Marzia Mortarino, Mauro Reali, Gisella Turazza. LOCI SCRIPTORUM Antologia modulare di autori latini QUINTILIANO E L EDUCAZIONE A ROMA RISORSE ONLINE



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Marzia Mortarino, Mauro Reali, Gisella Turazza LOCI SCRIPTORUM Antologia modulare di autori latini QUINTILIANO E L EDUCAZIONE A ROMA RISORSE ONLINE

Marzia Mortarino, Mauro Reali, Gisella Turazza Loci scriptorum Antologia modulare di autori latini Quintiliano e l educazione a Roma A cura di Mauro Reali e Gisella Turazza LOESCHER EDITORE

Loescher Editore - Torino - 2012 http://www.loescher.it I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. L acquisto della presente copia dell opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org. L editore, per quanto di propria spettanza, considera rare le opere fuori dal proprio catalogo editoriale. La fotocopia dei soli esemplari esistenti nelle biblioteche di tali opere è consentita, non essendo concorrenziale all opera. Non possono considerarsi rare le opere di cui esiste, nel catalogo dell editore, una successiva edizione, le opere presenti in cataloghi di altri editori o le opere antologiche. Nel contratto di cessione è esclusa, per biblioteche, istituti di istruzione, musei ed archivi, la facoltà di cui all art. 71 - ter legge diritto d autore. Maggiori informazioni sul nostro sito: http://www.loescher.it Ristampe 5 4 3 2 1 N 2017 2016 2015 2014 2013 2012 ISBN 9788820136062 Nonostante la passione e la competenza delle persone coinvolte nella realizzazione di quest opera, è possibile che in essa siano riscontrabili errori o imprecisioni. Ce ne scusiamo fin d ora con i lettori e ringraziamo coloro che, contribuendo al miglioramento dell opera stessa, vorranno segnalarceli al seguente indirizzo: Loescher Editore s.r.l. Via Vittorio Amedeo II, 18 10121 Torino Fax 011 5654200 clienti@loescher.it Loescher Editore S.r.l. opera con sistema qualità certificato CERMET n. 1679-A secondo la norma UNI EN ISO 9001-2008 Loci scriptorum è un progetto nato dal lavoro comune degli autori. In particolare, il presente volume è stato curato da Mauro Reali e Gisella Turazza. Mauro Reali ha scritto il Profilo dell autore, le schede Storia, civiltà, cultura, le sezioni Oltre l educazione romana e Oltre Quintiliano e Figure, temi, motivi. Gisella Turazza ha invece scritto I contenuti delle opere, le schede Letteratura, i Percorsi antologici e annotato i testi latini. Hanno collaborato all annotazione dei passi Emanuela Antozzi e Claudia Mizzotti. Coordinamento editoriale: Milena Lant Redazione: Maria Teresa Fontana, Chiara Mantegazza Progetto grafico e impaginazione: Silvia Trifone Bollano, Sara Keller - Rubber Band Ricerca iconografica: Valentina Ratto Copertina: Visualgrafika - Torino Stampa: Sograte Litografia s.r.l. Zona Industriale Regnano 06012 Città di Castello (PG)

Indice Profilo dell autore Marco Fabio Quintiliano... 6 La vita... 6 La cattedra di eloquenza... 6 Le opere minori... 7 De causis corruptae eloquentiae... 7 Le Declamationes... 7 L Institutio oratoria... 7 Un opera profondamente legata al suo tempo... 7 Il futuro oratore secondo Quintiliano... 7 La sintonia con il clima culturale dell epoca... 8 Il classicismo formale... 8 Una pedagogia «moderna»... 8 Lingua e stile... 9 Il recupero di Cicerone e l influenza senecana... 9 Indicazioni bibliografiche... 10 I CONTENUTI DELL OPERA... 10 PERCORSI ANTOLOGICI Percorso 1 Aspetti e problemi dell educazione a Roma... 11 Padri e figli... 11 1.1 L humanitas porta a un educazione liberale (Terenzio, Adelphoe 26-77)... 11 Lessico Le parole della familia... 12 Analisi del testo 16 Storia, civiltà, cultura La patria potestas: severità del diritto, humanitas dei comportamenti... 17 1.2 Catone ammonisce il figlio a star lontano dai medici greci (Catone, Praecepta ad filium Marcum fr. 1 Cugusi-Sblendorio)... 18 Storia, civiltà, cultura L educazione in Grecia... 19 1.3 Cicerone dedica il De officiis al figlio Marco (Cicerone, De officiis 1,1-4)... 20 Studenti e professori... 23 1.4 Orbilio, il maestro di Orazio: conservatore, severo e malpagato (Svetonio, De grammaticis 9)... 23 1.5 Non didici geometrias, critica et alogas naenias (Petronio, Satyricon 58)... 25 Storia, civiltà, cultura I Romani e la lettura: la «gente comune» davanti all alfabeto... 28 1.6 Marziale inneggia alle vacanze estive (Marziale, Epigrammi 10,62)... 31 Storia, civiltà, cultura Quanto guadagnavano gli insegnanti a Roma?... 32 1.7 Plinio il Giovane recluta professori per la «sua» Como (Plinio il Giovane, Epistulae 4,13,3-9)... 33 Storia, civiltà, cultura Publio Atilio Septiciano: un professore che si merita una statua... 34 1.8 Agostino: le insoddisfazioni di un professore (Agostino, Confessiones 5,8,14)... 36 Retorica, humanitas e libertas... 38 1.9 L uso della parola distingue l uomo dalle bestie (Cicerone, De officiis 1,50)... 38 1.10 L eloquenza, manifestazione di humanitas (Cicerone, De oratore 1,30-34)... 39 Lessico Le parole dell eloquenza e della cultura... 39 Analisi del testo 43 1.11 L uomo eloquente è utile a tutta la collettività (Cicerone, De officiis 2,66-67)... 44 Lessico Le parole dell eloquenza e della cultura... 44 Il ruolo formativo della filosofia... 46 1.12 La filosofia è madre di tutte le virtù (Cicerone, De legibus 1,22,58-59)... 46 Lessico Le parole della filosofia... 46 3

1.13 Esaltazione della filosofia, guida della vita (Cicerone, Tusculanae disputationes 5,2,5-6)... 48 Lessico Le parole della filosofia... 49 Analisi del testo 52 1.14 Necessità della filosofia: l opinione di Seneca (Seneca, Ad Lucilum 16,3-5)... 52 Figure temi motivi La retorica in Grecia e a Roma... 55 Oltre l educazione romana Eredità della cultura formativa romana nel Medioevo: il Trivium... 60 Laboratorio Verifica del percorso... 62 Lavorare sul testo Una scuola rumorosa (Marziale, Epigrammi 9,68)... 62 Versioni e guide all analisi Plinio il Giovane suggerisce un buon maestro di retorica (Plinio il Giovane, Epistulae 3,3,3-7)... 63 La vasta cultura dell oratore (Cicerone, De oratore 158-159)... 65 Percorso 2 Quintiliano: un «professore» tra pedagogia e retorica... 66 2.1 L epistola a Trifone, editore dell opera (Institutio oratoria, Epistula 1)... 66 2.2 Importanza dell educazione in famiglia (Institutio oratoria 1,1,1-7)... 67 2.3 Come insegnare ai bambini le lettere dell alfabeto (Institutio oratoria 1,1,24-28)... 70 Lessico Le parole della lettura e della scrittura... 71 2.4 La scuola è meglio dell educazione domestica (Institutio oratoria 1,2,1-5; 18-22)... 73 Lessico Le parole della scuola e dell educazione... 73 Storia, civiltà, cultura La scuola a Roma: i tre livelli di istruzione... 78 2.5 Il maestro deve comprendere l indole degli alunni (Institutio oratoria 1,3,1-5)... 79 2.6 Necessità del gioco e valore delle punizioni (Institutio oratoria 1,3,8-16)... 80 Lessico Le parole della scuola e dell educazione... 81 2.7 Compiti e doveri dell insegnante (Institutio oratoria 2,2,1-8)... 83 Lessico Le parole della scuola e dell educazione... 83 Analisi del testo 86 2.8 Cause della corruzione dell eloquenza (Institutio oratoria 2,10,1-3)... 87 2.9 L imitazione dei modelli letterari (Institutio oratoria 10,2,1-8)... 88 Letteratura La terminologia della retorica... 91 2.10 L oratore secondo l ideale catoniano (Institutio oratoria 12,1,1-3)... 92 Analisi del testo 93 Figure temi motivi I «libri di testo» nell antichità: la scuola secondaria.95 Oltre Quintiliano Quintiliano nell Umanesimo: Poggio Bracciolini, Angelo Poliziano, Maffeo Vegio... 99 Laboratorio Verifica del percorso... 101 Lavorare sul testo Difesa dell educazione pubblica (Institutio oratoria 1,2,13-15)... 101 Versioni e guide all analisi Doveri degli allievi (Institutio oratoria 2,9,1-3)... 102 È la famiglia, non la scuola, a corrompere i giovani (Institutio oratoria 1,2,6-8)... 103 Glossario dei termini di retorica e stilistica... 106 online online TESTO W1 I ricordi scolastici di un santo (Agostino, Confessiones 1,13,20) TESTO W2 L educazione del futurus orator e il mos maiorum (Quintiliano, Institutio oratoria 12,2,29-30)

