IL RISARCIMENTO DEL DANNO TANATOLOGICO

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Cendon / Book DIRITTO CIVILE Professional IL RISARCIMENTO DEL DANNO TANATOLOGICO ATTENDENDO LE SEZIONI UNITE Luca Lucenti

L'autore Luca Lucenti è avvocato ed esercita a Pesaro. Pubblica assiduamente contributi in materia di danni, diritto fallimentare ed informatica giuridica. L Opera Si intende offrire al lettore una descrizione dell attuale situazione dottrinale e giurisprudenziale sul delicato tema del risarcimento del danno da perdita della vita, in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, recentemente investite della questione.

INDICE Capitolo Primo PREMESSE 1. Definizioni 2. La difficile morte e le diverse sensibilità nell affrontarla 3. Dove nasce il danno tanatologico: il danno parentale 4. Il danno parentale jure proprio e jure successionis: cenni 5. Conclusioni Capitolo Secondo DOVE ERAVAMO, DOVE SIAMO 1. Dalla morte senza valore al danno tanatologico 2. Dove eravamo 3. Dove siamo 3.1. Il danno biologico terminale 3.2. Il danno morale terminale 3.3. Il danno catastrofale e il problema della consapevolezza della vittima 4. Conclusioni Capitolo Terzo DOVE STIAMO ANDANDO 1. La vita come bene in sé: Cass. Civ., Sez. III, 23/01/2014, n.1361 2. Perché bisogna risarcire la perdita della vita 3. Il ritorno del danno evento 3.1. Danno-evento e danno-conseguenza 3.2. Il danno tanatologico è danno evento 3.3. E danno in re ipsa? 3.4. Verso una riconsiderazione in chiave eventistica del danno?

4. La struttura del danno tanatologico: pillole di Cass. Civ. 1361/2014 4.1. In cosa consiste il danno tanatologico 4.2. Quando sorge 4.3. Condizioni di risarcibilità 4.4. Funzione compensativa e trasmissibilità jure hereditatis 4.5. Natura e rapporti con le altre figure: il concorso di voci risarcitorie 5. Problematiche relative alla liquidazione del danno tanatologico 5.1. La direttrice biologico tabellare 5.2. La direttrice biologico tabellare personalizzata 5.3. La direttrice equitativa 6. In attesa delle Sezioni unite 7. Indice cronologico della giurisprudenza citata

Capitolo Primo PREMESSE 1. Definizioni. Legislazione: art. 2043 c.c. Giurisprudenza: Cass. Civ., Sez. III, 23/01/2014, n.1361, Cass. Civ., Sez. III, 04/03/2014, n. 5056 Come si deduce dalla radice etimologica greca (θάνατος = morte), il danno tanatologico presuppone la morte di un determinato soggetto, ovverosia la perdita, da parte di quest ultimo, del bene della propria vita a causa del fatto dannoso altrui. Si tratta, dunque, di una di quelle figure che si intersecano, al pari di altre collocate dentro e fuori il recinto della responsabilità aquiliana (danno da morte del nascituro, wrongful birth, eutanasia, suicidio assistito e simili), con le problematiche del fine vita. Problematiche delicate, la cui valutazione è sempre comprensibilmente influenzata dalle convinzioni proprie del singolo interprete, chiamato a rispondere a domande dotate di un certo peso specifico. La vita, in se stessa considerata, è un bene nel senso giuridico del termine? E, se sì, è suscettibile di valutazione economica? E, se sì, la sua lesione può essere patrimonializzata? E, se sì, con quali criteri si potrà liquidare il corrispettivo di tale lesione, trasformandolo in denaro sonante? E chi, poi, si gioverà dei risultati di tale operazione, visto che il danneggiato, per la stessa natura delle fattispecie in esame, muore? E ancora: come si rapporta tale voce di danno con le altre voci teoricamente ipotizzabili nel caso di lesione terminale alla persona? Vedremo che, nel tentare di rispondere a queste domande, giurisprudenza e dottrina hanno seguito alcune direttrici, che in seguito si cercherà di ricondurre ad un percorso in qualche modo ordinato nel tempo. Si tratta, come è ovvio, di un artifizio espositivo, visto che i vari orientamenti relativi al risarcimento del danno in questione che si andranno via via esponendo, non si sono succeduti cronologicamente, ma si sono tra loro variamente sovrapposti in modo pressoché contemporaneo e, comunque, senza un ordine preciso. Ciò non toglie, però, che il riconoscimento della risarcibilità del danno da perdita della vita come bene in sé cui la giurisprudenza è da ultimo pervenuta con la nota sentenza-trattato Cass. Civ., Sez. III, 23/01/2014, n.1361 costituisce comunque il punto terminale di uno sviluppo, per quanto disorganico esso possa essere stato. Come vedremo, infatti, sino alla sentenza appena citata, la risarcibilità di tale genere di danno era stata normalmente esclusa, pur con qualche eccezione. E, d altro canto, solo per via di detta sentenza si sono create le condizioni per la rimessione del problema alla Suprema Corte dando così al sistema la possibilità di pervenire ad un auspicabile punto fermo sulla questione (v. Cass. Civ., Sez. III, 04/03/2014, n. 5056). Dunque, mentre si attende l esito delle Sezioni Unite, è sembrato utile cercare di ricostruire il novantennale cammino in esito al quale la sensibilità giuridica, partita dal considerare 9

