A cura di Pasquale Pirone Impresa familiare nelle unioni civili e convivenze di fatto. Tavola sinottica

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a) 10 euro, se l'ammontare del reddito complessivo e' superiore a euro ma non a euro;

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A cura di Pasquale Pirone Impresa familiare nelle unioni civili e convivenze di fatto Categoria: Contribuenti Sottocategoria: Varie Tavola sinottica Sintesi La Legge Cirinnà sulle unioni civili ha avuto dei riflessi anche sulla disciplina civilistica e fiscale dell impresa familiare. In particolare quanto disposto dall art. 5 comma 4 del TUIR (disciplina fiscale) è da ritenersi applicabile anche per le unioni civili dello stesso sesso (quindi ad esempio per l impresa familiare costituita tra coniugi dello stesso sesso). Alla stessa conclusione è giunta l Agenzia delle Entrate (Risoluzione n. 134/E/2017) nel caso delle convivenze more uxorio (convivenze di fatto). Focus Anche il convivente di fatto può rivestire la figura di collaboratore dell impresa familiare e il reddito a lui spettante, derivante dalla partecipazione agli utili dell impresa dell altro convivente, è ad esso imputabile in proporzione alla sua quota di partecipazione ai sensi del comma 4 art. 5 TUIR. Egli diventa, dunque, titolare di un reddito da partecipazione. Parere dell INPS Secondo l INPS, il convivente di fatto, non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d impresa, non è contemplato dalle leggi istitutive delle gestioni autonome quale prestatore di lavoro soggetto ad obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare. Le sue prestazioni saranno quindi valutabili, in base alle disposizioni vigenti ed alle elaborazioni giurisprudenziali, al fine di individuare la tipologia di attività lavorativa che si adatti al caso concreto. Riferimenti Normativi Art. 230-bis c.c.; Art. 230-ter c.c.; Art. 5 TUIR; Legge n. Legge n. 76/2016; Risoluzione n. 134/E/2017; Circolare INPS n. 66 del 31 marzo 2017. 1

Premessa Dal punto di vista civilistico, l impresa familiare è disciplinata con l art. 230-bis del Codice Civile: Art. 230-bis c.c. Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all'impresa stessa. I familiari partecipanti all'impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi. A livello fiscale, la normativa è, invece, contenuta nell art. 5 comma 4 TUIR. Art. 5 comma 4 TUIR I redditi delle imprese familiari di cui all'articolo 230-bis del Codice Civile, limitatamente al 49 per cento dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. La presente disposizione si applica a condizione: a) che i familiari partecipanti all'impresa risultino nominativamente, con l'indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l'imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo di imposta, recante la sottoscrizione dell'imprenditore e dei familiari partecipanti; b) che la dichiarazione dei redditi dell'imprenditore rechi l'indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l'attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell'impresa, in modo continuativo e prevalente, nel periodo di imposta; c) che ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione dei redditi, di aver prestato la sua attività di lavoro nell'impresa in modo continuativo e prevalente. 2

Nell ambito dell impresa familiare, sia ai fini civilistici sia ai fini fiscali, si intendono per familiari: il coniuge; i parenti entro il terzo grado; gli affini entro il secondo grado. Dunque, l impresa familiare può essere costituita tra il soggetto titolare (imprenditore) e chi è ad esso legato dai uno dei predetti rapporti di parentela/affinità. In particolare: Parenti ed affini Coniugi Parenti entro il terzo grado Affini entro il secondo grado Costituzione impresa familiare Chi Marito e Moglie (anche dello stesso sesso) bisnonni, nonni, genitori; figli, nipoti (figli dei figli) e bisnipoti (figli dei figli dei figli); fratelli e loro figli (nipoti); nonni e genitori del coniuge; figli e nipoti (figli dei figli) del coniuge; fratelli del coniuge. L impresa familiare nelle unioni civili La Legge Cirinnà (Legge n. 76/2016) ha introdotto nel nostro ordinamento l istituto dell unione civile tra persone dello stesso sesso equiparandole, sia ai fini civilistici che fiscali, alle coppie dello stesso sesso unite in matrimonio. Comma 20 art. 1 Legge Cirinnà Ne consegue che: Al solo fine di assicurare l effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del Codice Civile non richiamate espressamente nella presente Legge, nonché alle disposizioni di cui alla Legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti. quanto previsto dall art. 230 bis del Codice Civile e quanto dettato dal comma 4 art. 5 del TUIR, si applica anche nell ambito delle unioni civili dello stesso sesso. Quindi ad esempio nell ambito di una coppia dello stesso sesso unita civilmente è possibile che uno dei due costituisca impresa familiare con il fratello dell altro coniuge (affinità entro il secondo grado). 3

Nell ambito della gestione previdenziale degli artigiani, l art. 2, comma 2, n. 1) della Legge n. 463/1959 e s.m.i., che estende l assicurazione previdenziale per gli artigiani ai familiari coadiuvanti, indica il coniuge ; di contenuto analogo, l art. 2 comma 1 della Legge n. 613/1966 e s.m.i., che annovera tra i soggetti obbligati all iscrizione alla gestione degli esercenti attività commerciali i familiari coadiutori, tra cui il coniuge. L equiparazione tra il coniuge ed ognuna delle parti dell Unione civile comporta la necessità di estendere le tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma anche ai coadiuvanti uniti al titolare da un rapporto di unione civile, registrato ai sensi di legge e comprovato da una dichiarazione sostitutiva della dichiarazione di cui all art. 1, comma 9 della Legge n. 76/2016 e all art. 7 del DPCM n. 144/2016. Ne deriva che, in sede di comunicazioni di eventi che il titolare è tenuto ad effettuare mediante il sistema ComUnica, introdotto dalla Legge n. 40/07 ed in vigore a partire dal 1/4/2010, egli potrà indicare come proprio collaboratore colui al quale è unito civilmente, identificandolo, nel campo relativo al rapporto di parentela, quale coniuge. (Circolare INPS n. 66 del 31/03/2017). Nella citata Circolare, conclude l INPS, che: Anche con riferimento al campo di applicazione dell istituto dell impresa familiare, deve intendersi che il soggetto unito civilmente al titolare dell impresa familiare deve essere equiparato al coniuge, con tutti i conseguenti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale. L impresa familiare nelle convivenze di fatto Le convivenze di fatto consistono in unioni stabili tra due persone maggiorenni, legate da vincoli affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un unione civile (Legge n. 76/2016). La stessa Legge Cirinnà è, intervenuta sulla disciplina dell impresa familiare anche per le convivenze di fatto, inserendo al Codice Civile il nuovo art. 230-ter, recante la regolamentazione delle prestazioni di lavoro rese in favore del convivente more uxorio (ossia convivente di fatto). In quest ultimo articolo si legge espressamente che: Art. 230-ter codice Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all interno dell impresa dell altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell azienda, anche in ordine all avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato. L Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione n. 234/E/2017, osserva che, con il nuovo art. 230-ter c.c.: l intento che il Legislatore ha voluto perseguire è stato quello di mantenere su posizioni differenti la collaborazione del convivente rispetto a quella del familiare tra cui, ad 4

esempio, l esclusione del convivente dal diritto al mantenimento nonché dal diritto alla partecipazione alle decisioni dell impresa (diritti spettanti, invece, al familiare ed alla parte civile). La stessa Agenzia delle Entrate nel documento di prassi citato richiama anche la Circolare n. 40 del 1976 del Ministero delle Finanze in cui è stato precisato che: nel caso di impresa familiare non si tratta di reddito prodotto in forma associata, ma ribadisce il principio di trasparenza, in virtù del quale il reddito prodotto da un determinato soggetto tra quelli contemplati dall art. 5 del TUIR è imputato a ciascuno degli aventi diritto, indipendentemente dalla percezione del reddito ed in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili. Pertanto sulla base del combinato disposto tra l art. 230-ter c.c. e quanto precisato dal MEF, l Amministrazione Finanziaria conclude che: Orientamento Agenzia delle Entrate Anche se il comma 4 art. 5 TUIR non richiama il nuovo art. 230-ter c.c. (ma si limita ancora a citare il solo art. 230-bis c.c.), questi (ossia l art. 230-ter del c.c.) espressamente sancisce in capo al convivente di fatto il diritto di partecipare agli utili / beni / incrementi dell impresa familiare di cui è titolare l altro convivente: il riferimento alla «partecipazione agli utili dell impresa familiare» spettanti al convivente, contenuto nell art. 230-ter, consente di applicare anche a questa fattispecie i principi generali che hanno portato alla collocazione dell impresa familiare all interno dell articolo 5 del TUIR. Anche il convivente di fatto può rivestire la figura di collaboratore dell impresa familiare e: il reddito spettante al convivente di fatto, derivante dalla partecipazione agli utili dell impresa dell altro convivente, è ad esso imputabile in proporzione alla sua quota di partecipazione ai sensi del comma 4 art. 5 TUIR; il convivente di fatto collaboratore dell impresa dell altro convivente diventa titolare di un reddito da partecipazione. 5

Di parere diverso risulta, invece, essere l INPS in merito al campo previdenziale. In particolare l INPS osserva che (Circolare n. 66 del 31/03/2017): la nuova normativa estende al convivente alcune tutele, espressamente indicate, riservate al coniuge o ai familiari, ad esempio in materia penitenziaria, sanitaria, abitativa, ma non introduce alcuna equiparazione di status, né estende al convivente, per quanto di interesse, gli stessi diritti/obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore. Orientamento INPS Pertanto, secondo l ente di previdenza, il convivente di fatto, non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d impresa, non è contemplato dalle leggi istitutive delle gestioni autonome quale prestatore di lavoro soggetto ad obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare. Le sue prestazioni saranno quindi valutabili, in base alle disposizioni vigenti ed alle elaborazioni giurisprudenziali, al fine di individuare la tipologia di attività lavorativa che si adatti al caso concreto. Secondo l INPS, l art. 230-ter: Non attribuisce ai conviventi di fatto i medesimi diritti di cui godono i familiari individuati dall art. 230 bis, poiché a tal fine il Legislatore avrebbe utilizzato locuzioni idonee ad includere il convivente nella formulazione del predetto articolo e non avrebbe al contrario introdotto un nuovo articolo, che disciplina separatamente i diritti del convivente che presti attività in un impresa familiare. In ogni caso, ai fini che qui interessano, si ritiene che, alla luce del tenore letterale e dell interpretazione delle disposizioni introdotte, l eventuale attribuzione di utili d impresa al convivente di fatto, da parte del titolare, ai sensi del nuovo articolo 230 ter, non abbia alcuna conseguenza in ordine all insorgenza dell obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare. 6