CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 30 ottobre 2015, n

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CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 30 ottobre 2015, n. 22253 Svolgimento del processo Con avviso notificato in data 13.11.2006 a C.K. s.r.l. l Ufficio di Arezzo della Agenzia delle Dogane contestava con atto "fatto proprio dalla Agenzia delle Entrate" la indebita applicazione del regime del plafond mobile e la omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA per l anno 1999, oltre ad altre violazioni formali, recuperando la relativa imposta, e con atto di contestazione, notificato in pari data, irrogava la sanzione pecuniaria per omessa o tardiva fatturazione concernente il successivo anno d imposta 2000. La società contribuente in data 11.1.2007 presentava istanza per l annullamento degli avvisi in autotutela, che veniva rigettata dall'ufficio. La società proponeva ricorso avverso il provvedimento di diniego e la CTP di Arezzo, rigettata la istanza di sospensione, alla udienza di trattazione dichiarava inammissibile il ricorso. La Commissione tributaria della regione Toscana con sentenza 25.3.2010 n. 58 rilevava la nullità della decisione di prime cure essendo stato omesso l avviso di udienza alle parti che ne avevano fatto richiesta. Nel merito dichiarava inammissibile il ricorso introduttivo non essendo impugnabile il provvedimento di diniego della istanza in autotutela, e liquidava le spese a carico del soccombente "pur tenendo conto della sussistenza delle violazioni lamentate dalla parte". La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione dalla società, che ha dedotto vizi di nullità processuale e vizi relativi ad "error juris", con atti notificati in data 29.10.2010 all'ufficio locale della Agenzia delle Entrate ed all ufficio di Arezzo della Agenzia delle Dogane. Ha resistito soltanto l Agenzia delle Entrate con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo con il quale viene dedotto vizio di "error in procedendo". La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa. Motivi della decisione Dal ricorso principale è dato evincere che distinti avvisi sono stati notificati in data 15.11.2006 alla società contribuente, per gli anni 1999 e 2000, dalla Agenzia delle Dogane e dalla Agenzia delle Entrate (quest ultima ha emesso avviso avente ad oggetto la rettifica della dichiarazione IVA relativa all anno 2000). In relazione agli avvisi doganali, dalla imprecisa descrizione dei fatti contenuta in sentenza e negli atti difensivi, risulterebbe definito con condono, quello relativo all anno 1999, mentre sarebbe tuttora pendente avanti a questa Corte il giudizio relativo alla opposizione proposta dalla società avverso l avviso doganale relativo all anno 2000. Quanto all avviso di rettifica emesso, ai fini IVA, dall Ufficio di Arezzo della Agenzia delle Entrate, risulta proposto ricorso alla CTP da parte della società. Nelle more dei giudizi avverso gli atti impositivi la società ha presentato alle due Agenzie fiscali "istanza di ritiro" degli atti impositivi in autotutela. L Agenzia delle Entrate ha opposto diniego espresso, rilevando che la contribuente non aveva addotto

