School of Advanced Studies ECOLOGY AND MANAGEMENT OF GRASSLAND IN UMBRIA- MARCHES APENNINE (CENTRAL ITALY)



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University of Camerino Department of Environmental Science Section of Botany and Ecology UNIVERSITY OF CAMERINO School of Advanced Studies PhD course Science and thecnology for environmental, nature and human health (XX series) ECOLOGY AND MANAGEMENT OF GRASSLAND IN UMBRIA- MARCHES APENNINE (CENTRAL ITALY) TUTOR and supervisor: Prof. Andrea CATORCI Candidate: Renata GATTI Anno 2009

INDICE IL CONTESTO SCIENTIFICO DEL PROGETTO DI RICERCA..4 SCOPO DELLA RICERCA E PIANO DI LAVORO..10 AREA DI STUDIO 14 MATERIALI E METODI..27 ANALISI DELLA VEGETAZIONE DI PRATERIA DEL PIANO MESOTEMPERATO SUPERIORE E SUPRATEMPERATO INFERIORE 40 1. Caratterizzazione fitosociologica..40 2. Sinecologia..40 2.1 Valori di Bioindicazione..40 2.2 Rapporti suolo-vegetazione.40 3. Struttura ecologica.65 3.1 Architettura..65 3.2 Fenologia...65 4. Caratterizzazione agro-zootecnica.65 4.1 Valore pastorale 65 4.2 Produttività...65 4.3 Carrying Capacity 65 4.4 Definizione di un modello sperimentale di analisi dei sistemi pastorali ai fini della conservazione della biodiversità e delle aziende agro-zootecniche di montagna 65 ANALISI DELLA VEGETAZIONE DI PRATERIA DEL PIANO SUPRATEMPERATO SUPERIORE ED OROTEMPERATO..66 1. Caratterizzazione fitosociologica 66 2. Sinecologia 66 2.1 Valori di Bioindicazione..66 2.2 Rapporti suolo-vegetazione.66 2

ANALISI DELLA VEGETAZIONE DI PRATERIA DEL PIANO OROTEMPERATO E CRIOTEMPERATO...67 1. Caratterizzazione fitosociologica 67 CONCLUSIONI E SVILUPPO FUTURO DELLE RICERCHE 79 ATTIVITA COLLATERALI AL DOTTORATO..80 3

IL CONTESTO SCIENTIFICO DEL PROGETTO DI RICERCA Nelle regioni macroclimatiche temperata e mediterranea le comunità vegetali (fitocenosi o semplicemente cenosi) che costituiscono gli ecosistemi di prateria hanno origine diversa. In generale, le fitocenosi di alta quota sono di origine primaria, e quindi la loro presenza è collegata solo a fattori bioclimatici; quelle di quote più basse sono invece di origine secondaria, e rappresentano il risultato dell azione dell uomo che, fin dal Neolitico, ha distrutto le foreste favorendo la costituzione di comunità vegetali prevalentemente erbacee allo scopo di aumentare l estensione delle aree aperte adatte al pascolo del bestiame domestico. Le praterie primarie, essendo formazioni stabili non necessitano perciò di alcun tipo di gestione, fatta salva la necessità di non sovraccaricarle con un numero troppo elevato di animali onde evitare il degrado del suolo e della cotica erbosa. Quelle secondarie invece, hanno raggiunto un equilibrio ecologico-funzionale strettamente correlato con la presenza del bestiame domestico, pertanto esse necessitano di piani organici di gestione finalizzati alla conservazione della biodiversità che le caratterizza. Le praterie, come la maggioranza dei sistemi terrestri, sono ecosistemi complessi, e tale complessità deriva sia dall elevato numero di elementi abiotici e biotici che li formano sia dalle interazioni tra gli elementi stessi, la cui natura ed intensità possono variare nel tempo e nello spazio (Tainton et al., 1996). Gli erbivori, consumatori primari, sottraggono fitomassa al sistema; così facendo essi interagiscono con i produttori primari (le piante) a più livelli: influenzano lo sviluppo dei singoli individui modificandone la fitness (successo riproduttivo); incidono sul contingente di specie che possono vivere nella comunità; interferiscono con la dinamica delle singole popolazioni (tasso di crescita e mortalità); modificano la struttura verticale e orizzontale della comunità. Tuttavia non sempre gli erbivori sono il fattore che pesa di più sulla componente vegetale del sistema. Nelle zone a clima arido o subarido e negli ambienti xerici i fattori più rilevanti sono quelli abiotici, in particolare precipitazioni scarse, temperature estreme e mancanza di suolo maturo. Proprio il ruolo svolto sulle comunità vegetali dagli erbivori, da un lato, e dai fattori abiotici, dall altro, ha portato a due ipotesi sulla complessità e la stabilità degli ecosistemi di prateria (Tainton et al., 1996). L una riprende la teoria dell equilibrio e sostiene che le praterie persistono in uno stato stazionario determinato prevalentemente dagli erbivori (in realtà il sistema fluttua leggermente intorno allo stato stazionario, che funziona da dominio di attrazione); sottoposto o sottratto a una perturbazione, il sistema o torna nello stato di equilibrio precedente oppure ne raggiunge uno nuovo (nuovo dominio di attrazione); per una prateria possono dunque esistere più stati di equilibrio. L altra ipotesi, invece, sostiene che le praterie seguono dinamiche di non- 4

equilibrio e che non raggiungono mai uno stato stazionario. Secondo tale teoria i fattori abiotici, specialmente le precipitazioni (regime, frequenza, durata e intensità degli eventi piovosi), hanno un ruolo preponderante sui cambiamenti a cui va incontro la vegetazione sia a livello di struttura sia a livello di funzioni; in questo caso il ruolo degli erbivori sarebbe solo secondario. Ambedue le teorie sono supportate da evidenze sperimentali e da osservazioni in natura, e probabilmente sono entrambe valide ma in situazioni ambientali diverse. La teoria dell equilibrio sembra applicabile con buon grado di sicurezza alle comunità vegetali tipiche delle regioni con precipitazioni a regime regolare e prevedibile, formate in prevalenza da specie perenni. La teoria del non-equilibrio sembra appropriata alle comunità delle regioni aride e semiaride, dove il regime delle precipitazioni è estremamente variabile da un anno all altro, le temperature estreme sono un fattore fortemente limitante per le specie e le comunità vegetali sono formate per lo più da specie annuali (Tainton et al., 1996). Nel caso delle praterie montane e subalpine dell Europa centrale e centro-meridionale la teoria dell equilibrio sembra essere largamente applicabile. Secondo tale teoria, ogni stato di equilibrio è correlabile alla capacità portante della comunità vegetale nei confronti degli erbivori e all intensità dell erbivoria stessa. La capacità portante di un ecosistema corrisponde alla densità di popolazione di una data specie che l ambiente è in grado di mantenere in uno stato stazionario (Whittaker, 1975). Se per un certo tempo la densità di erbivori eccede la capacità portante avvengono cambiamenti o nella comunità vegetale (a livello di struttura, composizione floristica e funzioni) o, nella comunità degli erbivori (in generale diminuzione del tasso di crescita della popolazione) o più spesso in entrambe; il sistema può allora passare a un altro stato di equilibrio caratterizzato da una semplificazione della struttura della fitocenosi e delle interazioni tra le sue componenti e da una diminuzione della diversità di specie. Questa è la tipica condizione del sovrapascolo o sovraccarico, cioè carico di bestiame superiore alla capacità portante della vegetazione. In condizioni estreme, se la densità di erbivori aumenta ancora rispetto alla capacità portante della comunità vegetale, il sistema passa a uno stato di non equilibrio che porta alla quasi totale scomparsa della cotica erbosa, fenomeno sempre legato a forme severe di erosione del suolo. Questa condizione prelude alla desertificazione. Anche quando la densità di erbivori è inferiore alla capacità portante (sottopascolo o sottocarico) la fitocenosi va incontro a cambiamenti nella struttura e nella composizione; tali cambiamenti in molti casi determinano la completa sostituzione dell originaria comunità vegetale con un altra comunità, che raggiungerà un proprio stato di equilibrio. Grazie a ricerche sperimentali e di campo è ormai accertato che la cessazione dell utilizzo zootecnico del pascolo, porta alla sostituzione delle 5