pressoché impensabile la risarcibilità del danno da perdita della vita in se stessa considerata, è da ultimo pervenuta ad affermarne espressamente l ammissibilità. Prima di iniziare appare utile un ulteriore premessa di carattere definitorio. In materia di risarcimento del danno da perdita della vita, giurisprudenza e dottrina utilizzano diverse espressioni, ormai facenti parte del gergo tecnico di chi si ne occupa, le quali saranno adoperate anche nei paragrafi e capitoli che seguono: danno biologico terminale, danno morale terminale, danno biologico psichico, danno catastrofale, danno catastrofale o catastrofico e lo stesso sintagma danno tanatologico. Ora, come è noto, le definizioni giuridiche sono spesso convenzionali, quando non del tutto arbitrarie. E ciò vale, in particolare, per la materia del danno da perdita della vita dove non esiste alcuna norma che stabilisca cos è tale danno e quale nome esso abbia. Scorrendo le pronunce in materia, si ricava la sensazione di una fondamentale liquidità dei modi in cui, di volta in volta, le diverse espressioni sopra ricordate sono state richiamate ed utilizzate. Caratteristica via via più marcata a misura che le singole decisioni, abbandonando il tradizionale atteggiamento di chiusura, si sono nel tempo avvicinate al riconoscimento del pregiudizio legato alla perdita del bene della vita in se stesso considerato. Ciò ha comportato, e tuttora comporta, che le definizioni giurisprudenziali del fenomeno in esame non sono sempre utilizzate con identici e tantomeno univoci espressioni e significati. Può capitare, così, di trovare sentenze che fanno riferimento, al danno tanatologico in termini di semplice espressione ellittica descrittiva del danno terminale ; sentenze che operano distinguo molto più rigidi tra danno biologico terminale, morale terminale e catastrofale; sentenze che non sembrano separare la nozione di danno morale terminale da quella di danno cd. catastrofale etc. La presente analisi, a sua volta, adotta una terminologia definitoria finalizzata a sintetizzare il più possibile il percorso interpretativo seguito dal tipo di danno in discorso. Un percorso i cui sentieri non sono sempre di facile individuazione, ma che è pur sempre un percorso, con un suo inizio ed un suo esito finale, consistente nel riconoscimento della risarcibilità del danno da perdita del bene vita, ovverosia di ciò che nel seguito dell analisi si intenderà per danno tanatologico. Nel medesimo intento si distingueranno, inoltre, nettamente danno biologico terminale, danno morale terminale e danno catastrofale/catastrofico. Ma corre l obbligo di avvertire che si tratta di nettezze aventi rilevanza pratica molto più sfumata, sebbene possiedano un innegabile idoneità descrittiva, che ne giustifica l utilizzo. 2. La difficile morte e le diverse sensibilità nell affrontarla. Legislazione: art. 2043 c.c. Giurisprudenza: Cass. Civ., Sez. III, 16/05/2003, n. 7632, Cass. Civ., S. U., 11/11/2008, n. 26972, Cass. Civ., Sez. III, 08/04/2010, n. 8360, Cass. Civ., Sez. III, 24/03/2011, n. 6754, Cass. Civ., Sez. III, 11/10/2012, n. 17320, Cass. Civ., Sez. III, 23/01/2014, n.1361 Sotto un profilo casistico, è ovvio che in tutte le fattispecie in cui si discute di danno da perdita della vita la morte della vittima è un elemento indefettibilmente presente. Va aggiunto, però, che, molto spesso, la morte che entra in gioco in dette fattispecie non è una morte, per così dire normale, ma è una morte che si potrebbe definire come sofferente, dolorosa. Una difficile morte, insomma. Qualche esempio. Un agricoltore sale su un albero nell intento di potarlo e, mentre lo fa, resta folgorato da una scarica elettrica proveniente da un cavo dell alta tensione lasciato dal responsabile della rete a contatto con il fogliame. L uomo muore, ma solo dopo aver trascorso circa mezz ora a cavalcioni di un ramo invocando inutilmente aiuto, impossibilitato a muoversi a causa dello shock elettrico subito (caso deciso da Cass. Civ., Sez. III, 08/04/2010, n. 8360). 10