motivi nuovi rispetto a quelli già contestati dall'ufficio nella memoria di costituzione in giudizio. L Agenzia delle Dogane ha opposto silenzio-rifiuto. Avverso i "provvedimenti di diniego" esplicito ed il silenzio rifiuto, la società ha presentato quindi ricorso alla CTP che veniva dichiarato inammissibile (sentenza n. 153/2008), non essendo tali atti ricompresi nell elenco tassativo di cui all art. 19 Dlgs n. 546/1992. La pronuncia era confermata in grado di appello dalla CTR della Toscana, con la sentenza n. 58/2010 -impugnata per cassazione- che riteneva preclusa al giudice tributario qualsiasi ingerenza nelle scelte discrezionali della Amministrazione finanziaria. Inoltre, da quanto emerge dal controricorso, risulta che in relazione ai giudizi pendenti avanti la CTP di Arezzo iscritti al RG nn. 27 e 28/2007 della Segreteria di quella Commissione -nei quali parte in causa figura soltanto l Agenzia delle Entrate- che hanno ad oggetto, rispettivamente, la opposizione avverso l avviso di accertamento "R5A010801267 IVA anno 1999" e la opposizione all atto di contestazione ed irrogativo di sanzione "R5AC00800271 IVA anno 2000", la società contribuente aveva presentato "istanza per ritiro in autotutela", respinta dall'ufficio in difetto di argomenti nuovi, e la impugnazione del provvedimento di diniego era stata dichiarata inammissibile dalla CTP (sentenza n. 153/2008), unitamente alla impugnazione del "silenzio-rifiuto" della Agenzia delle Dogane, pronuncia come si è detto confermata dalla CTR con la sentenza n. 58/2010 attualmente impugnata per cassazione. Dalla "intestazione" della sentenza della CTR n. 58/2010, impugnata per cassazione, risulta -in modo invero confuso ed incerto- che avverso la sentenza della CTP n. 153/2008 (con la quale era stata respinta la istanza di sospensiva ed era stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso i provvedimenti di diniego di autotutela) la società di capitali ed anche la impresa familiare costituita da (...) e (...) avevano proposto ricorso in appello (tuttavia nella intestazione della sentenza svengono erroneamente indicati come atti impugnati gli "avvisi di accertamento", oggetto di altri giudizi, anziché il provvedimento di rigetto esplicito della istanza di ritiro in autotutela, e quello tacito determinato dal silenzio-rifiuto) nei confronti dell'ufficio di Arezzo della Agenzia delle Dogane, e dell Ufficio di Arezzo della Agenzia delle Entrate. Nel giudizio di appello si era costituita solo l appellata Agenzia delle Entrate. La carente e lacunosa esposizione delle vicende in fatto non impedisce a questa Corte di concludere per la inammissibilità del ricorso principale, al quale risultano allegate le sentenze di merito emesse dalla CTP di Arezzo n. 15 e n. 16 entrambe in data 11.1.2010, con le quali vengono accolti i ricorsi introduttivi proposti dalla società avverso l atto impositivo e l atto irrogativo di sanzioni emessi dall Ufficio finanziario della Agenzia delle Entrate. Premesso che va dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla "impresa familiare" dei coniugi (...) e (...) che non risulta essere stata parte nei precedenti gradi di giudizio (difettando, peraltro, alcuna indicazione in ordine ad eventuali fenomeni estintivi o successori relativi alla società di capitale), osserva preliminarmente il Collegio che oggetto della controversia, come è dato evincere dalla decisione impugnata, deve ritenersi esclusivamente la opposizione avverso i provvedimenti di diniego, esplicito e tacito, di esercizio di autotutela da parte dell Agenzia delle Entrate e dell Agenzia delle Dogane e non anche gli atti impositivi, per i quali pendono distinti giudizi (definiti -quanto all IVA- in primo grado con sentenze della CTP di Arezzo

pubblicate in data 11.1.2010 nn. 15 e 16, prodotte con il ricorso per cassazione dalla società). Tanto premesso, il motivo di ricorso principale, con il quale viene dedotta la violazione dell art. 19 Dlgs n. 546/1992 in ordine alla pronuncia di inammissibilità del ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego dell Agenzia delle Entrate (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) ed il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in ordine al ricorso proposto avverso il silenzio-rifiuto opposto dalla Agenzia delle Dogane (art. 360 co 1 n. 4 c.p.c.), non può accedere al sindacato di legittimità per difetto del requisito di autosufficienza. Questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 15220 del 12/09/2012) ha chiarito che "eventuali istanze stragiudiziali rivolte alla Amministrazione al fine di sollecitare una rimeditazione delle proprie determinazioni, introducono un autonomo procedimento amministrativo e si situano nel diverso ambito dell'esercizio dei poteri officiosi riservati alla Pubblica amministrazione fin materia fiscale originariamente disciplinati dal D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, art. 68 - abrogato dal D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107, art. 23 -, quindi dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2-quater conv. in L. 30 novembre 1994, n. 656 come modificato dalla L. 18 febbraio 1999, n. 28, art. 27, e dal D.M. 11 febbraio 1997, n. 37), in ordine alla sindacabilità dei quali - pur dovendosi registrare la esistenza di contrasti giurisprudenziali in merito alla stessa impugnabilità, in considerazione della mancanza di una previsione espressa degli atti di autotutela nell'elenco tassativo di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. a) - i): cfr. Corte cass. 5 sez. 1.12.2004 n. 2264; id. SU 16.2.2009 n. 3698- l'indirizzo che emerge dagli arresti giurisprudenziali più recenti, pur affermando la riconducibilità di tali atti (nonché dell'eventuale silenziorifiuto formatosi su istanza volta a sollecitare l'adozione di tali atti) nell'ambito della materia riservata alle Commissioni tributarie (cfr. Corte cass. SU 10.8.2005 n. 16776; id. SU 27.3.2007 n. 7388) ha tuttavia chiaramente precisato che l'istanza del contribuente di adozione, da parte dell'amministrazione finanziaria, di un provvedimento di autotutela sulla base di eventi sopravvenuti all'atto impositivo, è cosa diversa dalla domanda di annullamento dell'atto stesso per suoi vizi originali, con la conseguenza che il ricorso proposto al giudice tributario avverso il diniego parziale o totale di autotutela non può mai risolversi in una inammissibile impugnazione di atti impositivi in ordine ai quali siano già decorsi i termini per esperire la tutela giurisdizionale (cfr. Corte cass. 5 sez. 20.2.2006 n. 3608; id. 5 sez. 12.5.2010 n. 11457)...". Non può dunque escludersi che -trattandosi di attività procedimentalizzata- anche il provvedimento emesso in autotutela possa essere affetto dai vizi di legittimità propri degli atti amministrativi, non essendovi ragioni per precludere al privato la possibilità di esperire i mezzi di tutela per far valere tali vizi di legittimità, ma, da un lato, il vizio di violazione di legge e quello di eccesso di potere non possono evidentemente sovrapporsi agli stessi vizi di validità o di merito fatti valere con i motivi del ricorso introduttivo proposto avverso l atto impositivo (ove tempestivamente impugnato), venendosi altrimenti a determinare una inammissibile duplicazione di tutele, in palese contrasto con i principi di efficienza dell amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.), di speditezza e ragionevole durata dei processi (art. 111 co 2 Cost.) e di economia dei giudizi (la proliferazione di pronunce sul medesimo oggetto non risponde al principio del "giusto processo": art. 111 co 1 Cost.); dall altro la impugnazione del diniego di autotutela -espresso o tacito- non si sottrae alla condizione necessaria dell interesse ad agire, che non può che essere riferito all interesse sostanziale che il privato intende "indirettamente" (atteso che la potestà di autotutela è attribuita dalla legge