comunità erbacee in equilibrio con la passata densità degli erbivori, con comunità arbustive o arboree nell ambito di serie dinamiche di vegetazione (Biondi, 2001). Poiché, l utilità dei pascoli si è accresciuta nel tempo, oggi le loro funzioni non possono più essere limitate all allevamento ma devono tenere in considerazione aspetti di protezione ambientale, di usi alternativi che includono le attività ricreativo-culturali, del supporto alla diversificazione economica complessiva e sopratutto di conservazione della biodiversità. Nelle praterie secondarie, affinché ciò avvenga, occorre innanzitutto che si mantenga un elevato grado di diversità specifica e poiché in un dato sito in condizioni di carico differenti si possono avere specie che dominano la comunità prativa monopolizzando gran parte delle risorse disponibili, oppure coesistenza tra esse, viene da chiedersi quali siano i fattori che promuovono la coesistenza tra specie, ossia la ricchezza di specie. Grime (2001), ipotizza che la coesistenza sia resa possibile da fattori che limitano l espressione delle dominanti e permettono alle subordinate di crescere e riprodursi. Tali fattori operano attraverso stress o disturbi. Lo stress limita il tasso di produzione di materia secca; il disturbo limita la fitomassa attraverso la sua totale o parziale distruzione. Vari studi sulla ricchezza di specie delle fitocenosi di prateria hanno dimostrato che fattori di disturbo e/o stress quali il brucamento, il calpestio e lo sfalcio permettono di mantenere un elevata ricchezza di specie in alcuni habitat, e quindi promuovono la coesistenza. D altra parte, in vari casi lo stress e/o il disturbo possono essere talmente severi da rendere l habitat inadatto non solo per le specie dominanti ma anche per le subordinate e le transitorie, provocando così una riduzione della ricchezza floristica totale a favore di poche specie estremamente resistenti. Ne discende che gli effetti degli stress e dei disturbi sulla ricchezza di specie variano in funzione dell intensità degli stessi. L ipotesi attualmente più accreditata è quella del disturbo intermedio, proposta per la prima volta da Grime (1973), ripresa e affinata da Connell (1978) e successivamente corroborata dai risultati di studi sperimentali e di campo sugli ecosistemi di prateria. Dall ipotesi del disturbo intermedio, Grime (1979, 2001) ha tratto il cosiddetto humpback model (letteralmente modello a megattera ), rappresentato nella Figure 1 e 2. 6

Figura 1. Modello che rappresenta l effetto dell aumento di stress o disturbo e dell aumento della quantità di biomassa in piedi e lettiera sulla ricchezza floristica potenziale di una comunità erbacea. L area nera corrisponde alle specie molto ben adattate alla forma prevalente di stress/disturbo, l area bianca alle specie dominanti, l area tratteggiata alle specie che non sono nè stress-tolleranti nè dominanti. (Da Grime, 1973). Figura 2 Modello che rappresenta l effetto di 5 processi ecologici sulla ricchezza floristica potenziale di una comunità erbacea: 1, dominanza; 2, stress; 3, disturbo; 4, differenziazione della nicchia; 5, ingresso di specie o di genotipi adattatati all ambiente. A: vegetazione povera di specie e quindi con scarsa biomassa, tipica di ambienti soggetti a forti stress o disturbi. B e C: tipi di vegetazione con livelli di stress/disturbo intermedi e quantità di biomassa intermedia. D: vegetazione con pochissime specie fortemente dominanti e con quantità di biomassa elevata. (Da Grime, 1979). Dato un certo contesto pedologico e climatico in cui si sviluppa una determinata comunità vegetale, uno stress (o un disturbo) di moderata intensità aumenta la ricchezza di specie riducendo il vigore vegetativo delle specie dominanti. Al contrario, in condizioni di stress/disturbo basso la comunità tende a essere formata solo da poche specie, le dominanti. Anche in condizioni di stress/disturbo intenso la ricchezza di specie diminuisce, in tal caso perché poche specie sono in grado di sopravvivere (in quanto estremamente adattate a tollerare lo stress/disturbo). Nelle praterie montane e subalpine dell area mediterranea questo processo è sempre correlabile con l erosione dei suoli e quindi con un forte cambiamento del contesto ambientale. Oltre allo stress/disturbo, Grime (1973) evidenzia un altro fattore cruciale all origine della ricchezza di specie: la quantità di biomassa in piedi e la quantità di lettiera. Il ragionamento è analogo al precedente: la massima ricchezza si ha in corrispondenza di quantità intermedie di biomassa e lettiera. Il suddetto modello può essere una valida base teorica per pianificare e attuare la gestione degli ecosistemi di prateria a fini conservazionistici (mantenimento dei processi ecosistemici, della struttura e della ricchezza floristica delle comunità) e produttivi (produzioni animali ecosostenibili), poiché gli erbivori pascolanti sono sia un fattore di stress o di disturbo, sia un elemento che altera la quantità di biomassa vivente della comunità. Tuttavia il modello deve sempre essere validato nelle condizioni ecologiche contingenti, analizzando le fitocenosi a livello di struttura e 7

