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Newsletter del Segretariato Europa CGIL - www.cgil.it - email europa.web@cgil.it Europa dell'est: crisi, lavoro, sindacato Alla situazione nell Europa dell Est sono dedicate queste pagine che riassumono i dati salienti di condizioni molto diversificate e spesso contraddittorie, ma comunque fortemente segnate dagli scossoni che i grandi cambiamenti hanno comportato nelle economie e nelle società. Con l aggiunta dei colpi della crisi finanziaria, economica e sociale dell occidente e dell Europa. Una transizione dai modelli del socialismo reale alle economie di mercato che a tutt oggi è ancora incompiuta. I dieci Stati dell Est membri dell Unione Europea, pur vincolati da crescenti legami con le realtà della vecchia Europa dell occidente, sono per molti aspetti interdipendenti con altre realtà dell Est come la Russia, l Ucraina, la Moldovia, la Bielorussia o gli Stati della penisola Balcanica (basti pensare alle fonti energetiche o ai flussi migratori) e risentono quindi dei condizionamenti che quelle economie e quelle società determinano. L Est ha risentito della crisi del sistema bancario e del blocco dei flussi finanziari degli investitori stranieri: la carenza di regole certe, la fragilità delle economie e la dipendenza dai capitali occidentali, sia aziendali che bancari, ha esposto duramente i Paesi dell'europa centro orientale alla bufera. A questa situazione alcuni Stati hanno reagito meglio di altri ed hanno fatto tesoro di qualche aiuto comunitario, altri hanno mutuato dall Ovest le peggiori condotte della dispersione e del cattivo uso delle risorse. Tutti hanno registrato un aumento della disoccupazione, compresso lo stato sociale, diminuito i servizi. Ovunque sono aumentate le differenze sociali. Risulta chiaro che, se da un lato l'europa ha costituito una grande occasione, solo la ripresa economica occidentale è un'ancora di salvezza per quelle economie. In questo contrastante panorama sono nate nuove organizzazione sindacali e si è registrato un notevole sforzo di adeguare le vecchie, superate strutture, alla nuova realtà. Tra diritti negati, nuovi nazionalismi, differenze sociali che si accentuano, un compito difficile spetta alle organizzazioni sindacali dell Est. Anche qui la difesa dei lavoratori e dei loro diritti, la solidarietà e la mutualità hanno bisogno di nuova forza. Nicola Nicolosi - Segretario confederale Cgil pagina uno

L'Europa dell'est e la crisi Nel pieno della crisi economica il quadro dell Europa dell Est presenta situazioni variegate e realtà spesso contraddittorie. paesi dell Est aderenti all Unione Europea sono tempi difficili, anni che fanno dimenticare le percentuali dei tassi di incremento dei PIL registrati fino al 2008. Il brusco rallentamento delle economie, l aumento della disoccupazione, l inflazione, differenze sociali sempre più vistose, sono gli effetti che in questi ultimi due anni si registrano nei paesi centro orientali, con la particolarità della Polonia che pur investita dalla crisi ha reagito in maniera diversa. Anche la Slovacchia e la Slovenia hanno avuto meno contraccolpi, come in parte la repubblica Ceca, ma i morsi della crisi hanno inciso e incidono anche in questi Paesi. I centocinque milioni di cittadini che vivono nei 10 paesi degli ex regimi comunisti (Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Cekia, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Romania, Bulgaria) e che oggi sono parte dell Unione Europea, hanno vissuto come sulle montagne russe. Crollati come un domino, dopo il muro di Berlino, i vecchi regimi comunisti e disgregati i vecchi Stati federali come l Unione Sovietica e la Jugoslavia e con la divisione della Cecoslovacchia, sono iniziati i saliscendi. Con l adesione all Unione Europea i paesi ex socialisti hanno conosciuto un accelerazione della crescita economica ed hanno attirato cospicui investimenti stranieri. Sono stati anni febbrili che hanno fatto registrare tassi di crescita di tutto riguardo: poi la crisi internazionale ha portato alla luce incongruità e debolezze di questi stati, direttamente collegabili alla loro dipendenza dalle situazioni dell ovest. Va ricordato come non tutti i regimi dell est siano caduti o si siano disgregati allo stesso modo e come i vuoti provocati dal venire meno del mercato sovietico siano stati riempiti da capitali stranieri e da investimenti consistenti che le economie nazionali non avrebbero potuto realizzare. Quindi processi di cambiamento diversi nelle modalità e nei tempi, ma tutti aventi come minimo comune denominatore l ingresso di capitali stranieri. Un dato di fatto è che la grande parte del sistema bancario dell Est Europa è di proprietà di banche occidentali: secondo una recente analisi di Gian Paolo Caselli, docente universitario esperto di economie dell est, la proprietà straniera va da un minimo del 34% in Slovenia ad un massimo del 99% in Estonia. I prestiti erogati a imprese e famiglie sono avvenuti in valuta estera e l indebitamento in moneta straniera (soprattutto in euro ed in franchi svizzeri) è divenuto un processo diffuso. E evidente come vi sia un collegamento immediato tra la crisi delle banche europee, il crollo dei fondi americani, i titoli tossici e le economie dell Est: quella che sembrava una assicurazione di solidità per le fragili strutture dei sistemi bancari dell Est si è rivelata come una poderosa catena di trasmissione della crisi. L adesione e l entrata nella EU si prefigurava un ottima occasione - e lo è stata infatti nei primi anni - pagina due

