I ducati padani. Modena e Reggio, Parma e Piacenza. Antico regime e finanza pubblica alla vigilia dell'unificazione



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I ducati padani. Modena e Reggio, Parma e Piacenza. Antico regime e finanza pubblica alla vigilia dell'unificazione di Gian Luca PodestaÁ Premessa La situazione economica dei due ducati padani al momento dell'annessione allo stato sabaudo nel 1859 era molto arretrata. Solo l'unificazione avrebbe scosso un torpore secolare, evidenziando il ritardo accumulato in tutti i settori nel corso della prima metaá dell'ottocento rispetto alle aree piuá avanzate d'europa. Promuovendo finalmente uno sforzo consapevole per modernizzare l'economia, che avrebbe generato quei primi progressi nel settore agricolo che sarebbero stati alla base del futuro sviluppo della regione 1. Certo il periodo francese aveva contribuito ad avviare una trasformazione delle istituzioni, dell'economia e della societaá che, in parte, soprattutto a Parma, era sopravvissuta al crollo dell'impero napoleonico 2.Ilregimerivoluzionario aveva determinato una immissione di nuovi proprietari terrieri borghesi nel settore agricolo. Era stato introdotto il nuovo codice francese ed era stato adottato il sistema monetario decimale. Qua e laá, l'apertura dei due territori verso un mercato piuá ampio aveva generato delle nuove opportunitaá che gli imprenditori piuá abili, o piuá in dimestichezza con l'amministrazione francese, erano stati in grado di cogliere. Ma la restaurazione liquidoá la maggior parte delle riforme, persino alcune di quelle che sembravano rivestire un carattere meramente tecnico e non politico: cosõá era stato ripristinato l'antico sistema monetario duodecimale 3. Non vi erano banche moderne, neá fu mai emessa carta moneta di stato o di banca. Solo nel 1858, sotto la reggenza di Luisa Maria di Borbone (1854-1859), venne progettata una Banca degli Stati Parmensi che non vide mai la luce, e solo il 19 agosto 1860 sarebbe 1 R. Finzi (a cura di), Storia d'italia. Le regioni dall'unitaá a oggi, L'Emilia-Romagna, Giulio Einaudi editore, Torino 1997. 2 L. Marini, Lo stato estense e G. Tocci, Il Ducato di Parma e Piacenza, in L. Marini-G. Tocci-C. Mozzarelli-A. Stella, I Ducati Padani, Trento e Trieste, in G. Galasso (a cura di), Storia d'italia, UTET, Torino, pp. 159-192 e pp. 316-335. 3 P.L. Spaggiari, Economia e finanza negli Stati Parmensi (1814-1859), Istituto Editoriale Cisalpino, Milano-Varese 1961, p. 57. 41

divenuta operante la Cassa di Risparmio di Parma, il cui progetto originario risaliva addirittura al 1828 4, mentre la prima cassa di risparmio creata nel Ducato di Modena fu quella di Carpi, fondata nel 1843 5. Il credito era esercitato solo dai banchieri privati e dai cambiavalute, proprio come nell'antico regime. Rovesciando per paradosso la celebre frase di Metternich, e cioeá che l'italia fosse solo una mera espressione geografica, si potrebbe dire che i due ducati superstiti del rinascimento, del tutto incapaci di concepire autonomamente una propria politica estera, e tantomeno il progresso economico e sociale, rappresentassero in realtaá delle mere appendici fittizie del Lombardo-Veneto, utili all'austria solo come stati cuscinetto da sfruttare come pedine marginali delle relazioni diplomatiche nel concerto delle potenze europee, e soprattutto per l'allocazione di membri della famiglia imperiale altrimenti a carico dell'erario austriaco. Come avrebbe evidenziato proprio la rapida liquefazione dei due regimi nella primavera 1859, neá Parma e Piacenza neá Modena e Reggio erano due nazioni, neá tantomeno vi era ormai un autentico legame di fedeltaá fra la popolazione e le case regnanti imposte dagli austriaci. La marginalitaá economica dei due ducati era evidenziata anche dalla comparazione dei loro bilanci pubblici nel 1859 rispetto a quelli degli altri stati italiani. Secondo le stime presentate da Pasini alla Camera dei Deputati e piuá tardi pubblicate da Achille Plebano 6, le entrate e le uscite equivalevano solo a circa il 4% del totale, mentre la quota del debito pubblico di pertinenza dei due ducati a poco piuá dell'1%. Anche se non tutti i dati pubblicati dagli studiosi concordano fra di loro 7, l'irrilevanza delle cifre relative ai due stati padani resta inalterata. Come vedremo, l'inadeguatezza delle politiche finanziarie e fiscali intraprese dai governi che si sono susseguiti fra il 1815 e il 1859 non era tanto frutto dell'incapacitaá e dell'insipienza dei ministri e dei burocrati, quanto rispondeva alla chiara volontaá di mantenere il piuá possibile immutato il quadro economico e sociale dei due territori al fine di conservare stabile l'ordine esistente. Dopo l'unitaá, infatti, la mancata modernizzazione avrebbe determinato rilevanti difficoltaá di inserimento nel piuá ampio mercato del nuovo regno. 4 M. Dall'Aglio, Il frutto del denaro: la Cassa di Parma dal 1860 al 1895, in G. L. Basini-G. Forestieri (a cura di), Banche locali e sviluppo dell'economia. Parma e la Cassa di Risparmio, GiuffreÁ Editore, Milano 1989, p. 44; A. Saguatti, Cento anni di attivitaá economica e bancaria in provincia di Parma. La Cassa di Risparmio di Parma a Fidenza, Borgotaro, Busseto e Langhirano (1883-1983), Artegrafica Silva, Parma 1983, p. 19. 5 Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi 66, lo Stato di Modena. Una capitale, una dinastia, una civiltaá nella storia d'europa, Atti del convegno, Modena 25-28 marzo 1998, a cura di A. Spaggiari e G. Trenti, II, Ministero per i beni e le attivitaá culturali. Direzione Generale per gli Archivi, Roma 2001. 6 A. Plebano, Storia della finanza italiana. Dalla costituzione del nuovo regno alla fine del secolo XIX, Volume Primo, Dal 1861 al 1876 premesso un cenno sulla Finanza del regno Subalpino, Roux Frassati e Cë-Editori, Torino 1899, p. 61. 7 F.A. Repaci, La finanza pubblica italiana nel secolo 1861-1960, Zanichelli editore, Bologna. 42

