MISSIONI DELLE FORZE ARMATE ALL'ESTERO E GIURISDIZIONE PENALE ( * )



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DIRITTO EUROPEO MISSIONI DELLE FORZE ARMATE ALL'ESTERO E GIURISDIZIONE PENALE ( * ) 1. Introduzione. Le vicende della legge (penale) applicabile alle nostre forze armate in missione all'estero offrono un emblematico ed efficace quadro delle sempre più frequenti problematiche connesse al progressivo venir meno della tradizionale concezione della sovranità territoriale. 2. Scenari internazionali e «missioni di pace». È noto come, negli ultimi anni, siano sensibilmente mutate le modalità del coinvolgimento di civili e militari nelle missioni in senso lato di pace, sotto l'egida delle Nazioni Unite o della stessa Unione Europea. Dagli interventi in Africa a quelli organizzati in occasione del disfacimento della ex-yugoslavia sino alle operazioni belliche legate all'esplosione del terrorismo internazionale, gli scenari entro cui si muovono le forze internazionali di intervento non solo sono sempre più drammatici ma, dal punto di vista giuridico, si prestano a riflessioni complesse e articolate, che, spesso, colgono impreparati anche gli studiosi più attenti. Si consideri paradigmaticamente il «Bramini Report» che, redatto su incarico del Segretario Generale dell'onu nell'agosto 2000 (A/55/305-S/2000/809) proprio al fine di dare una sistemazione alle nuove realtà in tema di missione, distingue tra missioni di peace keeping e peace bulding a seconda che l'impiego delle forze militari sia diretto a mantenere ovvero, ove necessario, a realizzare la pace (a questo proposito, da ultimo si usa anche l'espressione peace enforcement, là ove si vuole sottolineare la necessità di imporre la pace). A distanza di quasi quattro anni dalla sua redazione, il documento è già insufficiente a descrivere gli inediti panorami * (*) Prof. avv. Francesca Ruggieri, professore di diritto processuale penale all'università dell'insubria - Como.

internazionali in riferimento alla guerra e, soprattutto, alla gestione del «dopo-guerra» in Iraq. 3. Le fonti internazionali di interesse penalistico relative ai militari italiani coinvolti in missioni all'estero. Il coinvolgimento sempre crescente di personale civile e, soprattutto militare, in operazioni all'estero ( 1 ), ha fatto emergere con drammaticità l'esigenza di disciplinare, specie da un punto di vista penale, lo status e le condotte dei nostri soldati in missione (sia quali possibili imputati, sia in qualità di persone offese dal reato, cui purtroppo ci ha richiamato bruscamente l'attacco di Nassiriya). A tal proposito, non è ovviamente sufficiente una ricognizione limitata alla fonte di diritto interno. Si pensi, in particolare al diritto internazionale umanitario, codificato nelle Convenzioni di Ginevra e nei relativi Protocolli (recepiti dalla l. 11 dicembre 1985 n. 762) e alle norme poste a tutela dei diritti dell'uomo, e specificatamente alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. A tali disposizioni deve poi aggiungersi quello che è oramai pacificamente definito il «diritto internazionale penale» che, elaborato dai Tribunali ad hoc è stato quindi codificato nello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998 (cfr. l. 12 luglio 1999 n. 232 per la ratifica ed esecuzione dello Statuto, nonché per la delega al Governo per la sua attuazione; per le successive vicende relative ai controversi accordi stipulati con singoli Paesi, al fine di escludere la giurisdizione della Corte da singole missioni, si consulti invece l'osservatorio mensile di Diritto penale e processo dedicata alla 1 Come emerge sinteticamente dalla legge che ha autorizzato la prosecuzione della missione in Iraq, oggi lo Stato italiano partecipa con personale militare e civile alle seguenti operazioni internazionali: Joint Force in Bosnia e missione Over the Horizon Force ad essa collegata; Multinational Specialized Unit (MSU) in Bosnia e in Kosovo; Joint Guardian in Kosovo e Fyrom; NATO Headquarters Skopje (NATO HQS) in Fyrom; United Nations Mission in Kosovo (UNMIK) e Criminal Intelligence Unit (CIU) in Kosovo; Albit, Albania 2 e NATO Headquarters Tirana (NATO HQT) in Albania; Temporary International Presence (TIPH 2) in Hebron; United Nations Mission (UNMEE) in Etiopia ed Eritrea; Enduring Freedom e Active Endeavour e Resolute Behaviour a essa collegate; International Security Assistance Force-ISAF in Afghanistan. Lo Stato italiano partecipa ai processi di pace in corso per la Somalia e il Sudan, è presente con la Polizia di Stato e l'arma dei carabinieri alla missione in Bosnia-Erzegovina denominata EUPM e in Macedonia, alla missione denominata EUPOL Proxima; prende parte alla missione di monitoraggio dell'unione europea nei territori della ex Jugoslavia-EUMM. Per tutte le operazioni con personale militare informazioni sono reperibili sulla pagina web dell'esercito (http://www.esercito.difesa.it/root/sezioni/sez-attivita.asp).