ma ora, con la crisi mondiale, i Paesi dell' Est attraversano tempi molto difficili. Il boom delle economie non esiste più e, dopo la crescita rapida le giovani democrazie arrancano in una profonda recessione. In balia delle turbolenze dei mercati finanziari globali, i Paesi esteuropei hanno verificato rapidamente la fragilità dei loro sistemi, passati velocemente da economie centralizzate a economie di mercato sfrenato. Improvvisi e inaspettati, i crolli: crollo delle valute nazionali sull'euro, crollo di liquidità, deficit pubblici che aumentano, bilanci commerciali in rosso. Immediate le ripercussioni, con tensioni sociali per l impoverimento di larghe fasce della popolazione e la paura di perdere il posto di lavoro, con i tagli all' occupazione che i limitati soccorsi delle istituzioni internazionali (Fondo monetario, Banca mondiale e EU) non hanno evitato. La crisi economica internazionale ha messo in evidenza debolezze e contraddizioni, con i governi che sono costretti a pagare tassi molto elevati per rinnovare i crediti che finanziano i deficit pubblici. Vi sono da considerare inoltre il deprezzamento delle valute nazionali nell Europa dell Est (ad eccezione ovviamente di Slovacchia e Slovenia che sono nell euro) che ha provocato molti fallimenti e la liberalizzazione dei mercati finanziari che ha favorito moltissimo il prestito transnazionale direttamente dalle banche estere. Con i problemi aperti dalla crisi si confrontano poi quella serie di Paesi dell Est che non sono parte della EU: Ucraina, Moldavia, Bielorussia, la ex Jugoslavia (Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kossovo, Montenegro), Albania, per giungere sino alla Russia. Ma a queste realtà dedicheremo un altro specifico intervento. La conferenza del Perc a Vienna. I sindacati europei si interrogano Il Perc (Pan European Region Concil), - la struttura sindacale nata qualche anno fa e che raccoglie 88 organizzazioni sindacali di 52 Paesi dell Europa geografica qualche settimana fa ha organizzato una conferenza a Vienna dal titolo: Venti anni di cambiamenti. E poi? Più di 200 dirigenti sindacali provenienti da tutta Europa (con delegazioni da Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Romania e Bulgaria oltre a organizzazioni sindacali della Russia, dell Ukraina, di Bielorussia e Moldavia, della Serbia, Croazia, della Bosnia Erzegovina, Albania, Macedonia, Montenegro e Kossovo, della Georgia e dell Azerbajan) hanno discusso sulle trasformazioni degli ultimi venti anni - i cambiamenti economici, politici, sociali, e quindi anche del movimento sindacale stesso ed hanno compiuto una disamina su obiettivi e strategie. Il tutto ovviamente nel contesto della crisi finanziaria ed economica. Le riflessioni sugli ultimi 20 anni di vita nei paesi post comunisti dell Europa orientale e in particolare sulle debolezze attuali, mettono in luce le caratteristiche ed i limiti di un esperimento senza precedenti pagina tre

di transizione verso un economia di mercato e la democrazia nell Europa orientale. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 vi sono stati cambiamenti radicali nelle economie dell Est con vari interventi simultanei. Stabilizzazione macroeconomica: liberalizzazione dei prezzi e del commercio estero Riforme microeconomiche: privatizzazioni rapide, ristrutturazione microeconomica, riduzione dei sussidi e forti restrizioni di bilancio Riforme istituzionali: hanno interessato i settori bancari e finanziari; creazione di mercati di capitali e mercati del lavoro, riforme fiscali radicali. I risultati evidenziati dalla realtà odierna dimostrano come le aspettative iniziali fossero troppo ottimistiche. nell Europa orientale ha fatto registrare nei primi anni novanta una recessione molto seria e prolungata, una caduta del PIL percentuali che variano dal 18 all 80%, crolli nella produzione industriale ed una ripresa economica ritardata. Le analisi presentate al seminario di Vienna hanno indicato le ragioni di queste difficoltà: La disintegrazione economica/commerciale di molti Paesi dell Est (URSS, CSSR, Yugoslavia), Le difficoltà connesse al passaggio da un sistema amministrativo centralizzato a nuove istituzioni di mercato e la disorganizzazione ed i caos conseguenti. L adozione di politiche economiche sbagliate, con modelli