione qualora, realizzata la condotta, l'ente ne abbia tratto comunque vantaggio. Se l'evento è il risultato della mancata adozione di misure di prevenzione, spesso è agevole sostenere che ciò abbia garantito un vantaggio all'ente, ad esempio nella forma di risparmio di costi. Quindi il requisito dell'interesse o del vantaggio è pienamente compatibile con la struttura dell'illecito amministrativo ex D.Lgs. n. 231/2001.

Trib. Milano (Riesame) - Ord. 07/05/08 Onere della prova Art. 6 D.Lgs. 231/2001 L ente non risponde se prova che Grava sull accusa l onere di dimostrare l esistenza e l accertamento dell illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della societas e che abbia agito nell interesse di questa. Tale accertata responsabilità si estende però, per rimbalzo, dall individuo all ente collegato, se sono provati tutti gli elementi costitutivi l illecito dell ente e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dello stesso, che rendono autonoma la sua responsabilità. La prova concreta della sussistenza dell interesse (considerato dal punto di vista soggettivo) o del vantaggio (considerato dal punto di vista oggettivo) è sufficiente all integrazione della responsabilità, fino a quando sussiste l immedesimazione organica tra dirigente apicale ed ente.

Trib. Milano (III Civile) - Sent. 13/02/08 Azione di responsabilità vs. amministratori È ammissibile l azione di responsabilità dei soci nei confronti dell amministratore per omessa predisposizione ed adozione di un modello organizzativo e gestorio ex D.Lgs. 231/2001 ove tale omissione sia connessa con indebiti prelievi dalle casse sociali e con la commissione di delitti dolosi. Tale profilo di responsabilità determina l obbligo del risarcimento nei confronti dei soci danneggiati.

Il Decalogo del Tribunale di Milano Tribunale Milano GUP Sentenza 30.04.04 La sentenza elenca e descrive quelli che, secondo il GUP, sono i requisiti di tenuta del Modello, la cui mancanza determina l esclusione della causa di non punibilità prevista dagli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 231/2001.

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 1 L Organismo di Vigilanza deve possedere requisiti di autonomia, indipendenza e professionalità. Occorre in particolare che i singoli membri siano, ciascuno, in possesso di: 1) professionalità distinte (ad. es: un dottore commercialista revisore contabile, un tecnico esperto di sistemi di compliance aziendale ed un legale con competenze di diritto penale sostanziale e processuale); 2) capacità specifiche in tema di attività ispettiva e consulenziale; 3) autonomia professionale idonea a garantirne la non dipendenza dall organo amministrativo dell ente.

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 2 Il requisito di professionalità potrebbe difettare, inoltre, laddove il Modello non preveda, quali requisiti necessari per l eleggibilità dei componenti dell organismo di vigilanza: 1) Il possesso di capacità specifiche in tema di attività ispettiva e consulenziale; 2) L inesistenza di condanne (anche non definitive) per delitti dolosi quali truffa ai danni dello Stato, corruzione, etc.

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 3 Occorre una costante attività di formazione del personale, che assicuri adeguata conoscenza, comprensione ed applicazione del Modello. Essa non è idonea ai fini del D.Lgs. 231/2201 se: 1) non la si differenzia a seconda che essa si rivolga ai dipendenti nella loro generalità, ai dipendenti che operino in specifiche aree di rischio, all organo di vigilanza ed ai preposti al controllo interno; 2) non si prevede il contenuto dei corsi, la loro frequenza, l obbligatorietà della partecipazione ai programmi; 3) non si prevedono controlli di frequenza e qualità sul suo contenuto.

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 4 Il sistema disciplinare adottato deve espressamente prevedere la comminazione di specifiche sanzioni anche nei confronti degli amministratori, direttori generali, compliance officers e/o comunque soggetti apicali che, per negligenza ovvero imperizia, non abbiano saputo individuare e conseguentemente eliminare violazioni del modello e/o la commissione di reati.

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 5 L elaborazione di modelli organizzativi deve tenere necessariamente conto: 1) della specificità dell ente per il quale vengono elaborati, 2) del settore nel quale l ente opera; e 3) della sua storia (anche giudiziaria).

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 6 Nella redazione del Modello, quindi, non può prescindersi: 1) da un attenta e specifica mappatura dei processi aziendali; e 2) dalla individuazione di protocolli di prevenzione rivolta ai profili di rischi/reato collegati alla gestione di tali processi.

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 7 Per quanto concerne i sistemi di controllo e di monitoraggio del funzionamento e dell aggiornamento del modello, devono essere previste sistematiche procedure di ricerca ed identificazione dei rischi quando sussistano circostanze particolari (es. emersione di precedenti violazioni, elevato turn-over del personale) ed inoltre controlli di routine e controlli a sorpresa comunque periodici nei confronti delle attività aziendali sensibili.