Tab. 1 - La situazione finanziaria degli stati italiani nel 1859 secondo l'on. Pasini (in migliaia di lire correnti) Entrate Spese Debito pubblico Regno di Sardegna 129.000 135.000 622.700 Lombardia 87.000 87.000 156.000 Toscana 38.400 38.400 103.000 Parma e Piacenza 11.567 10.481 7.200 Modena, Reggio e Massa 10.840 10.840 11.000 Romagna, Marche e Umbria 53.700 39.800 28.860 Province napoletane 124.600 147.200 440.000 Sicilia 46.000 45.500 114.000 totali 521.107 534.221 1.482.760 Fonte: A. Plebano, Storia della finanza italiana. Dalla costituzione del nuovo regno alla fine del secolo XIX, Volume Primo, Dal 1861 al 1876 premesso un cenno sulla Finanza del regno Subalpino, Roux Frassati e Cë-Editori, Torino 1899, p. 61; P. L. Spaggiari, Le finanze degli Stati italiani, in Storia d'italia, Volume quinto, I documenti, I, Giulio Einaudi editore, Torino 1973, p. 835. Il territorio e la popolazione Il Ducato di Parma e Piacenza era rimasto quasi immutato nel corso della propria storia iniziata nel 1545. Nel 1815 il territorio di Parma coincideva sostanzialmente con quello dell'attuale provincia con l'aggiunta di tre comuni oltre l'enza, mentre quello di Piacenza era identico alla provincia odierna tranne Bobbio e con Bardi (piuá tardi passata a Parma). Inoltre lo stato comprendeva anche il Ducato di Guastalla. Dopo il trattato di Firenze nel novembre 1844 8,Parma cedette i comuni oltre l'enza e Guastalla a Modena, ottenendo in cambio una parte della Lunigiana (i comuni di Villafranca e Mulazzo dal modenese, e quelli di Pontremoli, Bagnone e Filattiera dal Granducato di Toscana). La popolazione dello stato era cresciuta progressivamente tra il 1833 e il 1859, passando da 465.673 abitanti a 502.247, ma, a conferma del ristagno economico della grande proprietaá terriera, era aumentata di piuá quella della montagna e della collina, grazie all'apertura di nuove vie di comunicazione nel periodo francese e alla possibilitaá di svolgere lavori stagionali nelle aree limitrofe che costituivano una fonte di integrazione del reddito, piuttosto di quella della pianura, ove i braccianti vivevano in condizioni di indigenza. Il dualismo era evidenziato anche dalla situazione demografica dei due poli urbani: se la popolazione di Parma, tra il 1814 e il 1859, era cresciuta da 29.000 a 45.000 abitanti (+55%), quella di Piacenza era passata solo da 27.000 a 30.000 (+10%). Il maggior dinamismo della capitale era certamente determinato, come per il passato, dalla presenza della corte e del governo e delle principali istituzioni caritative e assistenziali. Il biennio intercorso tra la fine degli antichi stati e la proclamazione del nuovo stato unitario, peroá, modificoá in parte la 8 G. Tocci, Il Ducato di Parma e Piacenza, cit., p. 327. 43

situazione se nel 1861 il primo censimento nazionale accertoá che i residenti di Parma erano pari a 47.428, mentre quelli di Piacenza erano cresciuti a 39.387. Tab. 2 - La popolazione del Ducato di Parma e Piacenza dal 1833 al 1859 Anni Abitanti Anni Abitanti 1833 465.673 1850 494.787 1840 476.187 1855 511.969 1845 496.803 1856 495.840 1847 500.832 1859 502.247 1848 494.774 Fonte: Archivio economico dell'unificazione italiana, volume III-IV, fascicolo 4, Le entrate degli Stati parmensi dal 1830 al 1859, (a cura di E. Falconi e p. L. Spaggiari), ILTE-Industria Libraria Tipografica Editrice, Torino 1957, p. 15. Al contrario del Ducato di Parma e Piacenza l'antico stato estense aveva subito numerose modificazioni territoriali nel corso dei secoli, che ne avevano sconvolto l'originaria composizione. Nel 1816 esso aveva incamerato gli ex feudi imperiali della Lunigiana, mentre nel 1830 gli era stato assegnato anche il Ducato di Massa. Dopo il trattato di Firenze gli vennero attribuiti alcuni comuni giaá appartenenti al granducato di Toscana e Barga, che aveva fatto parte del Ducato di Lucca, noncheâ da Parma i territori giaá menzionati oltre l'enza e Guastalla. Per valutare il trend demografico dello stato nel corso della prima metaá del secolo occorre tener conto di questi continui aggiustamenti dei confini. La popolazione, che nel 1845 annoverava 510.876 abitanti (compresi quelli di Massa e Carrara), sarebbe ascesa a 575.410 nel 1847 e a 609.989 nel 1858 secondo l'ultimo censimento austro-estense effettuato prima dell'unificazione 9. Nel 1818 i cittadini residenti a Reggio erano pari a 15.355 e quelli di Modena a 23.822, mentre nel 1846 essi erano cresciuti rispettivamente a 17.905 e 28.406. Anche in questo caso, almeno fino al 1859, la popolazione del circondario cresceva di piuá di quella urbana e la capitale attraeva una quota piuá consistente dell'emigrazione dalla montagna e dalla collina: i reggiani nel 1857 erano solo 17.989 (sarebbero divenuti ben 50.371 nel 1861), mentre i modenesi nel 1861 sarebbero stati 55.512. Le finanze Le entrate Durante l'etaá moderna furono quasi esclusivamente le imposte indirette ad alimentare le entrate degli antichi stati italiani almeno fino al XVIII secolo. Sotto nomi diversi i tributi gravavano, come nei secoli precedenti, sui consumi, sugli scambi e sugli affari 10. Naturalmente, accanto a queste imposte indirette, le piuá 9 L. Marini, Lo stato estense, cit., p. 188. 10 G.L. PodestaÁ, Dal delitto politico alla politica del delitto. Finanza pubblica e congiure 44

