REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE PENALE. - Presidente - - Relatore - SENTENZA



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12204/14 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE PENALE Composta da Gennaro Marasca Antonio Bevere Paolo Oldi Antonio Settembre Luca Pistorelli - Presidente - - Relatore - Sent. n. sez. 325)Y UP - 17/12/2013 R.G.N. 13533/2013 ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Valentino Giovanni, nato a Canosa di Puglia il 10/06/1976 avverso la sentenza del 25/10/2012 della Corte d'assise d'appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelo Di Popolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per le parti civili l'avv. Alfredo Gaito, che ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del ricorso; uditi per l'imputato gli avv.ti Domenico Di Terlizzi e Giovanni Aricò, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. A seguito di annullamento, ad opera della Corte di Cassazione, di un precedente deliberato, la Corte d'assise d'appello di Bari è stata nuovamente

investita, quale giudice di rinvio, del gravame proposto da Giovanni Valentino avverso la sentenza con la quale la locale Corte d'assise lo aveva condannato alla pena dell'ergastolo per l'omicidio pluriaggravato della moglie Lucia Di Muro e della suocera Maria Grazia Prisciandaro. 1.1. La ragione che aveva determinato l'annullamento riguardava la disposta applicazione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 4) del codice penale, in difetto dei presupposti per la connotazione di crudeltà delle modalità di esecuzione del reato; al giudice di rinvio era stata inoltre rimessa l'eventuale rideterminazione della pena, avuto anche riguardo alla richiesta di applicazione delle attenuanti generiche, fatta oggetto di un autonomo motivo di ricorso e ritenuta assorbita. 1.2. La Corte barese, esclusa l'aggravante di cui all'art. 61, n. 4), cod. pen. e confermato il diniego delle attenuanti generiche, ha rideterminato la pena ritenendo sanzionabile con la reclusione da ventiquattro a trent'anni ciascuno dei due omicidi concorrenti; ha quindi applicato il cumulo giuridico di cui all'art. 73, comma secondo, cod. pen., facendone conseguire la pena dell'ergastolo, poi ridotta a trent'anni per la scelta del rito abbreviato. 2. Ha proposto nuovamente ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi. 2.1. Col primo motivo il ricorrente denuncia l'erroneità dell'applicazione dell'art. 73, comma secondo, del codice penale in una situazione nella quale non poteva effettuarsi il cumulo delle pene in quanto, già in primo grado, era stata riconosciuta la continuazione fra i due reati di omicidio: con la conseguenza che si sarebbe dovuto far luogo alla determinazione della pena base per il reato più grave, modulandola tra il minimo edittale di ventiquattro anni e il massimo di trent'anni di reclusione; quindi applicare l'aumento per la continuazione e ridurre il risultato di un terzo per la scelta del rito. 2.2. Col secondo motivo il Valentino lamenta che il giudice di rinvio, nel ribadire il diniego delle attenuanti generiche, non abbia adeguatamente motivato le ragioni che l'hanno indotto a svalutare la rilevanza del disturbo della personalità, in atti documentato e riconosciuto come esistente dalla stessa Corte di merito. 3. Vi è agli atti una memoria depositata nell'interesse delle parti civili, con cui ci si oppone all'accoglimento del ricorso deducendone l'inammissibilità. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. In primis va affermata l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità del 2 d)

