Qual è la Sua posizione di fronte alla crescente richiesta di replicare il nostro modello distrettuale in altri paesi?



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Transcript:

Sempre più forte è l interesse di altri paesi al modello di sviluppo italiano e sempre più spesso si parla di internazionalizzazione dei distretti, se non addirittura di vera e propria clonazione. E evidente che duplicare sic et simpliciter il modello italiano è impossibile, anche perché il grado di sviluppo dei paesi è diverso dal nostro, come diverse sono le condizioni economiche, sociali e culturali di partenza. Diventa quindi essenziale, in questi paesi, porre anzitutto le basi dello sviluppo, puntando sulla dotazione di infrastrutture di trasporto transfrontaliere e sul raggiungimento degli standard europei in termini di comunicazione, mercati finanziari e istruzione superiore. Altrettanto importante è investire nella formazione e, soprattutto, stimolare la diffusione dello spirito imprenditoriale. In questo modo si potrà agevolare la nascita di imprese valide e beneficiare di un fattore moltiplicativo favorevole allo sviluppo economico locale. Per quel che riguarda le imprese italiane, è chiaro come queste non possano che trarre benefici da una delocalizzazione intelligente, che consenta loro di specializzarsi nelle fasi strategiche del processo produttivo (e in particolar modo nell innovazione tecnologica), evitando il rischio di una delocalizzazione accompagnata da deindustrializzazione. Su questi argomenti la redazione della Newsletter Area Studi ha intervistato il prof. Gioacchino Garofoli, professore di Economia dell Università Insubria di Varese, studioso dei distretti industriali. Qual è la Sua posizione di fronte alla crescente richiesta di replicare il nostro modello distrettuale in altri paesi? Garofoli: Ci troviamo effettivamente di fronte ad forte un interesse, forse eccessivo, da parte dei nostri partner stranieri che sempre più spesso ci chiedono di esportare il modello italiano dei distretti industriali. Credo sia ormai abbastanza chiaro che l'esportazione come clonazione è impossibile. Fin dall'89 hanno cercato di coinvolgermi numerose volte in operazioni nei paesi dell Est Europa per andare a spiegare come fare sviluppo di piccole imprese e di distretti. Ho sempre sostenuto che le condizioni sociali e culturali di quei paesi e la loro storia non consentivano un processo analogo a quello italiano: quei paesi erano molto più adatti a un nuovo fordismo, non certamente al modello del distretto industriale italiano. Nell intento di favorire la diffusione della cultura e della presenza economica italiana nel mondo, potremmo tentare di legare le classi dirigenti dei paesi emergenti alla cultura italiana. Quello che possiamo insegnare è semplicemente quanto abbiamo appreso dalla nostra esperienza, in particolare gli errori e i fallimenti, pur sottolineando come tale processo debba avere origine spontanea e richieda un lungo radicamento. In altre parole, gli insegnamenti non devono mirare sempre e soltanto ad imitare i casi di successo, ma anche e soprattutto a non ripetere quelli di insuccesso. Ad esempio, nei gemellaggi nord/sud, sventura della nostra storia degli anni Novanta, sono mancati i meccanismi di integrazione istituzionale e culturale tra l'area di provenienza e l'area di nuova localizzazione. Quindi è estremamente importante che vi sia un processo di diffusione e internalizzazione delle conoscenze, altrimenti andiamo nel deserto. gennaio 2003 1

Ci può illustrare l origine dei distretti industriali in Italia? Garofoli: La nascita dei distretti industriali ha luogo nell arco di un periodo relativamente lungo, in cui alcuni paesi europei stavano smantellando le produzioni in alcuni settori tradizionali, ritenuti erroneamente non competitivi in quanto non legati all innovazione. In tal modo si è improvvisamente aperto per i nostri operatori un nuovo mercato che ha consentito una forte espansione della produzione e delle esportazioni. In questa fase di produzione crescente, di rapidissimo incremento delle esportazioni, di aumento dell occupazione e del numero delle imprese si sono resi opportuni e sono nati spontaneamente processi di divisione del lavoro e rapporti di cooperazione tra le imprese: tutti fattori che hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo dei distretti industriali. Cosa ha determinato l ascesa dei distretti? Garofoli: L età dell oro dei distretti industriali è rappresentata dagli anni 70, quando si è avuta l improvvisa apertura dei mercati, sopra menzionata, che ha rappresentato una