tradizionali, figuravano anche in misura rilevante i proventi dei monopoli (sale, tabacchi e lotto), e innumerevoli altre entrate a carattere fiscale ereditate dal passato. I bilanci, in genere redatti a preventivo sulla base delle spese degli esercizi precedenti, erano sempre ispirati a criteri di ``mera computisteria'' e volti al pareggio delle entrate con le uscite. In minore o maggiore misura tutti gli stati, una volta che l'entitaá del prelievo tributario superasse in misura sensibile le possibilitaá espresse dal reddito nazionale, erano costretti ad imporre addizionali sulle aliquote o imposte straordinarie, e a ricorrere all'indebitamento. Ma, nel caso dei due ducati padani, il ricorso al debito pubblico serviva solo a coprire gli squilibri di bilancio, e mai, tranne in rarissime occasioni, per concepire investimenti in infrastrutture che avrebbero potuto favorire la crescita economica del territorio. Il sistema fiscale generava inevitabilmente anche un elevato contrabbando che riduceva sensibilmente gli introiti delle dogane. Alla fine dell'etaá moderna, dopo aver pesato prevalentemente sulle mercanzie e sulle industrie nei secoli XVI e XVII, si tornoá a colpire i possessi fondiari, creando le premesse per l'avvento della finanza di natura tipicamente prediale 11.Nellaprima metaá dell'ottocento, a partire dal periodo francese, l'imposta fondiaria specialmente, o prediale come veniva chiamata, costituõá la base dell'imposizione diretta ordinaria e straordinaria degli stati italiani preunitari 12, in genere meno sensibili verso i redditi mobiliari, anche per le maggiori difficoltaá imposte da un eventuale accertamento. I catasti, le cui cui tecniche di rilevazione erano effettuate con modalitaá piuá avanzate tra il XVIII e il XIX secolo (catasti geometrici-particellari) 13, anche se sopravvivevano «estimi di vecchio censo o a carattere descrittivo», garantivano agli erari una distribuzione sufficientemente equilibrata del carico fiscale. Dopo l'unitaá, peroá, le cospicue differenze tra le diverse aliquote applicate negli antichi stati italiani generarono una forte sproporzione delle quote medie per cittadino 14. Nel 1862, dopo che fu presentato il primo provvedimento legislativo «per il conguaglio provvisorio dell'imposta fondiaria», si passava, per esempio, dall'aliquota di 19,9 lire per ogni 100 lire di rendita applicata in Lombardia, e di 15 lire in Piemonte e Liguria, nel Napoletano e a Modena a quella di 9,1 lire in Toscana. Il contributo dell'imposta sui fondi rustici e sui fabbricati rurali, che in genere veniva chiamata prediale, assicurava la quasi totalitaá del gettito delle imposte dirette degli stati preunitari. Comunque, a dispetto dei progressi, ancora circa i due terzi delle contro i Farnese nel Ducato di Parma e Piacenza dal 1545 al 1622, EGEA, Milano 1995; F. Piola Casella, Il buon governo. Storia della finanza pubblica nell'europa preindustriale, Giappichelli, Torino 1997. 11 E. Stumpo, Economia naturale ed economia monetaria: l'imposta, instoria d'italia, Annali 6, Economia naturale, economia monetaria, a cura di R. Romano e U. Tucci, Giulio Einaudi editore, Torino 1983, p. 554. 12 P.L. Spaggiari, Le finanze degli Stati italiani, instoria d'italia, Volume quinto, I documenti, I, Giulio Einaudi editore, Torino 1973, p. 832. 13 R. Zangheri, I catasti, instoria d'italia, Volume quinto, I documenti, I, Giulio Einaudi editore, Torino 1973, pp. 762-806. 14 P.L. Spaggiari, Le finanze degli Stati italiani, cit., p. 833. 45

entrate effettive dei governi preunitari erano garantiti dalle imposte indirette sui consumi, da quelle sui trasferimenti, dalle tasse amministrative e dai monopoli 15. Solo nel Ducato di Parma e Piacenza, e, in misura inferiore, a Modena e in Toscana, in cui le famiglie regnanti avevano conservato una vasta proprietaá fondiaria, rivestivano un ruolo importante anche i proventi dei beni demaniali e patrimoniali 16. A Parma la riscossione delle imposte indirette fu appaltata fino al 1835 a una ferma mista, una compagnia privata milanese composta da un rappresentante del governo e da uno dei fermieri 17, mentre quelle dirette erano esatte in proprio dall'amministrazione pubblica. Questo sistema era ritenuto insoddisfacente dallo stesso governo, anche percheâ la societaá dirottava i proventi nel Lombardo-Veneto anzicheá reimpiegarli nello stato. Finalmente nel 1836 fu creata un'apposita Amministrazione delle contribuzioni indirette pubblica, guidata da un direttore, con tutte le attribuzioni che prima erano spettate alla ferma, che miglioroá notevolmente il sistema di riscossione. Nel ducato le imposte dirette comprendevano la prediale, ovvero «la contribuzione catastale sulle proprietaá non fabbricate e sulle superfici non occupate da stabili» ela«contribuzione degli stabili», la tassa personale, che veniva pagata da tutti i residenti nello stato da almeno un anno e non risultasse indigente (e cioeá chi guadagnava meno di una lira nuova a Parma e Piacenza, ottanta centesimi nei comuni di pianura e collina e sessanta in quelli montani), e, infine, le patenti, che erano dovute da tutti coloro che esercitassero un commercio, un'industria, un'arte o un mestiere (suddivisi in sette classi a seconda della rilevanza dell'attivitaá svolta). La prediale costituiva circa il 90% delle imposte dirette, che a loro volta rappresentavano circa un terzo del complesso delle entrate fiscali del ducato tra il 1830 e il 1859. Paradossalmente, alla fine del Seicento queste ultime avevano costituito oltre il 40% delle entrate fiscali totali, con una punta massima del 68% nel 1664 per il territorio di Parma 18. L'importo totale della contribuzione era indicata annualmente dal duca e ripartita tra i comuni dal presidente delle finanze su suggerimento del direttore delle contribuzioni dirette, sulla base della rendita imponibile che risultava dalle misurazioni catastali: «per le terre sull'estimo dell'anno e per gli stabili sul primo allibramento» 19. Nei comuni ancora privi di catasti le rendite venivano calcolate dal Consiglio delle contribuzioni, istituito in ogni comune. Sull'esempio della Lombardia austriaca lo stato si era dotato di un sistema evoluto. I lavori di catasto, intrapresi nel 1817, avevano 15 Ibid., p. 834. 16 G.L. PodestaÁ, Dal delitto politico alla politica del delitto, cit., p. 293. 17 Che furono all'inizio la societaá milanese Morardet e C., e successivamente l'aristocratico piacentino Gaetano Testa. Archivio economico dell'unificazione italiana, volume III-IV, fascicolo 4, Le entrate degli Stati parmensi dal 1830 al 1859 (a cura di E. Falconi e P.L. Spaggiari), ILTE-Industria Libraria Tipografica Editrice, Torino 1957, p. 2. 18 G.L. PodestaÁ, La finanza pubblica nel Ducato di Parma e Piacenza in etaá farnesiana, in Debito pubblico e mercati finanziari in Italia. Secoli XIII-XX, a cura di G. De Luca e A. Moioli, Franco Angeli, Milano 2007, p. 174. 19 Archivio economico dell'unificazione italiana, volume III-IV, fascicolo 4, Le entrate degli Stati parmensi dal 1830 al 1859 (a cura di E. Falconi e p. L. Spaggiari), cit., p. 7. 46