Corte) ( 2 ). Appartengono, infine, a questo sintetico quadro anche gli accordi conclusi con il Paese «ospitante» (cd. SOFA, Status of Forces Agreements), che disciplinano lo status dei militari, e le cosiddette regole di ingaggio (ROE, Rules of Engagement) che stabiliscono le modalità per l'uso della forza. 3.1. Segue. Le fonti nazionali. Tra le fonti di diritto interno, merita attenzione ovviamente l'art. 103, comma 3 Cost., ai sensi del quale «I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate». Devono poi essere ricordate le leggi che, di volta in volta, hanno autorizzato le singole operazioni, e che rilevano sia per quello che dispongono in materia, sia per quello che non dicono sul punto. È noto, infatti, che solo a partire dal 2001, in occasione della missione Enduring Freedom in Afghanistan, il legislatore ha previsto, all'art. 8 del d.l. 1 dicembre 2001, n. 421, conv. con modificazioni in l. 31 gennaio 2002, n. 6, l'applicazione del codice penale militare di guerra (di seguito c.p.m.g.) risalente al 1941, procedendo contestualmente alla modifica di alcune sue disposizioni (cfr. art. 9 del d.l. appena citato) ( 3 ). In tutte le missioni all'estero precedenti, invece, era stato costante il richiamo al codice penale militare di pace (di seguito c.p.m.p.), proprio al fine di escludere che le condizioni oggettive in cui il contingente italiano si trovava ad operare potessero rendere applicabile quello di guerra (cfr., per tutti, in occasione della «situazione determinatasi nel Golfo Persico» nella primavera del 1990, l'art. 4 del d.l. 23 agosto 1990, n. 247, conv. con modificazioni in l. 29 ottobre 1990, n. 298). Tanto l'uno quanto l'altro codice contengono un corpus di norme di diritto penale sostanziale ed uno di diritto processuale, ma la loro portata pratica, come si vedrà infra, è diversa. Oggi, i componenti delle missioni iniziate prima del 2001 sono soggetti al 2 Si veda anche L. CAMALDO, Il processo dinanzi alla Corte penale internazionale, in questa Rivista, 2003, n. 4, p. 87 ss. 3 Per ulteriori, successive modifiche al c.p.m.g., cfr. gli artt. 2 e 3 della l. 27 febbraio 2002, nr. 15, nonché l'art. 2 della l. 18 marzo 2003, nr. 42.