Ancora. Una persona viene investita da un auto riportando lesioni gravissime in esito alle quali trascorre in vita circa dieci giorni, durante i quali viene sottoposta a numerosi interventi chirurgici, per poi morire (caso deciso da Cass. Civ., Sez. III, 16/05/2003, n. 7632). Infine. Un giovane poco più che ventenne sale a bordo di una potente auto condotta da un conoscente. Quest ultimo perde il controllo del veicolo. L auto, conseguentemente, esce di strada e si schianta contro un albero, incendiandosi. Il ragazzo, rimasto intrappolato nelle lamiere, muore arso vivo (caso deciso da Cass. Civ., Sez. III, 11/10/2012, n. 17320). Ora, a stretto rigore la difficile morte, propria, in misura maggiore o minore, di tutte le ipotesi sopra considerate, non è, probabilmente, un elemento strutturale indispensabile ai fini del riconoscimento della risarcibilità del danno tanatologico, posto che esso consiste nella perdita del bene vita in se stesso considerato, indipendentemente, dunque, dalle modalità con le quali tale perdita si realizza. E, ciononostante, leggendo le decisioni in materia, si ricava la sensazione piuttosto netta che esso abbia giocato un ruolo a volte decisivo nel progressivo processo di riconoscimento del danno in esame da parte della giurisprudenza. Quasi una precondizione tacita, utilizzata nella valutazione dell an e del quantum di tale tipo di danno, i diversi approcci alla quale hanno determinato esiti di tenore molto diverso tra loro. Si legga, ad esempio, l opinione alquanto tranciante, a dire il vero - secondo cui, premessa l inesistenza, nel nostro ordinamento, del danno punitivo ed aggiunto, altresì, che, in caso di morte della vittima, le tradizionali funzioni riparatoria e consolatoria del danno non possono per definizione operare essendo essa deceduta, conclude che: pretendere che [una tale tutela] sia data «anche» al defunto corrisponde solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai congiunti" (Cass. Civ., Sez. III, 24/03/2011, n. 6754). E la si confronti con la descrizione intima, quasi sofferta, della catastrofe patita durante la sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l agonia in consapevole attesa della fine (Cass. Civ., S. U., 11/11/2008, n. 26972), sofferenza meritevole di tutela risarcitoria sotto il profilo del danno non patrimoniale in quanto di massima intensità anche se di durata contenuta [non suscettibile] in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico (Cass. Civ., S. U., 11/11/2008, n. 26972), E si legga, infine, l approccio diretto ed immediato al problema, da ultimo emerso in giurisprudenza secondo cui negare alla vittima il ristoro per la perdita della propria vita significa determinare una situazione effettuale che in realtà rimorde alla coscienza sociale, costituendo ipotesi che del principio in argomento viene invero a minare la bontà, dando adito ad aneliti di relativo abbandono o superamento in quanto divenuto una "gabbia interpretativa" inidonea a consentire di pervenire a legittimi risultati ermeneutici, rispondenti al comune sentire sociale dell'attuale momento storico (Cass. Civ., Sez. III, 23/01/2014, n.1361). Posizioni molto diverse tra loro, che tradiscono diverse attitudini, diverse sensibilità rispetto alla fattispecie risarcitoria del tipo qui in rilievo e, per queste rispettive vie, pervengono a risultati a loro volta molto differenti tra loro. 11