conseguito risultati eccellenti, poicheá su 105 comunitaá ne erano state catastate giaá 86 nel 1833, 90 nel 1834, 97 nel 1836 e 103 nel 1838. All'inizio le aliquote oscillavano mediamente intorno al 12,50% per ogni lira d'estimo, salvo un picco massimo del 13,83% nel 1845. Il numero complessivo dei proprietari censiti nel ducato era di circa 48.000. Fino al 1850 il gettito della prediale si mantenne stabile, poi essa fu incrementata dal nuovo sovrano, Carlo III di Borbone (1849-1854), succeduto al padre, Carlo II (1847-1849), nel 1849, per sostenere il notevole aumento delle spese militari. CosõÁ l'incidenza dell'imposta sul volume totale delle entrate salõá dal 25% nel 1835 a circa il 30% nel 1858. Tab. 3 - Entrate erariali del Ducato di Parma e Piacenza dal 1830 al 1858 (valori in migliaia di lire nuove) 1830 1835 1840 1845 1850 1855 1858 Prediale ± 1.785 1.754 1.758 1.821 2.661 2.878 Totale imposte dirette 2.247 2.067 2.030 2.034 2.111 2.940 3.172 Contribuzioni indirette (ferma mista fino al 1835) 3.336 3.038 3.512 3.468 3.543 3.674 3.728 Imposte indirette sui consumi, aziende di stato e monopoli 377 339 342 345 348 312 326 Imposte indirette sugli affari 13 11 11 11 12 13 12 Redditi patrimoniali 2.136 1.250 1.160 1.122 1.170 1.262 1.738 Entrate ordinarie diverse 76 96 146 146 125 292 263 Entrate straordinarie 437 259 304 427 814 1.282 596 Totali 8.622 7.060 7.505 7.553 8.123 9.775 9.835 Fonte: Archivio economico dell'unificazione italiana, volume III-IV, fascicolo 4, Le entrate degli Stati parmensi dal 1830 al 1859, (a cura di E. Falconi e p. L. Spaggiari), ILTE-Industria Libraria Tipografica Editrice, Torino 1957, pp. 18-25. Le cifre relative alle contribuzioni indirette, come ho giaá detto, indicavano dal 1830 al 1835 il canone fisso, pari a lire nuove 2.593.000, oltre il 50% degli utili, della ferma mista, come pattuito nel contratto sottoscritto con Gaetano Testa nel 1826, e dal 1836 in poi «il netto della gestione autonoma dell'amministrazione delle contribuzioni indirette» 20, come risultava dai versamenti all'erario. In questa voce erano compresi gli introiti derivanti da: dogane, transito del sale, sale, tabacchi, polveri ardenti, lotto, garanzia dell'oro e dell'argento, licenze per la vendita dei liquori, pedaggi sui fiumi, bevande, provvigioni sui dazi dei comuni, proventi casuali (multe, vendite di merci confiscate, ecc.), ceneri crivellate di Salsomaggiore, carta bollata, bollo straordinario, controllo, ipoteche. Nella voce dogane, per esempio, gli importi comprendevano il provento lordo dei diritti d'entrata e di uscita, di transito su terra e sul Po e altri diritti minori. Nel periodo compreso tra il 1 febbraio 1853 e il 1 ottobre 1857, in cui il ducato entroá nella lega doganale con il Lombardo-Veneto e con Modena che era stata praticamente imposta dall'austria, 20 Ibid., p. 9. 47

erano inclusi, oltre alle normali entrate degli uffici delle dogane, anche le cifre versate dall'imperial-regio governo a titolo di rimborso di una parte dei costi di amministrazione delle dogane di Parma e di integrazione del «minimo di entrata», come stabilito dal trattato 21. La lega coll'austria ebbe effetti negativi per l'economia del ducato percheá, proibendo la vendita dei grani al di fuori dell'area stabilita, arrestoá i traffici con la Liguria, che costituivano una voce importante del commercio dello stato 22. Inoltre il governo austriaco aveva aumentato le tariffe dei dazi e stava progettando anche una unione monetaria tra gli stati aderenti alla lega doganale 23. Sollecitata dai propri cittadini, finalmente nel febbraio 1857 la reggente Luisa Maria (1854-1859) rifiutoá di rinnovare l'accordo doganale. Le imposte indirette sugli affari comprendevano le somme riscosse per la vendita di carta bollata e per l'apposizione del bollo straordinario, noncheá quelle prelevate sugli atti civili, privati, giudiziari e sulle successioni ereditarie, i proventi delle tasse di notificazione e di trascrizione delle ipoteche, e di trascrizione e comunicazione degli atti pubblici conservati negli archivi dell'amministrazione. I redditi patrimoniali annoveravano tutte le rendite dei beni demaniali e patrimoniali come «affitti e pigioni, diritti di caccia, di pesca sul Po, censi e livelli, proventi da vendite di piante, interessi per mora in ritardati pagamenti, alienazioni di terreni per acque e strade» 24. Gli incassi derivanti dai beni patrimoniali, che in etaá farnesiana erano stati uno dei cespiti piuá importanti del bilancio del ducato (oltre il 40% del totale nel 1622) 25, costituivano ancora una voce molto importante dei redditi dello stato (24,7% nel 1830). La maggior parte delle terre era affittata a capitalisti locali che le subaffittavano ad autentici contadini (con contratti di tre o nove anni) o le affidavano a mezzadri. Nonostante i deficit di bilancio, vi era una forte ritrosia a procedere all'alienazione dei beni patrimoniali per coprire i costi crescenti dello stato percheá da un lato essi erano indispensabili al mantenimento del prestigio e agli svaghi della casa regnante, dall'altro, naturalmente, cioá avrebbe generato il malcontento degli affittuari assenteisti. La proposta di concederle a veri e propri affittuari conduttori capitalisti, magari stranieri (cioeá provenienti dalla Lombardia), suscitoá l'opposizione di Maria Luisa (1814-1847) che non voleva inimicarsi la buona societaá locale. Progressivamente, peroá, il volume delle entrate patrimoniali si contrasse, calando a circa il 14% del totale delle entrate nel 1850 (anche se nel 1858 sarebbero cresciute nuovamente fino al 17,6%). I redditi diversi ordinari erano costituiti dalle trattenute sugli stipendi degli impiegati per l'incremento del fondo pensioni, dalle entrate derivanti dalla vendita degli oggetti fabbricati negli stabilimenti penali e negli ospizi dei poveri, dal rimborso di pen- 21 Ibid., p. 10. 22 P.L. Spaggiari, Economia e finanza negli Stati Parmensi (1814-1859), Cisalpino, Milano- Varese 1961, pp. 254-255. 23 G. Tocci, Il Ducato di Parma e Piacenza, cit., p. 333. 24 Archivio economico dell'unificazione italiana, volume III-IV, fascicolo 4, Le entrate degli Stati parmensi dal 1830 al 1859 (a cura di E. Falconi e p. L. Spaggiari), cit., p. 14. 25 G.L. PodestaÁ, La finanza pubblica nel Ducato di Parma e Piacenza in etaá farnesiana, cit., p. 171. 48