grande opportunità di ingresso per nuove imprese e di crescita per quelle già esistenti. Opportunità che gli imprenditori italiani hanno avuto la capacità di sfruttare. Questo modello di crescita esterna delle imprese è stato infatti particolarmente virtuoso, considerata la loro piccola dimensione e le scarse risorse disponibili: le imprese collaboravano tra di loro perché il mercato era ricco e in espansione e l attenzione all Italia derivava da una capacità competitiva basata su fattori diversi dai costi di produzione. Infatti, già nei primi anni 80, le primissime analisi degli studiosi del fenomeno esportativo dimostravano chiaramente che il prezzo medio delle esportazioni distrettuali italiane era molto più alto dei prezzi degli altri importanti produttori europei. Quindi l Italia non stava esportando perché aveva un più basso costo del lavoro, ma perché le imprese erano state più brillanti e più capaci nel produrre ciò che il mercato richiedeva. Nella seconda metà degli anni 80, però, cambia radicalmente il quadro internazionale ed inizia per i nostri distretti una fase di declino. Può spiegarci meglio le cause di questo declino? Garofoli: La ragione principale è che eravamo presenti in settori con una lenta dinamica della domanda. Il successo delle esportazioni italiane era, inizialmente, talmente forte che le quote di mercato di alcuni settori produttivi raggiungevano valori del 50, 60 e talvolta 70% del mercato dei paesi occidentali. E evidente che quando si raggiungono questi livelli, la possibilità di espansione della produzione dell esportatore si avvicina alla potenzialità di crescita del mercato. Trattandosi di settori con una lenta dinamica della domanda, non potevano dunque crescere oltre, come era avvenuto in passato. La possibilità di una grande espansione esterna venne meno, quindi, perché erano state in qualche modo ormai interamente coperte quelle fasce di mercato e quelle aree che si erano aperte negli anni 70 e nei primi anni 80. Parallelamente, le imprese non facevano soltanto innovazione di prodotto e qualità, ma, allo stesso tempo, facevano innovazione di processo, per cui il ritmo di incremento della produttività era molto più alto di quello della domanda. Questo momento rappresenta la fase di avvio della selettività tra le aziende italiane e determina cambiamenti nelle forme di mercato all interno dei settori. gennaio 2003 2

Come si è evoluto il modello distrettuale dagli anni 90 ad oggi? Garofoli: Per capire i fenomeni che hanno inizialmente alimentato il processo di trasformazione dei distretti, bisogna considerare che i fattori di competitività delle imprese distrettuali sono tradizionalmente legati soprattutto all innovazione e alla qualità, piuttosto che al costo di produzione (compreso il costo del lavoro) e al prezzo. Per difendere la propria competitività le imprese distrettuali hanno quindi optato, in molti casi, per la diversificazione produttiva e la collocazione in nicchie di mercato. Un altro elemento che ha caratterizzato l evoluzione del modello distrettuale negli anni 90 è stato poi il ricorso all outsourcing, e in tal senso un punto critico a mio parere si è avuto nel 1992, anno di svalutazione della lira (che per la prima volta non importa inflazione) e di grande successo delle esportazioni italiane. Le imprese, essendo piccole, nel breve periodo hanno avuto difficoltà a reagire aumentando la produzione diretta, per cui hanno dovuto accelerare il decentramento della produzione verso altre regioni italiane o all estero. Nel momento in cui la congestione è diventata rilevante, quindi, le imprese hanno delocalizzato non per abbassare i costi, ma per aumentare la produzione. Nello stesso tempo, però, l eccesso di competitività delle imprese non le ha spinte verso investimenti innovativi ed ha incentivato la trasformazione del profitto in rendita, con la progressiva delega di produzione presso le imprese minori alla ricerca di flessibilità e di costi comunque più bassi. Quali nuovi comportamenti assumono le imprese distrettuali nella competizione internazionale? Garofoli: Il 92 è stato determinante nel processo di evoluzione dei distretti perché l eccesso di ordini, dovute al boom delle esportazioni italiane, ha successivamente portato alcune imprese a trovare una soluzione facile ed immediata, cioè a far produrre ad altri anziché produrre direttamente. E diventato, quindi, conveniente trasformarsi da impresa industriale a impresa commerciale. Questa è una tentazione che immagino venga a tutti, tentazione di essere monopolista, di fare lavorare gli altri ed è quello che io chiamo