codice penale militare di pace, quelli impegnati in interventi successivi (tra cui quelli operanti in Iraq) al codice penale militare di guerra (cfr. a questo proposito l'art. 12 del d.l. 20 gennaio 2004, n. 9, in materia di proroga della partecipazione italiana a operazioni internazionali, conv. con modificazioni in legge 12 marzo 2004 n. 68). Il quadro è completato dal codice penale e dal codice di rito comuni, che sono di applicazione suppletiva e residuale, ove il codice penale militare di pace o quello di guerra non dispongano diversamente (c.d. principio di complementarità). Quanto al diritto sostanziale, ciò si desume dal rinvio contenuto in singole e specifiche norme penali militari, nonché dagli artt. 15 e 16 c.p.; quanto al diritto processuale, il principio trova esplicita menzione in due norme a carattere generale. Per il tempo di pace, l'art. 261 c.p.m.p. rinvia alle disposizioni del codice di procedura penale ; per il tempo di guerra l'art. 244 c.p.m.g. configura una specialità di secondo grado od eccezionalità, in virtù della quale si osservano, per quanto è possibile, le disposizioni concernenti la procedura penale militare di pace, se da questo codice non è diversamente stabilito e quindi, in seconda battuta, anche quelle processuali comuni. 4. Un quadro d'insieme: la giurisdizione penale a cui è soggetto il militare italiano all'estero. Trascurando l'insieme delle giurisdizioni penali internazionali, nell'ottica del nostro Paese, due sono gli scenari da considerare, a seconda che si applichi il codice penale militare di pace o quello di guerra, distinguendo poi i profili penalistici da quelli processualistici. Qualora trovi applicazione il codice penale militare di pace, il militare italiano in missione all'estero è soggetto alle a dir vero poche fattispecie incriminatici contenute in tale codice (ad es. l'allontanamento illecito o la violata consegna). Per tutti gli altri comportamenti criminosi dovrà applicarsi il codice penale comune (art. 7 e ss. c.p.) ovvero, nel rispetto del principio di territorialità, quello del Paese dove si svolge la missione. Allorché, invece, trovi applicazione il codice penale militare di guerra, l'art. 47 c.p.m.g. (come risultante dalle modifiche apportate nel 2001) qualifica come reato militare un'ampia gamma di ipotesi

(che vanno da quelle già contenute nel c.p.m.p., ai reati comuni commessi dagli appartenenti alle forze armate, sino alle violazioni perpetrate in danno della popolazione civile) che tendono ad esaurire le diverse fattispecie penalmente rilevanti, relegando la giurisdizione ordinaria a ipotesi residuali. Dal punto di vista processuale, la giurisdizione del tribunale militare, nel caso delle operazioni internazionali spettante a quello di Roma (cfr., da ultimo, l'art. 12, comma 3 del citato d.l. 20 gennaio 2004, n. 9), è regolata dalle norme penali militari in prima battuta e da quelle comuni in via residuale; con la non trascurabile complicazione, più volte e di recente messa in luce dalla Corte costituzionale (cfr., ad es., sent. n. 274 del 1997), del loro reciproco coordinamento, dal momento che i codici penali militari risalgono al 1941 e, pertanto, sono strutturati sui codici Rocco del 1930, mentre il codice di rito vigente risale, come noto, al 1988. Ovviamente le norme processuali sia quelle ordinarie, sia soprattutto quelle speciali militari devono essere interpretate nel rispetto dei principi a tutela dei diritti della persona previsti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione Europea (da ritenersi applicabile anche al di fuori dei territori degli Stati aderenti, allorché, in qualsiasi Stato, nel processo penale sia coinvolto un cittadino di uno dei Paesi firmatari). 5. Conclusioni. La sintesi proposta, vera punta di un iceberg immenso e complesso, non permette nessuna conclusione, ma consente la formulazione di alcune domande di metodo che è facile prevedere non saranno presto né facilmente risolte, e che sono sintetizzabili nella problematica individuazione della normativa, o meglio delle fonti applicabili. Non si tratta di questione limitata alla disciplina delle nostre Forze armate all'estero. La riconducibilità di un certo fenomeno ad una disciplina piuttosto che ad un'altra è oggi il primo problema dell'interprete e si riscontra in qualsiasi ramo dell'ordinamento che deve tenere conto delle sempre più numerose fonti «extra-statuali» (dalle direttive dell'unione alle pronunce della Corte di Giustizia, ad esempio).