sioni pagate dallo stato per conto dei comuni, dall'eccedenza sulle provvigioni agli esattori e dai proventi per lo stacco di bollette di contribuzioni dirette, e, infine, dai crediti e dai proventi del tesoro. Gli introiti delle entrate straordinarie comprendevano invece: il decimo sulle contribuzioni indirette, imposto fra il 1831 e il 1835; la restituzione di somme da parte della cassa d'ammortizzazione, costituita per l'estinzione del debito pubblico nel 1831, e di cui parleremo successivamente; gli interessi sui titoli di proprietaá dello stato; i redditi derivanti dall'alienazione di beni patrimoniali; il rimborso di prestiti a privati; i proventi dei prestiti del 1849 e del 1854; entrate diverse non classificabili tra quelle finora elencate. Tab. 4 - Entrate erariali del Ducato di Modena dal 1840 al 1858 (valori in migliaia di lire italiane) 1840 1845 1850 1855 1858 Prediale 1.839 1.838 2.070 2.424 2.657 Totale imposte dirette 2.001 2.001 2.737 3.088 3.207 Imposte sui consumi monopoli e aziende statali 3.798 4.061 4.301 5.791 6.245 Imposte sui trasferimenti e tasse 511 534 571 875 1.057 Redditi patrimoniali 834 711 862 1.091 1.044 Entrate varie 102 105 192 142 125 Totali 7.246 7.412 8.663 10.987 11.678 Fonte: Archivio economico dell'unificazione italiana, volume I, fascicolo 2, Le entrate del Ducato di Modena dal 1840 al 1859, (a cura di C. Livi), ILTE-Industria Libraria Tipografica Editrice, Torino 1957, pp. 14-17. Fino all'agosto 1848 le entrate dell'erario del Ducato di Modena erano riscosse in parte dal ministero delle Finanze (l'imposta personale, quella sul bestiame, le imposte indirette sui consumi, la quasi totalitaá di quelle sugli affari, quella prediale della Lunigiana, una parte dei redditi patrimoniali, e altri introiti minori di varia natura), in parte dal dicastero della Pubblica Economia ed Istruzione (l'imposta prediale, varie entrate patrimoniali volte a coprire esclusivamente alcune spese di competenza del ministero, e altre entrate minori di natura fiscale), in parte, infine, dall'intendenza generale dei beni camerali, allodiali ed ecclesiatici (solo redditi patrimoniali) 26. La frammentazione dell'amministrazione finanziaria, tipica dell'antico regime, era evidenziata dal fatto che non esisteva un unico bilancio del ducato, ma tre bilanci parziali rispettivamente per ciascuna delle tre istituzioni. La riforma dell'11 agosto 1848, in vigore dal 1 settembre successivo, stabiliva che il ministero delle Finanze sarebbe divenuto l'unico percettore delle entrate, che avrebbe poi in parte erogato agli altri dicasteri negli appositi fondi di dotazione. Contemporaneamente le Finanze ereditarono la gestione del debito 26 Archivio economico dell'unificazione italiana, volume I, fascicolo 2, Le entrate del Ducato di Modena dal 1840 al 1859, (a cura di C. Livi), ILTE-Industria Libraria Tipografica Editrice, Torino 1957, p. 1. 49

pubblico e delle pensioni, incorporando anche l'intendenza generale alla quale fu riservata l'amministrazione di quasi tutti i beni dello stato, mentre fin dal 1846 avevano giaá ottenuto l'esclusiva pertinenza sui beni allodiali del duca. In realtaá, anche dopo la promulgazione della riforma, il nuovo ministero dell'interno (prosecuzione di quello della Pubblica Economia ed Istruzione) continuoá a riscuotere la maggior parte delle entrate di propria pertinenza, con in piuá la tassa sulle risaie e i proventi del telegrafo. Al dicastero di Grazia e Giustizia e a quello del Buon Governo, in precedenza privi di entrate proprie, furono riservati rispettivamente gli introiti delle tasse giudiziarie e ipotecarie e delle tasse di polizia. Anche l'intendenza generale continuoá a mantenere una sostanziale autonomia nei confronti delle Finanze, come era esplicitato dal fatto che essa continuasse a compilare bilanci propri, come pure faceva il ministero degli Interni. Paradossalmente, gli effetti della riforma del 1848 furono quindi piuttosto quelli di estendere il sistema di attribuire le varie entrate a diversi settori dell'amministrazione pubblica, per metterli in grado di coprire, almeno in parte, le spese di loro specifica competenza, che quelli di realizzare l'auspicata unificazione della gestione finanziaria. Alla fine, l'unica conseguenza di un certo rilievo fu solo quella di aumentare l'importanza delle Finanze nell'ambito del governo ducale 27. Le imposte dirette erano prelevate da ricevitori comunali, responsabili verso l'erario della somma totale dovuta dai contribuenti. Le ricevitorie comunali erano messe all'asta e i contratti d'appalto erano triennali. Le imposte indirette erano riscosse direttamente dalle Finanze. Nel Ducato di Modena la prediale incideva sia sui fondi rustici sia su quelli urbani, ma i valori dell'imponibile erano calcolati sulla base di «una pluralitaá di estimi catastali, di varia antichitaá econcezione» 28,chefruttavaungettitoinferiorealreale valore dei beni e, soprattutto, era fonte di una grave sperequazione fra le diverse province che componevano lo stato. Certamente il caos dei catasti era stato aggravato anche dall'integrazione di nuove comunitaá, ma la persistenza di catasti descrittivi e il ritardo dell'elaborazione di piuá moderni catasti geometrici-particellari era frutto anche della volontaá di perpetuare lo status quo da parte della casa regnante 29.CosõÁ,per esempio, il vecchio catasto descrittivo del 1791 relativo alla pianura e alle colline delle province di Modena e Reggio e l'antichissimo catasto della Garfagnana, parte del quale risaliva addirittura al 1533 ed era stato redatto e aggiornato con criteri rudimentali, si affiancavano a quelli recentissimi del Ducato di Massa (elaborato nel 1830), oppure a quelli dei nuovi comuni integrati dopo il trattato di Firenze e giaá facenti parte del Ducato di Parma e del Granducato di Toscana, che a loro volta erano stati eseguiti tra il 1825 e il 1830 con i metodi piuá moderni. Le aliquote applicate alla prediale non variarono frequentemente: nel gennaio 1849 venne deciso un aumento del 20%, mentre dal 1851 l'imposta fu innalzata di un sesto 30.L'inci- 27 Ibid., p. 2. 28 Ibid., p. 4. 29 L. Marini, Lo stato estense, cit., p. 183. 30 Archivio economico dell'unificazione italiana, volume I, fascicolo 2, Le entrate del Ducato di Modena dal 1840 al 1859, (a cura di C. Livi), cit., p. 5. 50