«Sumat igitur ante omnia [magister] parentis erga discipulos suos animum, ac succedere se in eorum locum a quibus sibi liberi tradantur existimet. Ipse nec habeat vitia nec ferat. Non austeritas eius tristis, non dissoluta sit comitas, ne inde odium, hinc contemptus oriatur». «Nei confronti dei suoi allievi [il maestro] assuma innanzitutto l atteggiamento di un genitore e pensi di subentrare a coloro che gli affidano i propri figli. Egli per primo sia immune da difetti e non ne tolleri. La sua riservatezza non sia ombrosa, la sua affidabilità non sia eccessiva perché non ne derivino rispettivamente antipatia e mancanza di rispetto». (Institutio oratoria 2,2,4-5; trad. S. Beta, E. D Incerti Amadio)

Marco Fabio Quintiliano Marco Fabio Quintiliano La vita Marco Fabio Quintiliano nacque a Calagurris, l attuale Calahorra nella Spagna settentrionale, fra il 35 e il 40 d.c. Figlio di un retore, fu condotto dal padre a Roma dove fu allievo del famoso grammatico Remmio Palemone e dell oratore Domizio Afro. Verso il 60 d.c. tornò in patria dove svolse sia l attività forense sia quella di maestro di retorica. Quintiliano fu in rapporti d amicizia con Galba, governatore della Spagna, che una volta acclamato imperatore nel 68 d.c., dopo la morte di Nerone, lo portò con sé a Roma. La cattedra di eloquenza Nella capitale Quintiliano ebbe molto successo sia come avvocato sia come insegnante; l imperatore Vespasiano lo apprezzò a tal punto che nel 78 d.c. gli concesse la prima cattedra di eloquenza retribuita dallo Stato con la somma di centomila sesterzi, che era certamente significativa nel panorama dell istruzione romana (D Quanto guadagnavano gli insegnanti a Roma?, p. 32). Si ritirò dall insegnamento nell 88 d.c.: fra i suoi allievi si ricordano Plinio il Giovane e forse anche lo storico Tacito. Nel 94 d.c. Domiziano gli conferì le insegne consolari e gli affidò l educazione dei suoi due pronipoti. La sua vita privata fu funestata dalla morte della moglie diciannovenne e dei due figli in tenera età. Nel 96 d.c., anno della morte di Domiziano, pubblicò l Institutio oratoria; la data della sua morte è ignota, ma da collocarsi entro il 100 d.c. All Institutio oratoria è interamente dedicato il Percorso 2 di questa monografia Quintiliano: un «professore» tra pedagogia e retorica, che segue il Percorso 1 dal titolo Aspetti e problemi dell educazione a Roma, a testimoniare il fatto che se pure altri autori latini abbiano parlato di scuola ed educazione Quintiliano rappresenta il principale punto di riferimento per chiunque si voglia occupare di tale questione. Rilievo romano con un oratore che parla mentre uno scriba registra su fogli ripiegati, dal tempio di Ercole ad Ostia, iv secolo d.c. (Ostia, Museo Archeologico). 6

Le opere minori Profilo dell autore De causis corruptae eloquentiae Oltre all Institutio oratoria, sappiamo che Quintiliano pubblicò intorno al 90 d.c. un trattato De causis corruptae eloquentiae, ora perduto. Il tema delle cause della decadenza della retorica era particolarmente dibattuto all epoca: ne trattano Seneca il Retore, Petronio, il Dialogus de oratoribus attribuito a Tacito e l anonimo autore del trattato greco Sul sublime, vissuto anch egli nel i secolo d.c. (D La retorica in Grecia e a Roma, p. 55). Per quanto è possibile ricostruire, rifacendosi ad affermazioni contenute nell Institutio oratoria, Quintiliano indicava le cause della decadenza della retorica nella mancanza di buoni maestri, nell eccessivo spazio riservato nelle scuole a esercitazioni su argomenti fittizi (D TE- STO 2.8) e nella generale degenerazione dei costumi; mancava invece, nella sua opera, una riflessione sul più importante fattore di degrado dell eloquenza, lucidamente rilevato dall autore del Dialogus de oratoribus: la limitazione della libertà di parola dovuta all involuzione autoritaria del Principato. Le Declamationes A Quintiliano vengono attribuite anche due raccolte di Declamationes (145 minores, cioè solo abbozzate, e 19 maiores, cioè completamente trattate). La critica tende generalmente a considerare spurie le 19 Declamationes maiores in quanto presentano uno stile che risente dell influenza dell asianesimo, non particolarmente apprezzato da Quintiliano; si tratterebbe di testi risalenti al iv secolo d.c. o all epoca immediatamente precedente. Per quanto riguarda le minores, le opinioni dei critici sono discordi: alcune potrebbero essere anche autentiche, altre invece fanno pensare a materiale raccolto a lezione e pubblicato in seguito da qualche allievo. L Institutio oratoria La grande fortuna di Quintiliano è legata all Institutio oratoria, un trattato in 12 libri (7 dei quali hanno un proemio), dedicato a Vitorio Marcello (D TESTO 2.1), personaggio piuttosto in vista nella Roma dei Flavi, e pervaso da un costante tono adulatorio nei confronti di Domiziano. Un opera profondamente legata al suo tempo Quintiliano scrisse un libro che potesse fungere da manuale, o testo di consultazione, per chi era impegnato in quel mondo dell educazione del quale anch egli faceva parte. Nonostante non manchino accenni (specialmente nel I libro) ai primi livelli dell istruzione, l intento dell autore era soprattutto quello di interessarsi dell educazione superiore, quella presso la schola rhetoris (D La scuola a Roma: i tre livelli di istruzione, p. 78). Il futuro oratore secondo Quintiliano Quintiliano pensa a una scuola che debba formare un futuro oratore, cioè un uomo pubblico, impegnato nella vita intellettuale o politico-sociale ai più alti livelli. In questa prospettiva riprende la vecchia teoria del vir bonus dicendi peritus, già di Catone il Censore (D TESTO 2.10) e più volte ribadita da quel Cicerone che è a suo avviso un modello insuperabile sia come uomo sia come oratore (D I «libri di testo» nell antichità: la scuola secondaria, p. 95). Dunque Quintiliano crede che la formazione tecnica finalizzata all uso della parola non possa essere disgiunta da una dimensione etica, e che la moralità dei docenti sia sempre indispensabile per garantire quella dei propri allievi (D TESTO 2.7). L impressione che ne abbiamo, però, è che questa «moralità» si risolva in un concetto un po astratto, scolastico, con poche possibilità di realizzazione nella realtà del tempo, poiché il terreno 7