iper-liberisti, politiche monetarie e fiscali eccessivamente restrittive ed una apertura troppo rapida al commercio. Insieme a questi percorsi vi sono da evidenziare una '3f liberalizzazione del capitale più veloce che nel secondo dopoguerra, privatizzazioni rapide senza cambiamenti nelle governance aziendali, una tassazione non progressiva delle imprese e dei redditi, come testimoniato dall introduzione diffusa della flat tax. Milica Uvalic, di Belgrado e docente di Economia, Finanza e Statistica all Università di Perugia, in una sua relazione alla conferenza di Vienna ha messo in luce come i costi sociali della transizione siano stati ampiamente sottostimati: è stato dato per scontato che la politica sociale e lo stato assistenziale fossero un lusso da sacrificare sull altare della trasformazione e quella che è stata chiamata la crescita senza lavoro ha avuto come conseguenza una forte disoccupazione (nei Balcani, in Kossovo ed in Macedonia supera il 40%), un aumento delle differenze sociali, una crescita della povertà (specialmente in Russia, e nei paesi CIS). Tutto cio in presenza di un mercato del lavoro particolarmente flessibile, con sindacati deboli e una scarsa diffusione della contrattazione collettiva (con pochissime eccezioni) e con sistemi fiscali inadeguati. Est: venti anni di cambiamenti. E poi? Deficit conti correnti (ottobre 2008) % del PIL Verso la fine del 2008 la crisi economica mondiale ha investito in pieno l Europa centro orientale con un drastico calo dei flussi in entrata di capitali esteri, investimenti, prestiti, rimesse e contemporaneamente pagina quattro

con una rilevante diminuzione delle esportazioni verso l Europa dell Ovest. Nel 2009 si sono registrate oscillazioni sempre con il segno negativo. Nel 2010 alcuni segni di ripresa, ma molto inferiore rispetto alle realtà del 2008. La professoressa Milica Uvalic, sempre alla conferenza del PERC di Vienna, ha indicato alcune possibili strade da intraprendere, e segnatamente la necessità di un maggiore intervento statale, laddove sono necessarie più politiche attive di governo in molte aree importanti. Ecco come traduce queste indicazioni. La necessità di cambiare il modello di riferimento dell economia di mercato iper liberista La liberalizzazione commerciale non necessariamente in tutti i settori (es. agricoltura) Un miglioramento della qualità delle istituzioni di governo per applicare le leggi, riscuotere le tasse, sovrintendere il settore finanziario.. Una rinnovata politica industriale per promuovere gli investimenti, incoraggiare l innovazione, quality standards, stimolare la competitività. Nonostante rimangano opportunità di privatizzazione, I paesi dell Est non potranno contare molto sugli interventi esterni nei prossimi anni, debbono piuttosto contare sulle risorse proprie Una politica dell occupazione più efficace con più attenzione al modello sociale europeo che non è stato preso in seria considerazione nei paesi dell Est Rafforzare i sindacati ed il dialogo sociale Interdipendenza Est-Ovest: i paesi dell Est non possono risolvere I problemi attuali da soli, poiché sono strettamente integrati nell economia UE/globale e quindi occorrono azioni coordinate. La possibile ripresa dell Est è direttamente connessa alla ripresa delle economie della vecchia Europa e non risolverà comunque il problema drammatico della distruzione di posti di lavoro. Secondo l Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) l occupazione nelle economie avanzate risalirà ai livelli pre-crisi nel 2015. Oggi si contano in totale 23 milioni di posti di lavoro persi dal 2007: 14,3 milioni di posti di lavoro in meno rispetto al 2007 e 8 milioni in meno nei paesi emergenti. Considerando la disoccupazione di lungo periodo vengono penalizzati in particolare le donne ed il precariato giovanile e (sempre secondo l ILO) nella UE la disoccupazione di lungo periodo è il 37% della disoccupazione totale. Cosa può sperare l est? Il 2010 si chiude con dati molto differenziati: ripresa e miglioramenti in Polonia, Estonia, Slovenia e Slovacchia; situazioni stazionarie tendenti al brutto altrove. Sicuramente gli anni futuri non saranno scanditi dagli alti tassi di crescita del passato e la marcia di allineamento con i redditi della media europea pagina cinque