composizione floristica (se possibile, anche di funzioni ecosistemiche). Solo così si possono quantificare sia la capacità portante dell ecosistema sia l intensità del pascolo che consente alla comunità vegetale di presentare la massima ricchezza floristica. Infatti, il pascolamento incide sulla composizione floristica della comunità, non solo attraverso l azione meccanica del calpestio, ma anche per effetto della selezione attuata dagli animali nei confronti delle specie vegetali. Le specie meno appetite sono indirettamente avvantaggiate rispetto a quelle più appetite poiché le prime sono soggette ad un disturbo molto ridotto o pressoché nullo. Affinché in Appennino non accada, ciò che si è verificato in passato in vaste aree del mondo a causa dell utilizzo errato ed irrazionale degli ecosistemi di prateria (riduzione della fertilità del suolo, accentuazione dell erosione idrica ed eolica, riduzione della biodiversità e della variabilità ambientale, ecc.), occorre realizzare una gestione attenta ed oculata di tali habitat. Tale obiettivo può essere raggiunto solo attraverso l integrazione delle gestioni di tipo moderno con quelle tradizionali. I mezzi per realizzare processi di questo tipo sono innanzitutto la conoscenza del territorio d azione in tutte le sue componenti: abiotiche (clima, geomorfologia, pedologia, grado di antropizzazione, ecc.); biotiche (vegetazione, flora e fauna) e soprattutto le relazioni che intercorrono sia tra loro che con l uomo (Pardini, 2005). 8

Bibliografia Biondi E., 2001 - Paesaggio vegetale e potenzialità pastorali. In: Atti del 36 simposio internazionaqle di zootzcnia Prodotti di origine animale: qualità e valorizzazione del territorio. Portonovo (Ancona) 27 aprile 2001, 1: 5-22, Greppi & En. eds. Connell, J. H., 1978 - Diversity in tropical rain forest and coral reefs. Science, 199: 1302-1309. Duru M., Tallowin J., Cruz P., 2005 - Functional diversity in low-input grassland farming system: characterisation, effect and management. In: Lillak R., Viiralt R., Linke A., Geherman V. (eds.). Integrating efficient grassland farming and biodiversity. EGF. Tartu, Estonia. Vol. 10: 199-210. Grime, J. P., 1973 - Competitive exclusion in herbaceous vegetation. Nature, 242: 344-347. Grime, J. P., 1979 - Plant Strategies and Vegetation Processes. John Wiley & Sons, New York. Grime, J. P., 2001 - Plant strategies, vegetation processes, and ecosystem properties. 2 nd ed., John Wiley & Sons, New York. Pardini A., 2005 Gestione dei pascoli e dei territory pascolivi.aracne Editrice, Roma. Tainton, N. M., Morris, C. D., Hardy, M. B., 1996 - Complexity and stability in grazing systems. Pp. 275-299. In: Hodgson, J. & Illius, A. W. (eds.). The Ecology and Management of Grazing Systems. Cab International, UK. Whittaker, R. H., 1975 - Communities and Ecosystems. 2 nd ed., Macmillan Publiching Co., Inc, New York 9

SCOPO DELLA RICERCA E PIANO DI LAVORO Avendo preso coscienza delle problematiche sopra descritte e del fatto che esiste uno stato di equilibrio nel quale la comunità vegetale, dato un certo contesto pedoclimatico, ha il massimo numero possibile di specie (Grime, 1979; 2001), la presente ricerca è stata incentrata sulla descrizione delle componenti dell ecosistema prativo, delle relazioni che intercorrono tra di loro e sulle possibili modalità di gestione, per ottenere dei miglioramenti futuri sia in termini di produttività delle fitocenosi, di mantenimento del suolo, di conservazione della biodiversità che, più genericamente, in termini di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione umana (Pardini, 2002; Pardini et al., 2003). Più in particolare, l obiettivo principale di questo dottorato era quello di creare un esaustivo quadro conoscitivo delle le praterie appenniniche, poiché fino ad ora era stati realizzati solo studi parziali e soprattutto volti a caratterizzare si le comunità erbacee dal punto di vista fitosociologico e non ecologico-funzionale. Inoltre, considerata la vastità dell area di analisi nonché la complessità dello studio e della gestione degli ecosistemi di prateria, si è pensato di suddividere le ricerche nell arco dei tre anni sia in senso temporale che operativo. Infatti, il piano di lavoro è stato strutturato come una piramide (fig. 1) alla cui base vi è la ricerca fitosociologica che funge da supporto a tutti gli altri studi mentre per quanto riguarda la tempistica si è deciso di concentrarsi ogni anno principalmente nell ambto di un piano bioclimatico secondo lo schema seguente: 1 anno: ricerca bibliografica studio fitosociologico delle praterie del piano mesotemperato superiore e supratemperato inferiore (Br-Bl) impostazione dei metodi di campionamento per lo studio ecologico 2 anno: studio fitosociologico delle praterie del piano supratemperato superiore analisi della struttura ecologica delle praterie dei piani mesotemperato superiore e supratemperato inferiore analisi sinecologica delle praterie dei piani mesotemperato superiore e supratemperato inferiore analisi della vegetazione ai fini della caratterizzazione zootecnica delle praterie dei piani mesotemperato superiore e supratemperato inferiore/superiore 10

3 anno: studio fitosociologico delle praterie dei piani orotemperato e criotemperato analisi della struttura ecologica delle praterie del piano supratemperato superiore analisi sinecologica delle praterie del piano supratemperato superiore caratterizzazione zootecnica delle praterie dei piani mesotemperato superiore e supratemperato inferiore/superiore Come schematizzato in Figura 2, nell ambito dei tre anni, è stato possibile portare a termine tutte le ricerche fitosociologiche, ecologiche e zootecniche per le praterie dei piani mesotemperato superiore e supratemperato inferiore/superiore; di implementare le conoscenze fitosociologiche e sinecologiche per le praterie del piano orotemperato e di realizzare un inquadramento fitosociologico delle comuntià erbacee del piano criotemperato. CARATTERIZZAZIONE ZOOTECNICA STRUTTURA ECOLOGICA SINECOLOGIA FITOSOCIOLOGIA Figura 1. Piano di lavoro 11

Figura 2. Schema rappresentante le ricerche completate nel corso dei tre anni. 12

Bibliografia Pardini A., 2002 Mediterranean pastoral system and the threat of globalization. Invited Paper, FAO-CIHEAM XI meeting Mediterranean Pastures network, Djerba (Tunisia), October- November 2002. Pardini A., Longhi F., Orlandini S., Dalla Marta A., 2003 Integration of pastoral communities in the global economy. Article given: Int. conf.: Reinventing regions in a Global Economy, Pisa (I) 12-15 April 2003. Grime, J. P., 1979 - Plant Strategies and Vegetation Processes. John Wiley & Sons, New York. Grime, J. P., 2001 - Plant strategies, vegetation processes, and ecosystem properties. 2 nd ed., John Wiley & Sons, New York. 13