Marco Fabio Quintiliano nel quale il giovane cui si fa riferimento nell Institutio operava una volta uscito da scuola era radicalmente cambiato rispetto ai tempi passati: non più una vita pubblica fatta di competizione e di libera affermazione della propria personalità, ma l accettazione di un ruolo di collaborazione o addirittura subalternità rispetto al potere imperiale. Si tratta di un potere che Quintiliano alla luce della sua biografia e di alcune affermazioni contenute soprattutto nel XII libro considera una necessità storica con la quale convivere, pur cercando di rifuggire sia da uno sterile ribellismo sia da un servilismo eccessivo. La sintonia con il clima culturale dell epoca Siamo così davanti a un opera che, se non possiamo definire del tutto «di regime», certo riecheggia alcune parole d ordine care alla dinastia flavia. Un certo moralismo, l insistenza sul recupero dal punto di vista morale ma anche stilistico dei modelli passati (D TESTO 2.9), sono in perfetta sintonia con il conformismo dei suoi tempi. E risente del clima culturale del tempo anche l atteggiamento di Quintiliano rispetto alla filosofia, disciplina che egli considera sì utile alla formazione del futurus orator, ma che ritiene complessivamente inferiore alla retorica, rispetto alla quale assume una funzione, per così dire, strumentale; infatti quando Quintiliano afferma «farò riferimento ad alcune idee che si trovano nei testi di filosofia», si affretta a dire che userà solo quelle che «riguardano in senso stretto l arte oratoria» (Institutio oratoria 1, Praefatio 11; trad. S. Beta, E. D Incerti Amadio). Aggiunge inoltre che nei filosofi contemporanei «si sono annidati subdolamente vizi gravissimi» (Institutio oratoria 1; trad. S. Beta, E. D Incerti Amadio), affermazione che sembra in perfetta sintonia con la doppia espulsione dei filosofi greci da parte di Domiziano, considerati dal princeps potenziali oppositori. Il classicismo formale Segno dei tempi è anche il catalogo di autori che Quintiliano sottopone al suo giudizio critico nel X libro: li passa in rassegna cercando di metterne in luce la maggiore o minore utilità per la formazione del futurus orator, mostrando una predilezione per forme espressive armoniose ed equilibrate. Chiara è pertanto la distanza dalle tendenze asiane e «barocche» della letteratura di età neroniana, poiché le minutissimae sententiae di Seneca sono un pericoloso esempio di corruptum genus dicendi e Lucano così gonfio di toni oratori non incarna certo l ideale del buon poeta. Quintiliano, sia nella poesia sia nella prosa, ritorna infatti ai modelli canonici di un recente passato: Virgilio, Orazio, Livio e soprattutto Cicerone (D I «libri di testo» nell antichità: la scuola secondaria, p. 95) sono per lui le letture di maggior valore formativo o ricreativo. Dunque, sono per lo più alcuni letterati dell età tardo-repubblicana e augustea ad assumere valore di «classici», e si può ben parlare riguardo all invito a imitarli (D TESTO 2.9) di un vero e proprio «classicismo» quintilianeo: l autorità di Quintiliano, inoltre, fornì alla scuola romana (ma anche alla successiva cultura medievale) canoni e precise gerarchie tra le varie espressioni della cultura latina. Questo recupero di forme stilistiche di un epoca passata in un periodo storico così diverso assume però ai nostri occhi una dimensione fittizia e artificiosa. Una pedagogia «moderna» Dove Quintiliano sembra introdurre alcuni elementi innovativi rispetto alla tradizione romana è in alcune osservazioni di natura più strettamente pedagogica. Egli, per quanto concerne i primi livelli dell istruzione (D La scuola a Roma: i tre livelli di istruzione, p. 78), è convinto che un educazione scolastica (D TESTO 2.4 e D Lavorare sul testo, p. 101) sia preferibile a un istruzione ricevuta unicamente in seno alla famiglia, tutt altro che esente, quest ultima, dai rischi di dare ai giovani esempi negativi (D TESTO 2.1 e Versione e guida all analisi, p. 103); è però fondamentale che i docenti attuino le prati- 8

Rilievo da un sarcofago con un alunno che legge al suo professore (Parigi, Musée du Louvre). che didattiche migliori (D TESTO 2.3), valorizzino i talenti dei loro allievi (D TESTO 2.5), siano moralmente integri e pronti ad assumere nei confronti dei loro allievi una funzione per così dire paterna (D TESTO 2.7), evitando le punizioni corporali e dando anche al gioco il giusto valore formativo (D TESTO 2.6). Solo davanti a tali maestri gli allievi si mostreranno obbedienti e pronti all apprendimento (D Versione e guida all analisi, p. 102). L appassionata rivendicazione di un maggiore ruolo sociale degli insegnanti e di una maggiore attenzione alle esigenze dei giovani risolleva così, anche se parzialmente, l Institutio dal conformismo e dalle artificiosità cui si è prima accennato. Infatti se, per ingenuità, convenienza o connivenza, Quintiliano sembra minimizzare la dimensione illiberale del potere imperiale, non sottovaluta affatto, invece, l importanza della scuola come luogo di formazione culturale e umana, anche perché qui nascono «amicizie che durano solidissime fino alla vecchiaia» (1,2,20; trad. S. Beta, E. D Incerti Amadio, D TESTO 2.4); impossibile non vedere in queste affermazioni l eco della sua esperienza personale come professore di retorica. Lingua e stile Il recupero di Cicerone e l influenza senecana Nella sua prosa Quintiliano tenta di recuperare il modello ciceroniano, restaurando quell equilibrio formale che era stato estraneo all età neroniana. Il suo stile è dunque per lo più semplice e di chiara lettura, anche se la materia trattatistica ce lo fa talora apparire un po piatto e ripetitivo; non mancano però alcuni segni di «modernità» (ad esempio: ellissi di soggetti e verbi, costruzioni ad sensum) che rivelano come anche l esperienza senecana abbia avuto qualche influsso su Quintiliano. A tale proposito non manca neppure nella sua opera qualche espressione sentenziosa, usata però con una certa misura: non si può infatti dimenticare come proprio l autore dell Institutio avesse rimproverato a Seneca di frantumare la sua prosa in minutissimae sententiae. Il lessico è sobrio, e rifugge dall uso sia di neologismi sia di arcaismi, ma anch esso marca le dovute distanze da quello di Cicerone. 9 3606_Quintiliano_005_010.indd 9 28/09/12 10:45