sarà molto difficile. Sarà certamente impossibile avere gli investimenti avuti nel recente passato e vi sarà bisogno di produzioni a più alto valore aggiunto oltre a nuovi sbocchi di mercato (oggi oltre l 80% delle esportazioni delle aree dell Est finisce nei mercati europei). E facile anche prevedere una sempre piu marcata differenziazione tra le varie economie ed in ogni caso un accelerazione dell integrazione europea sarà quanto mai provvidenziale. Antonio Morandi - Segretariato Europa Cgil Fonti: Béla Galgóczi - European Trade Union Institute (ETUI) di Bruxelles: The impact of the global economic crisis on CEE countries; Osservatorio sui Balcani _ Osservatorio sui Balcani è un progetto promosso dalla Fondazione Opera Campana dei Caduti e dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, con il supporto dell'assessorato alla solidarietà internazionale della Provincia autonoma di Trento e del Comune di Rovereto Massimo Congiu giornalista- Budapest Katinka Barysch - Europressreserarch - Focus 4/2009 Milica Uvalic Università di Perugia - Europe: 20 Years of Transition Vienna, 15-17/9/2010 Limes, rivista italiana di geopolitica numero 5/2009; Global Job Crisis Observatory International Labour Organization (ILO) La situazione oggi nei dieci stati dell'est BULGARIA Panorama fosco per la Bulgaria che registra un forte calo degli investimenti esteri ed il Pil - dopo i crolli dei due anni precedenti- in calo anche quest anno con parecchie aziende straniere che si ritirano. Molte lamentano difficoltà ad attuare i progetti per cui hanno vinto gare d appalto, a causa di intralci burocratici, pagamenti di finanziamenti dilazionati, recuperi dell Iva rinviati di anno in anno, difficoltà a trovare partner adeguati. La UE ha messo a disposizione circa sette miliardi di euro per il periodo 2007-2013, una dotazione finanziaria che per essere resa efficace, abbisogna di semplificazione delle procedure e di un miglioramento delle capacità amministrative. Pena il loro mancato utilizzo. Fronteggiare la crisi economica appare arduo anche per la diffusione della corruzione, senz altro uno dei problemi più gravi della Bulgaria odierna. La Bulgaria è tra i paesi europei con il più basso tenore di vita e per il potere d acquisto. il salario medio è di 510 Lev, (l equivalente di 255 euro) e le pensioni mediamente equivalgono a 100 euro. La speranza di un miglioramento della situazione era affidata all ingresso nell eurozona anche attraverso ERM II, il meccanismo che mantiene stabili i tassi di cambio tra l'euro e le valute nazionali al fine di evitare eccessive fluttuazioni del tasso di cambio sul mercato interno. «Abbiamo sacrificato in una certa misura la stabilità economica per poter entrare presto nella zona euro, i calcoli però si sono rivelati sbagliati e questo ha causato gravi problemi all economia bulgara», ha detto Gancho Gancev professore presso l'istituto per l'economia e le Relazioni Internazionali di Sofia. pagina sei

La Bulgaria attualmente non soddisfa i criteri (relativi al deficit di bilancio, al debito pubblico ed al tasso di inflazione) richiesti dalla UE per entrare nella valuta unica. Dal gennaio vi sono state numerose proteste e mobilitazioni sindacali a Sofia contro le politiche del governo, in particolare proteste dei dipendenti dei settori pubblici. REPUBBLICA CECA Proprio durante il semestre di presidenza dell Unione Europea il governo del premier Mirek Topolanek era stato sfiduciato dal Parlamento. Il nuovo governo ceco, sostenuto da una maggioranza di centrodestra, guidato da Petr Necas ha chiuso il periodo d instabilità iniziato nel marzo del 2009, anno in cui la repubblica Ceca è stata investita direttamente dalla crisi internazionale. Con un'economia basata fortemente sull esportazione ed imperniata sui settori meccanici e manifatturieri (particolare rilevanza ha il settore automobilistico) sono stati mesi di recessione con la contrazione della domanda esterna andata a ripercuotersi direttamente su quella interna e sulla bilancia commerciale. Con il prodotto interno lordo 2009 in calo del 4%. Nel 2010 i segni di ripresa, con un Pil nel 2010 previsto a +2,00%. Immediato il collegamento con la situazione della Germania da sempre al primo posto come partner commerciale della Repubblica Ceca, con evidente vantaggio per ragioni di vicinanza e di tradizione, sia nella graduatoria dei paesi fornitori (il 26,6% del totale) che in quella dei paesi clienti (il 32,3% del totale). Dopo la Germania, ci sono la Slovacchia (9,0%), la Polonia (5,8%) e la Francia (5,6%). Secondo le ultime analisi pubblicate dal Ministero dell Industria e del Commercio Ceco, (ottobre 2010) anche gli investimenti esteri, dopo lo stop degli anni precedenti (- 50% rispetto all anno prima) nel primo semestre di quest anno, sono pari ad un valore di 3,2 miliardi di euro (circa il doppio rispetto allo stesso periodo del 2009). La quota principale è costituita da profitti reinvestiti (1,7 miliardi di euro) e da investimenti in altri capitali (1,3 miliardi di euro). Intanto il debito pubblico ceco ha raggiunto un nuovo record a 1,217 miliardi di corone (circa 50 miliardi di euro). La situazione del deficit pubblico è in forte deterioramento con un rapporto fra disavanzo pubblico e Pil superiore al valore di riferimento del 3%. Il Governo ha imposto misure di austerità come la riduzione dei salari dei dipendenti pubblici, (i tagli vanno dal 10 al 40 per cento), incremento del'iva su beni e servizi, l aumento delle imposte su sigarette, alcolici ed idrocarburi, il raddoppio delle tasse sugli immobili. Numerose le mobilitazioni di lavoratori e pensionati contro l austerity del governo di centro destra con manifestazioni che hanno visto massicce partecipazioni di lavoratori e pensionati. I PAESI BALTICI I sette milioni di cittadini che vivono tra l Estonia (1.340.000), la Lettonia (2.267.000) e la Lituania (3.436.000) sono stati investiti in pieno dalla crisi economica: nel 2009 hanno registrato un crollo del reddito annuale compreso tra il 14 e il 18 per cento. Fra tutti i paesi membri dell'unione Europea gli stati Baltici sono stati quelli più duramente colpiti dalla crisi. pagina sette