AREA DI STUDIO Inquadramento geografico L area di studio del presente dottorato è rappresentata dai pascoli appenninici tra 800 e 2400 m s.l.m.. Più in particolare, lo studio interessa un ampia porzione dell Appennino umbro-marchigiano (settore del più vasto complesso montuoso denominato Appennino centrale fig. 1) che si eleva a separare il territorio di Umbria e Marche e vi possono essere individuate diverse catene montuose che, nel tratto maceratese, sono costituite da due dorsali principali, tra loro parallele e con andamento prevalente NO-SE; quella più occidentale è denominata dorsale umbro-marchigiana s.s., l altra, situata più ad est, è invece identificata come dorsale marchigiana. Le due dorsali sono separate dalla Sinclinale Camerino-Fabriano, una depressione collinare i cui rilievi raramente superano i 600 m di quota. Delle suddette dorsali, quella umbro-marchigiana s.s. presenta quote generalmente più elevate, con cime poste tra 1200 e 1500 m di altitudine (il rilievo maggiore è rappresentato dal Monte Fema, che raggiunge i 1556 m s.l.m.) mentre le aree sommitali di quella marchigiana sono generalmente comprese tra gli 800 ed i 1100 m, con le importanti eccezioni del Monte San Vicino e del Monte Fiegni, che raggiungono rispettivamente 1485 e 1323 m s.l.m. Figura 1. Area di studio 14

Verso sud le due dorsali si saldano con il Massiccio dei Monti Sibillini, le cui cime superano generalmente i 2000 m di altitudine. Più precisamente, nel tratto maceratese, la dorsale umbromarchigiana s.s. è formata dalle anticlinali (separate da profonde incisioni vallive) di seguito elencate: Monti Maggio-Serra Santa-Nero (quota più elevata: 1421 m s.l.m.); Monti Rogedano- Puro-Giuoco del Pallone-Cafaggio (quota più elevata: 1227 m s.l.m.); Monti Fano-Vernale (quota più elevata: 944 m s.l.m.); Monti Gemmo-Castel Santa Maria (quota più elevata: 1421 m s.l.m.); Monti Vermenone-Linguaro (quota più elevata: 1390 m s.l.m.); Monti Primo-Igno (quota più elevata: 1435 m s.l.m.); Monti Camorlo-Maggio (quota più elevata: 1397 m s.l.m.); Monte Pennino (quota più elevata: 1571 m s.l.m.); Monti di Massa-Prefoglio (quota più elevata: 1322 m); Monte di Muccia (959 m); Monti di Costafiore-Pietralata (quota più elevata: 915 m s.l.m.); Monte Tolagna (quota più elevata: 1404 m s.l.m.); Monte Cavallo (quota più elevata: 1485 m s.l.m.); Monte Fema (quota più elevata: 1575 m s.l.m.); Monte Careschio (quota più elevata: 1365 m s.l.m.). Per quanto riguarda la dorsale marchigiana sono chiaramente individuabili i sottostanti acrocori montuosi: San Vicino-Canfaito (quota più elevata: 1485 m s.l.m.); Monti Argentaro-Lavacelli-Marzolare-Pormicio (quota più elevata: 986 m s.l.m.); Monti d Aria-di Crispiero-Colleluce (quota più elevata: 957 m s.l.m.); Monte Letegge-Prati di Serrapetrona (quota più elevata: 1022 m s.l.m.); Fiungo-Fiegni (quota più elevata: 1323 m s.l.m.). I contrafforti più settentrionali dei Monti Sibillini, a cui si collegano le dorsali precedentemente descritte, si contraddistinguono, infine, per le seguenti unità topografiche: Prati di Ragnolo, il cui punto più elevato è rappresentato dalla cima del Pizzo di Meta (1576 m s.l.m.); Monte Val Fibbia- Pian del Capriolo (1583 m), che degradano verso nord con le pendici del Monte Coglia. A meridione di questi complessi montuosi s innalzano, infine, i primi rilievi che sfiorano o superano i 2000 metri (Monti Castel Manardo, Rotondo, Tre Vescovi, ecc.). 15

Inquadramento bioclimatico Dal punto di vista bioclimatico l area di studio interessa sei Piani Bioclimatici: mesotemperato superiore (limitatamente alle sommità di alcuni rilievi minori), supratemperato inferiore e superiore, orotemperato e criotemperto (limitatamente alla Valle del Lago di Pilato) (Biondi et al., 1995; Orsomando et al., 1999; Rivas-Martinez, 1994-1995) le cui caratteristiche più salienti sono riassunte riassunte in Tabella 1: Tabella 1. Principali caratteristiche bioclimatiche dell area di studio Il bioclima Mesotemperato inferiore (basso-collinare) interessa quote comprese tra 100 e 450 m s.l.m. circa ed è caratterizzato da temperature medie annue di circa 13-15 C; precipitazioni medie annue comprese tra 750 e 850 mm; aridità estiva presente per un mese (luglio) e particolarmente intensa sui versanti meridionali; stress da freddo invernale molto modesto, tanto che in nessun mese la media delle temperature minime è inferiore a 0 C; l innevamento al suolo è sporadico e non si protrae per più di 2-3 giorni consecutivi. La durata del periodo vegetativo è di 210-240 giorni. La vegetazione forestale (cerrete, querceti e ostrieti) è caratterizzata da caducifoglie termofile e semimesofile miste con sclerofille sempreverdi. Sui versanti calcarei soleggiati sono presenti estese leccete. In questo ambito è ancora possibile la coltivazione dell olivo (Olea europea). Il bioclima Mesotemperato superiore (alto collinare) riguarda i rilievi posti a quote comprese tra 450 e 1000 m s.l.m. circa ed è contraddistinto da temperatura media annua di circa 11-13 C; precipitazioni medie annue comprese tra 850 e 1100 mm; assenza di un periodo di aridità estiva, che si manifesta solo sui versanti meridionali posti alle quote più basse (generalmente nel mese di luglio); 25 media delle temperature minime invernali dei mesi di gennaio-febbraio prossime 16