la trasformazione dall imprenditore in rentier. La situazione è molto rischiosa, perché cambia i comportamenti, le propensioni e l atteggiamento verso l innovazione e l investimento. Credo che in quegli anni ci sia stato veramente un crinale, un passaggio determinante che non è stato probabilmente colto appieno. Il maggior peso attribuito via via al fattore prezzo nella competizione internazionale dovuto anche all ingresso dei paesi in via di sviluppo nel commercio mondiale ha spinto molte altre imprese a seguire la strada della delocalizzazione, ma in un modo, diciamo, passivo e un po acritico (pensando solo alla riduzione dei costi di produzione). Si potrebbe dunque affermare che il modello distrettuale sta attraversando una fase di trasformazione? Garofoli: C è anzitutto un aspetto culturale importante da considerare, che è la perdita, avvenuta negli ultimi dieci-quindici anni, del senso della comunità delle imprese, dell interesse collettivo alla combinazione di competizione e cooperazione, tipica del gennaio 2003 3

distretto. Vale a dire che il ricorso sempre più frequente all outsourcing ha determinato un allentamento dei legami che regolavano il funzionamento del sistema distrettuale e, di conseguenza, una fuga verso un individualismo eccessivo. La progressiva attenzione rivolta ai sub-fornitori esterni al distretto (prima in altre regioni italiane e poi sempre di più in altri paesi) - generata dalla stringente necessità per l imprenditore di competere sempre più sui costi e massimizzare i profitti - crea una competizione tra questi e i fornitori locali (imprese interne al distretto, specializzate per fasi e per lavorazioni), mettendo quindi a disagio quel meccanismo della cooperazione che era alla base del modello distrettuale. Vale a dire che, nel momento in cui il fornitore locale si sente costretto a competere sui costi di produzione - anziché sulla capacità di trovare una soluzione ai problemi del committente - si va verso un modello differente, una sorta di neo fordismo all italiana, in una logica di produzione relativamente efficiente ma standard. Come sono cambiate le relazioni tra imprese interne ai distretti? Garofoli: Accanto al problema che porta il piccolo sub-fornitore del distretto a non sentirsi più parte di un sistema e a sentire il fiato forte di altri concorrenti che giocano con regole che non erano quelle del passato, c è la questione dell affermazione di imprese che diventano sempre più importanti, cioè di imprese leader. Quasi tutti i settori del made in Italy dalla moda ai mobili e alla gioielleria hanno sperimentato l affermazione di alcune grandi imprese leader all interno del distretto, imprese che giocano un ruolo finanziario e commerciale determinante nei riguardi delle altre. Mentre nel modello teorico del distretto non c è un price maker, ormai in molti distretti c è invece un impresa che determina il prezzo che tutte le altre imprese devono necessariamente seguire. La grande impresa comincia quindi ad introdurre rapporti di esclusività (e quindi meccanismi di chiusura nei rapporti tra le imprese) che non erano previsti nel modello storico degli anni 70 e 80. Questo meccanismo, per esempio, lo si vede chiaramente in aree come Como o Vicenza. L emergere di alcune imprese leader, che assumono un peso rilevante rispetto alle altre, va a modificare quell equilibrio dinamico e dialettico in cui tutte le imprese del distretto partecipano al ciclo produttivo. Peraltro, mentre un processo di trasformazione in un sistema di piccole imprese ha bisogno di istituzioni intermedie (come consorzi e centri di servizi) e di interventi a livello locale, quando ci sono le imprese leader queste governano spesse volte le istituzioni intermedie, o comunque non rappresentano punti di riferimento essenziali perché sono indipendenti e autonome da un punto di vista finanziario, commerciale e delle scelte operate rispetto al territorio. Come reagiscono i distretti alla sfida della globalizzazione? Garofoli: Quello che vorrei sottolineare è che si assiste alla affermazione di comportamenti nuovi: l ingresso di price maker, la standardizzazione della produzione, la gerarchizzazione, e la concentrazione dell innovazione nelle mani delle poche imprese leader che operano nel distretto. Si sta quindi riducendo sostanzialmente il numero delle imprese che giocano a tutto campo nell ingresso su mercati in cui la competizione è giocata sulla qualità e sull innovazione. gennaio 2003 4