. ricorso, sollevata dalle parti civili. Trattasi, invero, di impugnazione tempestivamente proposta per motivi consentiti, in quanto volti a denunciare la violazione di norme penali (entrambi) e vizi della motivazione (il secondo): impugnazione, per di più, in parte fondata, come più innanzi si avrà modo di evidenziare. 2. Nell'ordine logico delle questioni da trattare viene dapprima in considerazione il secondo motivo di ricorso, col quale il ricorrente deduce violazione dell'art. 62-bis cod. pen. e carenza motivazionale in ordine al diniego delle attenuanti generiche. Lamenta il ricorrente che la Corte di merito, nel dar conto dei criteri assunti a fondamento del giudizio sul punto, abbia ingiustificatamente svalutato gli aspetti patologici della personalità dell'imputato, il quale era risultato affetto da un disturbo della personalità (contrassegnata da tratti paranoidi) che, secondo il consulente della difesa, aveva «inciso in qualche misura sulla possibilità di scelta del Valentino». 2.1. La censura è priva di fondamento e va disattesa. Lungi dal limitarsi a «liquidare» il disturbo del Valentino come immeritevole di considerazione, il giudice di rinvio ha dedicato un'attenta disamina all'argomento, muovendo dal rilievo secondo cui, in linea di principio, poiché sussiste un'autonomia concettuale tra l'imputabilità del soggetto e la gravità del reato da lui commesso, l'applicazione delle attenuanti generiche non è incompatibile con la riconosciuta esistenza di un disturbo della personalità, sebbene questo non sia riconducibile allo schema tipico del vizio di mente; tanto premesso, nell'accedere alla valutazione concreta della fattispecie, ha ritenuto la Corte territoriale che il profilo di personalità accertato dai periti nel Valentino («tratti paranoidi, narcisistici ed antisociali di personalità») non potesse essere positivamente apprezzato ai fini dell'applicabilità delle attenuanti generiche, trattandosi di caratteristiche attinenti esclusivamente alla personalità dello stesso imputato, comportanti la disarmonia nelle modalità di interazione, nel suo modo di essere e di reagire agli eventi, senza tuttavia determinare una menomazione della funzione volitiva e del controllo degli impulsi, tale da non consentire di regolare le azioni aggressive poste in essere. Ha rilevato, inoltre, quel collegio il carattere meramente suggestivo - nessun accertamento essendo mai stato sollecitato al riguardo - della prospettazione intesa a evocare l'apporto delle neuroscienze per verificare la presenza di anomalie strutturali (nella morfologia del cervello) e genetiche comportamentali, atte a causare comportamenti aggressivi e violenti. 2.2. Il discorso giustificativo così articolato, arricchito dal richiamo alla accertata efferatezza dell'azione criminale posta in essere dal Valentino, ha apprestato al diniego delle attenuanti generiche una motivazione congrua, giuridicamente e logicamente ineccepibile. Né sarebbe consentito accedere, in 3

questa sede di legittimità, a una valutazione critica della linea argomentativa addotta sotto il profilo della condivisibilità, opponendovisi i limiti tracciati al giudizio di cassazione dall'art. 606 cod. proc. pen.. 3. È invece fondato il primo motivo di ricorso, col quale sono impugnate per violazione di legge le modalità di computo della pena. 3.1. Il giudice di rinvio ha effettuato il cumulo giuridico delle pene inerenti ai due reati di omicidio aggravato commessi dal Valentino, in attuazione del disposto dell'art. 73, comma secondo, del codice penale; in tale ottica ha considerato che, rendendosi astrattamente applicabile a ciascun reato la pena detentiva non inferiore a ventiquattro anni di reclusione, il risultato del cumulo dovesse essere l'applicazione dell'ergastolo, poi ridotto a trent'anni di reclusione per la scelta del rito abbreviato. Così operando, tuttavia, quel collegio ha omesso di considerare che, secondo una valutazione compiuta già dalla Corte d'assise in primo grado e da considerarsi coperta dal giudicato interno, in quanto mai investita da impugnazione, i due delitti di omicidio ai danni di Lucia Di Muro e di Maria Grazia Prisciandaro erano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e dovevano essere, perciò, sanzionati secondo il criterio dettato dall'art. 81, comma secondo, cod. pen.. 3.2. Attenendosi al dettato della norma da ultimo citata il giudice di merito avrebbe dovuto, come esattamente osservato dal ricorrente: determinare la pena base per il reato più grave, modulandola fra il minimo di ventiquattro e il massimo di trenta anni di reclusione (come statuito dall'art. 577, comma secondo, cod. pen.); apportare poi l'aumento per la continuazione, entro i limiti tracciati dall'art. 78 dello stesso codice; ridurre, infine, di un terzo il risultato conseguito, come imposto dall'art. 442, comma 2, cod. proc. pen. per la scelta del rito abbreviato. 3.3. L'illegittima applicazione della modalità di computo di cui all'art. 73, comma secondo, cod. pen., in un'ipotesi non consentita, inficia in parte qua la sentenza impugnata e ne rende necessario l'annullamento. Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte d'assise d'appello di Bari, provvederà alla rideterminazione della pena nel rispetto delle norme dianzi citate. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena ex art. 73, comma 2, cod. pen., con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Bari per nuovo esame; Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 17/12/2013. Il Consigliere estensore Paolo Oldi Il ente G; nna Marasca ( DEPOSITATA IN CANCELLERIA addì 1 3 MAR 2014 tlftjnzis Q V4UDZIARIO Car nzuise. 5