o leggermente inferiori a 0 C, con episodi di gelo che possono verificarsi da novembre a tutto marzo e innevamento del suolo relativamente frequente (4-5 episodi annuali) ma con durata modesta (4-6 giorni). La durata del periodo vegetativo è di 180-210 giorni. La vegetazione forestale è composta da caducifoglie termofile e semimesofile (querceti, cerrete, ostrieti e castagneti) ed è priva di elementi mediterranei, che si possono rinvenire solo nelle aree rupestri calcaree più assolate, all interno di lembi boschivi con leccio. Nella fascia inferiore di questo ambito bioclimatico trova il limite ecologico la coltivazione della vite. Il bioclima Supratemperato inferiore (basso-montano) interessa quote poste tra 950-1000 m e 1350-1450 m s.l.m. circa. Le sue caratteristiche salienti sono: temperatura media annua di 9-11 C; precipitazioni medie annue comprese tra 1100 e 1300 mm; aridità estiva assente; temperatura media delle minime inferiore a 0 C almeno nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio. Forti gelate si possono verificare da novembre a marzo e sporadicamente fino alla metà di aprile, con stress da freddo invernale intenso e prolungato e con 7-8 di episodi di innevamento del terreno con durata media di 6-8 giorni ognuno. La durata del periodo vegetativo è di 150-180 giorni. La vegetazione forestale è composta da caducifoglie semimesofile e mesofile (cerrete e soprattutto faggete) che sovrastano un sottobosco in cui si consociano elementi floristici collinari e specie montane. In questo ambito trovano il limite ecologico la cerealicoltura e la foraggicoltura. Il bioclima Supratemperato superiore (alto-montano) riguarda i rilievi posti a quote comprese tra 1400-1450 e 1850-1900 m s.l.m. circa. È caratterizzato da temperatura media annua di 7-9 C; precipitazioni medie annue comprese tra 1300 e 1500 mm; aridità estiva assente; temperatura media delle minime inferiore a 0 C durante i mesi di dicembre, gennaio, febbraio e marzo. Forti gelate si possono verificare da ottobre fino ad aprile inoltrato, con stress da freddo invernale intenso e prolungato. In queste zone la neve può ricoprire il suolo per intere settimane, anche consecutive. La durata del periodo vegetativo è di 120-150 giorni. La vegetazione forestale è composta da caducifoglie mesofile (faggete) con specie nemorali tipicamente montane. Il bioclima Orotemperato (subalpino) interessa quote poste tra 1850-1900 e 2300 m s.l.m. È caratterizzato da temperatura media annua di 5-7 C; le precipitazioni sono comprese tra 1300-1500 mm/anno; la temperatura media delle minime è inferiore a 0 C per oltre 5 mesi. Forti gelate si possono verificare da settembre alla fine di maggio. In queste zone la neve può ricoprire il suolo da novembre/ dicembre ad aprile/maggio. La durata del periodo vegetativo è di 90-120 giorni. La vegetazione forestale è assente. Il bioclima Criotemperato (alpino) per tale piano non è stato possibile desumere le caratteristiche bioclimatiche poiché nell area di studio solo alcune cime dei Sibillini superano i 2300 m e non ci sono stazione termo pluviometriche di riferimento. Inquadramento geomorfologico e pedologico 17

Dal punto di vista geologico le dorsali dell Appennino umbro-marchigiano sono caratterizzate dai litotipi prevalentemente calcarei della Successione Stratigrafica umbro-marchigiana (Regione Marche, 1991). Questa é costituita da calcari miocritici o biocostruiti in strati spessi o molto spessi (Calcare Massiccio), alternanze calcareo-silicee (Corniola, Maiolica), litofacies prevalentemente silicee (Calcari Diasprini), rocce marnoso-calcaree (Marne del Sentino, Rosso ammonitico) e calcari stratificati contraddistinti da un progressivo aumento della frazione argillosa (Scaglia s.l.). I depositi di copertura più recenti sono costituiti da potenti coltri detritiche (Depositi di versante) frutto dei processi di gelifrazione ai danni dei versanti durante i periodi glaciali susseguitisi nel Quaternario. Tali detriti si sono accumulati prevalentemente ai piedi e nel settore medio-inferiore dei versanti regolarizzandone la pendenza. La morfologia di queste catene montuose è caratterizzata da versanti acclivi con profonde incisioni vallive, mentre le sommità presentano una debole pendenza o sono addirittura semipianeggianti, costituendo la testimonianza relitta delle antiche fasi di modellamento del paesaggio fisico appenninico. Le valli che tagliano trasversalmente le due dorsali, infine, presentano generalmente versanti molto ripidi e spesso formano gole con pendici rupestri. Nel complesso si tratta dunque di un sistema piuttosto complesso sia dal punto di vista geologico che geomorfologico in cui sono distinguibili tre principali forme del paesaggio fisico (Sistema di Terre) in ognuna delle quali i caratteri geomorfologici e geologici sono correlabili a quelli dei suoli, alla loro capacità di formarsi e conservarsi nonchè all uso del suolo, attuale e storico. Sommità delle dorsali carbonatiche. Superfici a debole energia di rilievo che rappresentano le morfologie relitte di una fase di modellamento del paesaggio avvenuta a quote prossime al livello del mare nelle prime fasi dell orogenesi appenninica (Regione Marche, 1991). Il substrato roccioso è prevalentemente calcareo-marnoso, con diffusi affioramenti della Scaglia rosata sui rilievi minori (con cime inferiori ai 1000-1100 m s.l.m.) e della Maiolica sui gruppi montuosi più importanti, che talvolta presentano anche modeste scarpate e rupi sommitali. E, questo, il paesaggio fisico che ospita la quasi totalità degli ecosistemi di prateria attualmente presenti sia in corrispondenza della dorsale umbro-marchigiana che di quella marchigiana. Pendici delle dorsali carbonatiche. Caratterizzati da pendenze molto elevate e da profonde incisioni vallive, possono presentare scarpate continue lateralmente per gli effetti dell erosione selettiva a spese di un substrato prevalentemente calcareo-marnoso, con alternanze sia marnose che silicee. Questo paesaggio fisico é sostanzialmente caratterizzato da una compatta copertura forestale, che lascia il posto a più o meno vaste formazioni erbose solo in corrispondenza dei versanti montani più elevati. In tal caso, le praterie di versante sono quasi sempre in continuità con quelle che rivestono le cupole sommitali dei rilievi. 18

Fascia pedemontana. Evidenziata dalla brusca rottura di pendio presente alla base dei versanti é contraddistinta dalle coperture detritiche recenti o dalle conoidi alluvionali deposte dai corsi d acqua all uscita dalle dorsali montuose. I suoli sono generalmente poco sviluppati, grossolani, ben drenati e spesso caratterizzati dal frequente apporto di materiale dai versanti. In queste zone si assiste generalmente ad una alternanza di fasce boscate e piccole aree agricole. Dal punto di vista pedologico i suddetti ambiti geomorfologici si contraddistinguono per la presenza dell ormai noto fenomeno della catena dei suoli (Cremaschi et Rodolfi, 1991), che si configura per la presenza di suoli via via meno evoluti e profondi man mano che si passa da morfologie più conservative (superfici di spianamento, fondo delle vallecole sommitali, ecc.) a morfologie a maggior energia di pendio (versanti da moderatamente acclivi a molto acclivi). Sulla base di quanto indicato da Giovagnotti et al. (2003), sulle superfici a debole energia di pendio (max. 10-15%) sono presenti suoli relativamente profondi (ABwC) con un epipedon mollico molto umifero di colore nerastro, struttura grumosa, tessitura argillo-limosa e completa decarbonatazione. A questo segue un orizzonte Bw cambico a tessitura franco limosa a reazione neutra. Sulle pendici ad acclività maggiore ed esposizione settentrionale sono invece distribuiti suoli bruni (calcarei e calcici) che rappresentano due tappe nella sequenza evolutiva dai Rendzina ai Suoli Bruni propriamente detti. Si tratta di suoli moderatamente profondi, con tessitura fine e scarsa quantità di scheletro, a profilo ABWC o, più spesso, AAC. Sui versanti meridionali sono invece presenti suoli estremamente esigui (litosuoli) a profilo AC. Oltre i 1500-1600 metri di quota, in aree con assenza di aridità estiva, i suoli delle aree poco acclivi sono relativamente profondi, completamente decarbonati a profilo AC. 19