SEQUESTRO PROBATORIO E CONFISCA DEI BENI NELL'UNIONE EUROPEA ( * ) DECISIONE QUADRO DEL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA, 22 LUGLIO 2003, N. 2003/577/GAI, RELATIVA ALL'ESECUZIONE NELL'UNIONE EUROPEA DEI PROVVEDIMENTI DI BLOCCO DEI BENI O DI SEQUESTRO PROBATORIO. 1. Il sequestro probatorio europeo. Trascorso soltanto un anno dalla decisione quadro sul mandato di arresto europeo ( 4 ), si deve registrare una nuova iniziativa diretta al rafforzamento della cooperazione giudiziaria tra Stati membri dell'unione europea in materia penale, relativa questa volta all'esecuzione dei provvedimenti di sequestro probatorio o di blocco dei beni. La decisione quadro del 22 luglio 2003 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee del 2 agosto 2003, n. L- 196), richiamando il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali, affermato dal Consiglio europeo di Tampere ( 5 ), ed estendendolo alle ordinanze pre-processuali, delinea una procedura che consente alla autorità giudiziaria di uno Stato di ottenere rapidamente l'esecuzione del sequestro di un bene o di una prova che si trovino nel territorio di altro Stato membro dell'unione. Le disposizioni della decisione quadro, alla quale gli Stati membri dovranno provvedere ad adeguarsi entro il 2 agosto 2005, si applicano sia nel caso in cui il sequestro abbia lo scopo di acquisire oggetti o documenti da utilizzare in un procedimento penale a fini probatori, sia ove riguardi beni, materiali o immateriali, mobili o immobili, nonché atti giuridici attestanti un titolo o un diritto su tali beni, i quali potrebbero essere oggetto di confisca. La disciplina prevista dalla decisione in esame, seguendo lo schema già delineato per il mandato europeo di arresto, si fonda su un contatto diretto tra l'autorità giudiziaria dello Stato che ha adottato o convalidato il provvedimento di blocco o di sequestro * (*) Lucio Camaldo, Avvocato e ricercatore in diritto processuale penale all'università di Milano. 4 Decisione quadro del 13 giugno 2002 in G.U.C.E., 18 luglio 2002, n. L 190-1. Al riguardo si veda, volendo, L. CAMALDO, Mandato di arresto europeo e principi fondamentali, in questa Rivista, 2003, n. 1, p. 65 ss. 5 Si vedano, a tal proposito, Le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, in Cass. pen., 2000, n. 1, p. 307 ss.

nell'ambito di un procedimento penale e quella dello Stato di esecuzione, la quale riconosce immediatamente l'atto e provvede a dare ad esso attuazione impedendo ogni operazione volta a distruggere, trasformare, trasferire o alienare i beni indicati nel provvedimento stesso. Per espressa previsione contenuta nel preambolo, le esigenze di semplificazione delle procedure non possono sacrificare i diritti fondamentali e i principi contenuti nel Trattato, nonché nella Carta dei diritti dell'unione europea. In particolare è sempre consentito rifiutare l'esecuzione del provvedimento di sequestro di un bene qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che il provvedimento stesso sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinioni politiche oppure ove la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi. Sono, inoltre, fatte salve le norme costituzionali dei singoli Stati relative alle regole del giusto processo, nonché alle libertà fondamentali. 2. La procedura. La trasmissione del provvedimento di blocco del bene o di sequestro probatorio da parte della autorità giudiziaria che lo ha adottato, convalidato o comunque confermato può avvenire con qualsiasi mezzo, purché idoneo a consentire alla autorità dello Stato di esecuzione di stabilirne l'autenticità (art. 4). Al fine di facilitare il contatto tra le autorità giudiziarie appartenenti a diversi paesi, si prevede che ove l'autorità competente per l'esecuzione non sia nota, l'autorità dello Stato di emissione possa servirsi dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea, affinchè forniscano informazioni al riguardo. Al medesimo scopo di massima semplificazione della procedura, nel caso in cui l'autorità che riceve il provvedimento di sequestro non sia competente ad eseguirlo, provvede d'ufficio a trasmetterlo all'autorità competente, informando lo Stato di emissione. Unitamente al provvedimento di sequestro, l'autorità dello Stato di emissione deve trasmettere un certificato, tradotto nella lingua dello Stato di esecuzione, in cui la stessa autorità dichiara che le informazioni contenute nell'atto sono esatte (art. 9). Ricevuto il provvedimento, l'autorità dello Stato di esecuzione, senza che siano