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 8 Deve essere previsto e disciplinato un obbligo per i dipendenti, i direttori, gli amministratori della società di riferire all organismo di vigilanza notizie rilevanti e relative alla vita dell ente, a violazioni del modello o alla consumazione di reati. Non basta una generica previsione secondo cui tutti coloro che vengano a conoscenza di eventuali comportamenti illeciti posti in essere all interno della società debbono riferirne all organismo di vigilanza. Occorre indicare e rendere note le modalità attraverso le quali coloro che vengano a conoscenza di comportamenti illeciti possano riferirne all organo di vigilanza.

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 9 I protocolli di prevenzione non devono essere generici ed astratti, anzi il contrario. Devono indicare quali siano concretamente le modalità, i meccanismi ed i tempi di svolgimento dei singoli processi aziendali, le funzioni coinvolte, i soggetti preposti alle verifiche. Devono specificare gli effettivi poteri di controllo esercitabili dall organismo di vigilanza.

Il Decalogo del Tribunale di Milano (segue) 10 Ai modelli, ed agli specifici protocolli, deve essere data attuazione anche mediante l adozione delle specifiche sanzioni in essi previste. Di tali sanzioni occorre tenere traccia in modo da dare evidenza interna ed esterna dell impegno profuso dall ente nell efficacemente adottare il modello stesso.

Trib. Milano (GIP) 17/11/2009 Principi per il proscioglimento Con questa pronuncia si è prosciolta una società dalle accuse di illecito 231, e si è affermato che Non avrebbe senso ritenere inefficace un modello organizzativo per il solo fatto che siano stati commessi degli illeciti da parte dei vertici della persona giuridica, in quanto ciò comporterebbe, ovviamente, la pratica inapplicabilità della norma contenuta nell'art. 6 legge 231/01. Occorre, in altre parole, stabilire se, prima della commissione del fatto, fosse stato adottato un corretto modello organizzativo e se tale modello, con valutazione ex ante, potesse considerarsi efficace per prevenire gli illeciti societari oggetto di prevenzione.

Trib. Milano (GIP) 17/11/2009 Principi per il proscioglimento (segue) A tale pronuncia di proscioglimento si è giunti in quanto, al momento del fatto-reato: 1) La società aveva avviato la procedura di implementazione del modello con delibera C.d.A.; 2) La società aveva adottato il proprio modello organizzativo e il codice etico interno sulla base delle linee guida di Confindustria (approvate dal Ministero della Giustizia nel dicembre 2003); 3) Con la approvazione del modello organizzativo si era costituito l'organismo di vigilanza (Compliance Officer: CO), di composizione monocratica, regolato secondo le linee guida di Confindustria. Tale posizione veniva ricoperta dal Preposto al controllo interno nonché responsabile dell'internal auditing (si trattava perciò di un soggetto di provata esperienza e professionalità nello svolgimento dell'incarico di vigilanza). 4) Tale figura veniva inoltre sganciata dalla sottoposizione alla Direzione Amministrazione, Finanza e Controllo e posta alle dirette dipendenze del Presidente. 5) Oltre alla introduzione di specifiche norme che stabilivano i flussi informativi verso il CO, il modello approvato stabiliva obblighi di verifica annuale per i principali atti societari e per la validità delle procedure di controllo 6) Il modello organizzativo prevedeva, ancora, una specifica normativa interna finalizzata alla prevenzione dei diversi reati societari denominata "Parte Speciale B", suddivisa a sua volta in vari capitoli corrispondenti al tipo di reati. 7) Il modello prevedeva, in particolare, la formalizzazione di: procedure interne che prevedevano la partecipazione di due o più soggetti al compimento delle attività a rischio, procedure di monitoraggio e controllo con la nomina di un responsabile dell'operazione; varie attività di formazione periodica sulla normativa; riunioni periodiche fra Collegio Sindacale e CO per la verifica dell'osservanza della normativa; procedure autorizzative per la specifica attività nel cui ambito si era commesso il reato.

Il modello adottato DOPO il reato: peculiarità. Trib. Milano (GIP) 20/09/2004 Non esclude la responsabilità dell ente, ma può costituire un attenuante alla sanzione pecuniaria «se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi» (art. 12); Può evitare, ferma l applicazione delle sanzioni pecuniarie, quella delle sanzioni interdittive quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, concorrono le seguenti condizioni: i) l ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze del reato, ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; ii) l ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l adozione e l attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (art. 17); Consente, nelle ipotesi sopra, la sospensione e revoca delle misure cautelari interdittive (art. 49).