Il paesaggio vegetale delle praterie Come ricordato in precedenza, gli habitat erbosi dell Appennino umbro-marchigiano sono localizzati prevalentemente in corrispondenza delle aree sommitali dei rilievi o, secondariamente, lungo i costoni meno acclivi, che talvolta costituiscono delle ampie creste laterali rispetto al crinale principale. Nella maggior parte dei casi, comunque, le aree pascolive sono poste oltre i 750-850 m di quota e presentano caratteristiche strutturali e floristiche diverse in relazione con le molteplici situazioni geomorfologiche che contraddistinguono il rilievo considerato, presentandosi generalmente con una cotica erbosa densa e compatta sui versanti meno acclivi e su quelli esposti a settentrione, oppure con un manto erboso aperto ed abbondantemente interrotto dall affioramento del substrato roccioso, sui versanti meridionali e su quelli settentrionali estremamente acclivi (creste, aree semirupestri, ecc.). In quest ultimo caso, tuttavia, la diminuita pressione zootecnica ha talvolta prodotto una certa ricucitura della struttura del pascolo. Ne è un esempio l evidente inerbimento delle linee di erosione dovute ai fenomeni di reptazione connessi con il ripetuto passaggio degli ovini e disposte per lo più in leggera diagonale rispetto alla linea di maggior pendenza del versante. Sempre dal punto di vista fisionomico, i versanti mediamente acclivi (ovvero con acclività comprese tra 10-15 e 40-45 sono prevalentemente contraddistinti da fitocenosi a dominanza o con forte presenza di Bromus erectus, mentre nelle aree poco acclivi (ovvero con pendenza non superiore al 5-10 ) caratterizzano la copertura erbacea Cynosurus cristatus, fino ai 1400-1450 metri di quota e Poa violacea, talvolta con Nardus stricta, dai 1400-1450 fino ai 1800-1900 metri di altitudine. Su pendici con acclività superiore a 50 sono invece Sesleria apennina e Selseria nitida a formare caratteristiche formazioni aperte. Ovunque è estremamente significativa la presenza di specie appartenenti al genere Festuca (Ballelli et al., 1981). Dal punto di vista fitosociologico queste praterie sono state riferite sino ad oggi a numerosi sintaxa tra cui i più diffusi e segnalati sono: Asperulo purpureae-brometum erecti (con numerose subassociazioni e varianti); Brizo mediae-brometum erecti (con numerose subassociazioni e varianti); Seslerio nitidae-brometum erecti; Carici humilis-seslerietum apenninae; Colchico lusitani-cynosuretum cristati, Cephalario leucanthae-saturejetum montanae, Trifolio scabri- Hypochoeridetum achyrophori e Aggr. a Sesleria tenuifolia e Stipa dasyvaginata ssp. Apenninicola (Ballelli et al., 2002). In alcune località, la continuità della trama del paesaggio pastorale è interrotta dalla permanenza di modeste aree agricole (pendici del Monte Fema, Monte Fiungo, Monte d Aria, Monte Tolagna, ecc.), ultime vestigia di un paesaggio agrario oggi quasi completamente scomparso ma che fino alla metà del XX secolo interessava molte aree montane. 20

Deve essere inoltre evidenziato come molte delle aree pascolive poste al di sotto dei 1000-1100 metri di quota si presentano oggi parzialmente colonizzate da arbusti (Spartiun junceum, Juniperus oxxycedrus ssp oxycedrus, Juniperus communis, Cytisus sessilifolius, in primo luogo) testimoni della cessata utilizzazione di queste aree da parte dell uomo e della conseguente attivazione dei processi dinamici che riporteranno alla ricostituzione di un soprassuolo forestale (Biondi, 2001). Al di sopra dei 1000-1100 metri, pur essendosi verificato anche qui un forte calo delle attività pastorali o addirittura il loro completo abbandono, l invasione degli arbusti nelle praterie è meno evidente, limitandosi generalmente al fondo dei valloni che solcano le pendici poste immediatamente al di sotto delle aree sommitali del rilievo. Questi processi dinamici, come evidenziato da alcuni studi cartografico-vegetazionali (Ballelli et al., 1976; Francalancia et al., 1981; Biondi et Ballelli, 1982; Catorci et Orsomando, 2001, Ballelli et alii, 2002; Allegrezza, 2003; Pinzi, 2004) possono essere ricondotti nell ambito di quattro macroserie di vegetazione. Macroserie centro-appenninica basofila mesotemperata superiore di Ostrya carpinifolia. Bosco: Carpinion orientalis. Arbusteto: Cytision sessilifolii. Pascolo: Phleo ambigui-bromion erecti. Interessa i versanti meno elevati, fino ai 900-1000 m sulle pendici settentrionali e 1200-1250 m su quelle meridionali. Macroserie centro-appenninica acidofila supratemperata inferiore di Quercus cerris. Bosco: Erythronio dentis-canis-carpinion betuli. Arbusteto: Ribeso alpinii-juniperenion communis. Pascolo: Phleo ambigui-bromion erecti e Cynosurion cristati. Interessa le aree poco acclivi costituite da antiche superfici (paleosuperfici), ricoperte da paleosuoli ferralitici, tra gli 800 ed i 1200 m di altitudine. Macroserie centro-appenninica neutro-basofila supratemperata inferiore di Fagus sylvatica Bosco: Geranio versicoloris-fagion sylvaticae. Arbusteto: Ribeso alpinii-juniperenion communis. Pascolo: Phleo ambigui-bromion erecti, Seslerion apenninae e Cynosurion cristati. Interessa i versanti, mediamente acclivi, posti tra 900-1000 m e 1300-1400 m di altitudine. Macroserie centro-appenninica neutro-acidofila supratemperata superiore di Fagus sylvatica Bosco: Aremonio-Fagion sylvaticae. Arbusteto: Berberidenion vulgaris. Pascolo: Phleo ambigui- Bromion erecti, Seslerion apenninae e Nardion strictae. Interessa i versanti più elevati posti tra 1300-1400 e 1700-1800 di altitudine. Dal punto di vista paesaggistico, come evidenziato in Catorci et alii (2005), gli ecosistemi di prateria possono essere inseriti nel sottostante schema gerarchico, costruito secondo la metodologia proposta da Blasi et alii (2000). 21