necessarie altre formalità, adotta senza indugio le misure necessarie a darvi immediata attuazione, come se si trattasse di un atto di sequestro emanato da una autorità dello Stato membro in cui deve essere eseguito. Con tale disposizione la decisione quadro ha inteso attribuire una efficacia diretta al provvedimento di sequestro anche in un paese diverso da quello di origine, dando così espresso riconoscimento al principio della circolazione delle decisioni giudiziarie, previsto dalla Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 sulla assistenza giudiziaria in materia penale, in conformità al titolo VI del Trattato dell'unione europea relativo allo spazio europeo di libertà sicurezza e giustizia (c.d. terzo pilastro). Alla regola della immediata esecuzione del provvedimento di sequestro si contrappongono le ipotesi eccezionali, espressamente indicate nella decisione quadro, in cui lo Stato di esecuzione può rifiutare il riconoscimento o l'esecuzione del provvedimento (art. 7) ovvero rinviarne l'esecuzione stessa (art. 8) ( 6 ). Ove il provvedimento di sequestro abbia finalità probatorie, per garantire la validità della prova nello Stato che lo ha adottato si prevede l'applicazione delle formalità e procedure indicate dallo Stato richiedente, a condizione che esse non siano in conflitto con i principi fondamentali dello Stato di esecuzione (art. 5). Tale previsione appare opportuna se si considera che la prova deve essere utilizzata in un paese diverso da quello di esecuzione del sequestro probatorio e pertanto deve rispettare le modalità di acquisizione previste dallo Stato emittente al fine di poter essere in esso utilmente spesa. Sottoposta a sequestro la prova o bloccato il bene, si apre una seconda fase della procedura in cui lo Stato che ha eseguito il provvedimento deve valutare ed eseguire la richiesta di trasferimento della fonte di prova nello Stato di emissione, ove il sequestro abbia finalità probatorie, ovvero la richiesta di confisca, da eseguirsi nello Stato in cui il bene si trova (art. 10). Qualora la richiesta di 6 Tra i motivi di non esecuzione vi sono i seguenti: irregolarità o incompletezza del certificato che accompagna il provvedimento, immunità o privilegi a norma del diritto dello Stato di esecuzione, violazione del principio di ne bis in idem, mancanza del requisito della doppia incriminazione tranne che per le figure di reato indicate all'art. 3. Costituiscono, invece, motivi di rinvio dell'esecuzione: il pregiudizio per un'indagine in corso, un precedente provvedimento di blocco o di sequestro fino alla revoca di esso.