denza della prediale sul volume complessivo delle imposte dirette diminuõá progressivamente nel corso degli ultimi vent'anni dello stato, retrocedendo da una quota pari al 92% nel 1840 all'83% circa nel 1858, mentre anche nell'ambito delle entrate totali dell'erario essa scivoloá dal 25,4% nel 1840 al 22,7% nel 1858. Nelle imposte dirette figuravano anche gli introiti provenienti dalla cosiddetta sovrimposta incendi, che era dovuta obbligatoriamente da tutti i possessori di edifici nelle province di Modena e Reggio per pagare le polizze assicurative contro i danni derivanti da incendi, e la tassa personale 31. Quest'ultima era fissata in una lira per ciascun contribuente, ed era applicata a tutti i residenti maschi dai 14 ai 60 anni residenti nelle province di Modena e Reggio, ma prevedeva un cosõá ampio ventaglio di esenzioni che ne riduceva sensibilmente il gettito: non la pagavano infatti tutti coloro che risiedevano nelle cittaá di Modena e Reggio, i padri di famiglie composte da dodici figli viventi e i loro familiari, gli indigenti (i quali erano dichiarati tali da un'attestazione del proprio parroco), i militari e i loro familiari, i volontari della milizia estense, e i guardaboschi e i guardargini. Inoltre tra le imposte dirette figuravano anche l'imposta sui capitali ipotecari e sui capitali «in commercio», creata nel novembre 1849, che colpiva i crediti fruttiferi, privilegiati e ipotecari, per un importo pari allo 0,50% del loro valore ogni anno, ed era pagata da chi godeva del frutto dei crediti, noncheá l'imposta sul bestiame, giaá in vigore nel Settecento e reintrodotta nel 1816. Gli allevatori dovevano presentare annualmente la lista dei capi posseduti ed erano tenuti al versamento di una cifra variabile a seconda della razza degli animali. Anche nel Ducato di Modena il peso preponderante del gettito fiscale era assicurato dalle imposte indirette sui consumi, che comprendevano le dogane, i dazi di consumo, il sale, i tabacchi, la posta, il telegrafo, le polveri e i nitri, il lotto, la concia delle pelli, le carte da gioco. L'incidenza di queste entrate fu sempre preponderante, oscillando tra il 52% e il 54%, fino al 1858. Solo nel 1850 la quota delle imposte indirette sui consumi scese al di sotto del 50% delle entrate complessive dello stato. Visto che proprio in quell'anno vi era stato un leggero incremento della prediale e, soprattutto, l'avvio della nuova tassa sui capitali, si potrebbe ipotizzare un uso politico del fisco da parte del governo per garantirsi il consenso dei ceti piuá poveri e piuá colpiti dai dazi sui consumi, ma la diminuzione relativa potrebbe anche essere stata determinata dalla difficoltaá di esazione durante la guerra. Nel periodo considerato crebbero progressivamente pure gli introiti provenienti dalle imposte indirette sui trasferimenti e tasse, ascesi dal 7% nel 1840 al 9% nel 1858, e che comprendevano i costi della carta bollata, le tasse sulle successioni e sui contratti, le tasse sulle ipoteche, e un ampio numero di tributi tra i quali i pesi e le misure, il diritto di assaggio dell'oro e dell'argento, dello staderatico e della pesa dei filugelli, le tasse giudiziarie, di polizia e le licenze di caccia, noncheá i diritti di ancoraggio e le patenti sanitarie. Proprio le imposte giudiziarie furono all'origine del notevole incremento di questa voce del bilancio fra il 1850 e il 1855 (+53%). 31 Ibid., p. 6. 51

Nei redditi patrimoniali erano compresi gli introiti dei beni camerali, anche di quelli derivanti dal patrimonio ecclesiastico, composto dai beni degli istituti religiosi soppressi, e gestito dall'intendenza generale. In questa voce erano inseriti pure le entrate provenienti dalla vendita di beni di proprietaá statale, anche per importi modestissimi. A differenza del ducato di Parma, i redditi patrimoniali, pur non trascurabili in senso assoluto, non incisero mai per piuá del 10% sugli introiti complessivi dell'erario. Nelle entrate varie, che avevano un peso marginale, erano inserite le ritenute agli impiegati pubblici per il pagamento delle pensioni, i contributi della nazione ebraica (20.000 lire ogni anno come tributo speciale, e dal 1851, allorcheá i giovani ebrei erano stati dichiarati esenti dal servizio di leva, le comunitaá dovevano anche versare 1.500 lire per ogni coscritto mancato), e le altre entrate aventi carattere speciale, come la «tassa di inghiaramento» a carico dei proprietari di Mirandola, gli introiti dovuti per la distribuzione dell'acqua e l'irrigazione, noncheá i pagamenti delle multe e di penali di vario genere 32. Le spese Sulla composizione delle spese effettive pesavano, in particolare, la dotazione della corona (che era molto elevata rispetto al bilancio generale specialmente negli stati piuá piccoli come Parma e Modena), i costi militari (aggravati dalle spese di alloggio delle truppe austriache, che aumentavano in misura cospicua durante i moti e le guerre), e, infine, gli oneri finanziari, che crescevano progressivamente «a causa del sempre piuá frequente e piuá ampio ricorso al debito pubblico» 33.Nel ducato di Parma e Piacenza la voce di spesa piuá consistente era quella relativa agli oneri generali dello stato, pari nel 1830 a circa il 45% delle spese totali. Essa comprendeva i costi della Casa ducale (che nei bilanci dell'etaá farnesiana era definita come Casa e corte ducale) e tutti quelli relativi agli organi di governo pertinenti al Consiglio di stato, alla Camera dei conti, agli archivi, alla Segreteria di gabinetto e agli Interni, Esteri, Grazia e giustizia, Affari ecclesiatici, Finanza 34. In realtaá, le spese di corte rappresentavano in genere oltre il 50% di questo cespite, mentre fino al 1840 avrebbero costituito circa un quarto dei costi complessivi dello stato. Per fronteggiare l'aumento degli oneri relativi alle altre uscite (in particolare, gli oneri finanziari, quelli militari, le opere pubbliche e le magistrature di governo), si procedette dapprima alla stabilizzazione delle spese di corte, e poi alla loro diminuzione proprio negli ultimi anni del ducato. D'altra parte la casa ducale rappresentava il cardine fondamentale dell'economia della capitale. Dopo i moti del 1831 il governo di Maria Luisa avvioá un programma di lavori pubblici, che toccoá il culmine negli anni Quaranta, sia per ridurre la 32 Ibid., p. 11. 33 P.L. Spaggiari, Le finanze degli Stati italiani, cit., p. 834. 34 Archivio economico dell'unificazione italiana, volume VII, fascicolo 5, Le spese effettive e il bilancio degli Stati parmensi dal 1830 al 1859, (a cura di E. Falconi e P.L. Spaggiari), ILTE- Industria Libraria Tipografica Editrice, Torino 1957, pp. 8-9. 52

