CASSAZIONE CIVILE SEZIONE I



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CASSAZIONE CIVILE SEZIONE I Sentenza 23 novembre 2004 n. 22116 Pres. Plenteda D Rel. Fioretti FM P.M. Ceniccola R (Conf.) Pizzighello c. Provincia Biella SANZIONI AMMINISTRATIVE - DEPENALIZZAZIONE DI DELITTI E CONTRAVVENZIONI - IN GENERE - Rifiuti speciali e pericolosi - Omessa od incompleta tenuta del registro di carico e scarico - D.Lgs. n. 22 del 1997 - Applicazione delle sanzioni amministrative a fatti prima previsti come reato - Ammissibilità. In tema di disciplina dei rifiuti, il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 ha mantenuto l'obbligo della tenuta del registro di carico e di scarico dei rifiuti pericolosi e speciali e l'obbligo di annotarvi le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti, prevedendo, per la violazione di tali obblighi, una sanzione amministrativa anzichè penale (come era nella disciplina previgente di cui al d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915 e al D.L. 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475); nel contempo - in particolare attraverso l'art. 55, comma terzo - detto D.L. ha inteso regolare in via transitoria la successione tra la norma penale e quella che configura l'illecito amministrativo, evitando che condotte, tenute nel vigore della norma incriminatrice, e successivamente depenalizzate, risultino prive di ogni sanzione. E' pertanto legittima l'applicazione della sanzione amministrativa di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997 per la violazione degli obblighi di tenuta ed annotazione del registro di carico e scarico, ancorchè la condotta omissiva sia stata posta in essere quando il fatto era considerato dalla legge come reato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso, depositato il 20.10.2000, diretto al Tribunale di Biella, P. R. proponeva opposizione alla ordinanza - ingiunzione, emessa dalla Provincia di Biella a seguito di verbale del 23.9.1995, elevato dai Carabinieri di Salussola per violazione degli artt. 3, comma 5, e 9 octies, comma 3, L. n. 475/88, punita dall'art. 52, comma 1 e 2, Dlgs. n. 22/97. Il ricorrente chiedeva preliminarmente dichiararsi l'illegittimità ed invalidità dell'ingiunzione opposta:

perché l'obbligazione di pagamento si era estinta ex art. 14, ultimo comma, L. 24.11.81 n. 689; perché veniva sanzionato un fatto commesso anteriormente all'entrata in vigore della normativa sanzionatoria, in contrasto con la disposizione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione e con l'art. 1 della L. n. 689/81. Chiedeva, altresì, dichiararsi la intervenuta prescrizione del reato all'atto dell'entrata in vigore del Dlgs n. 22/97; dichiararsi che ai sensi della normativa vigente all'atto dell'accertamento nessun obbligo incombeva all'opponente di far luogo all'annotazione sull'apposito registro dei rifiuti speciali (filtri oli esausti e rottame ferroso da ricambi di auto riparazioni); dichiararsi la nullità del verbale di accertamento con riferimento alla mancata individuazione dei rifiuti dei quali si contestava la omessa annotazione. In subordine chiedeva fissarsi la sanzione al minimo edittale nella misura ridotta di Lire 2.000.000 non avendo la ditta P. alcun dipendente. Con sentenza del 20 giugno 2001, depositata il 17 luglio 2001, il giudice adito rideterminava la sanzione irrogata in lire 8.000.000, confermando nel resto il provvedimento impugnato. Avverso tale sentenza P. R., quale titolare della ditta A. P. R., cor.te in Candelo, ha proposto ricorso per cassazione basato su sei motivi, La Provincia di Biella ha resistito con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto - Irrituale notifica del verbale di accertamento art. 14 L. 689/81. Assume il ricorrente che la notifica del verbale di accertamento, effettuata da un funzionario della Provincia e non dell'ente accusatore (Carabinieri di Salussola), sarebbe irrituale e, quindi, comporterebbe, ex art. 14 ultimo comma della L. n. 689/81 l'estinzione della obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione. Tale motivo di ricorso per ragioni di connessione logico - giuridica va esaminato insieme al quinto motivo. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia insufficiente motivazione in relazione all'eccepita, inesistenza della notificazione degli estremi della violazione. Il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere validamente eseguita la notificazione degli estremi della violazione con riferimento alla normativa prevista dal codice di procedura penale, essendo questa inapplicabile nel caso di specie non vertendosi in materia penalmente rilevante. In ogni caso anche ai sensi di tale normativa, erroneamente richiamata, l'ente Provincia non poteva ritenersi legittimata a notificare, estremi di violazioni non accertate dalla stessa. Il tribunale avrebbe sostanzialmente omesso di motivare il proprio convincimento in merito alla validità della contestata notificazione. Entrambi i motivi sono inammissibili. Come si evince dalla impugnata sentenza, l'attuale ricorrente aveva contestato l'ordinanza - ingiunzione, assumendo, tra l'altro, che l'obbligo di pagamento della

sanzione pecuniaria irrogatagli si era estinto ai sensi dell'art. 14 ultimo comma della L. n. 689/81, poiché nessun verbale contenente gli estremi della violazione ere stato a lui notificato dai C.C. della Stazione di Salussola, che avevano proceduto all'accertamento. Il giudice a quo ha ritenuto infondato il motivo di opposizione, affermando che la contestazione e notificazione all'opponente doveva essere considerata validamente eseguita, poiché all'epoca, in cui fu redatto il verbale di contestazione - 02.06.1994 - la violazione in questione era considerata reato e, pertanto, i C.C. di Salussola avevano dato comunicazione all'autorità competente, che aveva proceduto "a contestare e notificare gli estremi della violazione all'opponente, così come previsto dalla vigente normativa del codice di procedura penale. I motivi in esame non censurano specificamente la riportata motivazione, atteso che non chiariscono le ragioni giuridiche per cui la contestazione, da parte dell'autorità giudiziaria, della violazione, commessa dall'attuale ricorrente, non potesse ritenersi validamente eseguita al fine dell'applicazione della sanzione amministrativa. Addirittura con il primo motivo si fa riferimento ad un dato di fatto che non risulta dalla sentenza impugnata, e precisamente là ove si afferma che la notifica del verbale di accertamento della violazione era stata effettuata da un funzionario dell'ente Provincia e che, quindi, tale notifica doveva ritenersi irrituale perché non eseguita dai C.C. di Salussola. L'esame di siffatta censura richiederebbe un accertamento di fatto non consentito in sede di legittimità. Per quanto su esposto entrambi i motivi in questione devono essere ritenuti inammissibili. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto - Inapplicabilità dell'art. 40 della L. 689/81 - Violazione dell'art. 25 Cost. - Applicabilità dell'art. 1 L. 689/81. Deduce il ricorrente che il comportamento, che integrava una ipotesi di reato nel momento in cui fu redatto il verbale di accertamento, successivamente era divenuto penalmente irrilevante, perché la normativa, che lo prevedeva, era stata abrogata, dovendo escludersi una vicenda di depenalizzazione. Si potrebbe parlare di depenalizzazione soltanto se la fattispecie normativa sanzionata fosse rimasta identica e fosse mutato soltanto il tipo di sanzione (da penale ad amministrativa). Ciò non si sarebbe verificato, perché con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 22/97 sarebbe stata rivoluzionata la normativa sui rifiuti ed in particolare con la loro diversa classificazione sarebbero mutati i parametri di riferimento. La pretesa della Provincia di sanzionare in sede amministrativa un comportamento posto in atto precedentemente all'entrata in vigore della legge sanzionatoria urterebbe con le cogenti disposizioni dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Non potendosi applicare nel caso di specie l'art. 40 della L. n. 689/81, risulterebbe applicabile l'art. 1 della L. n. 689/81, che prevede il principio di legalità.