trasferimento o di confisca non sia trasmessa contestualmente al provvedimento di sequestro, lo Stato dell'esecuzione deve mantenere il bene bloccato o sotto sequestro in attesa di tale comunicazione e successivamente fino alla decisione su tale richiesta. Entrambe le richieste sopra citate sono presentate e trattate secondo le norme applicabili all'assistenza giudiziaria in materia penale, nonché secondo quelle applicabili alla cooperazione internazionale in materia di confisca. Qualora l'autorità giudiziaria dello Stato di emissione provveda alla revoca del provvedimento di sequestro deve prontamente informare l'autorità dello Stato di esecuzione, alla quale spetta revocare al più presto il sequestro stesso. 3. La deroga al requisito della doppia incriminazione. La decisone quadro suscita perplessità nella parte in cui prevede che per alcune fattispecie criminose indicate all'art. 3 ( 7 ) che possono in ogni momento essere ampliate dal Consiglio previo parere del Parlamento lo Stato in cui si trova il bene deve procedere all'esecuzione del provvedimento di sequestro e ottemperare alla richiesta di trasferimento o di confisca senza operare il controllo della doppia incriminazione, ossia senza verificare se il fatto per il quale il provvedimento è stato emesso costituisca reato ai sensi della legge vigente nello Stato di esecuzione. Al di fuori di tali casi, invece, conformemente ai principi in materia di cooperazione giudiziaria, l'esecuzione del sequestro può essere subordinato alla condizione che i fatti per i quali è emesso costituiscano un reato anche secondo la legge di tale Stato, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso ai sensi della legge dello Stato di emissione. Tale disciplina, già delineata in termini del tutto analoghi per il mandato di arresto europeo, appare censurabile se si considera che «ove si venisse a dare esecuzione a provvedimenti emessi in relazione a fattispecie che non trovassero assolutamente rispondenza nel catalogo dei delitti e delle pene dello Stato richiesto, la questione 7 Tra le ipotesi previste dall'art. 3 vi sono le seguenti: partecipazione a un'organizzazione criminale, terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale di bambini, traffico illecito di stupefacenti o di armi, riciclaggio, corruzione, frode, razzismo e xenofobia, truffa, criminalità informatica o ambientale, traffico illecito di beni culturali, stupro, dirottamento di aereo-nave; contraffazione e pirateria in materia di prodotti, ecc.

del rapporto con il principio di stretta legalità, così come consacrato anche nell'art. 25 Cost., sarebbe difficile da negare» ( 8 ). Si deve, inoltre, osservare che le fattispecie elencate nell'art. 3 sono prive dei necessari requisiti di tassatività e di completezza della norma penale, e appaiono piuttosto categorie generali e non già vere e proprie figure di reato. Appare davvero inaccettabile che uno Stato debba eseguire un provvedimento che, sebbene in via provvisoria, incide sulla libera disponibilità di un bene, prescindendo da un controllo diretto ad accertare se i fatti per cui si procede costituiscano reato secondo la legislazione nazionale. 4. Mezzi di impugnazione e risarcimento del danno. Viene lasciata agli Stati membri la predisposizione dei mezzi di impugnazione contro i provvedimenti di blocco o di sequestro, attraverso i quali i soggetti interessati, compresi terzi in buona fede, possono far valere i propri diritti. La decisione quadro prevede soltanto che l'impugnazione, comunque priva di effetto sospensivo del provvedimento, possa essere promossa tanto dinanzi all'autorità dello Stato di emissione quanto a quella dello Stato di esecuzione, ai sensi della legislazione nazionale di ciascuno degli Stati membri. Ove il giudizio di impugnazione sia promosso nello Stato di esecuzione del provvedimento è necessario informare l'autorità che lo ha adottato affinché possa presentare le argomentazioni necessarie. Tale competenza alternativa per il gravame sembra valere in relazione ai vizi attinenti alla legittimità dell'atto, mentre per i vizi di merito l'art. 11 par. 2 precisa espressamente che possono essere contestati soltanto mediante una azione dinanzi all'autorità giudiziaria dello Stato di emissione. È compito della legislazione di attuazione della decisione quadro nei singoli paesi prevedere le misure atte ad agevolare l'esercizio del diritto di presentare la richiesta di riesame nonché stabilire i termini entro cui l'impugnazione può essere proposta, in modo «atto a garantire che le parti interessate dispongano di un mezzo giuridico effettivo» (così espressamente prevede l'art. 11 par. 5). 8 Cfr. CHIAVARIO, Appunti a prima lettura sul mandato di arresto europeo, in www.unife.it/forumcostituzionale/contributi/que-giu.htm.