Il che, al di là dell enfatizzazione del contrasto derivante dall estrapolazione dei brani sopra riportati dai rispettivi contesti motivazionali, serve tuttavia ad evidenziare un aspetto, per così dire, pregiuridico del danno da perdita della vita: la particolare rilevanza che, nella sua valutazione, rivestono, da un lato, il caso concreto, la fattispecie nei suoi connotati umani, duri e diretti e, dall altro le singole sensibilità individuali di chi è chiamato, prima, a descriverlo negli atti difensivi e, poi, a deciderne le sorti. 3. Dove nasce il danno tanatologico: il danno parentale. Legislazione: artt. 565, 581, 586, c.c. Giurisprudenza: Trib. Lecce, 17/09/2001, Cass. Civ., Sez. III, 31/05/2003, n. 8827-8, Trib. Milano, Sez. IX, 12/09/2011 Nel paragrafo precedente si è analizzato l elemento morte della vittima e l influenza concreta che lo stesso sembra rivestire nella valutazione dei singoli casi. Lo stesso elemento, però, va ora esaminato in una prospettiva diversa. Una volta stabilito, infatti, che la morte della vittima è elemento indefettibile in tutte le ipotesi in cui si discuta di danno da perdita del bene della vita, ne segue che, ammessane la risarcibilità, il conseguente ristoro gioverà agli eredi della vittima medesima, non già a quest ultima. Tale seconda caratteristica ha determinato una conseguenza pratica, consistente nel fatto che la problematica del danno in esame ha spesso trovato il suo naturale terreno di sviluppo nel più ampio contesto del risarcimento del danno parentale. E ciò in quanto, in molti casi la qualità di erede è riconnessa alla qualifica di congiunto (quantomeno in senso stretto) dello scomparso. Senonché, però, tale coincidenza, ancorché ricorrente, non sembra affatto necessaria ed, anzi, in realtà, il presupposto del danno da perdita della vita pare essenzialmente consistere, più che nella qualifica di congiunto nella qualità di erede della vittima goduta dal beneficiario finale del risarcimento. Il che, in definitiva, ha l effetto di svincolare lo studio del danno tanatologico da quello del danno parentale, anche se le due figure risultano in concreto spesso correlate, come si è sopra accennato. Pare utile, dunque, soffermarsi sinteticamente sui rapporti tra esse. 4. Il danno parentale jure proprio e jure successionis: cenni. Legislazione: artt. 565, 581, 586, c.c. Giurisprudenza: Trib. Lecce, 17/09/2001, Cass. Civ., Sez. III, 31/05/2003, n. 8827-8, Trib. Milano, Sez. IX, 12/09/2011 In via descrittiva, la vittima di un determinato evento dannoso traumatico può riportare conseguenze variabili tra gli estremi delle lesioni lievissime e talvolta appena percettibili (si pensi ai leggeri colpi di frusta) e della morte, passando attraverso la gamma dei vari livelli intermedi di gravità tra essi. Gli ambiti delle lesioni di minore entità (microlesioni) sono tendenzialmente estranei a problematiche di danno parentale e, a maggior ragione, a quelle relative al danno tanatologico. Ad esempio, infatti, se Tizio, investito da una bicicletta durante una passeggiata, si sloga una caviglia, egli si vedrà risarcito il danno patrimoniale e non patrimoniale personalmente 12