Le fattispecie di cui all'art. 3, comma 5, e 9 octies, comma 3, della L. 475/88 non sarebbero parificabili agli artt. 11 e 12 D.Lgs. n. 22/1997. Il registro, di cui all'art. 12, comma 1, del D.Lgs. n. 22/97 non sarebbe quello previsto dall'art. 19 d.p.r. 10.9.82 n. 915, ma sarebbe un documento sostanzialmente diverso nei contenuti. La nuova normativa del D.Lgs. n. 22/97, infatti, non avrebbe depenalizzato fattispecie normative rimaste identiche, ma invece con l'art. 56 avrebbe abrogato le vecchie norme ed avrebbe creato nuove fattispecie sanzionabili, diverse ancorché analoghe a quelle preesistenti. Tale motivo, per ragioni di connessione logico - giuridica, va esaminato insieme al sesto motivo. Con detto motivo il ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla eccepita inapplicabilità dell'art. 40 L. 689/81. Il giudice a quo, affermando che il regime sanzionatorio della precedente legge n. 475/88 era stato reso "più severo" dalla nuova normativa del D.Lgs. n. 22/97, avrebbe dovuto ritenere sussistente la violazione dell'art. 25 della Costituzione e non applicabile la nuova normativa più severa. Nulla comunque detto giudice avrebbe ritenuto di precisare in relazione al fatto che la fattispecie normativa sanzionata dal D.Lgs. n. 22/97 non corrisponde a quella sanzionata dalla vecchia normativa della L. 475/88, in quanto non sarebbe possibile equiparare la categoria dei rifiuti "speciali" a quella dei rifiuti "pericolosi". Entrambi i motivi in esame sono infondati. Il giudice a quo ha respinto la tesi che con la sopravvenienza della nuova normativa sui rifiuti fosse venuta meno ogni rilevanza del fatto contestato al P. in sede penale, osservando che l'art. 56 del D.L. vo 5 febbraio 1997 n. 22, abrogando le norme preesistenti in materia di rifiuti, ma ha voluto snellire quei fatti precedentemente previsti come reati e perseguiti penalmente, ma ha voluto snellire le procedure repressive a maggior garanzia e tutela del bene protetto, contemperando le esigenze del nuovo regime giuridico con le previsioni delle condotte ritenute illecite, ampliando l'ambito di applicazione e rendendo più severo il regime sanzionatorio della precedente L. 475/88. Appare subito necessario un chiarimento. Con l'espressione "rendendo più severo il regime sanzionatorio", che va letta facendo riferimento alla precedente espressione "ampliando l'ambito di applicazione", il tribunale non ha certamente inteso affermare che la sanzione amministrativa è più grave di quella penale, ma solamente che la nuova normativa è più severa, in quanto disciplina in maniera più completa ed adeguata la materia dei rifiuti rispetto alla normativa precedente, apprestando una più efficace tutela della salute e dell'ambiente. Devesi osservare, poi, che nell'affermare che il D.L.vo n. 22/97 non ha inteso rendere lecite condotte che, nella previgente disciplina, erano sanzionate penalmente, il tribunale si è conformato a quanto già affermato da questa corte con le sentenze n. 19529 del 19.12.2003 e n. 15785 del 22.10.2003 e dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza n. 233 del 1999. Passando all'esame specifico della fattispecie per cui è causa (omessa registrazione di rifiuti sul registro di carico e scarico), il collegio osserva.

L'art. 19 del d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915 disponeva che presso ogni impianto che producesse, detenesse provvisoriamente, effettuasse trattamenti o provvedesse allo stoccaggio definitivo, nonché presso la sede delle imprese di trasporto dovesse essere tenuto un apposito registro di carico e scarico, sul quale effettuare una serie di annotazioni (specificate dalla norma) per i vari rifiuti tossici e nocivi. L'art. 3, comma 5, del D.L. 9 settembre 1988, n. 397, convertito in legge 9 novembre 1988 n. 475, estese l'obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico, già prevista dal citato art. 19 ai produttori di rifiuti speciali derivanti da lavorazioni industriali ed artigianali con esclusione di quelli di cui al n. 3) del terzo comma dell'art. 2 del d.p.r. n. 915 del 1982. L'art. 9 octies, comma 3, del D.L. n. 397 del 1988, aggiunto dalla legge di conversione n. 475 del 1988, puniva con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda fino a lire dieci milioni i legali rappresentanti delle imprese od enti che non ottemperavano agli obblighi relativi ai registri di carico e scarico di cui al precedente articolo 3, comma quinto, ed all'art. 19 del d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915. Con il D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 il legislatore nazionale ha dettato una nuova normativa in materia di rifiuti, che, come affermato nel preambolo dello stesso D.Lgs., costituisce un sistema compiuto di disciplina del settore dei rifiuti. L'art. 56 del D.Lgs. n. 22 del 1997 ha abrogato, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, il d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915, nonché il D.L. 