DESTRUTTURAZIONE DEL SISTEMA SANITARIO PUBBLICO

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Transcript:

DESTRUTTURAZIONE DEL SISTEMA SANITARIO PUBBLICO DIRITTO ALLA SALUTE, UNA SFIDA DI CIVILTÀ I diktat della BCE, UE e FMI e dei governi portano alla destrutturazione del sistema sanitario pubblico. Necessario mettere in campo una alternativa di sistema, anzi, di civiltà. Un contributo all analisi sulla situazione della sanità nel nostro paese.

Premessa La crisi sistemica del capitale distrugge il sistema sociale, lo stato sociale e i diritti e le prestazioni che questo garantisce ai cittadini. L'attacco alla sanità è centrale in tutto questo e si sta sviluppando da anni ormai con una strategia di ampio respiro che si realizza progressivamente, analizziamone i vari aspetti. Definanziamento progressivo del SSN La sanità rappresenta un salvadanaio di 112 miliardi per il 2012, a cui attingere, proprio come il sistema pensionistico. La sottostima della spesa sanitaria è da sempre un elemento strutturale del bilancio dello Stato, questo ha creato una parte dei problemi relativi al disavanzo alimentando la crescita degli interessi bancari per le anticipazioni di cassa. Ora però i tagli hanno assunto un vero e proprio aspetto destrutturante e non sono compatibili con la sopravvivenza del sistema sanitario. Le previsioni di spesa sono volutamente allarmanti, si prevede che nel 2050 raggiungerà i 281 mld pari al 9,7% del PIL. La prima considerazione, ma se si procede a tagli devastanti come è possibile che la spesa aumenti a fronte di prestazioni in meno? La spesa in Italia è veramente fuori controllo rispetto a quella europea? Alcuni dati possono illuminare. La spesa sanitaria pro-capite in Italia è del 20% inferiore a quella di Germania, Francia e Inghilterra (rapporto Meridiano Sanità 2012); tra i vecchi paesi europei solo Spagna, Portogallo e Grecia (tutti PIIGS) spendono meno (dati ISTAT). La spesa sanitaria pro-capite nel nostro paese ammonta a 1842 euro per abitante. Che siamo di fronte a politiche di sistema ce lo rivela il raffronto con l'europa: la spesa sanitaria in Europa nel 2010 ha avuto segno negativo pari a -0,6% (dati OCSE sui 27 paesi UE) quando in media nel decennio 2000-2009 il trend è stato di un +4,6%. È dal 1975 che non si aveva un dato negativo di crescita della spesa. A trainare il ribasso troviamo Irlanda (da + 6,5% a - 7,9% ) e Grecia (da + 5,7% a - 6,7%). In Italia il trend di crescita della spesa è stato positivo ma il tasso di crescita della spesa pubblica nel decennio 2000-2009 era stato il più basso di tutta l'europa. Come è facile vedere il problema dei tagli dello stato sociale, e al suo interno della sanità, riguarda fondamentalmente i paesi PIIGS, una scelta strategica di ridefinizione dello standard di vita in previsione di un nuovo modello sociale europeo. La compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini La spesa sanitaria delle famiglie nel 2010 è stata del 19,5% del totale della spesa sanitaria, con un calo di 5 punti sul 2000, vale a dire i bisogni sanitari si contraggono. Il tutto determina una spesa

sanitaria complessiva pari al 9% del Pil scomposta in 7,2% risorse pubbliche (gettito fiscale), 1,8% risorse famiglie che quindi pagano due volte il servizio sanitario. Nel 2011 tra ticket e addizionali IRPEF le famiglie hanno speso 4,6 mld di euro, a questo va aggiunto l'esborso diretto per prestazioni non erogate dal SSN per abbreviare i tempi di attesa che ha generato un vero proprio capitolo di spesa: "out of pocket " vale a dire 28 mld nel 2011 con una percentuale stimata tra l'82 e l'87 % della spesa privata, una tra le più elevate al mondo. Oltre a determinare una reale privatizzazione delle prestazioni sanitarie alimenta le possibilità di evasione fiscale per la ovvia e naturale tendenze del cittadino al contenimento della spesa. La ricevuta fiscale diventa un aggravio dei costi sanitari che non possono essere scaricati da tutti e quindi ci si rinuncia. Ma fare sanità conviene? Il valore aggiunto, diretto o indotto, dalla filiera della salute supera i 150 mld di euro, equivalenti al 12 % del PIL nazionale. Vale a dire che per ogni euro speso nella sanità se ne genera 1,7. Perché allora la sanità non diventa un elemento di crescita e ripresa con investimenti che sono già in corso e devono solo essere razionalizzati? Oltre al risparmio c'è un messaggio sociale chiaro, la rinuncia al diritto alla salute in un nuovo modello sociale liberista. È casuale che una fetta consistente di corruzione si annidi proprio nella sanità, con una stima approssimativa di 10 mld annui e che tale cifra, oltre al mancato controllo dei costi, si realizza nei servizi alle aziende e non in quelli alla persona? Ad una riduzione progressiva e consistente delle prestazioni, che sono servizi alla persona, si realizza un aumento della spesa complessiva. I servizi alle aziende, appalti, consulenze convenzioni, rimangono pressoché invariati e determinano una parte consistente della spesa sanitaria oltre ad incrementare la corruzione. Ma non vengono toccati se non quando esplodono le inchieste giudiziarie. Riduzione delle possibilità di accesso alle prestazioni come strumento della compressione della domanda sanitaria dei cittadini È un processo subdolo che viene messo in atto attraverso varie misure. Già da ora viene calcolato che 9 mln di cittadini non hanno libero accesso alle cure (CENSIS) siamo già al modello americano? Le liste di attesa infinite e i ticket sono una prima barriera che selezionano tra coloro che attendono o rinunciano e coloro che hanno la possibilità economica di diversificare verso il privato, ma non è solo questo. I piani di rientro del deficit sanitario che in realtà lo utilizzano per destrutturare il sistema, una sorta di micro debito sovrano locale, sono un elemento di riduzione delle prestazioni e non solo. In