nell esclusivo interesse della Amministrazione) soddisfare attraverso il provvedimento che chiede di adottare alla PA nell esercizio dei poteri di autotutela. Ne segue che contro il diniego dell Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr. Corte cass. Sez- 5, Sentenza n. 11457 del 12/05/2010; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 15194 del 03/07/2014; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 25524 del 02/12/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 25563 del 03/12/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 3442 del 20/02/2015), diversamente attraverso la impugnazione del diniego di esercizio di autotutela si consentirebbe l aggiramento del termine di decadenza previsto, a garanzia del principio di certezza del diritto e di tendenziale stabilità dei rapporti giuridici, per la impugnazione degli atti impositivi che rimarrebbero quindi esposti a riesame a tempo indeterminato tutte le volte che il contribuente, pur divenuto definitivo l avviso di accertamento o rettifica, presenti istanza di revisione in autotutela e ritenga di impugnare il provvedimento espresso o tacito non satisfattivo del proprio interesse rivolto alla rimozione dell atto impositivo definitivo. Tanto premesso, il motivo del ricorso principale, sia con riferimento alla impugnazione del silenzio-rifiuto della Agenzia delle Dogane, che con riferimento al diniego espresso della Agenzia delle Entrate, omette di specificare le specifiche ragioni di interesse pubblico che erano state allegate dalla società nelle istanze volte all esercizio dei poteri di autotutela, avendo altresì omesso parte ricorrente, quanto al provvedimento di diniego, di specificare quali vizi inficerebbero il rifiuto della Agenzia delle Entrate. Pertanto, rimane preclusa a questa Corte la verifica del vizio di legittimità denunciato, in cui sarebbe incorsa la CTR, mancando qualsiasi riscontro, che era onere della ricorrente fornire, delle diverse ragioni di pubblico interesse prospettate nelle istanze di autotutela -che imponevano alla PA una autonoma pronuncia- rispetto ai motivi che la stessa società aveva proposto nei ricorsi introduttivi avverso gli atti impositivi ed irrogativi di sanzioni, tenuto conto in proposito che, nel controricorso, l Agenzia delle Entrate riferisce che nella "istanza di ritiro" non venivano rappresentati fatti nuovi sopravvenuti alla introduzione dei giudizi, né nuove ragioni che rendessero necessario l intervento di ufficio della Amministrazione finanziaria, in quanto non già esaminate nella motivazione dell atto impositivo e contestate nelle memorie di costituzione in giudizio dell Ufficio finanziario. Analoga inammissibilità, per difetto di autosufficienza del motivo di ricorso, va dichiarata anche in relazione al "silenzio-rifiuto" della Agenzia delle Dogane, per le medesime considerazione sopra svolte, apparendo inoltre del tutto infondato il dedotto vizio di nullità processuale ex art. 360 co 1 n. 4 c.p.c. della sentenza di appello, per vizio di "omessa pronuncia" sulla opposizione avverso il silenzio-rifiuto, tenuto conto che i Giudici tributari hanno chiaramente pronunciato su tutta la domanda, dichiarando inammissibile il "ricorso introduttivo" che concerneva tanto la impugnazione del provvedimento di diniego espresso della Agenzia delle Entrate, quanto la impugnazione del silenzio-rifiuto della Agenzia delle Dogane. In conclusione il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile, essendo esonerato il Collegio dall esame del ricorso incidentale condizionato che deve essere dichiarato a sua volta inammissibile per difetto della condizione di soccombenza legittimante la impugnazione.

Le spese del giudizio di legittimità sono a carico della società contribuente e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla impresa familiare (...) e (...); - dichiara inammissibile il ricorso principale proposto dalla società ed il ricorso incidentale condizionato proposto dalla Agenzia delle Entrate; - condanna la società contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in 13.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.