Le Biomolecole II parte Lezioni d'autore di Giorgio Benedetti
LA STRUTTURA TERZIARIA DI UNA PROTEINA La struttura tridimensionale adottata da una proteina è detta struttura terziaria. Essa prende in considerazione delle interazioni a lungo raggio nella sequenza primaria della proteina, che possono essere legami deboli e talvolta legami covalenti come ponti disolfuro. Per proteine più grandi la struttura terziaria può essere organizzata in più unità strutturali chiamate domini. I diversi domini della proteina, interagiscono tra loro con minori interazioni rispetto a quelli tra gli elementi strutturali secondari all interno del dominio.
INTERAZIONI CHE DETERMINANO LA STRUTTURA TERZIARIA Sono le proprietà delle catene laterali le principali responsabili del ripiegamento di una catena polipeptidica. Nelle proteine i legami covalenti limitano le forme che queste possono assumere, ma sono le interazioni non covalenti (il legame idrogeno, le interazioni ioniche, le forze di van der Waals e le interazioni idrofobiche) che determinano le conformazioni stabili e al tempo stesso flessibili che permettono ad esse di svolgere le loro funzioni biologiche. Le interazioni idrofobiche sono dovute al fatto che le proteine sono presenti in un ambiente acquoso e la catena polipeptidica tende ad avvolgersi in modo tale da esporre in superficie le catene laterali polari e posizionando all interno quelle non polari in modo da ridurre la dimensione dello strato di solvatazione.
INTERAZIONI DEBOLI NELLE PROTEINE Analizzando il contributo delle interazioni alla stabilità delle proteine, si osserva che quelle predominanti sono le interazioni idrofobiche.
LA STRUTTURA QUATERNARIA DELLE PROTEINE Molte proteine sono formate da più catene polipeptidiche e le interazioni tra queste catene ne definiscono la struttura quaternaria. Queste strutture possono essere dovute a proteine con subunità diverse (eterodimeri) o uguali (omodimeri). Le interazioni tra le subunità sono le stesse trovate nelle strutture secondarie e terziarie. Esempi di strutture quaternarie A Proteasi HIV; B Emoglobina
FOLDING DELLE PROTEINE Il folding delle proteine costituisce il processo mediante il quale una catena polipeptidica si avvolge (folding) per assumere la sua conformazione nativa che è quella funzionale. Folding di una proteina
L ESPERIMENTO DI ANFINSEN (1957) L esperimento di C. Anfinsen sulla ribonucleasi A dimostra che una proteina denaturata riassume la sua conformazione nativa quando viene rimosso il denaturante. Quindi è l informazione codificata nella sequenza primaria di una proteina che determina completamente la sua struttura nativa. Lo stato nativo è il minimo assoluto dell energia libera della proteina che viene raggiunto spontaneamente nel processo di folding. Esperimento di Anfinsen sulla ribonucleasi A
IL PARADOSSO DI LEVINTHAL Nonostante il grande numero di conformazioni possibili che una proteina può assumere questa raggiunge la sua conformazione nativa in un tempo che varia tra 0.1 e 1000 secondi. Per un polipeptide di 101 amminoacidi : 8 100 = 2x10 90 conformazioni possibili. Con una frequenza di modificazione conformazionale uguale a 10 13 s -1, al polipeptide occorrerebbero poco meno di 10 70 anni per assumere tutte le conformazioni possibili (paradosso di Levinthal). Il processo di folding deve essere un processo guidato attraverso un cammino non casuale.
FOLDING DELLE PROTEINE Ci sono due possibili modelli di folding delle proteine: Nel primo, il processo di folding è di tipo gerarchico, in cui prima si formano le strutture secondarie, seguite da interazioni a lungo raggio per formare strutture più stabili. Il processo continua fino ad ottenere la struttura nativa. Nel secondo modello, il folding è iniziato da un collasso spontaneo del polipeptide in uno stato compatto, mediato da interazioni idrofobiche tra residui non polari. Lo stato collassato (molten globule) può avere un alto contenuto di strutture secondarie. Molte proteine seguono un processo di folding che incorpora le caratteristiche di entrambi i modelli.
FOLDING DELLE PROTEINE: CHAPERONI MOLECOLARI Molte proteine per avvolgersi hanno bisogno della presenza di altre proteine dette chaperoni molecolari, che interagiscono con la proteina parzialmente ripiegata facilitandone il corretto ripiegamento impedendo l associazione scorretta di zone idrofobiche. I chaperoni si presentano forma di capsule e sono in grado di fornire un ambiente sicuro per il giusto ripiegamento della proteina. Una volta che la proteina ha assunto la corretta struttura viene rilasciata
DETERMINAZIONE DELLA STRUTTURA 3D DELLE PROTEINE Metodi sperimentali Cristallografia a raggi X Spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) Metodi computazionali La struttura primaria implica la struttura nativa, quindi in linea di principio dovrebbe essere possibile disegnare un algoritmo per prevedere la struttura tridimensionale di una proteina conoscendo la sua sequenza amminoacidica. Tra i metodi computazionali c è ad esempio l algoritmo sviluppato dal gruppo di David Baker chiamato Rosetta, con grande capacità predittiva.
METODO ROSETTA Divide la sequenza primaria in gruppi (da 3 a 9) residui, ed effettua una ricerca tra le proteine a struttura nota generando così per ogni frammento una serie di strutture possibili. Vengono poi analizzate tutte le combinazioni e le varie conformazioni valutate con varie funzioni di scoring in modo da trovare quella a più bassa energia. Tra i sistemi di fold recognition è quello che ha ottenuto i migliori risultati al CASP. Alcuni esempi di strutture di proteine analizzate mediante il metodo Rosetta. A sinistra sono riportate le struttura determinate mediante i raggi x, mentre a destra le strutture previste teoricamente
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