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, ad eccezione degli artt. 7, 9 e 9-quinquies, che non contengono, però, previsioni riguardanti il caso di specie. In virtù della disposizione abrogatrice summenzionata, dal momento della entrata in vigore della nuova disciplina, il fatto contestato al P. ha cessato di costituire reato. Non si può fondatamente ritenere, però, che sia rimasto privo di sanzione, come sostenuto dal ricorrente, dovendosi ritenere invece, per le considerazioni che seguono, che sia attualmente punibile con sanzione amministrativa. L'art. 12 del D.Lgs. n. 22/97 dispone che i soggetti di cui all'art. 11, comma 3 tra i quali figurano le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali ed artigianali di cui all'art. 7, comma 3, lettere C), D) e G) hanno l'obbligo di tenere un registro di carico e scarico, su cui devono annotare le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti, da utilizzare ai fini della comunicazione annuale al catasto. L'art. 52 del citato D.Lgs. (relativo agli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari) al secondo comma dispone che chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui all'art. 12, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinque milioni a lire trenta milioni. Il successivo art. 55, comma 3, stabilisce che l'autorità giudiziaria, per i procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore della nuova normativa sui rifiuti, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, deve disporre la trasmissione degli atti alla Provincia (o al

Comune per le ipotesi di sua competenza) nel cui territorio è stata commessa la violazione "ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative". Dal quadro normativo surriportato si ricava che la nuova normativa ha mantenuto l'obbligo della tenuta del registro di carico e scarico e l'obbligo di annotarvi le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti, prevedendo però per la violazione degli obblighi summenzionati una sanzione amministrativa. Si evince, altresì, che il legislatore, come, affermato dalla Corte Costituzionale nella citata ordinanza n. 233 del 1999, si è preoccupato di regolare in via transitoria la successione fra le norme penali e quelle che configurano l'illecito amministrativo, con un chiaro ed univoco riferimento alle ipotesi di depenalizzazione alle condotte in precedenza costituenti reato ed attualmente trasformate in illeciti amministrativi, al fine di evitare che condotte, tenute nel vigore della norma incriminatrice, successivamente depenalizzate, risultino prive di ogni sanzione. Si può, pertanto, fondatamente ritenere, anche in considerazione del fatto che quello attuale costituisce un più compiuto sistema di disciplina del settore dei rifiuti, che la violazione degli obblighi summenzionati (di tenuta ed annotazione del registro di carico e scarico) non è rimasta priva di sanzione (come sostenuto dal ricorrente), ma che, essendo stata trasformata dalla nuova normativa in illecito amministrativo, è, invece, punibile con sanzione amministrativa. Ne deriva che non sussiste la denunciata violazione del principio di legalità, atteso che uno stesso fatto, previsto in precedenza come illecito penale, integra attualmente, in virtù della sua depenalizzazione, un caso di illecito amministrativo. Né la fattispecie normativa sanzionata dal D.Lgs. n. 22/97 può ritenersi diversa da quella sanzionata dalla vecchia normativa della L. 475/88, non essendo possibile equiparare la categoria dei rifiuti "speciali", prevista da detta ultima legge, a quella dei rifiuti "pericolosi", prevista dal menzionato D.Lgs.. In base alla normativa precedente i rifiuti erano classificati in: urbani, speciali, tossici e nocivi (vedi art. 2 d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915). La nuova normativa (vedi art. 7 D.Lgs. n. 22/97 ha distinto i rifiuti, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi (indicando nell'elenco di cui all'allegato D, sulla base degli allegati G, H ed I i rifiuti che debbono ritenersi pericolosi). Il fatto, che i rifiuti in questione, come assume il ricorrente, fossero compresi in precedenza tra i rifiuti speciali e considerati poi, in base alla nuova normativa, pericolosi, non comporta la diversità della fattispecie configurata prima come reato da quella configurata come illecito amministrativo, atteso che quello che rileva, al fine di ritenere la identità delle due fattispecie, è che sia stato previsto, sia dalla precedente che dalla nuova normativa, per i rifiuti per cui è causa, l'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico e di annotazione sugli stessi delle informazioni relative alla loro qualità e quantità, restando entrambi gli illeciti integrati dalla omessa od incompleta tenuta del registro di carico e scarico da parte di determinati soggetti ed in quest'ultimo caso dalla mancata annotazione delle informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto - Applicabilità della prescrizione ex art. 157 C.P. intervenuta prima dell'entrata in vigore del D.Lgs 