realtà modificano la governance istituzionale creando una nuova relazione tra i vari livelli dell'amministrazione pubblica. Il MEF diventa il gestore del SSN relegando il Ministero della Salute ad un ruolo comprimario e ininfluente. Si accentra la direzione politica a livello ministeriale e governativo e si decentra a livello regionale la gestione delle decisioni di politica economica e sociale. Le regioni che facevano della sanità il fulcro della propria amministrazione, se non altro perché la spesa sanitaria supera mediamente il 75% del bilancio regionale, sono espropriate di ogni possibile autonomia programmatoria. A loro volta le regioni accentrano la gestione delle scelte governative a danno dell'autonomia della aziende sanitarie diventate esecutori materiali delle scelte governative mediate dalle regioni nel nuovo ruolo di esecutori fallimentari del sistema sanitario. Una processo che elimina ogni possibilità di relazione politica nascondendo le responsabilità delle scelte agli occhi dei cittadini. Una riflessione elementare, ma se le aziende sanitarie sono in crisi, a fronte di una domanda di salute praticamente illimitata, devono aumentare l'offerta di prestazioni o ridurla. È paradossale che a fronte di una domanda crescente si risponda con la riduzione di produzione e produttività da parte delle aziende sanitarie. Non serve essere bocconiano per comprendere che la contrazione delle prestazioni danneggia e porta la default le aziende sanitarie mettendole fuori mercato. Il mito del taglio dei posti letto nasconde il taglio dell'assistenza sanitaria Le cifre parlano chiaro, senza considerare le difficoltà attuali di trovare un posto letto libero con blocco delle ambulanze nei pronto soccorso e crisi strutturale a fronte di una banale epidemia di influenza stagionale. Un posto letto è indispensabile quando è sempre occupato o quando è disponibile per un cittadino che ne ha bisogno? E un problema di civiltà. Dal 2000 al 2009 sono stati tagliati 45.000 posti letto con un rapporto posto letto per abitante che viaggia costantemente al di sotto della media UE. Solo nel 2009 sono stati tagliati 20.000 posti letto, nei prossimi due anni dovranno essere tagliati altri 7.000 posti letto secondo il governo, in realtà saranno 14.043 perché 6.635 per acuti dovranno essere riconvertiti in post acuti. Con il taglio del 2000 eravamo ad una media di 4,7 posti

letto per mille abitanti a fronte di una media UE di 6,39, nel 2009 siamo scesi a 3,6 posti letto per mille abitanti a fronte di una media UE che seppure ha ridotto il numero, è scesa a 5,5 per mille a fronte di una Germania che conserva l'8,22 per mille senza fallire. L'ulteriore taglio ci porterà al 3,5 per mille subito dopo Cipro. Ma che cosa chiudono? Ormai siamo alla chiusura di intere unità operative ed interi ospedali desertificando intere province che rimangono praticamente senza strutture sanitarie. L'abbattimento progressivo della qualità delle prestazioni Si ha l'obiettivo di minare la fiducia dei cittadini nel sistema e si realizza attraverso molteplici aspetti. Il degrado ambientale delle strutture sanitarie, le code e le liste di attesa, la scarsa qualità dei presidi sanitari sempre più economici, la rarefazione dei reattivi, la sostituzione dei farmaci di marca con equivalenti di discussa efficacia e generatori di insicurezza negli utenti. Non ultimo la carenza strutturale di operatori sanitari ridotti a vivere una condizione perennemente emergenziale con riduzione della qualità prestazionale. Una condizione complessiva che spinge all'abbandono delle strutture sanitarie. Privatizzare basta o no? Finora abbiamo conosciuto svariate forme di privatizzazione, ma non sono le forme che il Governo ricerca quando parla di forme di finanziamento alternativo. Abbiamo sempre vissuto la privatizzazione come dirottamento delle prestazioni sanitarie dal pubblico al privato con la crescita di un privato strutturato anche in network sanitari nazionali. Oggi non basta e la nuova modalità porta la taglio strutturale di pubblico e privato con l'obiettivo della distruzione dell'attuale sistema sanitario. Cos'è che non va nell'attuale forma della privatizzazione? Quello che non basta è che ciò che viene privatizzata è la produzione della prestazione sanitaria che ha sempre bisogno dell'intermediazione finanziaria dello Stato che remunera i privati. Ai fini della spesa sociale è indifferente che la prestazione la faccia il pubblico o il privato, il costo rimane sempre a carico dello Stato. Quello che si vuole privatizzare è proprio l'intermediazione finanziaria, vale a dire la remunerazione della prestazione non deve più essere a carico dello Stato ma di un soggetto terzo con il quale il singolo cittadino contratta i livelli di assistenza. Questo soggetto terzo possono essere le vecchie mutue rinnovate, le assicurazioni, il welfare contrattuale e aziendale con le polizze sanitarie e via discorrendo. Questo consentirebbe allo stato di risparmiare il finanziamento del SSN per poter poi anche ridurre l IRAP, che finanzia la sanità, alle imprese. Marzo 2013