Marco Fabio Quintiliano Indicazioni bibliografiche Edizioni e traduzioni L. Radermacher, I-II, Lipsia, Teubner, 1907-35, edizione rivista da V. Buchheit, Lipsia, Teubner, 1959; M. Winterbottom, Oxford, Clarendon Press, 1970; O. Frilli, Bologna, Zanichelli, 1973-78; J. Cousin, Parigi, Les Belles Lettres, 1975-80; R. Faranda, P. Pecchiura, Torino, UTET, 1979 2 ; S. Corsi, C.M. Calcante, Milano, BUR, 1997; S. Beta, E. D incerti Amadio, Milano, Mondadori, 1995-2001; A. Pennacini, Torino, Einaudi-Gallimard, 2001. Studi J. Cousin, Études sur Quintilien, Parigi, Boivin, 1936 (rist. 1967); F. Greco, La pedagogia presso i Romani. Noterelle su Quintiliano, Bologna, Pontenuovo, 1961; G.G. Bianca, La pedagogia di Quintiliano, Padova, Cedam, 1963; G. Kennedy, Quintilian, New York, Twaine, 1969; H.-I. Marrou, Storia dell educazione nell antichità, Roma, Edizioni Studium,1971, pp. 307-410; R. Barthes, La retorica antica, Milano, Bompiani, 1972; A.D. Leeman, Orationis ratio. Teoria e pratica stilistica degli oratori, storici e filosofi latini, Bologna, il Mulino, 1974; G. Garuti, Pedagogia e pensiero quintilianeo, in A. La Penna (a cura di), Educazione e cultura nella Roma antica, II, Firenze, La Nuova Italia, 1986, pp. 203-7; I. Lana, R. Tabacco, Quintiliano, in F. Della Corte (a cura di), Dizionario degli scrittori greci e latini, III, Milano, Marzorati, 1988, pp. 1827-34; A. Pennacini, L arte della parola, in AA.VV., Lo spazio letterario di Roma antica, II, Roma, Salerno Editrice, 1989, pp. 215-67; P.V. Cova, R. Gazich, G. Manzoni, G. Melzani, Aspetti della paideia di Quintiliano, Milano, Vita e Pensiero, 1990; A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma-Bari, Laterza, 1990 2, pp. 97-103; I. Lana, La teorizzazione della collaborazione degli intellettuali con il potere secondo Quintiliano, in Id., Sapere, lavoro e potere in Roma antica, Napoli, Jovene, 1990, pp. 279-309; A. Cavarzere, Oratoria a Roma. Storia di un genere pragmatico, Roma, Carocci, 2000, passim. Poiché la presente monografia contiene anche il percorso antologico ASPETTI E PROBLEMI DELL EDUCAZIONE A ROMA, è parso opportuno citare anche studi di carattere generale sull educazione a Roma (in alcuni casi già citati nella bibliografia su Quintiliano): H.-I. Marrou, Storia dell educazione cit.; A. La Penna, Educazione e cultura cit.; S.F. Bonner, L educazione nell antica Roma: da Catone il Censore a Plinio il Giovane, Roma, Armando, 1986; L. Canfora, L educazione, in AA.VV., Storia di Roma, Torino, Einaudi, 1989, IV, pp. 735-70; A.M. Reggiani, Educazione e scuola, Roma, Quasar, 1990; R. Frasca, Donne e uomini nell educazione a Roma, Firenze, La Nuova Italia, 1994; Ead., Educazione e formazione a Roma. Storia, testi, immagini, Bari, Dedalo Edizioni, 1996; T.J. Morgan, Literate Education in the Hellenistic and Roman Worlds, Cambridge, Cambridge University Press, 1998; P. Veyne, Educazione, in Id., La vita privata nell Impero romano, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 10-13; L. Garcia y Garcia, Alunni, maestri e scuole a Pompei. L infanzia, la giovinezza, la cultura in epoca romana, Roma, Bardi, 2004; M. Joyal, I. Mcdougall, J.C. Yardley, Greek and Roman Education: A Sourcebook. Routledge Sourcebooks for the Ancient World, London-New York, Routledge, 2009. I CONTENUTI DELL OPERA L Institutio oratoria L Institutio oratoria è un trattato di retorica in 12 libri (7 dei quali hanno un proemio), preceduti da un epistola all editore dell opera, Trifone; la divisione in libri risale allo stesso Quintiliano, mentre la scansione in capitoli (115 in totale) è di epoca successiva. Il trattato è dedicato a Vitorio Marcello. Libro I Come il II, verte in modo specifico su problemi didattico-pedagogici; tratta infatti dell educazione del bambino sin dalla più tenera infanzia, dapprima in famiglia, poi alla scuola del grammaticus. Quintiliano afferma in più punti la superiorità della scuola pubblica sull insegnamento privato. Libro II È dedicato all insegnamento presso la scuola del rhetor. Quintiliano dà grande importanza al rapporto tra insegnante e allievo, soffermandosi a delineare i doveri di un buon maestro. Libro III Si tratta di un libro con contenuti più tecnici rispetto ai precedenti: Quintiliano espone le origini della retorica e si sofferma sulla tradizionale ripartizione in tre generi (deliberativo, giudiziario, epidittico). Libri IV-VI Sono dedicati all inventio, cioè l individuazione degli argomenti da trattare in un orazione. Libri VII-IX Sono dedicati alla dispositio (il VII), cioè all ordinamento e alla disposizione degli argomenti in una struttura organica, e all elocutio (VIII-IX), cioè allo stile, con l esame delle diverse tipologie (subtile, medium, grave) e delle figure di parola e di pensiero. Libro X Contiene un excursus storico-letterario. Quintiliano infatti, volendo fornire agli studenti dei suggerimenti sulle letture da fare e sugli autori da imitare, esamina le opere degli scrittori greci e latini ed esprime interessanti giudizi critici. Egli tende a dimostrare che la cultura latina è in grado di reggere il confronto con quella greca. Libro XI È dedicato alle tecniche di memorizzazione (memoria) e di presentazione di un orazione (actio). Libro XII Quintiliano traccia un profilo dell oratore ideale che, secondo la celebre definizione catoniana, dovrà essere vir bonus dicendi peritus. Si accenna anche al problema dei rapporti fra principe e oratore. 10

1. Aspetti e problemi dell educazione a Roma. Padri e figli percorso Aspetti e problemi dell educazione a Roma Impossibile proporre una panoramica esauriente sulle tematiche dell educazione e della scuola a Roma: si è pertanto cercato di evidenziare qualche situazione particolarmente significativa, che ci ha portato a raggruppare i passi antologici in quattro ambiti, denominati: Padri e figli; Studenti e professori; Retorica, humanitas e libertas; Il ruolo formativo della filosofia. Padri e figli Il primo rapporto educativo è quello tra genitori e figli, e di tale dinamica la letteratura latina ci dà interessanti esempi. Il commediografo Terenzio ci propone infatti il confronto tra un educazione all antica e una più moderna, permissiva e liberale, che sembra essere di maggior successo (D TESTO 1.1). Certamente più conservatore era invece il celebre Catone il Censore, che si rivolge al figlio Marco per ammonirlo sui rischi dei contatti con la cultura greca (D TESTO 1.2). Anche Cicerone in epoca successiva dedica al figlio (anch egli dal praenomen Marcus) il De officiis, opera nel quale lo esorta ad adempiere ai doveri di buon cittadino romano (D TESTO 1.3). 1.1 L humanitas porta a un educazione liberale (Terenzio, Adelphoe 26-77) La commedia di Terenzio Adelphoe («I gemelli»), venne rappresentata nel 160 a.c., proprio in quella fase storica nella quale il mondo romano comincia non solo a conoscere, ma anche a «metabolizzare» gli esiti della plurisecolare cultura filosofica greca. Gli Adelphoe ruotano intorno al problema dell educazione dei giovani. Demea ha infatti due figli e se per uno, Ctesifone, decide di usare metodi educativi autoritari, affida invece il primogenito Eschino al fratello Micione, che lo adotta e lo educa con liberalità e larghezza di vedute; le vicende cui i due ragazzi andranno incontro persuaderanno Demea della bontà della linea educativa di Micione, e lo porteranno a rinnegare i suoi precedenti atteggiamenti severi e passatisti. In questo monologo il vecchio Micione riflette sul fatto che Eschino abbia trascorso la notte fuori casa, sfruttando l occasione per esporre il suo concetto liberale di educazione, basato sul dialogo e sulla responsabilizzazione del giovane, del tutto opposto a quello autoritario del fratello Demea, nel quale si riconoscono invece i tratti tradizionali del pater familias romano, cui la patria potestas garantiva dal punto di vista giuridico poteri enormi (D La patria potestas: severità del diritto, humanitas dei comportamenti, p. 17). L amore che Micione porta a Eschino, il quale non è neppure suo figlio naturale, è l esito di quella espansione verso gli altri che la lingua latina ha ben definito con il termine di humanitas, cercando di tradurre quell «amore per l uomo in quanto uomo» che i Greci avevano chiamato philanthropía; e il suo atteggiamento comprensivo, dialogante, deriva dalla volontà di far capire al giovane quale sia la differenza tra un padre (pater) e un padrone (dominus), cioè «abituare i propri figli / a comportarsi bene da se stessi non per paura della gente» (vv. 74-75; trad. M. Scaffidi Abate). Tali nobili parole fanno intendere come Terenzio sposasse pienamente le idee pedagogiche di Micione, in linea con i valori innovativi e filellenici di quel cosiddetto «circolo degli Scipioni», cui il poeta apparteneva. Si tratta inoltre di idee che gradualmente e non senza qualche opposizione, come quella di Catone il Censore (D TESTO 1.2) permearono la società romana, smorzando di molto il rigorismo e il conservatorismo dell età arcaica. 11