La disoccupazione fa registrare i tassi piu elevati di tutta Europa, in Lettonia è al 19,4%; in Estonia è al 18,6% e in Lituania è al 18,2%. (Dati del 29 ottobre 2010 - rispetto a un anno fa, nell'eurozona la disoccupazione e' aumentata dal 9,8% al 9,9% fra gli uomini e dal 9,9% al 10,3% fra le donne). Nel 2010 il Pil ha ripreso a crescere in Estonia (+ 1,8) e in Lituania (+ 1,3) mentre è ancora in calo dell 1 % in Lettonia. Tra questi chiaroscuri, va evidenziato che L Estonia ha corrisposto ai criteri di convergenza per l adozione della moneta unica europea, quindi l entrata nell euro è prevista per il prossimo primo gennaio 2011, mentre Lituania e Lettonia hanno in programma di poter entrare nell'eurozona nel 2014, previsione che viene ritenuta sufficientemente realistica. Le misure prese dai Governi dei tre Stati per fronteggiare la crisi hanno pesato e pesano sui lavoratori e sulle popolazioni baltiche. I piani di riduzione dei deficit hanno ridotto salari, pensioni, servizi sanitari e sociali. In Estonia l'iva è salita dal 18 al 21 per cento, le pensioni sono state tagliate, le spese ospedaliere diminuite del 57 per cento e i salari di medici e professori universitari ridotti pesantemente. La Lettonia ha beneficiato di un prestito di 7,5 miliardi di euro da parte del Fondo Monetario Internazionale e per ottenerlo il governo ha adottato un piano di risparmio particolarmente duro,con tagli drastici a salari e pensioni. Proprio in Lettonia l'alleanza di centro-destra che fa capo a Valdis Dombrovskis, si è riconfermata alla giuda del Paese e continuerà quindi la politica di austerity richiesta dal Fondo Monetario Internazionale per l'erogazione del pacchetto anticrisi e criticata fortemente dai sindacati. Va peraltro detto come il debito pubblico nei tre stati Baltici fosse sotto il 20 % del Pil e quindi vi siano stati migliori margini di manovra che in altre realtà europee. POLONIA La Polonia ha contenuto la recessione pesante che ha investito il continente degli ultimi anni grazie alla sua contenuta dipendenza dalle esportazioni, ad un più sicuro sistema bancario ed alla mancanza di gravi squilibri strutturali. Questi fattori hanno consentito alla valuta polacca di ottenere un apprezzamento bilanciato sui mercati valutari, in attesa dell introduzione dell euro, prevista per il 2015. Intanto pero la disoccupazione è salita all 11,5 % (dato di settembre) e nella finanziaria 2011 in discussione in questi giorni al Parlamento è previsto l'aumento delle tasse e il congelamento delle pensioni. Al Festival dell Economia 2010 di Trento, Sergio Arzeni, dirigente dell'ocse ha sostenuto che Rispetto a 20 anni fa le aspettative sono migliori a quelle che gli stessi uomini di governo potevano prevedere nel 1989: le condizioni di vita sono cresciute del 50 per cento e in Ungheria e Polonia è aumentata la speranza di vita tra i 3 e 5 anni, per arrivare fino a 75 anni. Questo fino ad oggi, perché la crisi del 2009 ha fortemente toccato i due Paesi: investimenti crollati per l Ungheria (- 6 per cento), il doppio rispetto alla Polonia (-3,9 per cento). A preoccupare oggi è il gap tra le diverse classi sociali e il debito pubblico dei rispettivi Paesi, ma l analisi rimane ancora ottimistica. Oggi il Pil segna + 3,4% rispetto allo scorso anno e l'economia polacca dovrebbe crescere del 3,7% nel 2011, secondo il FMI, anche se tra i fattori di rischio c è la forte crescita del debito pubblico (181 miliardi di Euro). La Polonia è l unico paese dei ventisette ad aver chiuso il 2009 in crescita, nonostante la crisi pagina otto

economica. Secondo le stime del Ministero delle finanze il debito pubblico raggiungerà entro fine anno il 53,2% del Pil per poi salire ulteriormente al 54,3% nel 2012. Nel 2008 l'ammontare dei debiti era pari al 43,1% della ricchezza prodotta. Grzegorz W. Kolodko, professore di economia presso la Kozminski Business School di Varsavia riferendosi alle trasformazioni della Polonia dice: La trasformazione è stata molto profonda. La Polonia ed altri Paesi hanno subito una doppia trasformazione: dall economia controllata di Stato sono passati all economia di mercato e, non dimentichiamolo, alla globalizzazione. La Polonia ha iniziato il percorso in condizioni politiche migliori rispetto ad altri Paesi post-comunisti, perché le riforme erano iniziate già negli anni 70 e 80. Potevamo fare