riportato nell occorso, ma nessuna problematica sorgerà a causa di autonome pretese di ristoro avanzate, per lo stesso fatto, dei congiunti (meglio: prossimi congiunti) di lui. E ciò per l assorbente ragione che, quantomeno nella ordinarietà dei casi, questi ultimi non avranno risentito alcuna conseguenza autonoma, patrimoniale e non, a causa dell evento che ha colpito, in via immediata, Tizio. Diversa la questione nel caso in cui il predetto Tizio riporti, nell evento dannoso, lesioni gravi o gravissime (macrolesioni), oppure deceda. Si pensi ad esempio al caso di un padre di famiglia, che, in seguito ad un incendio sviluppatosi nel garage del proprio condominio, si attivi per collaborare con i vigili del fuoco al fine di sedarlo, ma, non essendo stato colpevolmente preavvertito dell asportazione di una grata di copertura esistente sul marciapiede, precipiti rovinosamente nello scantinato sottostante riportandone un invalidità permanente prossima al 100% (caso deciso da Trib. Lecce, 17/09/2001). In casi similari, a fianco del danno patito dalla vittima immediata dell evento, si pone un elemento ulteriore, il cd. danno parentale, ovverosia in estrema sintesi - il danno riportato dai prossimi congiunti della vittima immediata della fattispecie dannosa a causa del medesimo evento che ha colpito quest ultima. Danno che colpisce, in via del tutto autonoma e diretta, i predetti prossimi congiunti della vittima, sia sotto il profilo patrimoniale (spese mediche direttamente sostenute, ad esempio), che sotto quello non patrimoniale (in estrema sintesi: lesione del diritto dell integrità del proprio ambiente e della serenità familiare; si veda Cass. Civ., Sez. III, 31/05/2003, n. 88278). Si parla, in tali ipotesi di danni jure proprio riportati dai prossimi congiunti, in relazione al risarcimento dei quali, una volta ammessane la configurabilità tutt altro che scontata, si sono posti diversi problemi: dall individuazione del limite della cerchia familiare definibile in termini di prossimità (via via, ancorché non pacificamente, in via di estensione, oltre che al coniuge e ai figli, anche al convivente more uxorio, al convivente omosessuale, ai fratelli ed alle sorelle, ai nonni ed ai nipoti e in prospettiva ai soggetti in grado di provare l esistenza di una relazione significativa con la vittima immediata ); sino alla necessità (o meno), a fini della riconoscibilità del ristoro, che il rapporto affettivo leso si sia previamente manifestato in forme di effettiva convivenza tra il prossimo congiunto che invoca il risarcimento del danno jure proprio e quello rimasto leso nell evento primario (così, ad esempio, in punto alla risarcibilità del danno invocato dai genitori in seguito alla morte del figlio non più convivente con essi, a quella dei nipoti per la perdita del nonno con cui essi non convivessero, o per quella derivante al coniuge separato, per la scomparsa dell altro). A tali danni jure proprio si affianca inoltre il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, autonomamente subiti dalla vittima immediata dell evento dannoso che sia sopravvissuta all evento stesso. Danni che, come tali, potranno essere autonomamente reclamati dalla vittima immediata secondo le regole ordinarie (si pensi all invalidità permanente del 100% riportata dallo sfortunato padre di famiglia sopra citato ed alle sue conseguenze). Ciò premesso, se ne deduce che l intera tematica appena accennata, pur ponendo dubbi e questioni affascinanti, complesse e foriere di rilevanti contrasti giurisprudenziali, resta estranea alla tematica del danno da perdita della vita che costituisce l oggetto della presente analisi. E ciò per la semplice ragione che, nei casi sino ad ora esaminati, la vittima immediata sopravvive alle disavventure dannose in cui è rimasta coinvolta. Quid, invece, se essa muoia? 13