Percorsi Antologici metro: senario giambico Atto I, scena i Micio Storax! Non rediit hac nocte a cena Aeschinus neque servolorum quisquam qui advorsum ierant. Profecto hoc vere dicunt: si absis uspiam aut ibi si cesses, evenire ea satius est 30 quae in te uxor dicit et quae in animo cogitat irata, quam illa quae parentes propitii. Uxor, si cesses, aut te amare cogitat aut tete amari aut potare atque animo obsequi 26-27. Storax!: «Storace!»; è lo schiavo cui Micione si rivolge entrando in scena. Lo schiavo in realtà non compare sulla scena: si tratta di un espediente per attirare l attenzione del pubblico e introdurlo in medias res. Non rediit hac nocte: «Questa notte non è tornato dal banchetto»; hac nocte: complemento di tempo determinato. Aeschinus: Eschino, figlio di Demea, adottato da Micione sin dall infanzia, ha trascorso la notte fuori casa. neque ierant: «né nessuno dei servi che gli erano andati incontro»; servolorum: genitivo con valore partitivo retto da quisquam in anastrofe. Si tratta degli schiavi (gli advorsitores la cui specifica denominazione è richiamata dall espressione advorsum ierant) incaricati di accompagnare i padroni alle feste e poi di riaccompagnarli a casa. Si noti l uso del diminutivo, caratteristico della lingua parlata; qui ierant: proposizione relativa propria; advorsum: forma arcaica per adversum, avverbio: «incontro». 28-31. Profecto propitii: «Senza dubbio dicono in modo vero questo: se sei lontano da qualche parte o ti trattieni là, è meglio che ti capiti quello che dice tua moglie contro di te e quello che pensa nel suo animo quando è adirata, piuttosto che quello che pensano i genitori affettuosi»; hoc è pronome neutro in funzione prolettica rispetto a quanto sarà detto nei versi successivi; si absis uspiam: si tratta della protasi di un periodo ipotetico della possibilità dipendente da un apodosi della realtà (satius est, al verso successivo); absis è la seconda persona singolare con valore di «tu generico» in quanto Micione sta presentando una situazione generale del congiuntivo di absum; uspiam: avverbio di luogo, utilizzato perlopiù in frasi condizionali, equivale a usquam; ibi si cesses: protasi del periodo ipotetico della possibilità come la precedente si absis; cesses: è congiuntivo presente da cesso, il verbo indica l attardarsi o il trattenersi intenzionalmente in qualche luogo; ea: pronome determinativo in funzione di antecedente delle due proposizioni relative coordinate del verso successivo introdotte dall anafora di quae. Indica l insieme delle cause a cui la moglie attribuisce l assenza del marito; satius: comparativo dell avverbio satis; in unione con est significa «è meglio», e regge l infinito evenire; in te: «contro di te»; irata: aggettivo con valore predicativo, concordato con uxor. Viene presentata l immagine stereotipata della moglie brontolona; quam: introduce il secondo termine di paragone; quae parentes propitii: sottinteso cogitant: «quelle cose che pensano i genitori amorevoli». L allitterazione di parentes propitii e la collocazione di propitii in fine di verso enfatizzano la nuova figura di padre affettuoso e comprensivo incarnata da Micione. 32-34. Uxor male: «Tua moglie, se ti trattieni da qualche parte, pensa che tu ami (un altra) o che tu sia amato (da un altra) oppure che tu beva e che tu assecondi il tuo animo e che solo tu te la passi bene mentre lei sta male»; cesses: cfr. v. 29; aut: tramite l anafora della congiunzione, delle infinitive e il poliptoto del pronome di seconda persona (te tete tibi) Micione fa una parodia delle lamentele solitamente attribuite alle mogli; tete: è forma rafforzata del pronome di seconda persona; amare amari: Lessico Le parole della familia La parola latina familia indica, per lo più, l intera casa abitata dai padroni (genitori e figli) e dai loro schiavi, sentiti dall opinione comune come una realtà per certi versi indissolubile. Nel presente passo compaiono diversi termini che si richiamano a questa struttura gentilizia: servolus: diminutivo di servus, termine che a Roma indica lo «schiavo». Lo schiavo, nel diritto romano, era privo di personalità giuridica in quanto proprietà del dominus fino a che questi non lo emancipasse e trasformasse così in libertus («liberto»). Secondo alcune testimonianze antiche in origine la parola servus indicava il nemico catturato e reso schiavo, mentre lo schiavo di casa (poi detto verna) era chiamato anticamente famulus, in quanto membro della familia. uxor: il termine, di incerta etimologia, indica la condizione sociale e legale di «moglie», e infatti la formula uxorem ducere, riferita a un uomo, significa «prendere moglie, sposarsi». Consueta, però, è anche la forma coniunx, che vale sia per la moglie sia per il marito, o il termine mulier, che indica la «donna adulta» e quindi spesso anche la «donna sposata», cioè la «moglie» (e ciò resta nella forma italiana). parens: il sostantivo, che deriva dal verbo pario («generare»), indica al singolare il «padre» (se usato al maschile) o la «madre» (se usato al femminile); al plurale, invece, parentes, come in questo caso, designa i «genitori» o gli «avi», gli «antenati». 12

1. Aspetti e problemi dell educazione a Roma. Padri e figli et tibi bene esse soli, cum sibi sit male. 35 Ego quia non rediit filius quae cogito, et quibus nunc sollicitor rebus! Ne aut ille alserit aut uspiam ceciderit aut praefregerit aliquid. Vah! Quemquamne hominem in animo instituere aut parare quod sit carius quam ipse est sibi! 40 Atque ex me hic natus non est, sed ex fratre; is adeo dissimili studio est iam inde ab adulescentia: ego hanc clementem vitam urbanam atque otium secutus sum, et, quod fortunatum isti putant, uxorem numquam habui. Ille contra haec omnia: 45 ruri agere vitam, semper parce ac duriter si noti il poliptoto; tibi bene esse soli: il verbo sum accompagnato dagli avverbi bene, male e seguito dal dativo equivale all espressione «passarsela bene o male»; soli: dativo singolare dell aggettivo pronominale solus, -a, -um viene qui concordato con tibi, ma altri lo legano a sibi; cum male: «mentre lei sta male». 35-36. Ego rebus!: «Io, poiché mio figlio non è tornato, quali cose penso e da quali preoccupazioni sono preso!». Ego: con il pronome personale all inizio del verso, in opposizione a Uxor del v. 32, Micione presenta la sua situazione particolare; quia non rediit: proposizione causale; quae: accusativo plurale dell aggettivo con valore esclamativo in poliptoto con l ablativo di causa efficiente quibus rebus del verso successivo. Micione esprime così la sua preoccupazione per il fatto che il figlio non sia ancora rientrato, dopo aver trascorso la notte fuori casa. 36-38. Ne aliquid: «Che non abbia preso freddo, che non sia caduto da qualche parte o si sia rotto qualcosa». Ne alserit ceciderit praefregerit: i tre congiuntivi perfetti si possono intendere come indipendenti con valore ottativo, introdotti dalla particella ne con valore deprecativo («che non abbia preso freddo o sia caduto da qualche parte o si sia rotto qualche cosa»), oppure come dipendenti da un sottinteso verbo di timore che, in unione con ne, esprime il desiderio che quanto enunciato nella subordinata non sia avvenuto; alserit: da algeo, «prendere freddo»; uspiam: cfr. v. 28; ceciderit: da cado, «cadere»; praefregerit: da praefringo, «spezzare, rompere». 38-39. Vah! sibi: «Mah! Possibile che un uomo faccia posto nel suo cuore o si procuri qualcosa di più caro di quanto egli stesso sia per sé!». Vah!: l interiezione, ricorrente con una certa frequenza in Terenzio, può esprimere stupore, gioia, ma anche ira o dolore; Quemquamne hominem: «(Possibile che) un uomo»; si tratta di un accusativo esclamativo. Il pronome indefinito quisquam, di solito impiegato in frasi di senso negativo, è usato con valore di aggettivo al posto di ullus; la particella enclitica -ne, normalmente impiegata in proposizioni interrogative, conferisce alla frase esclamativa il tono di una domanda stupita. Micione sembra chiedersi come sia possibile che uno come lui sia così preoccupato per un figlio adottivo: Terenzio evidenzia così la sua profonda umanità; instituere parare: si tratta di due infiniti indipendenti con valore esclamativo; quod sit carius: proposizione relativa impropria con valore consecutivo; quam ipse est sibi: proposizione comparativa. 40-41. Atque adulescentia: «Eppure questo (ragazzo) non è nato da me, ma da mio fratello. Egli è di così diversa inclinazione già fin dall adolescenza». Atque: congiunzione avversativa; ex me ex fratre: complementi di origine; is: il pronome si riferisce a Demea, il fratello di Micione; dissimili studio: ablativo di qualità. 42-44. ego habui: «io ho scelto questo stile di vita cittadino tranquillo e il disimpegno e, cosa che costoro ritengono una fortuna, non ho mai avuto una moglie»; ego: il pronome personale all inizio di verso con funzione enfatica si contrappone a Ille del v. 44: viene presentata così la diversità dello stile di vita dei due fratelli; hanc urbanam: «questo stile di vita cittadino tranquillo», complemento oggetto dipendente, così come il successivo otium, da secutus sum. L aggettivo clemens vale «tranquilla, comoda»; l otium è propriamente il riposo dagli impegni politici o dagli affari (negotia). La città in cui vive Micione è Atene; quod isti putant: proposizione relativa; il quod è prolettico dell intera proposizione successiva uxorem habui; isti: il pronome determinativo può riferirsi agli uomini sposati o, rompendo l illusione scenica, agli spettatori romani che pensano sia una fortuna non essersi sposati oppure potrebbe anche significare «non ho mai avuto una moglie, cosa che costoro ritengono una fortuna (cioè, l averla avuta)». 44-49. Ille mihi: «Lui al contrario ha tutti questi vantaggi: passa la vita in campagna, tratta se stesso con tirchieria e durezza, ha preso moglie: gli sono nati due figli; di questi io ho adottato questo, il più grande; l ho cresciuto fin da piccolo, l ho tenuto, gli ho voluto bene come se fosse mio; in lui trovo la mia felicità, è la sola cosa cara che ho». Ille contra haec omnia: espressione ellittica del verbo che può essere resa con «lui, tutto il contrario»; contra è avverbio; haec omnia: risultano prolettici rispetto ai versi successivi; ruri: «in campagna», locativo di rus, in opposizione rispetto all urbanam vitam del v. 42.; agere: l infinito narrativo, come il successivo habere, dà vivacità Lessico filius: il sostantivo (forse da avvicinare etimologicamente a fecundus, «fecondo», e fetus, «prole») indica «figlio» in un accezione sia generica sia giuridicamente rilevante. frater: il termine significa comunemente «fratello» ed è questo il significato che assume nel presente testo; presso i militari talora indica il «fratello d armi», e dunque il «commilitone». 13