Regione Macroclimatica Temperata Aree con regime delle precipitazioni ancora di impronta mediterranea, con massimi primaverile ed autunnale ed un calo nei mesi estivi, che però grazie anche al verificarsi di temperature meno elevate di quelle della regione mediterranea, non dà origine a stress da aridità, se non alle quote più basse o sui versanti meridionali. La media delle temperature minime del mese più freddo (gennaio) é compresa tra 0 e 2 C, al di sotto dei 800-900 m di altitudine, mentre è inferiore allo zero al di sopra di tali quote (Biondi et alii, 1995). La vegetazione forestale potenziale prevalente è tipicamente contraddistinta da formazioni caducifoglie riferibili alla classe Querco-Fagetea. Sistema di paesaggio dei substrati calcarei centro-appenninici L unità litologica prevalente é data dai calcari compatti e stratificati, con intercalazioni marnose o silicee, della Successione Stratigrafica umbro-marchigiana, che originano rilievi montuosi dalle forme aspre ed acclivi lungo i versanti e sulle cime dei rilievi maggiori, a blanda acclività nelle aree sommitali dei rilievi minori. La vegetazione è tipicamente neutro-basofila, con l eccezione delle fitocenosi che si sviluppano in corrispondenza di suoli argillificati e rubefatti quali i paleosuoli ferrallitici (Catorci, Orsomando, 2001). Le morfologie accentuate e le quote elevate hanno consentito la conservazione di un paesaggio con un notevole grado di naturalità ed una bassa urbanizzazione. Sottosistema di paesaggio dei rilievi con bioclima mesotemperato superiore. Complesso dei versanti, situato tra i 450-500 ed i 950-1050 m di altitudine, con vegetazione potenziale riferibile prevalentemente al Laburno anagyroidis-ostryenion carpinifoliae Carpinion orientalis. In questo sottosistema sono compresi gli ecosistemi di prateria posti sulle sommità dei rilievi minori (Monti Rogedano-Puro, Prati di Gagliole, Monti d Aria, Letegge, Fiungo, di Muccia, ecc.). Sottosistema di paesaggio dei rilievi con bioclima supratemperato inferiore. Complesso dei versanti, situato tra 900-950 e 1400-1450 m di altitudine, con vegetazione potenziale riferibile prevalentemente al Geranio versicoloris-fagion sylvaticae. In questo sottosistema sono compresi gli ecosistemi di prateria posti sulle sommità della maggiore parte dei rilievi della dorsale umbro-marchigiana s.s. nonché dei Monti San Vicino e Fiegni appartenenti a quella marchigiana. Sottosistema di paesaggio dei rilievi con bioclima supratemperato superiore. 22

Complesso dei versanti, situato tra 1400-1450 e 1850-1900 m di altitudine, con vegetazione potenziale riferibile prevalentemente all Aremonio-Fagion sylvaticae. In questo sottosistema sono compresi gli ecosistemi di prateria posti sulle sommità dei rilievi maggiori (Monte Fema, Prati di Ragnolo, Monte Castelmanardo, ecc.). Sottosistema di paesaggio dei rilievi con bioclima orotemperato inferiore/superiore Zone sommitali delle cime più elevate dei Monti Sibillini, poste oltre i 1900 m di altitudine, con vegetazione potenziale costituita dagli arbusteti del Daphno oleoidis-juniperion alpinae. Delimitazione cartografica e distribuzione delle praterie appenniniche L estensione degli ecosistemi di prateria dell Appennino maceratese è di circa 24.160 ettari. L analisi di queste aree, condotta tramite l ausilio dei Sistemi Informativi Geografici, è stata effettuata a partire dalla fotointerpretazione di ortofotocarte del volo AIMA del 2001. Per ottenere il quadro generale della distribuzione delle praterie ad una scala di sintesi (1:50.000) sono stati presi in considerazione solo i complessi pastorali caratterizzati da continuità spaziale e da estensione non inferiore a 5 ettari; a seguito di questa generalizzazione l intero territorio provinciale è risultato essere caratterizzato da circa 60 patches di prateria organizzate in complessi pastorali che, procedendo da sud a nord diventano sempre più piccoli e frammentati. Analizzando il Grafico 1 che riporta la distribuzione percentuale cumulata delle superfici si nota come vi siano pochi complessi pastorali (individuabili nel massiccio dei Monti Sibillini - Priora-Berro,Tre Vescovi-Castelmanardo, bove, Ragnolo e in quello del Fema Torricchio-Cetrognola ) che rappresentano più della metà dell intera superficie pascoliva della Provincia di Macerata, mentre il resto del territorio è coperto da praterie di piccole e medie estensioni (l 8% è rappresentato da praterie con superficie inferiore ai 100 ha, mentre il resto è rapresentato da aree con superficie che varie dai 100 ai 200ha) che appaiono come isole circondate da boschi (Monti Letegge, d Aria, Igno-Primo, Castelsantamaria- Gemmo, Ragnolo-Rogedano e Fiungo-Fiegni e gli ancor più piccoli Prati di Tagliole e i pascoli dei Monti Fano, Linatro, Muccia, Gioco del Pallone, Prefoglio). Mettendo poi in relazione la distribuzione delle praterie con i principali parametri ecologici (quota, pendenza ed esposizione) è emerso quanto segue. Sottosistema di paesaggio dei rilievi con bioclima mesotemperato superiore. Estensione complessiva 4000 ettari, di cui 1530 con esposizione calda (da S-SE a S e quindi S- O) e 2470 con esposizione fresca (da S-O a N e quindi E-SE). In questo contesto il 46% è dato da sistemi pianeggianti o poco acclivi (pendenza minore di 10 ) e il 54 % da aree di media acclività (da 10 a 45 ). 23

Sottosistema di paesaggio dei rilievi con bioclima supratemperato inferiore. Estensione complessiva 12040 ettari, di cui 5413 con esposizione calda (da S-SE a S e quindi S- O) e 6627 con esposizione fresca (da S-O a N e quindi E-SE). In questo contesto il 26% è dato da sistemi pianeggianti o poco acclivi (pendenza minore di 10 ) e il 74 % da aree di media acclività (da 10 a 45 ). Sottosistema di paesaggio dei rilievi con bioclima supratemperato superiore. Estensione complessiva 7070 ettari, di cui 3316 con esposizione calda (da S-SE a S e quindi S- O) e 3754 con esposizione fresca (da S-O a N e quindi E-SE). In questo contesto l 11% è dato da sistemi pianeggianti o poco acclivi (pendenza minore di 10 ), l 86 % da aree di media acclività (da 10 a 45 ) e il 3 % da aree fortemente acclivi o semirupestri (pendenze superiori a 45 ). Sottosistema di paesaggio dei rilievi con bioclima orotemperato inferiore Estensione complessiva 1040 ettari, di cui 576con esposizione calda (da S-SE a S e quindi S-O) e 464 con esposizione fresca (da S-O a N e quindi E-SE). In questo contesto il 4% è dato da sistemi pianeggianti o poco acclivi (pendenza minore di 10 ), 90 % da aree di media acclività (da 10 a 45 ), il 6 % da aree fortemente acclivi o semirupestri (pendenze superiori a 45 ). In conclusione, emerge come, di fronte a una superficie pari all 80% del totale situata nel piano bioclimatico supratemperato, le praterie del maceratese siano da considerarsi perlopiù praterie montane che occupano territori essenzialmente da poco a mediamente acclivi (l 80% di tutta la superficie pastorale è distribuita su aree con pendenze minori di 40 ) e che occupano in maniera pressoché uniforme i versanti caldi (55%) e freddi (45%) 24