In detta ipotesi si profila l ulteriore e molto diversa possibilità di configurare un trasferimento per via successoria dalla vittima primaria deceduta ai suoi eredi del diritto al risarcimento del danno causato dal morire ; cioè a dire, per riassumere i vari orientamenti sul punto, del danno maturato dal defunto nell occorso dannoso prima di morire e/o durante il morire e/o per il fatto stesso del morire. Si apre, in altre parole, una problematica legata al tema qui trattato (danno tanatologico o da perdita del bene vita) e, in ambito di danno parentale, si parla danni jure successionis dei prossimi congiunti. Sul punto va però ribadito come il danno da perdita della vita trova spesso collocazione nell ambito del danno parentale essenzialmente a causa del fatto che ivi esso trova la più frequente fonte generatrice casistica, stante la sovrapposizione tra qualità di prossimo congiunto della vittima come tale titolare del diritto al risarcimento dei danni parentali jure proprio - e qualifica di erede della medesima come tale titolare del diritto al risarcimento del danno jure successionis - che spesso si realizza in concreto. Tuttavia, come si è già accennato, tale coincidenza di ruoli non rappresenta elemento indefettibile del danno in esame. In tesi generale, infatti, essendo il danno da perdita del bene vita, nelle sue diverse accezioni che si vedranno in seguito, un danno autonomamente sofferto dal defunto, il cui risarcimento matura nel patrimonio di questi prima della morte e che, in seguito a tale evento, viene trasferito per via ereditaria a terzi, possono ben darsi ipotesi in cui il risarcimento dei danni jure proprio, da un lato e jure successionis, dall altro, possano/debbano essere attribuiti a soggetti diversi che ne sono titolari ai rispettivi titoli. Supponiamo, ad esempio, che Sempronio sia il convivente omosessuale di Caio, già sposato con prole, ma da tempo inserito, senza aver sciolto il vincolo matrimoniale pregresso, nel nuovo contesto familiare di fatto composto da egli medesimo e dal predetto Caio. Supponiamo, altresì, che uno sfortunato giorno Caio rimanga vittima di un sinistro stradale, decedendo a causa delle lesioni riportate dopo un lungo periodo di dolorosa e cosciente agonia. In questo caso Sempronio potrà reclamare il ristoro del danno jure proprio (con possibilità, peraltro non pacifica, di vederselo risarcito: v. Trib. Milano, Sez. IX, 12/09/2011), ma non potrà, invece, azionarsi per il risarcimento del danno jure successionis. Quest ultimo spetterà, infatti, agli eredi legittimi di Caio: cioè a dire alla moglie ed ai figli di questi, in base alle norme sulla successione legittima (artt. 565 e 581 c.c.) e ciò del tutto indipendentemente da considerazioni di natura affettiva o relative alla preventiva convivenza con il defunto o d altro simile genere. Neppure potrebbe probabilmente escludersi l ipotesi limite in cui, mancando eredi legittimi ed in difetto di disposizioni testamentarie, la cui eventuale presenza complica alquanto lo scenario, si verifichi la successione dello Stato per tale tipologia di danni, ex art. 586 c.c. 5. Conclusioni. In conclusione, tirando le somme. Il danno tanatologico trova collocazione per così dire, naturale, nell ambito del danno parentale, ma ne è, in effetti svincolato, rimanendone completamente estraneo in caso di sopravvivenza della vittima diretta ed essendo condizionato ove essa muoia dalla qualità di erede del superstite che invochi il risarcimento jure successionis, più che dalla qualità di prossimo congiunto di quest ultimo. Le relative problematiche interpretative, dunque, vertono sulla stessa configurabilità/ammissibilità di un danno ricollegato alla perdita della vita, intesa quale bene avente autonoma rilevanza, temi molto diversi e, forse logicamente preliminari rispetto a 14

quelli aventi ad oggetto l individuazione dei soggetti legittimati al ristoro che sono tipici del danno parentale jure proprio. Essendo il titolare del bene della vita venuto meno, è ipotizzabile una menomazione della sua sfera giuridica? E si tratta di una lesione risarcibile? A ristoro di cosa? In che modo quantificabile? Queste le domande di cui ci si occuperà nei capitoli che seguono. 15