Percorsi Antologici se habere; uxorem duxit; nati filii duo; inde ego hunc maiorem adoptavi mihi; eduxi a parvolo, habui, amavi pro meo, in eo me oblecto, solum id est carum mihi. 50 Ille ut item contra me habeat facio sedulo: do, praetermitto, non necesse habeo omnia pro meo iure agere; postremo alii clanculum patres quae faciunt, quae fert adulescentia, ea ne me celet consuefeci filium. 55 Nam qui mentiri aut fallere insuerit patrem aut audebit, tanto magis audebit ceteros. Pudore ac liberalitate liberos retinere satius esse credo quam metu. al discorso; parce se habere: letteralmente «tratta se stesso con tirchieria e durezza»; il nesso aliquem habere in unione con avverbio significa «trattare qualcuno in un certo modo»; uxorem duxit: il passaggio dagli infiniti narrativi che descrivevano azioni continuate nel passato al perfetto costituisce una variatio con la quale si esprimono azioni puntuali come il matrimonio e la nascita dei figli; nati: sottinteso sunt, perfetto di nascor; inde: avverbio di moto da luogo, significa propriamente «da lì»; equivale al partitivo ex quibus riferito a filii; hunc maiorem: si tratta di Eschino; adoptavi: vi erano due tipi di adozione nel mondo romano: l adrogatio, per cui un individuo, non sottoposto a patria potestà, si assoggettava alla potestas di un pater familias privo di discendenti e ne diveniva l erede, e l adoptio per cui un filius familias passava dalla patria potestà del padre biologico a quella del padre adottivo e veniva equiparato ai suoi figli naturali; mihi: dativo etico che esprime il coinvolgimento affettivo di Micione; a parvolo: il diminutivo esprime l affetto che Micione porta al figlio adottivo; habui, amavi: i due verbi sono uniti dall asindeto e collocati in climax ascendente: si evidenzia l affetto di Micione nei confronti di Eschino; in eo me oblecto: il pronome determinativo eo può essere inteso sia come maschile riferito a hunc maiorem, quindi a Eschino, sia come neutro; id: il pronome determinativo ha la funzione di riassumere quanto appena detto. Si noti il poliptoto con il precedente eo. 50. Ille sedulo: «Mi do da fare con attenzione perché mi tratti a sua volta nello stesso modo»; costruisci: Facio sedulo ut item ille contra me habeat; contra: avverbio; sedulo: è avverbio di modo; facio: regge la completiva ut habeat. 51-54. do, praetermitto: i due verbi, legati per asindeto e in climax ascendente, sono usati assolutamente con il senso di «concedo, lascio correre». non necesse habeo: «non ritengo indispensabile»; necesse ha funzione predicativa rispetto a habeo. pro meo iure: «secondo il mio diritto»; indica la patria potestas che, secondo le norme del diritto romano, Micione detiene pienamente nei confronti di Eschino dal momento stesso dell adozione. Si tratta di un affermazione che poteva scandalizzare gli spettatori. postremo filium: «infine, quelle cose che gli altri fanno di nascosto dal padre, quelle che l età comporta, io ho abituato mio figlio a non tenermele nascoste»; postremo: avverbio di tempo; clanculum: diminutivo dell avverbio clam, che in questo caso ha funzione di preposizione e regge l accusativo patres; quae faciunt, quae fert: proposizioni relative proprie, i pronomi relativi quae sono prolettici rispetto al pronome dimostrativo ea del v. 54; ea celet: proposizione completiva dipendente da consuefeci: il verbo celo è costruito con il doppio accusativo della persona a cui si nasconde qualcosa (me) e della cosa che viene nascosta (ea). 55-56. Nam ceteros: «Infatti chi avrà preso l abitudine o oserà mentire al padre o a ingannarlo, tanto più oserà (farlo) con gli altri»; qui: = is qui; soggetto di insuerit e di audebit; mentiri aut fallere: si noti la collocazione dei verbi in climax ascendente; insuerit: forma sincopata per insueverit, futuro anteriore di insuesco; tanto magis: locuzione avverbiale; audebit ceteros: sono sottintesi gli infiniti mentiri ac fallere. 57-58. Pudore quam metu: «Penso che sia meglio tenere a freno i figli con il senso dell onore e con l indulgenza piuttosto che con la paura». Pudore ac liberalitate: ablativi strumentali; il termine pudor indica sia il senso di rispetto che il figlio deve nutrire verso il padre, sia il senso di vergogna che deve provare di fronte alle proprie colpe; liberalitate liberos: figura etimologica; nei confronti dei liberi («i figli», che all interno della familia appartengono alle persone di condizione libera) bisogna comportarsi con «liberalità»; satius esse: satius è comparativo di satis; credo: verbo della principale che regge l infinitiva satius esse che regge a sua volta l infinito retinere; quam metu: secondo termine di paragone. Terenzio fa riferimento alla «paura» come strumento educativo utilizzato dai padri tradizionali, nella commedia rappresentati da Demea. Lessico adoptare: il verbo è etimologicamente connesso alla forma optare («scegliere») e indica l azione di adottare (come figlio o nipote) un minorenne ancora soggetto all altrui patria potestà. pater: è il «padre», nell accezione biologica e/o giuridica del termine. Nell ottica del concetto romano di familia, la formula pater familias indica il «capofamiglia» a tutti gli effetti, inteso anche come dominus («padrone») degli schiavi a lui sottoposti. liberi: tale sostantivo, usato al plurale, indica i «figli» nati liberi, in opposizione ai servi della familia. 14

