Presidenza della Regione Siciliana

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Presidenza della Regione Siciliana Ufficio Legislativo e Legale Osservatorio Legislativo Interregionale Bologna, 5 6 giugno 2008 Giurisprudenza non costituzionale di interesse regionale Redatto a cura di: Simone Montalto

Corte di Cassazione; Sez. III civ. Sentenza 7 aprile 2008, n. 8953 (Competenza delle regioni in tema di danni prodotti a terzi dalla fauna selvatica) La Regione, in quanto tenuta per legge ad adottare tutte le misura idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ai sensi dell art. 2043 del codice civile dei danni provocati da animali selvatici a persone o cose, il cui risarcimento non sia previsto diversamente da specifiche norme. In merito alla sancita legittimazione passiva delle regioni di diritto comune va osservato che è ormai giurisprudenza consolidata di legittimità quella secondo cui, sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge n. 157 del 1992 attribuisce alle Regioni a statuto ordinario competenza nell emanazione di norme relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica e affida alle medesime i poteri di relativa gestione, tutela e controllo, riservando alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna a esse delegate ai sensi della legge n. 142 del 1990. Conseguentemente, la Regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee a evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex art. 2043 c.c. dei danni provocati da animali selvatici a persone o cose, il cui risarcimento non sia previsto da norme specifiche (cfr. anche cass. 24 ottobre 2003, n. 16008; Cass. 24 settembre 2002, n. 13907). L obbligo di adottare le misure necessarie a contenere la presenza dannosa della fauna selvatica è riconosciuto in Sicilia al Corpo regionale delle foreste; il quale ha fatto interventi onde limitare la crescita dei conigli selvatici in aree contigue a coltivazioni ed ora sta svolgendo analoghe azioni nei confronti dei cinghiali che, assenti in Sicilia per molto tempo, furono reintrodotti nelle riserve e quindi si sono propagati a dismisura in tutti i territori boschivi producendo spesso gravi danni alle coltivazioni.

Tar Lazio Roma Sezione I. Ter. Sentenza 1 aprile 2008, n. 3108 (Competenza regolamentare delle Regioni) La modifica dell art. 121 della Costituzione, operata dalla legge cost. 22 novembre 1999, n. 1, eliminando l indicazione della potestà regolamentare fra le attribuzioni dei Consigli regionali, ha avuto il solo effetto di eliminare la relativa riserva di competenza e di consentire alle Regioni una diversa scelta organizzativa e non anche quello di attribuire direttamente detta potestà alle giunte; tale scelta non può che essere contenuta in una disposizione dello statuto regionale, modificativa di quelli attualmente vigenti, con la conseguenza che, nel frattempo, vale la distribuzione delle competenze normative già stabilita dagli statuti medesimi, di per sé non incompatibili con il nuovo art. 121 della Costituzione. È noto che alle Regioni spetti oltre alla competenza legislativa in certe materie anche la potestà regolamentare, il cui esercizio nelle regioni ad autonomia ordinaria è stato fino alla riforma dell art. 121 della Costituzione, di esclusiva competenza, del consiglio regionale, ed è assegnato di norma alla giunta regionale nelle regioni a statuto speciale. Ricorda però Bartole (Le Regioni, Il Mulino 1997, pag. 248) che una norma di attuazione dello Statuto sardo che devolveva alla giunta regionale la potestà regolamentare assegnata dallo Statuto al consiglio regionale, è stata ritenuta incostituzionale, dalla Corte costituzionale con sent. 19-30 dicembre 1985, n. 371. Dei tipi nei quali si riparte tradizionalmente la sfera dei regolamenti amministrativi sembra che negli ordinamenti regionali si debbano ricomprendere solo regolamenti esecutivi. Si dice, infatti, che le Regioni possono esercitare la potestà regolamentare loro attribuita solo al fine di disciplinare l esecuzione delle loro leggi; mentre per l attuazione delle leggi statali può essere loro demandata apposita potestà legislativa. Di fatto è avvenuto che i consigli regionali, sia nelle Regioni ordinarie che in quelle speciali hanno interpretato estensivamente il loro ruolo di legislatori, riducendo così lo spazio della potestà regolamentare, che generalmente non ha prodotto sistemi ampi e duraturi di discipline. In Sicilia, ove per molti ambiti di attività amministrative si è consolidato, sin dal 1947, il modello statale (v. controllo sugli atti della Corte dei conti; funzione consultiva procedimentale del Consiglio di giustizia amministrativa in funzione di Consiglio di Stato, decretazione del Presidente della Regione e degli assessori, ecc.) i regolamenti hanno seguito sempre il procedimento statale: per diversi decenni secondo il modello dei regolamenti governativi per cui l iter, adattando al sistema degli organi regionali quello dello Stato è stato comunemente quello della delibera della Giunta regionale, sentito il parere obbligatorio del Consiglio di giustizia amministrativa, determinazione con decreto del Presidente della Regione, sottoposto al controllo della Corte dei conti. Non mancano ovviamente, come nello Stato, atti di disciplina di incerta natura come direttive, criteri di applicazione, circolari pseudo regolamentari, ecc.; per i quali una ridisciplina anche in relazione alla gerarchia delle fonti è sempre più avvertita. Per quanto riguarda la generalità delle Regioni, comunque, il venir meno della riserva di competenza nei consigli, a seguito della detta modifica dell art. 121 della Costituzione, sembra imporre, ove non sia già avvenuto (per il che le informazioni dei