22/97. Deduce il ricorrente che, trattandosi di un reato formale di pura condotta, che si perfezionava istantaneamente con il compimento di una data omissione, e non di un reato permanente, nel momento dell'entrata in vigore della nuova normativa la contravvenzione contestatagli, essendo decorsi i termini di cui all'art. 157 c.p., dovevasi ritenere estinta per prescrizione. Conseguentemente il giudice penale avrebbe dovuto dichiarare con la sentenza n. 408/98, emessa il 30.9.98, la prescrizione del reato e non limitarsi ad assolvere l'imputato perché il fatto non era più previsto come reato. Pertanto, ammesso che nel caso di specie ricorra una ipotesi di depenalizzazione, dato che al momento della depenalizzazione il reato si era già estinto per prescrizione, per il relativo fatto non poteva essere irrogata la prevista sanzione amministrativa. Tale motivo di ricorso è inammissibile. Il giudice a quo ha respinto il relativo motivo di opposizione osservando che "all'epoca in cui è stata accertata la violazione di cui agli artt. 3 comma 5 e 9 octies comma 3 della L. 475/88, la stessa veniva considerata come reato; l'art. 157 comma 1 n. 5 c.p. statuisce che qualora si tratti di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell'arresto, la prescrizione estingue il reato in tre anni; orbene poiché la scheda di rilevamento dei rifiuti prodotti porta come data di compilazione il 18.02.1994 - data in cui è stata accertata la violazione -, mentre il decreto penale di condanna emesso dal G.I.P. porta la data dell'11-09-96, se ne deduce che il termine prescrittivo previsto dalla norma non è stato superato; tra l'altro come lo stesso opponente fa evincere in ricorso, qualora i termini di prescrizione fossero stati superati, già il giudice del procedimento penale avrebbe dichiarato prescritto il reato e non, invece, assolto l'imputato perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.". Tale motivazione, come si evince dal motivo su riportato, non è stata specificamente censurata, essendosi limitato il ricorrente a contestare genericamente il termine di decorrenza della prescrizione. Né ha minimamente censurato l'affermazione che, qualora i termini di prescrizione fossero stati superati, lo stesso giudice penale avrebbe dichiarato prescritto il reato senza assolvere, invece, l'imputato perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di diritto - Erronea quantificazione della sanzione - Art. 52, II co., D.Lgs. n. 22/97. Poiché i rifiuti contestati al momento dell'accertamento (23.9.1995) erano considerati rifiuti "speciali", ma non "tossico - nocivi" doveva applicarsi al caso di specie la sanzione ridotta (da Lire 2.000.000 a Lire 12.000.000) di cui all'art. 52, n. 2, del D.Lgs. n. 22/97 e cioè la sanzione prevista per il caso di piccole imprese con meno di 15 dipendenti e per rifiuti "non pericolosi". Pertanto il doppio del minimo edittale, ritenuta sanzione adeguata dal giudice a quo, avrebbe dovuto essere indicato in Lire 4.000.000 e non in Lire 8.000.000. Tale motivo è infondato.

L'art. 52 del D.Lgs. n. 22 del 1997 dispone che le sanzioni previste per chi omette di tenere o tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico sono ridotte da lire 2.000.000 a lire 12.000.000 per i rifiuti non pericolosi e da lire 4.000.000 a lire 24.000.000 per i rifiuti pericolosi, nel caso di imprese che occupano un numero di unità lavorative inferiore a 15 dipendenti. Il giudice a quo, nel prendere in considerazione il minimo edittale di lire 4 milioni, ha ritenuto che i rifiuti per cui è causa rientravano tra quelli classificati come pericolosi. Non basta sostenere che detti rifiuti erano dalla normativa precedente classificati come speciali per escluderne il carattere di rifiuti pericolosi, atteso che, come già detto, mentre detta normativa distingueva i rifiuti in urbani, speciali, tossici e nocivi, la nuova normativa ha distinto i rifiuti, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi (indicando nell'elenco di cui all'allegato D, sulla base degli allegati G, H ed I i rifiuti che debbono ritenersi pericolosi), adottando così una non coincidente classificazione, in relazione alla quale doveva essere individuata, come fatto dal giudice a quo, la caratteristica del rifiuto, di cui era stata omessa la annotazione sul registro di carico e scarico, e determinata la sanzione amministrativa da applicare nel caso concreto, senza che soltanto in base alla precedente classificazione tra i rifiuti speciali potesse esserne esclusa la pericolosità. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto ed il ricorrente, in virtù del principio della soccombenza, deve essere condannato a rimborsare alla amministrazione resistente le spese del giudizio di legittimità, che, tenuto conto del valore e della complessità della controversia, appare giusto liquidare in complessivi euro 900,00 (novecento), di cui euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 900,00 (novecento), di cui euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge.