Dividendi madre figlia corrisposti a società UE controllate da società extra UE.

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12/2017 Note e Studi Dividendi madre figlia corrisposti a società UE controllate da società extra UE. Disciplina anti-abuso francese non conforme alla direttiva e in contrasto con la libertà di stabilimento UE. (Corte di Giustizia UE, sentenza del 7 settembre 2017, causa C-6/16)

Facendo seguito a quanto già rilevato nella nostra circolare n. 10 del 2017 (Holding passive e vantaggi fiscali. I recenti chiarimenti giurisprudenziali) in cui avevamo commentato le conclusioni dell Avvocato generale presentate il 19 gennaio 2017 nella causa C-6/16, diamo conto in questa sede delle ulteriori statuizioni contenute nella recente sentenza della Corte di Giustizia del 7 settembre 2017. In particolare, la Corte di Giustizia, facendo proprie le conclusioni dell Avvocato generale, ha ritenuto non conformi alla direttiva madre-figlia e ai principi espressi dal diritto primario dell UE in particolare, alla libertà di stabilimento contemplata dall art. 49 del TFUE la disposizione anti-abuso francese. Si tratta di una disposizione che, analogamente alla nostra previgente normativa italiana, escludeva dal regime di esenzione dalla ritenuta gli utili distribuiti dalla società figlia alla società madre sita in altro Stato UE ma controllata, direttamente o indirettamente, da uno o più soggetti residenti in Paesi extra UE. 2

La sentenza della Corte di Giustizia UE Con la sentenza del 7 settembre 2017, causa C-6/16, La Corte di Giustizia UE si è pronunciata sull ambito applicativo di esenzione della ritenuta sui dividendi prevista dalla direttiva madre-figlia ed ha definitivamente bocciato la presunzione prevista, in passato, da alcune disposizioni nazionali anti-abuso che, in via di principio, escludeva la possibilità di fruire di tale esenzione laddove gli utili distribuiti dalla società figlia fossero andati a beneficio di una società madre sita in altro Stato UE ma controllata, direttamente o indirettamente, da uno o più soggetti residenti in Paesi extra UE. In particolare, il caso sottoposto all attenzione dei giudici europei riguardava una società figlia francese che aveva distribuito il dividendo alla madre lussemburghese; società madre che era controllata da una società di diritto cipriota, a sua volta, interamente partecipata da una società sita in Svizzera. Il fisco francese, sulla base del fatto che al vertice della catena partecipativa si collocavano società residenti in Paesi extra UE, aveva escluso il beneficio dell esenzione della ritenuta alla fonte, applicando l art. 119 ter del Codice generale delle imposte; una disposizione, cioè, con la quale era stata prevista una presunzione di inapplicabilità dell esenzione da ritenuta che poteva essere vinta esclusivamente allorché la società percipiente i dividendi fosse riuscita a dimostrare che la catena di partecipazioni avente al vertice un soggetto societario extra UE non aveva come fine principale, o fra i suoi fini principali, quello di fruire dell esenzione della ritenuta. La Corte di Giustizia, facendo proprie le conclusioni dell Avvocato generale Kokott, presentate il 19 gennaio 2017, ha ritenuto che una simile disposizione nazionale antiabuso contrastasse non solo con gli obiettivi della direttiva madre-figlia, ma anche con i principi espressi dal diritto primario dell UE e, in particolare, con la libertà di stabilimento contemplata dall art. 49 del TFUE, poiché: a) da un lato, essa prendeva in considerazione un elemento privo di rilevanza e, cioè, l origine degli azionisti delle società residenti nell UE; b) dall altro, essa determinava un irrazionale ribaltamento dell onere della prova, senza che l Amministrazione finanziaria fosse tenuta a fornire alcun indizio di elusione fiscale. Più in generale, i giudici europei hanno precisato che l introduzione di un provvedimento fiscale di portata generale che escluda automaticamente talune 3

categorie di contribuenti dall agevolazione fiscale, senza che l amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire il benché minimo principio di prova o di indizio di frode e abuso, eccederebbe quanto necessario per evitare le frodi e gli abusi e, inoltre, che non emerge da alcuna disposizione della direttiva sulle società madri e figlie che l origine degli azionisti delle società residenti nell Unione incida sul diritto di siffatte società di avvalersi delle agevolazioni fiscali previste dalla direttiva in esame. In questa prospettiva, per la Corte di Giustizia, una disposizione nazionale che istituisce una presunzione generale di frode e di abuso pregiudica l obiettivo perseguito dalla direttiva sulle società madri e figlie, ossia prevenire la doppia imposizione degli utili distribuiti da una società figlia alla propria società madre, perché subordina l esenzione dalla ritenuta alla fonte degli utili distribuiti da una società figlia residente alla propria società madre non residente alla condizione che tale società madre dimostri che la catena di partecipazioni non abbia come fine principale o fra i propri fini principali quello di trarre vantaggio da tale esenzione, senza che l amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire il benché minimo principio di prova di frode e di abuso. Secondo la Corte, più in particolare, per essere compatibile con il diritto primario dell UE e, segnatamente, con il principio di libertà di stabilimento, e per essere idonea a perseguire gli obiettivi della direttiva, la normativa nazionale avrebbe dovuto perseguire l obiettivo specifico di escludere dal beneficio di un agevolazione fiscale le costruzioni puramente artificiose finalizzate a fruire indebitamente di tale agevolazione e non, invece, riguardare in via generale, qualsiasi situazione in cui una società madre controllata direttamente o indirettamente da soggetti residenti di Stati terzi, per qualsivoglia ragione, abbia la propria sede al di fuori della Francia. Come abbiamo evidenziato anche nella nostra Circolare n. 10 del 2017 (Holding passive e vantaggi fiscali. I recenti chiarimenti giurisprudenziali) in cui avevamo già avuto modo di commentare le conclusioni dell Avvocato generale conclusioni che trovano in questa sentenza piena conferma si tratta di chiarimenti interpretativi molto importanti e probabilmente destinati a dispiegare effetti anche in relazione alle fattispecie di abuso contestate dall Amministrazione finanziaria italiana, sia negli anni passati e che sono oggetto di contenziosi tuttora pendenti, sia in relazione alle fattispecie di abuso che vengono oggi contestate in base alla nuova disposizione antiabuso generale contenuta nell art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente. Ricordiamo, infatti, a questo proposito che la norma francese introdotta in attuazione di quanto disposto dal previgente art. 1 della direttiva madre-figlia, con il quale era lasciata ai singoli Stati UE un ampia e generica facoltà di introdurre o meno specifiche 4

norme antiabuso a tutela della corretta applicazione della direttiva è di tenore pressoché identico a quello della previgente normativa italiana: il pregresso testo del nostro art. 27-bis, comma 5, del D.P.R. n. 600 del 1973, in sostanza, riferiva al contribuente l onere della prova in ordine alla circostanza che la struttura della catena di partecipazioni non fosse motivata, principalmente, da ragioni fiscali. 5