meglio, abbiamo commesso degli errori, ma siamo riusciti a garantirci una crescita, anche se l allineamento con l Europa arriverà solo tra due generazioni. I dati dicono che rispetto ad un anno fa gli investimenti stranieri sono aumentati del 75%, collocando l incremento della Polonia tra i principali al mondo. Tra i Paesi che investono di più vi sono Stati Uniti, Gran Bretagna e Sud Corea. Aumenta anche il numero di investitori dal Giappone. Un recente rapporto della Commissione Europea dice che la Polonia è stato il maggior beneficiario dell'ue l'anno scorso, dato che ha ricevuto 6,5 miliardi di euro in più rispetto a quanto versato. Il budget UE vale ora circa 130 miliardi di euro annuali e oltre il 70% viene speso per sussidi agricoli o per aiutare le regioni povere. I sindacati polacchi rivendicano politiche a favore dell occupazione e un aumento dei salari minimi. Forte anche la protesta contro il congelamento degli stipendi dei dipendenti pubblici e contro la proposta di aumentare l Iva. ROMANIA Anche l economia romena dipende fortemente dai flussi finanziari esteri e dalle esportazioni nella vecchia Europa: la contrazione di liquidità sui mercati finanziari internazionali e la recessione nell eurozona hanno determinato dunque una forte stretta creditizia ed un significativo calo delle esportazioni. Il PIL è passato da una crescita di +8% del 2008 a - 8% del 2009 al - 1,9 dieci primi mesi del 2010. il tasso di disoccupazione è al 10%, mentre il valore delle rimesse degli emigrati è caduto bruscamente. Diversamente dall'europa Occidentale, dove la spesa sociale è considerata legittimo stabilizzatore della domanda, in Romania è vista come un "lusso" impossibile da potersi concedere. Di conseguenza il governo applica tagli nel welfare e nei piani sociali e invece di rendere il sistema delle tasse più equo con l'adozione di una tassa progressiva sulle entrate e tagliare la tassa sul cibo e sui beni di prima necessità, il governo imbocca un'altra strada. Nel mese di maggio il governo ha deciso il taglio dei salari dei dipendenti pubblici del 25%, il taglio delle pensioni del 15%, stessa percentuale per gli assegni familiari e l'indennità di maternità. All origine c è il diktat del Fondo Monetario Internazionale, con il quale nella primavera 2009 la Romania ha contratto un prestito di 20 miliardi di euro, un prestito che il FMI elargisce con il contagocce in rate mensili da 900 milioni l una, legando il pagamento delle rate future all adozione di misure in grado di ridurre significativamente il rapporto deficit/pil. Nel 2011 la Romania avrà bisogno di un nuovo prestito da parte del Fondo monetario internazionale per coprire le proprie esigenze di bilancio: lo stesso presidente pagina nove

Traian Basescu ha spiegato come sul mercato dei bond a lungo termine nessuno presterebbe soldi alla Romania, a causa delle sue debolezze strutturali. Nel 2009 Bucarest si è impegnata a tagliare il deficit di bilancio dal 7,4 per cento del Pil del 2009 al 4,4 nel 2011. Il presidente ha difeso le misure di austerità decise dal primo ministro Emil Boc, che prevedono fra l altro il licenziamento di decine di migliaia di dipendenti pubblici, l aumento dell età pensionabile e il taglio delle retribuzioni di anzianità. Misure, queste, che il governo impone per restare nei parametri concordati col Fondo monetario internazionale (Fmi). Intanto con scadenza ormai quotidiana si ripetono le manifestazioni sindacali contro le misure di austerità. A protestare tutte le confederazioni, frequentemente in maniera unitaria. SLOVACCHIA Dal primo gennaio 2009 i 5 milioni e mezzo di abitanti della Slovacchia hanno sostituito la vecchia corona slovacca con l euro e questo ancoraggio, nonostante tanti problemi ed aumenti di prezzi connessi con il cambio, ha costituito un buon scudo.nel 2009 l economia slovacca si era contratta del 4,7% per la crisi economica mondiale, ora la Banca Centrale Slovacca (NBS), stima una crescita per il 2010 del 3,7%. Questo aumento significativo, specie in tempi come questi, è dovuto principalmente alla domanda estera. La ripresa delle esportazioni è avvenuta particolarmente nei settori degli impianti automobilistici. Anche in Slovacchia un aiuto consistente arriva dalla ripresa tedesca, essendo la Germania il primo partner nelle esportazioni: oltre il 20% va verso al mercato tedesco. Le previsioni effettuate da istituzioni internazionali, Ministero delle Finanze e Banca Centrale hanno indicato che la ripresa dell economia della Slovacchia, dopo il crollo dello scorso anno, dovrebbe essere nel 2010 tra le più significative nell Unione Europea. D altra parte però, non vi sono miglioramenti nell'occupazione e secondo l Ufficio Centrale per il Lavoro il tasso di disoccupazione in Slovacchia, alla fine di settembre, è cresciuto dello 0,23% rispetto ad agosto raggiungendo il 12,42%. Gli uffici del lavoro hanno registrato a settembre 333.841 disoccupati. Anche