Oltre alla possibilità di impugnare il provvedimento, le parti hanno diritto al risarcimento del danno causato dall'esecuzione del sequestro o del blocco dei beni e possono far valere tale pretesa nei confronti dello Stato di esecuzione, il quale potrà rivalersi sullo Stato di emissione, tranne se e nella misura in cui il danno o parte di esso è dovuto esclusivamente alla condotta dello Stato di esecuzione. 5. Considerazioni conclusive. Sebbene la decisione quadro in materia di sequestro probatorio appaia apprezzabile quale nuova tessera del mosaico diretto a configurare un modello processuale comune, che si fonda sui principi di libera circolazione dei provvedimenti giudiziari o delle prove nello spazio comune dell'unione rafforzando la cooperazione diretta ed immediata tra le autorità giudiziarie dei singoli paesi membri, non sembra difficile prevedere che si presenteranno difficoltà attuative analoghe a quelle già incontrate dal mandato di arresto europeo. Sarà compito del legislatore nazionale, nella attuazione della decisione quadro, verificarne la compatibilità con i principi previsti a livello costituzionale, nonché con la normativa contenuta nel codice di rito penale, evitando che l'armonizzazione dei sistemi processuali penali, realizzata finora non con un intervento sistematico ma con provvedimenti «a pioggia» in diversi settori, possa comportare un arretramento delle garanzie fondamentali.

LE PROSPETTIVE DEL MARCHIO COMUNITARIO ( * ) UN NUOVO MERCATO INTERNAZIONALE La Registrazione internazionale dei marchi: brevi riflessioni La Comunità europea con la Decisione del 27 ottobre 2003 ( 9 ) ha approvato, per le materie rientranti nella sua competenza, il Protocollo relativo all'intesa di Madrid, adottato il 27 giugno 1989, al fine di introdurre alcune innovazioni nel sistema della registrazione internazionale dei marchi. Con Regolamento, emanato nella medesima data, è stato modificato il Regolamento n. 40 del 1994 in materia di marchio comunitario, con l'inserimento del titolo VIII recante la «Registrazione internazionale dei marchi». Come l'intesa di Madrid risalente al 14 aprile 1891, anche il Protocollo sopra citato disciplina la registrazione internazionale dei marchi presso l'ufficio internazionale dell'ompi/wipo. Diversamente da quanto prevedeva l'intesa di Madrid, il protocollo consente alle organizzazioni intergovernative, che hanno un proprio sistema regionale per i marchi, di partecipare al sistema di registrazione internazionale. Il protocollo di Madrid ha istituito quattro principali innovazioni di tipo procedurale: 1. il richiedente la registrazione internazionale può basare la sua domanda non solo su un marchio nazionale o regionale registrato, ma anche su una domanda di registrazione nazionale o regionale depositata presso un ufficio nazionale o regionale di origine (articolo 2); 2. ciascuna parte contraente in cui il richiedente domanda la protezione può dichiarare, con apposita notifica, nel termine di 18 mesi (anziché 12 mesi) che a tale marchio non può essere accordata protezione nel proprio territorio. Questo periodo può essere prorogato in caso di opposizione contro la registrazione internazionale (articolo 5); * (*) (*) Antonio Bana, Avvocato in Milano. 9 Si veda Consiglio CE, Decisione 27 ottobre 2003 n. 793, in Gazzetta Ufficiale dell'unione Europea del 14 novembre 2003, L. 296.

3. l'ufficio di ciascuna parte contraente può riscuotere tasse di designazione (indicazione dei paesi per i quali si chiede la protezione) più elevate di quelle previste dall'intesa di Madrid (articolo 8); 4. le registrazioni internazionali radiate perché il marchio nazionale o regionale che ne costituisce il fondamento non ha più efficacia (impugnazione del marchio di base o della domanda di base; articolo 6) possono essere trasformate in domande di registrazione nazionale o regionale che beneficiano della stessa data di deposito e, se applicabile, della stessa data di priorità (articolo 9 quinquies). Per il resto, il protocollo di Madrid ha struttura sostanzialmente analoga all'intesa di Madrid. Ad esempio, in tutti gli Stati che sono parti contraenti del protocollo di Madrid, la registrazione internazionale è disciplinata dalle stesse regole che si applicano alle domande nazionali o regionali, sia con riferimento ai termini e ai requisiti di registrazione che ai diritti conferiti al suo titolare. Il sistema del protocollo di Madrid è caratterizzato dai seguenti elementi: la registrazione internazionale non dà luogo a un marchio sovranazionale, ma piuttosto a un sistema di deposito centralizzato, con efficacia equivalente a quella di una serie di domande di deposito nazionale o regionale; la registrazione internazionale non può essere richiesta direttamente dall'interessato; essa deve essere chiesta sulla base di una registrazione o domanda nazionale o regionale presentata a un ufficio della proprietà industriale nazionale o regionale per il tramite di quest'ultimo ufficio. Dato che l'intesa di Madrid continua ad essere uno strumento ambìto per ottenere la registrazione internazionale dei marchi, il protocollo di Madrid funzionerà in modo complementare con l'intesa suddetta. Per questo motivo il protocollo contiene una clausola di salvaguardia in virtù della quale le disposizioni del protocollo di Madrid non hanno efficacia nei confronti di registrazioni internazionali basate su domande o registrazioni di marchi originarie di un ufficio di uno Stato che sia parte tanto dell'accordo quanto del protocollo di Madrid e che designi qualsiasi altro Stato che sia anche