1. Aspetti e problemi dell educazione a Roma. Padri e figli Haec fratri mecum non conveniunt neque placent; 60 venit ad me saepe clamitans: «Quid agis, Micio? Cur perdis adulescentem nobis? Cur amat? Cur potat? Cur tu his rebus sumptum suggeris? Vestitu nimio indulges; nimium ineptus es». Nimium ipse est durus praeter aequumque et bonum, 65 et errat longe mea quidem sententia qui imperium credat gravius esse aut stabilius vi quod fit quam illud quod amicitia adiungitur. Mea sic est ratio et sic animum induco meum: malo coactus qui suum officium facit, 70 dum is rescitum iri credit, tantisper cavet; si sperat fore clam, rursum ad ingenium redit. Demea impreca contro Micione, dagli Adelphoe, atto I, scena II (Codice Vaticano Latino 3868, Città del Vaticano). 59-60. Haec clamitans: «Queste cose non sono oggetto di accordo per mio fratello con me né gli piacciono; viene spesso da me urlando»; clamitans: participio presente da clamito, frequentativo di clamo che in unione con l avverbio saepe, dà l idea delle frequenti rimostranze di Demea. 60-63. Quid agis ineptus es: «Che cosa fai, Micione? Perché mi rovini quel ragazzo? Perché va con donne? Perché beve? Perché gli fornisci il denaro per questi vizi? Gli concedi troppo per il vestito; sei troppo debole». Cur Cur Cur Cur : si tratta di quattro brevi proposizioni interrogative dirette: l anafora dell avverbio interrogativo cur rende l idea dell ossessivo incalzare delle domande di Demea; nobis: plurale di modestia e dativo etico, è spia del coinvolgimento affettivo di Micione; amat: insieme al successivo potat esprime il comportamento libertino di chi è dedito al piacere. Il verbo amare nella commedia indica l avere rapporti amorosi con etère o prostitute; tu: con il pronome personale Demea sottolinea la responsabilità di Micione nella rovina del ragazzo; sumptum suggeris: si noti l allitterazione; nimio nimium: si noti il poliptoto con cui Terenzio sottolinea che per Demea il comportamento del fratello è troppo condiscendente nei confronti di Eschino; indulges: il verbo indulgeo regge il dativo poetico vestitu, in luogo del più classico vestitui; il singolare ha ovviamente valore collettivo. 64-67. Nimium adiungitur: «È lui che è troppo severo al di là e del giusto e del ragionevole e sbaglia di grosso, almeno a mio parere, chi crede che l autorità che si fonda sulla violenza sia più solida o più stabile di quella che si conquista con l affetto». Nimium: si noti come la ripresa dell avverbio nimium sottolinei la contrapposizione fra i metodi educativi di Micione e Demea; praeter aequumque et bonum: aequum et bonum è espressione del linguaggio giuridico-filosofico che indica una sorta di diritto naturale, al quale ogni uomo deve attenersi; è proprio della lingua colloquiale l uso della doppia congiunzione -que et; qui credat: proposizione relativa che può essere interpretata in due modi: con valore causale con qui riferito a Demea («sbaglia, lui che crede») oppure come relativa con valore eventuale in cui il qui assume il senso generico di «chi»; gravius stabilius: comparativi di aggettivi neutri da gravis e stabilis, concordati con imperium; vi amicitia: si fa riferimento ai diversi mezzi per guadagnarsi autorità, ponendo la forza in contrapposizione all affetto; vi quod: anastrofe per quod vi; illud: si riferisce a imperium. 68-71. Mea redit: «Questa è la mia posizione e di ciò sono convinto. Chi compie il suo dovere spinto dalla paura di un castigo, fino a quando pensa che quello che fa si verrà a sapere, si controlla; se però spera che resterà celato, allora di nuovo ritorna a fare a modo suo». Mea meum: Micione riassume i princìpi della sua concezione pedagogica: si notino la disposizione chiastica degli aggettivi e dei sostantivi, l uso dell iperbato e il poliptoto mea meum; sic sic: prolettici della teoria che sarà esposta nei versi successivi; malo facit: costruisci: qui facit suum officium coactus malo; coactus: è participio perfetto di cogo; malo: ablativo di causa efficiente; qui facit: proposizione relativa propria; dum tantisper: dum e tantisper sono in correlazione: letteralmente «finché per tanto tempo», introducono due proposizioni temporali; rescitum iri: infinito futuro passivo di rescisco, composto di scisco (forma incoativa di scio): ha come soggetto id ed è retto da credit; fore clam: fore equivale a futurum esse, infinito futuro di esse; clam: è avverbio; ad ingenium: il termine significa «indole, disposizione naturale»; Micione sottolinea come chi agisce solo per paura, una volta che saprà di non essere controllato, tornerà a comportarsi secondo la sua disposizione naturale. 15

Percorsi Antologici Ille quem beneficio adiungas ex animo facit, studet par referre, praesens absensque idem erit. Hoc patrium est, potius consuefacere filium 75 sua sponte recte facere quam alieno metu: hoc pater ac dominus interest; hoc qui nequit, fateatur nescire imperare liberis. 72-73. Ille erit: «Quello che leghi a te con la benevolenza agisce di cuore, si sforza di ricambiare, sarà sempre lo stesso, che tu sia presente o no»; beneficio: ablativo strumentale; il sostantivo, composto da bene + facio, significa letteralmente «buona azione» e quindi «beneficio, prova d affetto»; adiungas: congiuntivo con valore eventuale o secondo altra interpretazione, potenziale: la seconda persona ha valore impersonale; ex animo: letteralmente «dal cuore»; par referre: espressione idiomatica, retta da studet, che ricorre in Terenzio nel significato di «ricambiare»; praesens e absens vanno riferiti al soggetto di adiungas. 74-77. Hoc liberis: «Questo è il compito di un padre: abituare il figlio ad agire spontaneamente piuttosto che per timore degli altri: questa è la differenza tra un padre e un padrone; chi non sa fare questo, ammetta di non saper governare i suoi figli». Hoc: in anafora con hoc hoc di v. 76; ha valore prolettico rispetto al contenuto dei vv. 74-75; sua sponte alieno metu: si noti la disposizione chiastica dei termini che esprimono la sintesi dell argomentazione di Micione; sua sponte: è l agire libero da costrizioni; hoc: può essere inteso o come ablativo di limitazione o come accusativo di relazione, e dipende da interest, qui costruito personalmente con il significato di «differenziarsi». La costruzione nel latino classico sarebbe: hoc interest inter patrem ac dominum; hoc qui: anastrofe per qui hoc; nequit: indicativo presente da nequeo (composto di eo), «non potere, non essere in grado di», sottintende facere; fateatur: congiuntivo esortativo da fateor o, secondo altra interpretazione, concessivo; nescire: è infinito della proposizione oggettiva con soggetto sottinteso se. Si notino l allitterazione e il poliptoto nequit nescire. Lessico dominus: il termine significa «padrone» della domus («casa») e delle persone e delle cose che in questa risiedono. In questo passo indica il «padrone» che deve dare ordini ai servi, in opposizione al pater che invece deve essere dialogante con i propri liberi. Analisi del testo I temi e le idee Questa commedia manca del prologo informativo, e dunque questo monologo è funzionale a presentare al pubblico la problematica sulla quale il dramma è incentrato, cioè quella dell educazione dei figli: ma sui modi nei quali è proposto tale argomento già si è parlato nell introduzione a questo passo. Varrà qui la pena, dunque, non più di insistere sulla distinzione tra i due modelli educativi (quello di Demea e quello di Micione), bensì sul loro collegamento alle concezioni di vita di chi li formula: Micione ha infatti scelto uno stile di vita urbano e moderno (vv. 42-44), mentre Demea è rimasto ancorato a un modello contadino e tradizionalista (vv. 44-47). Sembra dunque essere la città il polo culturale e valoriale di quella humanitas di cui Terenzio era sostenitore: è evidente che ciò doveva in qualche misura risultare lontano dai precetti del mos maiorum che, sulla scia di Catone il Censore, individuavano nel contadino (oltre che nel soldato) l esempio perfetto di civis romanus. È inoltre vero che il diritto romano, almeno formalmente, garantiva al padre poteri illimitati sui figli (D La patria potestas: severità del diritto, humanitas dei comportamenti, p. 17) e pertanto questa figura di educatore liberale, malgrado i tempi stessero cambiando, non era certo il prototipo del genitore romano: nella Roma di Terenzio la differenza tra pater e dominus non doveva essere così chiara come appare ai vv. 74-75. 16