Un altro aspetto che non vorrei tralasciare è quello delle risorse finanziarie e delle banche locali. Nel nostro paese c era una lunga tradizione di banche locali e molti studi hanno dimostrato la rilevanza della mobilitazione delle risorse finanziarie locali per lo sviluppo dei distretti. Oggi in Italia le banche locali sono state sostituite dai grandi istituti di credito e, di fatto, è venuta meno l integrazione tra istituzioni finanziarie e piccole imprese. La sfida della globalizzazione è una sfida rilevante in cui, tuttavia, non dobbiamo perdere di vista gli interessi del sistema distretto e del sistema paese. Ho però la sensazione che stia venendo meno quella imprenditorialità collettiva, caratteristica fondamentale del distretto, anzitutto perché si scontra con gli interessi delle imprese leader presenti nei distretti. Inoltre, i centri di servizi e le istituzioni intermedie - entità di successo negli anni 70-80 e che avevano rappresentato un modello per gli altri distretti in Europa - oggi sono meno rilevanti e meno importanti rispetto al passato. Cosa determina, a livello di strategia di distretto, l emergere di queste imprese leader? Garofoli: Anzitutto si è rilevato uno spostamento delle priorità di investimento verso l immagine, infatti il rapporto tra investimenti in pubblicità e investimenti diretti in macchinari è oggi di trenta a uno. In altre parole, non c è una attenzione al processo, all investimento nelle risorse umane e nell upgrading, così forte come l attenzione all immagine. Nello stesso tempo, però, va detto che solo un impresa leader può prediligere questo tipo di investimenti. Ci sono alcune imprese leader che grazie a questa politica hanno una immagine di spicco al livello internazionale ed hanno quindi un forte potere contrattuale nei riguardi delle imprese fornitrici, sia locali che localizzate in altri territori, che vengono a trovarsi in una situazione di relativa dipendenza. Sembra quasi di ritornare un po alla logica del decentramento produttivo, in cui all origine l impresa verso cui si opera il decentramento è un impresa dipendente. Diversamente, al principio, l impresa del distretto, anche se è piccola, è un impresa che ha un autonomia, una capacità di crescita e di collocazione sul mercato ed ha una capacità di perseguire un proprio percorso e una propria strategia. In quali casi la delocalizzazione non è favorevole allo sviluppo dell impresa? Garofoli: Alcune imprese scelgono la via della delocalizzazione facendo ragionamenti prevalentemente di tipo contabile e di attenzione al bilancio, ma dimenticano che con la delocalizzazione i costi di transazione aumentano in modo vorticoso. E molto interessante, infatti, vedere come gli imprenditori di alcuni distretti - in particolare quello biellese - dopo un avventura di delocalizzazione siano ritornati a casa. Questo è accaduto perché all estero non hanno trovato quelle che noi economisti definiamo le economie esterne, cioè quell insieme di fattori legati alla lunga storia dei distretti, alla produzione di conoscenze, alle relazioni produttive, spesso anche alla governance informale che nel passato associazioni e imprenditorialità collettive avevano effettuato. Quando si va all esterno si hanno sì costi del lavoro più bassi, ma i lavoratori sono diversi, il modo di lavorare è diverso, viene meno la possibilità di trovare una rapida soluzione ai problemi che si incontrano perché non ci sono altre imprese complementari e così via. Questa esperienza ha così dimostrato che la delocalizzazione non è così semplice da gennaio 2003 5

effettuare perché l integrazione dell impresa con i suoi partner, le istituzioni e il territorio è un rapporto molto complesso, che non può essere riportato soltanto a pochi elementi contabili. Ritiene che il ricorso sempre più frequente all outsourcing e alla delocalizzazione possa rallentare i processi di innovazione nei distretti? Garofoli: Estremizzando nella lettura, posso dare una risposta affermativa, perché devo forzare l interpretazione di comportamenti nuovi, che non erano presenti nella fase di ascesa dei distretti industriali; comportamenti che vanno a modificare gli equilibri interni tra le imprese e che possono, a mio parere, minare l orientamento verso l innovazione e la qualità, fattori tipici del distretto. Con questo non intendo generalizzare, né voglio dire che la delocalizzazione o l internazionalizzazione siano da leggere negativamente, ma semplicemente di fare attenzione a questa tipologia che può essere pericolosa. Nello stesso tempo, dal punto di vista della crescita dell impresa, un aziendalista può interpretare questo fenomeno anche in modo estremamente positivo. Peraltro, secondo alcuni autori questa è l unica strada