parte tanto dell'accordo quanto del protocollo di Madrid (articolo 9 sexies). Secondo l'intesa di Madrid, la domanda internazionale deve necessariamente essere basata su una registrazione nazionale effettuata presso l'ufficio di origine. In virtù del Protocollo, una domanda internazionale può essere fondata più semplicemente su una domanda di registrazione depositata presso l'ufficio nazionale (la cosiddetta domanda di base ), oltre che naturalmente su una registrazione nazionale di base. L'importanza del marchio internazionale Il c.d. marchio internazionale è un sistema basato su di un accordo internazionale ( Arrangement di Madrid e Protocolle ) che consente di evitare i depositi plurimi per ottenere la registrazione del marchio in più Stati. Il meccanismo istituito dall'intesa e dal Protocollo è il seguente: chi è titolare di una domanda di marchio (secondo il Protocollo) o di una registrazione di marchio (secondo l'intesa) presso un Ufficio Brevetti nazionale, può chiedere a tale ufficio di trasmettere all'ufficio Internazionale per la protezione della proprietà industriale di Ginevra la richiesta di registrare tale marchio con effetto nei paesi aderenti che saranno indicati. Il deposito della domanda di registrazione internazionale equivale al deposito della domanda di registrazione del marchio presso ogni paese designato il quale ha 12 o 18 mesi, dalla comunicazione del deposito da parte dell'ufficio di Ginevra, per dichiarare di non riconoscere l'esclusiva per quel segno quando vi sono ragioni che avrebbero determinato il rigetto di una domanda nazionale. In definitiva il sistema dell'intesa e del Protocollo consente di evitare depositi plurimi attraverso un unico procedimento di registrazione compiuto a livello internazionale, originando un fascio di marchi nazionali, ciascuno sottoposto alla disciplina ed alla giurisdizione locale. Il marchio internazionale non è, quindi, un tipo di marchio che vale anche all'estero, ma è una speciale procedura che permette, depositando una sola domanda, di chiedere la registrazione del proprio marchio in più paesi. Il richiedente, dunque, sarà titolare di tanti marchi nazionali quanti sono gli Stati dove ha chiesto il deposito. Le procedure di registrazione seguono il percorso di esame

normale di ogni Stato: e potrà quindi accadere che la domanda di registrazione sia respinta in uno Stato (perché, ad esempio, il marchio è descrittivo), concessa in un altro, oggetto d'opposizione in un altro ancora. È necessario osservare che questa procedura è disponibile solo per i paesi che hanno aderito all'intesa di Madrid o al Protocollo: gli Stati Uniti, ad esempio, non hanno aderito all'accordo, e dunque chi vorrà depositare un marchio in tale paese dovrà effettuare domanda specifica presso la competente autorità nazionale. Occorre poi tenere presente che la sorte dei marchi nazionali ottenuti dipende per i primi cinque anni dalla sorte del marchio depositato presso il paese d'origine: se in tale periodo viene meno l'esclusiva nel paese d'origine, perde efficacia anche il deposito internazionale.