La lingua e lo stile 1. Aspetti e problemi dell educazione a Roma. Padri e figli Per quanto concerne la lingua, va anzitutto detto che questa è priva sia di eccessivi arcaismi sia di arditi neologismi. I diversi caratteri dei due personaggi (dei quali già si è detto) sono comunque connotati da termini appartenenti a due diversi campi semantici: uno è quello legato all arcaico e severo mondo contadino, nel quale vive Demea, che propone espressioni come ruri, parce ac duriter, durus, clamitans, imperium; l altro è invece connesso alla vita urbana, il mondo di Micione, evidente in parole come clementem, urbanam, otium, pudore ac liberalitate, amicitia. Dal punto di vista stilistico, il brano è un esempio dell equilibrio terenziano, evidente nell alternanza tra toni patetici e sentimentali (si parla pur sempre di affetti familiari!), e altri più razionali (si esprimono infatti teorie pedagogiche). Assai più moderato rispetto all esempio di Plauto è l uso di allitterazioni (parentes propitii, v. 31, natus non est, v. 40 ecc.), mentre la figura retorica di pensiero più presente è l antitesi, che bene incarna il clima di comparazione tra i due modelli educativi. Interessante il caso dei vv. 44 e sgg. dove notiamo un antitesi introdotta da Ille contra haec omnia, cui fa seguito, alcuni versi più avanti, l espressione pudore et liberalitate di v. 57 contrapposta a metu di v. 58 e invece ripresa da vi e amicitia di v. 67. Storia, civiltà, cultura La patria potestas: severità del diritto, humanitas dei comportamenti Secondo il diritto romano al pater familias spettava la patria potestas, il cui influsso si estendeva sui figli, sulle donne entrate a far parte del nucleo familiare, sugli schiavi. A noi interessa quella nei confronti dei figli e discendenti legittimi, che il pater familias assumeva in seguito alla nascita, oppure all adrogatio (atto pubblico con il quale un pater familias si assoggettava volontariamente all autorità di un altro pater familias, divenendo così filius familias) o all adoptio («adozione», atto con il quale l autorità su di un filius si trasferiva da un pater all altro); per quanto concerne i figli naturali, nati da rapporti extra-coniugali, il pater poteva assumere su di loro la patria potestas dopo la pratica della legitimatio («riconoscimento»). Il diritto prevedeva anche la possibilità che il padre si liberasse volontariamente della patria potestas mediante la emancipatio del figlio: in età repubblicana era il più delle volte un modo per «diseredare» con disonore il proprio figlio, mentre successivamente fu una prassi mediante la quale il figlio, divenuto persona sui iuris (cioè «dotato di personalità giuridica»), poteva liberamente disporre dei propri beni. Ma in che cosa consistevano gli enormi poteri che il pater familias aveva sui propri figli? Anzitutto il ius exponendi, cioè la facoltà di abbandonare i neonati, esponendoli; tale prassi divenne illegittima nel 374 d.c., in seguito all affermarsi del cristianesimo. Poi vi era il non meno terribile ius vitae ac necis, cioè il «diritto di vita e di morte», che però subì, nel corso della storia romana, numerose forme di ridimensionamento, soprattutto da parte di Traiano e Adriano: quest ultimo punì addirittura con la deportazione il padre che uccideva il figlio per futili motivi. Anche qui, l avvento del cristianesimo cambiò le cose, perché Costantino omologò l uccisione del figlio al parricidio. Completavano il quadro il ius vendendi, cioè il «diritto di vendita» del figlio, e il ius noxae dandi, con il quale il pater familias poteva consegnare il figlio, se colpevole di un illecito privato, alla vittima del delitto. Come già si è visto per l applicazione del ius vitae ac necis, la severità del diritto andò incontro a un certo ammorbidimento. Ma, anche prescindendo dalla componente più strettamente giuridica del legame, la società romana già in epoca repubblicana dovette interpretare il rapporto tra padri e figli in una dimensione più decisamente venata di quella humanitas che giungeva a Roma insieme con i capolavori della letteratura e della filosofia greca. Nelle commedie di Terenzio (D TESTO 1.1) emergono infatti, accanto a figure di padri all antica, anche genitori più comprensivi e dialoganti, a testimoniare un dibattito culturale che doveva segnare il ii secolo a.c. Insomma, non dovevano essere molti i padri che uccidevano, diseredavano o vendevano i loro figli, tanto che nel Digesto troviamo una frase di Marciano, giureconsulto del iii secolo d.c., che afferma: patria potestas in pietate debet, non in atrocitate consistere, cioè «la patria potestà deve fondarsi sul rispetto, non sull atrocità». E le testimonianze letterarie ci fanno credere che la maggior parte dei padri romani avesse ben chiaro questo concetto, anche il burbero e conservatore Catone il Censore, che al figlio Marco dedicò addirittura un opera precettistica (D TESTO 1.2). 17

Percorsi Antologici 1.2 Catone ammonisce il figlio a star lontano dai medici greci (Catone, Praecepta ad filium Marcum fr. 1 Cugusi-Sblendorio) Catone il Censore (234-149 a.c.) rappresentò a lungo, nella vita politica e culturale romana, lo strenuo difensore dei valori tradizionali, incarnati dal mos maiorum, espressione con la quale si indicava nell antica Roma «il costume degli antenati», cioè l insieme di idee, valori, credenze religiose, usanze, trasmesse dalle generazioni precedenti. Tale conservatorismo lo portò a opporsi all influsso crescente della cultura greca (che pure egli ben conosceva), la quale aveva invece uno strumento di propagazione nel cosiddetto «circolo degli Scipioni», cui apparteneva anche il poeta comico Terenzio (D TESTO 1.1). Catone pensava che fosse anzitutto il padre, con la sua esperienza e con la lunga pratica dei valori del mos maiorum, a dovere essere educatore dei propri figli, i quali debbono essere cresciuti con la finalità di trasformarli in futuri cittadini romani: qualcosa di molto diverso, cioè, da quella educazione collettiva che la tradizione greca aveva proposto (D L educazione in Grecia, p. 19). D altronde il biografo Plutarco ricorda come Catone, che pure vantava tra i suoi servi un maestro di grammatica, si fosse sempre occupato personalmente dell educazione del figlio, per evitare che quest ultimo, nato libero e pertanto civis romanus, potesse essere redarguito da uno schiavo (Plutarco, Vita di Catone 20). I Praecepta ad filium Marcum sono un opera precettistica di cui si conservano solo alcuni frammenti e rappresentano il tentativo catoniano di trasmettere al figlio l idea di dedicarsi ad arti nobili e d alto profilo morale e civile come l agricoltura o l oratoria. Egli lo fa, ad esempio, attraverso notissimi precetti come Orator est, Marce fili, vir bonus dicendi peritus, cioè «L oratore, o figlio Marco, è un uomo onesto, esperto nel parlare» (fr. 18 Cugusi-Sblendorio). In questo celebre passo (il più lungo frammento dei Praecepta) Catone invita il figlio Marco (e con lui tutta la gioventù romana) ad accostarsi con molta cautela alla cultura greca, che va sì conosciuta ma non assimilata completamente. Anzi i Greci sono a giudizio di Catone «una razza perfidissima e ribelle», in particolare i loro medici hanno come fine quello di «sterminare con la loro medicina» tutti i Romani. Dicam de istis Graecis suo loco, Marce fili, quid Athenis exquisitum habeam, et quod bonum sit illorum litteras inspicere, non perdiscere. Vincam nequissimum et indocile esse genus illorum. Et hoc puta vatem dixisse: quandoque ista gens suas litteras dabit, omnia corrumpet, tum etiam magis, si medicos suos hoc mittet. Iurarunt inter se barbaros necare omnis medicina. Sed hoc ipsum Dicam perdiscere: «Dirò a suo luogo, o figlio Marco, che cosa io abbia scoperto riguardo codesti Greci ad Atene, e quale vantaggio sia conoscere superficialmente la loro cultura, ma non assorbirla a fondo»; de istis Graecis: complemento di argomento; l uso del pronome determinativo iste ha valore dispregiativo; Marce fili: vocativo; quid exquisitum habeam: interrogativa indiretta retta dal futuro dicam; exquisitum habeam: è forma perifrastica composta dal verbo habere e il participio perfetto del verbo exquiro. Si tratta di una forma propria del latino arcaico che, conservatasi nella lingua colloquiale, ha dato origine al passato prossimo nelle lingue romanze; Athenis: ablativo di stato in luogo; Catone si era recato in Grecia nel 191 a.c. come tribuno militare del console Manio Acilio Glabrione che aveva combattuto contro gli Etoli; quod bonum sit: altra interrogativa indiretta sempre dipendente da dicam e introdotta dall aggettivo interrogativo quod; litteras: il termine al plurale significa «letteratura, cultura»; inspicere, non perdiscere: i due infiniti, coordinati per asindeto e legati da omoteleuto, indicano concetti contrastanti: il primo assume il significato di «conoscere in modo superficiale» il secondo, grazie anche al prefisso per-, indica un «imparare in modo approfondito». Catone invita il figlio ad accostarsi solo in maniera superficiale alla cultura greca, senza approfondirne la conoscenza. Vincam illorum: «Ti persuaderò che la loro razza è spregevolissima e intrattabile». Vincam: futuro di vinco, regge l oggettiva nequissimum et indocile esse genus illorum. Et dixisse: «E fa conto che ciò te lo abbia detto un vate»; puta: imperativo presente da puto; hoc vatem dixisse: proposizione infinitiva retta da puta; vatem: Catone con questo termine vuole conferire maggiore autorevolezza alle sue parole che vengono ad assumere quasi un tono oracolare. quandoque dabit: proposizione temporale; suas litteras: «i suoi testi». tum mittet: «e tanto più se riuscirà a mandare qui i suoi medici»; si mittet: protasi di un periodo ipotetico della realtà, la cui apodosi è corrumpet; hoc: è pronome neutro che riprende in modo generico il sostantivo gens; suos medicos: Plinio il Vecchio, che è anche la fonte di questo frammento di Catone (Naturalis historia 29,7,14), racconta che il primo medico greco, di nome Arcagato, giunse a Roma nel 219 a.c. Iurarunt: «Hanno giurato», forma sincopata per Iuraverunt che regge l infinitiva barbaros necare omnis medicina. barbaros: i Greci chiamavano bárbaroi tutti quelli che non 18