perseguibile e molti distretti si stanno indirizzando verso questa direzione. Non si potrebbe, invece, sostenere che la delocalizzazione favorisce l innovazione? Garofoli: In parte sì. Teoricamente potrebbe accadere che decentrando le fasi di processo più tradizionali l impresa possa concentrarsi nella ricerca ed introduzione di innovazione ed infatti alcuni distretti si stanno muovendo in questa direzione. Investire nell innovazione è importante, poi, anche per attrarre investimenti dall estero. Molte imprese multinazionali, ad esempio, hanno recentemente investito a Montebelluna perché quello è considerato il luogo del sapere e della conoscenza per i settori di specializzazione del distretto. Esistono inoltre delle possibilità di specializzazione ad alta tecnologia che impongono una integrazione di conoscenze che il distretto spesso non ha maturato, per cui nascono delle opportunità di cooperazione strategica tra le imprese che diventano estremamente interessanti. In alcuni distretti, come quello di Lecco, le imprese stanno facendo operazioni molto intelligenti di collaborazione strategica con imprese esterne, perché questo consente loro di portare cultura e conoscenze complementari, di esplorare nuovi mercati e di introdurre nuovi prodotti. Considera favorevole allo sviluppo dei distretti un processo di istituzionalizzazione delle sue rappresentanze? Garofoli: I comportamenti di gerarchizzazione che sono oggi adottati all interno del distretto rischiano di minare la logica che era alla base del successo di questo modello. Esiste un problema di eccessiva burocratizzazione delle nuove rappresentanze che in qualche modo si possono identificare come portatori d interessi del distretto. Nel momento in cui le istituzioni ritengono di poter organizzare un distretto, rischiano già di partire con il piede sbagliato. Si pensi, ad esempio, alla cattiva utilizzazione del concetto di distretto in gennaio 2003 6

molte leggi regionali. Decretare il distretto per legge e non come processo di trasformazione economico-sociale può essere pericoloso, perché questo crea illusione e possono poi sorgere dei problemi nella governance del processo di trasformazione. Occorre dunque contribuire positivamente affinché non nascano nuove burocrazie, nuovi sistemi di rappresentanza, nuovi centri di spesa, in grado di diminuire la competitività del nostro sistema nel processo di internazionalizzazione. Quale dovrebbe essere, allora, l azione istituzionale per rispondere agli interessi reali dell impresa? Garofoli: Purtroppo, da almeno dieci-quindici anni ritengo che non ci siano stati più interventi intelligenti di governance dei distretti nel nostro paese. Mi riferisco, ad esempio, all applicazione delle leggi regionali sui distretti industriali con interventi che, illudendo le imprese, la comunità locale e i politici, si sono rivelati insufficienti: addirittura nettamente inferiori agli investimenti di un impresa distrettuale di media dimensione. E chiaro, d altra parte, che interventi pubblici e finanziamenti che non siano adeguati - per entità e soprattutto per tipologia - alle effettive esigenze delle imprese, possono indurre comportamenti errati negli operatori. Voglio dire, insomma, che facendo competere le imprese per raccogliere quattro lire, si rischia di distogliere la loro attenzione da ciò che è invece il tema cruciale, cioè l avvio di un valido processo di trasformazione. Questa diminuita attenzione della politica per i distretti industriali desta preoccupazione? Garofoli: Non voglio essere troppo pessimista, ma è in atto un cambiamento che dobbiamo governare, agendo per tempo. Ritengo paradossale il fatto che, pur disponendo degli strumenti coerenti per intervenire, non siamo capaci di utilizzarli. In questo momento nel nostro paese abbiamo tutta la strumentazione che gli studiosi del distretto 15-20 anni fa avrebbero auspicato: abbiamo la legge per i distretti, la concertazione sociale, i patti territoriali, gli interventi per lo sviluppo dell area e non soltanto di incentivazione alla crescita dell impresa. Possiamo fare interventi nei distretti industriali, ma ho la sensazione che a livello locale abbiamo perso la cultura diffusa a fare progettualità di sviluppo, a valorizzare gli interessi della comunità delle imprese, della collettività, a fare vera governance del processo di trasformazione. Ritiene che allo stato attuale il nostro modello distrettuale sia in crisi? Garofoli: Si sta da tempo diffondendo tra gli operatori italiani l idea che il modello distrettuale non possa più portare i grandi risultati che ha determinato nella seconda parte degli anni 70 e degli anni 80. Ci troviamo indubbiamente in una fase di declino, ma questa non va letta, a mio parere, come crisi del modello. Il declino che oggi leggiamo dipende dal fatto che è diminuita l occupazione in quasi tutti i distretti, che la produzione non sta aumentando, che si cominciano a perdere quote di mercato. Contemporaneamente ci sono anche i nuovi paesi che si affacciano ai mercati internazionali. E evidente che quando entrano nuovi paesi le quote di mercato si riducono non per incapacità, ma perché sostanzialmente diventa impossibile difendere le posizioni gennaio 2003 7