le prospettive della domanda interna restano negative ed i tagli alla spesa degli stipendi dell amministrazione pubblica lasciano poche speranze per un aumento della domanda dei consumatori. Nei giorni scorsi si è svolta a Bratislava una marcia nazionale di protesta dei sindacati contro le misure di austerità del Governo, per esprimere il disaccordo sul pacchetto di misure finanziarie del Governo che colpiscono soprattutto i dipendenti ed i gruppi sociali più poveri. Secondo il presidente della Confederazione dei sindacati (KOZ) Miroslav Gazdik, le misure di austerità aumenteranno le spese annuali di una famiglia media di quattro membri di 400 euro, che rappresenta quasi uno stipendio mensile. Il sindacato ha richiesto una revisione delle aliquote IVA, una maggiore pressione fiscale sulle rendite finanziarie, la cancellazione dell aumento delle accise su gas e carbone e la cancellazione della tassa del 6% sulle vendite dirette delle aziende agricole.il sindacato confederale slovacco è inoltre contrario ai nuovi penalizzanti meccanismi per il calcolo delle pensioni. SLOVENIA I due milioni di sloveni dal 2007 usano l euro, moneta che ha contribuito non poco a garantire stabilità. Una buona innovazione, nuove infrastrutture, investimenti nella ricerca, nella scuola e nella sanità ne pagina dieci

fanno un paese affidabile e competitivo anche con la vecchia Europa: quest anno, a maggio, è stata ammessa all OCSE, l organizzazione dei paesi maggiormente industrializzati. La crisi comunque anche qui si è fatta sentire e non poco; il prodotto interno lordo l anno passato ha segnato una caduta del 7,5 % dopo che nel 2008 aveva segnato un + 3,5 % e nel 2007 un + 6%. Nel secondo trimestre di questo anno il Pil sloveno e' in ripresa del 2,2% rispetto allo stesso periodo del 2009 ed è la prima volta dopo sei trimestri consecutivi che l'economia slovena torna a crescere. L'aumento e' dovuto in buona parte all incremento delle esportazioni, aumentate dell'11,4% Per il 2010 le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale prevedono che si registrerà uno 0,8 % su base annua. Un parziale indicatore della situazione attuale può essere il fatto che molte aziende italiane un centinaio che lavorano e producono in Slovenia hanno retto bene alla crisi, mantenendo e spesso allargando le posizioni di mercato. La notizia è dell ufficio di Lubjana dell Istituto per il Commercio Estero (ICE). L effetto crisi si è fatto sentire anche sul deficit, che fino al 2008 era sotto l'1% del Pil, e che invece l'anno scorso è salito al 6%, superando i limiti imposti dall'europa: il ritorno entro i parametri del 3% è previsto entro il 2013. Il deterioramento della situazione economica ha interessato direttamente il mercato del lavoro, dove la crescita del numero di persone occupate sta decelerando in tutti i settori, soprattutto nel manifatturiero e nelle costruzioni ed i salari sono stati congelati. Gli ultimi rilevamenti del Fondo Monetario Internazionale (ottobre) danno un tasso di disoccupazione al 7,8 % per il 2010. Intanto proseguono le proteste dei dipendenti pubblici contro la decisione del governo di centro-sinistra del premier Borut Pahor di congelare la crescita degli stipendi (il salario medio della Slovenia è di 950 euro), prevista dal contratto collettivo stipulato nel 2008 e contro la riforma delle pensioni che innalza a 65 anni l età per il ritiro. UNGHERIA La luna di miele è finita, il paese che aveva fatto registrare le migliori performance economiche tra gli stati dell ex blocco sovietico vive una grave crisi economica che blocca ogni crescita e allontana l allineamento con l Europa. L Ungheria che nel 1989 non si fece trovare impreparata dal crollo della cortina di ferro e fu veloce a traghettare verso l economia di mercato vede oggi scenari completamente differenti. La crisi di questi anni ha fortemente colpito: investimenti crollati (- 6 per cento), e aumento della disoccupazione (10,9 % il dato di settembre). Aumentano le differenze sociali e aumenta il debito pubblico. Il capo del governo, il conservatore Viktor Orban cerca risorse per far quadrare i conti pubblici e introduce nuove misure di austerità per contenere il deficit pubblico che quest'anno potrebbe raggiungere il 5,5 per cento del prodotto interno lordo (Pil). Ben oltre il 3,8 per cento previsto negli accordi precedentemente raggiunti con il Fondo monetario internazionale, capofila di un maxi-prestito da 20 miliardi di euro accordato dalle istituzioni finanziarie internazionali. Intanto sono centinaia di migliaia le famiglie in ritardo coi pagamenti di mutui: i debiti in valuta estera (principalmente in euro e in franchi svizzeri) largamente distribuiti negli anni del boom ammontano secondo la Banca Nazionale d Ungheria - a 26,2 miliardi di euro. Circa 1,8 milioni di persone, su una popolazione totale di 10 milioni, ha prestiti di questo tipo. Per anni le banche ungheresi hanno offerto mutui - per comprare case e auto - in franchi ai tassi d'interesse molto più bassi di quelli nella valuta nazionale. Normalmente, i consumatori hanno preso prestiti quando il franco svizzero valeva attorno a 150 fiorini. Ora, fine ottobre il franco è arrivato attorno a 200 fiorini. Karoly Attila Soos, ricercatore senior all Accademia Ungherese delle Scienze, ex membro del Parlamento ungherese ed ex Segretario di Stato per l Industria: Se oggi il tasso di crescita frena è colpa anche di una tassazione eccessiva e di una burocrazia asfissiante. Nei nostri Paesi però le opportunità di business sono superiori all Italia, mentre la vera criticità rimane l alto debito pubblico. pagina undici