Bibliografia Allegrezza M., 2003 Vegetazione e Paesaggio vegetale della dorsale del Monte San Vicino. (Appennino centrale). Fitosociologia 40(1):4-118. Ballelli S., Biondi E., Pedrotti F., 1976 Carta della vegetazione del Foglio Fabriano (scala 1:50.000). Istituto di Botanica, Univ. di Camerino.L.A.C., Firenze. Ballelli S., Castagnari G., Catorci A., Fortunati G., 2002 Aspetti geobotanici e lineamenti storicoambientali dell alto Esino. A pennino umbro-marchigiano. Provincia di Ancona, Assessorato alla Tutela dell Ambiente. Tip. La Nuova Stampa, Camerino. Biondi E., Ballelli S., 1982 - La végétation du massif du Catria (Apennin central) avec carte phytosociologique 1:15.000. In: F. Pedrotti (a cura di), Guide-Itinéraire. Excursion Internazionale de Phytosociologie en Italie centrale (2-11 juillet 1982). Univ. di Camerino: 211-237. Biondi E., Baldoni M.A., Talamonti M.C., 1995 Il fitoclima delle Marche. In: Atti del Convegno Salvaguardia e gestione dei beni ambientali nelle Marche (Ancona, 8-9 aprile 1991). Tipolit. Trifogli, Ancona: 21-70. Biondi E., 2001 - Paesaggio vegetale e potenzialità pastorali. In: Atti del 36 simposio internazionaqle di zootzcnia Prodotti di origine animale: qualità e valorizzazione del territorio. Portonovo (Ancona) 27 aprile 2001, 1: 5-22, Greppi & En. eds. Biondi E., Pinzi M., Gubellini L., 2004 - Vegetazione e paesaggio vegetale del Massiccio del Monte Cucco (Appennino centrale, Dorsale Umbro-Marchigiana). Fitosociologia, 41 (2) Suppl. 1: 3-81. Catorci A., Orsomando E., 2001 Note illustrative della Carta della vegetazione del Foglio Nocera Umbra (N. 312 Carta d Italia I.G.M. 1:50.000). Braun-Blanquetia 23:1-94. Cremaschi M., Rodolfi G., 1991 Il suolo. La Nuova Italia Scientifica Editrice. Roma. Francalancia C., Hruška K., Orsomando E., 1981 - Ricerche fitosociologiche sui prati-pascoli di Ragnolo (Appennino centrale). Acta Biologica, vol. 58: 241-253. Giovagnotti C., Calandra R., Leccese A., Giovagnotti E., 2003 I paesaggi pedologici e la carta dei suoli dell Umbria. Tipografia Litograf srl, Todi. Orsomando E., Catorci A., Pitzalis M., Raponi M., 1999 Carta fitoclimatica dell Umbria (scala 1:200.000). Regione dell Umbria. Area Assetto del Territorio e P.U.T., Dip. di Botanica ed Ecologia, Univ. di Camerino. Ist. di Ecologia Agraria, Univ. di Perugia. S.EL.CA. Firenze. Regione Marche, 1991 L ambiente Fisico delle Marche.Geologia Geomorfologia Idrogeologia. Giunta Regionale. Assessorato Urbanistica e Ambiente, Ancona. 25

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MATERIALI E METODI Caratterizzazione fitosociologica Per lo studio della vegetazione è stato utilizzato il metodo fitosociologico (BRAUN BLANQUET, 1964), integrato in base alle più recenti acquisizioni sulla fitosociologia e geosinfitosociologia (GEHU, RIVAS-MARTINEZ, 1981; THEURRILLAT, 1992; BIONDI, 1996; BIONDI et al., 2004). Durante numerose escursioni sono stati eseguiti i rilievi fitosociologici successivamente riuniti in una tabella grezza che è stata poi sottoposta a procedura di analisi multivariata (WESTOFF, VAN DER MAAREL, 1978) usando il software Syntax 2000 (PODANI, 2001). A tal proposito i valori di copertura fitosociologica sono stati convertiti secondo la scala di VAN DER MAAREL (1979). La matrice così ottenuta è stata sottoposta a classificazione numerica mediante gli algoritmi Complete link e Group average (ORLOCI, 1978), su matrice di somiglianza. Per la nomenclatura floristica si è fatto riferimento a PIGNATTI (1982), TUTIN et al. (1964-80, 1993) e CONTI et al. (2005). Per l inquadramento sintassonomico delle tipologie vegetazionali sono state utilizzate opere a carattere europeo e lavori di revisione sintassonomica della vegetazione appenninica, nonchè studi fitosociologici a carattere locale. Valori di Bioindicazione Dalle tabelle fitosociologiche inerenti le diverse comunità di pascolo indagate (CATORCI, GATTI et BALLELLI, 2007; ALLEGREZZA et al., 1997; BIONDI, PINZI et GUBELLINI, 2004), sono state eliminate le specie con presenza inferiore al 20% (in quanto considerate sporadiche o accidentali); successivamente per ogni tabella è stato ottenuto l elenco completo delle specie presenti, riportando la nomenclatura prevista da Pignatti (1982) e successivamente sono stati assegnati i valori di bioindicazione desunti da Pignatti (2005). Per ogni syntaxon è stata calcolata la percentuale di specie caratterizzate da un eguale valore di bioindicazione (rispetto al numero complessivo di specie) ed i risultati ottenuti sono stati utilizzati per la realizzazione di istogrammi (uno per ogni valore di bioindicazione). Nei grafici, sulle ascisse è riportata la scala dei valori, mentre sulle ordinate la percentuale di presenza riferita all insieme delle specie con uguale valore di bioindicazione. Inoltre, per ogni fattore, sono state calcolate media e mediana prendendo in considerazione solo i valori numerici, escludendo le indicazioni X che avrebbero modificato il senso ecologico della comunità. La mediana rappresenta il valore di bioindicazione che occupa la posizione centrale riferito all insieme delle specie e graficamente, negli istogrammi, è evidenziata da una linea nera; 27