acquisite in tutto il mondo, per cui da questo punto di vista il declino è solo apparente. Sono semplicemente cambiate le condizioni esterne ed interne al modello stesso. Quali sono, dunque, le condizioni per il consolidamento dei distretti industriali italiani? Garofoli: Il punto cruciale è capire quali sono gli ingredienti fondamentali per lo sviluppo. Ritengo in proposito che sia indispensabile anzitutto reinvestire a livello locale le risorse prodotte dal distretto, allo scopo di garantire un mantenimento dei vantaggi competitivi dell area. In secondo luogo, è necessario anche stimolare la cultura della collaborazione e della complementarietà tra imprese interne al distretto per avviare meccanismi di diffusione delle conoscenze e di imitazione degli imprenditori di successo. Ancora, investire nell innovazione. Un mio recente studio sui comportamenti innovativi di imprese distrettuali e non distrettuali evidenzia infatti che le imprese distrettuali hanno scarsissimi, se non assenti, rapporti col mondo della ricerca. Per le imprese piccole è quindi difficile fare innovazione da sole, per cui diventa fondamentale il processo di accompagnamento all innovazione e alla crescita delle competenze. Un ultimo punto, ma non meno importante, è quello formazione delle risorse umane. Spesso le difficoltà dei distretti industriali sono dovute all impossibilità di riprodurre quelle capacità imprenditoriali e tecniche che hanno permesso lo sviluppo dei distretti negli anni Sessanta, Settanta e nei primi anni Ottanta. Gli imprenditori di oggi sono diversi da quelli di vent'anni fa, che non avevano studiato e che prima di diventare imprenditori erano entrati nell azienda come operai. Oggi questa evidente dinamica sociale è venuta meno, ed è per questo che i tassi di natalità delle imprese sono calati bruscamente negli ultimi 10, 15 anni. La questione dell upgrading delle risorse umane si lega, però, anche alla formazione e al problema del raccordo scuola/lavoro, che solo in poche aree del nostro paese è fatto in modo efficiente: e questo non tanto per la presenza di impedimenti istituzionali, quanto piuttosto per la difficoltà di saper esplicitare i fabbisogni presenti nelle imprese e interfacciarli con le competenze che esistono sul territorio. Questo processo è quello che chiamo internalizzazione di conoscenze sul territorio, che è un definitiva un nuovo radicamento sul territorio. L ICE sta valutando l opportunità di costituire un Osservatorio permanente per monitorare l evoluzione dei distretti industriali, anche in vista della loro internazionalizzazione. Qual è la Sua opinione al riguardo? Garofoli: Per quanto riguarda l'osservatorio ritengo che, al di là di razionalizzare e arricchire la base quantitativa esistente, bisogna fare delle operazioni anche di tipo qualitativo con analisi sul campo. Un primo passo potrebbe essere quello di avviare uno scambio di informazioni anche attraverso dei forum - con alcuni imprenditori leader, per capire i rapporti che questi hanno con le altre imprese del distretto e come stanno cambiando queste relazioni, che cosa fanno le nostre imprese all'estero e come sono integrate le varie filiali, se, infine, preferiscono operare all'estero come imprese isolate o in gruppi dinamici. gennaio 2003 8

Un passo successivo è quello di capire cosa succede in queste aree di nuova industrializzazione, cosa e come producono, come vendono, se sono, ad esempio, le imprese italiane che vendono in Germania dalla Romania o se si tratta di concorrenti. Tra le indicazioni che si potranno poi fornire a queste aree di nuova industrializzazione, quella di partenza è che tutti i distretti industriali nella fase di avvio sono legati a fattori competitivi statici, hanno cioè una dimensione locale. Ma va anche ribadito che il comportamento delle imprese deve essere orientato non tanto da una concezione individualistica, quanto piuttosto da una logica di sistema e di integrazione con le altre imprese. gennaio 2003 9