disoccupazione sia per recuperare il consenso della popolazione. Questa politica, che in effetti miglioroá in parte le infrastrutture e le comunicazioni del ducato, non era peroá ispirata da una visione moderna volta a incentivare la crescita economica del territorio, quanto dalla tradizionale filantropia di antico regime. Tipici, in tal senso, i ``lavori d'inverno'' che la granduchessa promuoveva nella stagione fredda per offrire un'opportunitaá di lavoro ai braccianti e ai contadini piuá poveri 35. Oneri generali dello stato Tab. 5 - Le spese effettive del Ducato di Parma e Piacenza dal 1830 al 1858 (valori in migliaia di lire nuove) 1830 1835 1840 1845 1850 1855 1858 2.735 2.694 3.022 3.227 2.980 (casa ducale: (casa ducale: (casa ducale: (casa ducale: (casa ducale: 1.525) 1.525) 1.525) 1.525) 1.299) 3.613 (casa ducale: 2.046) 3.037 (casa ducale: 960) Oneri militari 920 827 1.011 1.046 1.836 1.889 2.017 Oneri finanziari 2.173 1.591 1.304 971 1.090 2.109 1.892 Pubblica Istruzione e Belle Arti 327 358 380 608 366 518 489 Affari Economici e Opere pubbliche 624 348 591 828 471 455 943 Assistenza Sociale, 398 Igiene e SanitaÁ 169 284 167 215 178 177 Aziende statali 50 56 47 41 65 106 99 Oneri diversi 225 14 34 36 10 79 101 Totali 8.101 6.213 6.228 6.767 7.243 8.534 8.755 Fonte: Archivio economico dell'unificazione italiana, volume VII, fascicolo 5, Le spese effettive e il bilancio degli Stati parmensi dal 1830 al 1859, (a cura di E. Falconi e p. L. Spaggiari), ILTE- Industria Libraria Tipografica Editrice, Torino 1957, pp. 18-25. Nel 1820 era stato approvato un nuovo codice, il codice parmense, che sostituiva quello napoleonico, ma che rappresentava uno strumento altrettanto moderno ed efficace, costituendo un modello per tutti gli altri stati italiani 36.Una certa attenzione era stata dedicata anche alla pubblica istruzione, mediante la creazione di collegi e la riapertura dell'universitaá, noncheá alla cura dei beni culturali. Ed effettivamente, le spese relative a queste voci sarebbero raddoppiate fra il 1830 e il 1845. La prima guerra di indipendenza e le velleitaá militari di Carlo III di Borbone 37, che aumentoá gli effettivi dell'esercito, generarono invece un consistente aumento degli oneri militari (passati dal 15% circa a oltre il 25% fra il 1845 e il 1850), e che poi si mantennero comunque elevati fino al 1858 (23%). Lo 35 P.L. Spaggiari, Economia e finanza negli Stati Parmensi (1814-1859), cit., p. 118. 36 G. Tocci, Il Ducato di Parma e Piacenza, cit., p. 325. 37 Maria Luisa d'austria morõá il 17 dicembre 1847. Il suo successore fu Carlo II di Borbone, che peroá, travolto dagli eventi legati alla prima guerra d'indipendenza, abdicoá in favore del figlio Carlo III giaá il 14 marzo 1849. 53

stato sosteneva i costi delle truppe parmensi e delle relative caserme e fortificazioni, le pensioni per gli ufficiali congedati, noncheá le spese delle truppe austriache di stanza nel ducato. Una voce importante era quella relativa agli oneri finanziari. Anche se apparentemente i dati pubblicati attesterebbero il sostanziale conseguimento del pareggio di bilancio, in effetti questo eá determinato dalla qualitaá dei documenti contabili conservati in archivio, che sono appunto meri preventivi, e sulla cui natura rinvio ogni delucidazione agli studi di Falconi, Spaggiari, Livi, Boccolari e Selmi pubblicati dall'archivio economico dell'unificazione italiana citati in questo saggio. In realtaá, come ho giaá detto, le entrate erano insufficienti a coprire le spese, e per questo era necessario ricorrere al debito pubblico. Nella voce relativa del bilancio erano comprese le spese relative al pagamento delle rendite e alle sole spese d'ufficio per la Cassa di ammortizzazione, noncheá le pensioni. La Cassa di ammortizzazione era stata creata nel 1827 per estinguere il debito pubblico, mediante un fondo di dotazione assicurato da una quota delle entrate fiscali e dei proventi straordinari 38. Proprio in quell'anno il governo di Maria Luisa aveva contratto un mutuo di 4.260.000 lire con le banche Rothschild di Vienna e Mirabaud & C. Di Milano. Successivamente erano stati lanciati altri prestiti nel 1836 e 1843, e poi da Carlo II nel 1849, e nel 1854 dalla reggente Luisa Maria di Borbone, dopo l'assassinio del consorte Carlo III. Tab. 6 - Le spese effettive del Ducato di Modena dal 1835 al 1856 (valori in migliaia di lire italiane) 1835 1840 1845 1850 1856 Oneri generali dello stato 2.482 (casa ducale 650) 3.250 (casa ducale 688) 3.112 (casa ducale 647) 3.155 (casa ducale 523) 4.353 (casa ducale 686) Oneri per la difesa nazionale 1.487 1.307 1.202 2.436 2.302 Oneri finanziari 794 820 889 1.166 1.301 Oneri per la Pubblica Istruzione 249 351 394 306 356 Affari economici e oneri per opere pubbliche 296 559 708 704 1.049 Oneri per l'assistenza sociale, l'igiene e la societaá 71 163 222 280 375 Oneri per le aziende statali 407 429 459 554 1.193 Contributi ed erogazioni a favore degli enti locali ± ± ± 2 14 Totali 5.802 6.668 6.986 8.603 10.943 Fonte: Archivio economico dell'unificazione italiana, Serie I-volume VIII, fascicolo 4, Le spese effettive e il bilancio del Ducato di Modena dal 1830 al 1859, (a cura di G. Boccolari e A. Selmi), ILTE-Industria Libraria Tipografica Editrice, Torino 1959. 38 Archivio economico dell'unificazione italiana, volume VII, fascicolo 5, Le spese effettive e il bilancio degli Stati parmensi dal 1830 al 1859, (a cura di E. Falconi e P.L. Spaggiari), cit., pp. 14-15. 54