LA MAPPA DEI SINDACATI DELL EST Paese - Sindacato Nr. iscritti ALBANIA CTU Confederation of Trade Unions 105.000 BSPSH Albanian Independent Trade Union 83.847 BIELORUSSIA BKDP Belarusian Congress of Democratic Trade Unions 9.000 FBP Federation of Trade Unions of Belarus 4.032.156 BOSNIA ERZEGOVINA CTUBiH Confederation of Trade Unions of Bosnia and Herzegovina 223.000 SSRS Confederation of Trade Unions of Republika Srpska 157.130* BULGARIA CITUB Confederation of Independent Trade Unions of Bulgaria 220.000 PODKREPA Confederation of Labour 152.000 CROAZIA SSSH / UATUC Union of Autonomous Trade Unions of Croatia (Saveza Samostalnih Sindicata Hrvatske ) 271.000* NHS Independent Croatian Union (Nezavisni Hrvatski Sindikati) 87.313 HUS Croatian Trade Union Association 50.000* ESTONIA EAKL Association of Estonian Trade Unions (Eesti Ametiühingute Keskliit) 43.000 TALO Estonian Employees Unions Association (Teenistujate Ametiliitude Organisatsioon ) 30.000** FEDERAZIONE RUSSA FNPR Federation of Independent Trade Unions of Russia 27.800.000 VKT All Russian Confederation of Labour 1.300.000 KTR Confederation of Labour of Russia 1.250.000 KOSOVO BSPK Union of Independent Trade Unions of Kosovo 106.607 LETTONIA LBAS Union of Independent Trade Unions of Latvia (Latvijas Brivo Arodbiedrìbu Savieníba) 134.422 LITUANIA LDF Lithuanian Labour Federation (Lietuvos Darbo Federacija) 20.000 LPSK / LTUC Lithuanian Trade Union Confederation (Lietuvos Profesiniu Sajungu Konfederacija) 100.000 LPSS (LDS) Lithuanian Trade Union "Solidarumas" (Lietuvos Darbiniku Sajunga) 8.000 Ex repubblica Iugoslava di MACEDONIA SSM Federation of Trade Unions of Macedonia 5.300 MOLDAVIA CNSM National Trade Union Confederation of Moldova 600.000 MONTENEGRO SSSCG Confederation of Trade Unions of Montenegro 61.320 ATUM Association of Unions of Montenegro 60.000* POLONIA NSZZ Solidarnosc Independent and Self-Governing Trade Union "Solidarnosc" (Niezalezny Samorzadny Zwiazek 722.000 Zawodowy "Solidarnosc") OPZZ All-Poland Alliance of Trade Unions (Ogólnopolskie Porozumienie Związków Zawodowych) 318.000 REP. CECA CMK OS Czech Moravian Confederation of Trade Unions 611.000 REP. SLOVACCA KOZ SR Confederation of Trade Unions of the Slovak Republic 337.600 ROMANIA BNS The National Trade Unions Block 150.000 CARTEL ALFA National Trade Union Confederation - Cartel ALFA (Confederatia Nationalã Sindicalã) 1.050.000 CNSLR-Fratia National Confederation of Free Trade Unions of Romania - FRATIA 520.000 CSDR Democratic Trade Union Confederation of Romania 101.000 SERBIA CATUS Confederation of Autonomous Trade Uions of Serbia 465.000 NEZAVISNOST Independence Trade Union Confederation (Ujedinjeni Granski Sindikati Nezavisnost ) 158.000 AFITU Association of Free and Independent Trade Unions 300.000* SLOVENIA ZSSS Slovenian Association of Free Trade Unions (Zveza Svobodnih Sindikatov Slovenije) 300.000 TURCHIA DISK Confederation of Progressive Trade Unions of Turkey (Türkiye Devrimci Isci Senikalari Konfederasyonu) 30.000 HAK-IS Confederation of Turkish Real Trade Unions (Türkiye Hak Isçi Sendikalari Konfederasyounu) 330.000 KESK Confederation of Public Employees Trade Unions (Kamu Emekçileri Sendikalari Konfederasyonu Servants) 200.000 TURK-IS Confederation of Turkish Trade Unions (Türkiye Isci Sendikalari Konfederasyonu) 860.000 UCRAINA FPU Federation of Trade Unions of Ukraine 9.755.000 KVPU Confederation of Free Trade Unions of Ukraine 250.000 VOST All-Ukranian Union od Workers Solidarity 150.000 UNGHERIA ATUC Autonomous Trade Union Confederation 125.000 LIGA Democratic League of Independent Trade Unions 101.000 MOSz National Federation of Workers Councils 53.416 MSzOSz National Confederation of Hungarian Trade Unions 400.000 SZEF Forum for the Co-operation of Trade Unions (Szakszervezetek Egyuttmukodesi Foruma) 225.000** ÉSZT Confederation of Unions of Professionals (Értelmiségi Szakszervezeti Tömörülés) 85.000** Fonti: ITUC International Trade Union Confederation, Lista affiliati dicembre 2009; *Dati estratti da: Social Partner participation in education/training and labour market development a cross-country IPA report - Niels Haderup Kristensen, Febbraio 2009; **ETUI - European Trade Union Institute, Worker participation papers