componenti dell O.L.I. sarebbero molto utili), una chiara disciplina del mezzo regolamentare (tipologia, limiti, competenza, procedimento) a partire dalle norme statutarie. E ciò, anche nell ambito d una fattuale tendenza verso la chiarezza delle fonti normative regionali e la loro gerarchia.

TAR Lazio, Sez. I Sent. 5 maggio 2008, n. 3675 (Accesso ai documenti amministrativi) Il ricorso alla Commissione per l accesso ai documenti amministrativi, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, si configura come un ricorso gerarchico improprio, con la conseguenza che: a) il trasferimento in sede giurisdizionale di una controversia instaurata in sede gerarchica può avvenire solo quando il procedimento giustiziale sia stato correttamente instaurato (e ciò, al fine di evitare facili elusioni del termine decadenziale previsto per l esercizio dell azione innanzi al giudice); b) una volta verificata la rituale introduzione del rimedio amministrativo, il giudice, ove ne sia richiesto nel ricorso, potrà prender cognizione diretta anche dell originario provvedimento impeditivo dell accesso. Alla chiarezza della massima si aggiunge il richiamo al procedimento fatto nella sentenza stessa; secondo cui: per il caso di diniego dell accesso, il comma 4 dell art. 25 della legge n. 241 del 1990 (nel testo introdotto dall art. 17 della legge 11 febbraio 2005, n. 15) offre al richiedente la duplice possibilità: a) di presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5; b) di chiedere il riesame della determinazione negativa al difensore civico, per gli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, ovvero alla Commissione per l accesso nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato.. Alla conclusione del detto riesame che deve avvenire nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell istanza, decorso infruttuosamente il quale il ricorso si intende respinto la Commissione, se rileva l illegittimità del diniego (o del differimento), ne dà comunicazione all autorità disponente, la quale può emanare entro i successivi trenta giorni un provvedimento confermativo motivato del diniego stesso. In assenza di conferma, l accesso è consentito. La detta disciplina trova sviluppo nel regolamento approvato con D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, che all art. 12, individuate nei primi 4 commi le modalità di presentazione del gravame amministrativo, prevede che la Commissione, qualora non dichiari il ricorso irricevibile (se proposto tardivamente) o ovvero se privo dei requisiti di cui al comma 3 o degli eventuali allegati indicati al comma 4 ), in ogni altro caso lo esamina e lo decide (comma 7); la decisione di irricevibilità o di inammissibilità non preclude peraltro la facoltà di riproporre la richiesta d accesso e quella di proporre il ricorso alla Commissione avverso le nuove determinazioni o il nuovo comportamento del soggetto che detiene il documento. L art. 25 legge n. 241/90, nel sancire poi che contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma quarto è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale (comma 5), specifica che questo termine, laddove sia stato chiesto il riesame alla Commissione, decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell esito della sua istanza.