Le voci di spesa del bilancio del Ducato di Modena non si discostavano molto da quelle del Ducato di Parma e Piacenza. La differenza piuá significativa era costituita dalla minore incidenza dei costi relativi alla casa ducale che nel 1835 rappresentavano solo il 26% degli oneri generali dello stato e circa l'11% del bilancio complessivo. Anzi, nel corso del periodo considerato, esse registrarono una costante contrazione. E Á evidente che una parte delle spese relative alla casa regnante (per esempio, la manutenzione degli edifici) era a carico dell'amministrazione pubblica. PiuÁ elevata, rispetto a Parma, era la spesa per la difesa nazionale. Nel 1830 essa era circa la metaá degli anni successivi (679.000 lire). I notevoli incrementi, generatisi nei periodi 1831-1835 e 1849-1856, dipendevano dalle spese di mantenimento delle truppe austriache di stanza nel ducato 39. Gli oneri finanziari, anch'essi in costante aumento nel ventennio preunitario, oscillavano intorno al 13% del bilancio. Non eá possibile accertare con precisione il volume del gettito dei prestiti lanciati dal Ducato di Modena nel corso del periodo considerato, percheá non eá documentato nei bilanci. Comunque, tra il 1830 e il 1859, sarebbero stati emessi tre prestiti 40 : a) il prestito forzoso di 1.000.000 di lire del 15 settembre 1849; b) il prestito forzoso del 22 gennaio 1849, la cui cifra era indeterminata, percheá avrebbe dovuto essere generato da trattenute diverse sugli stipendi e da percentuali di aumento delle aliquote fiscali; c) il prestito forzoso di 2.000.000 di lire del 9 marzo 1849. Nell'aprile 1850 il duca Francesco V (1846-1859) istituiva una cassa di ammortizzazione per estinguere il debito pubblico, dotata di un fondo di 150.000 franchi annui 41. Anche in questo caso, il debito pubblico serviva soprattutto a coprire i costi militari. Le spese per le opere pubbliche sarebbero aumentate in misura significativa solo negli ultimi anni del ducato. I costi determinati dalle aziende statali (tabacchi, sali, poste e telegrafi, zecca, polveri e nitri), gestite direttamente dallo stato e non appaltate a privati, scaturivano dalla volontaá del duca Francesco IV (1814-1846) di mantenere quello spirito filantropico settecentesco volto a provvedere in «uno spirito naturalmente caritativo» ai bisogni dei poveri, nello slancio sublime di una concezione della prassi di governo volta a realizzare quello «stato perfetto«idealizzato nell'etaá dei lumi 42. Conclusioni Sembra che vi siano sufficienti elementi, anche sotto il profilo della finanza pubblica, per poter attestare la volontaá dei monarchi dei due ducati di ritornare al 39 Archivio economico dell'unificazione italiana, Serie I-volume VIII, fascicolo 4, Le spese effettive e il bilancio del Ducato di Modena dal 1830 al 1859, (a cura di G. Boccolari e A. Selmi), ILTE-Industria Libraria Tipografica Editrice, Torino 1959, p. 7. 40 Ibid., p. 11. 41 Ibid., p. 34. 42 L. Marini, Lo stato estense, cit., p. 184. 55

modello dello stato settecentesco di antico regime, con qualche novitaá generata dal periodo francese come l'imposta prediale, ma sempre nell'ottica di un sostanziale immobilismo della societaá per mantenere lo status quo. Non si cambia la politica finanziaria, e si perpetuano le tradizionali politiche mercantilistiche, proprio percheá, come stavano dimostrando le riforme operate da Cavour nel Regno di Sardegna, ogni eventuale incentivo allo sviluppo economico avrebbe comportato il rischio dello sgretolamento della societaá tradizionale. CosõÁ si spiega il paternalismo verso i contadini e il distacco nei confronti dei ceti piuá produttivi, che, come Menotti a Modena (che era stato il primo imprenditore a utilizzare una caldaia a vapore nella sua filanda giaá nel 1823), reclamavano le riforme liberali. I concetti di unitaá, libertaá economica e progresso erano strettamente intrecciati ed erano le parole d'ordine dei patrioti. Solo il nuovo stato unitario, promuovendo la nascita di istituzioni come le casse di risparmio e le cattedre ambulanti di agricoltura, avrebbe favorito finalmente la fine dell'immobilismo e l'avvio di quel modello di sviluppo basato sul legame tra agricoltura e industria che sarebbe stato alla base del primo slancio economico dei due territori all'inizio del Novecento. Ma anche se lo avessero voluto i due stati erano troppo piccoli e privi di risorse per promuovere lo sviluppo. Inoltre vi era latente il contrasto tra le aspirazioni liberiste degli agricoltori e quelle protezionistiche degli industriali. Probabilmente sarebbe stato piuá intelligente, da parte dell'austria, integrare i due stati nel Lombardo-Veneto, ma Metternichera un uomo troppo legato a una concezione diplomatica e dinastica settecentesca della politica per poter concepire un'operazione cosõá ardita. Il tentativo di creare un mercato comune, sull'esempio dello zollverein, sarebbe stato tardivo e fallimentare. Ormai il 1848 aveva inciso radicalmente sulle coscienze e sugli animi. 56