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Penale Sent. Sez. F Num. 34284 Anno 2015 Presidente: ZECCA GAETANINO Relatore: RAMACCI LUCA Data Udienza: 28/07/2015 sul ricorso proposto da: SENTENZA SALCIARINI MARIO N. IL 08/02/1955 avverso la sentenza n. 1285/2011 TRIBUNALE di PERUGIA, del 02/02/2015. Visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/07/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI; udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Aurelio GALASSO che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito, per la a civile, l'avv Udit i ci* A

RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Perugia, con sentenza del 2/2/2015 ha ritenuto Mario SALCIARINI, destinatario di una procura per ambiente e sicurezza della «TECNOCAL s.r.i.», responsabile dei reati di cui agli artt. 256, comma 1, lett. a), 279, comma 2 d.lgs. 152\06 e 674 cod. pen., per avere effettuato attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi (CER 170101), consistite nella messa in riserva, riduzione volumetrica e separazioni in frazioni solido/liquido in assenza della prescritta autorizzazione; per aver omesso di ottemperare alle prescrizioni stabilite con provvedimento di diffida n. 671, emesso dal competente ufficio della Provincia di Perugia, realizzando in maniera incompleta l'ampliamento del sistema di irrigazione e della installazione del telo ombreggiante secondo quanto indicato nei punti a) e b) del provvedimento ed, inoltre, per avere, con le condotte descritte in precedenza, provocato l'emissione, in luogo di pubblico transito o in luogo privato ma di comune o altrui uso, di polveri atte a molestare le persone (fatti accertati in Perugia il 2/7/2010). Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione alla esclusione, ritenuta illegittima, della qualifica di sottoprodotto del residuo di calcestruzzo che, alla luce dell'attività svolta nell'impianto, avente ad oggetto la produzione di conglomerato cementizio, risulterebbe perfettamente rispondente ai requisiti richiesti dall'art. 184- bis d.lgs. 152\06. 3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge in relazione alla affermazione, contenuta in sentenza, circa la permanenza in atto della violazione di cui al capo A) della rubrica, contenendo l'imputazione il solo riferimento alla data dell'accertamento del reato e non essendo stata, conseguentemente, contestata la permanenza, con la conseguenza che il giudice avrebbe indebitamente modificato l'originaria imputazione in violazione delle regole del contraddittorio. 4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge in relazione all'imputazione di cui al capo C) della rubrica ed afferente alla violazione dell'art. 1

279 d.lgs. 152\06, osservando che il giudice del merito non avrebbe tenuto nella debita considerazione le risultanze della relazione in data 25/10/2010 proveniente dall'arpa, acquisita agli atti con il consenso delle parti, nella quale viene dato atto della completa ottemperanza a quanto disposto nella diffida della Provincia, rilevata all'esito di due sopralluoghi effettuati il 16/6/2010 ed il 4/8/2010. Dedotta, quindi, alla luce di risultanze istruttorie puntualmente indicate, la contraddittorietà del quadro probatorio, afferma che tale evenienza avrebbe dovuto comportare una pronuncia assolutoria, quantomeno ai sensi dell'art. 530, comma 2 cod. proc. pen. Aggiunge che, con ordinanza resa all'udienza del 2/2/2015, il giudice del merito avrebbe indebitamente escluso l'audizione di un teste (Enio MORETTONI), tecnico ARPA che aveva eseguito i sopralluoghi presso l'azienda, indicato nella lista testi della difesa, privando così l'imputato di avvalersi di una prova decisiva, potendo detto teste meglio specificare lo stato dei luoghi all'atto del suo accesso presso lo stabilimento. 5. Con un quarto motivo di ricorso rileva la violazione di legge anche con riferimento alla violazione contestata al capo D) della rubrica, osservando, dopo aver richiamato alcuni principi giurisprudenziali in tema di getto pericoloso di cose, come non risultasse in alcun modo dimostrato il pericolo di molestia alle persone conseguente all'emissione delle polveri e la loro diffusione all'esterno dello stabilimento. 6. Con un quinto motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in relazione al medesimo capo di imputazione, lamentando che il giudice del merito avrebbe considerato, quale prova dell'avvenuta emissione di polveri, il contenuto di alcuni esposti, senza alcuna verifica della fondatezza dei contenuti. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. Occorre considerare, per ciò che concerne il primo motivo di ricorso, quanto rilevato in fatto dal giudice del merito circa l'attività in concreto svolta dalla società «TECNOCAL». Si rileva, dalla motivazione della sentenza impugnata, che la società effettua 2

la produzione di calcestruzzo allo stato fluido, ottenuto attraverso la miscelazione di alcuni componenti (aggregati e, cioè, inerti da cava, quali sabbia e ghiaia - suddivisi in diverse granulometrie in base al tipo di calcestruzzo da produrre e consegnare - cemento, acqua e additivi, quali anticongelanti, ritardanti di presa o acceleranti). Il calcestruzzo così prodotto viene poi consegnato alla clientela mediante betoniere le quali, effettuata la consegna, rientrano nello stabilimento, ove quello che è definito «calcestruzzo in esubero» - composto, secondo quanto indicato dal consulente tecnico della difesa, da materiale di scarto proveniente dalla forniture e dal lavaggio delle betoniere e delle pompe - viene scaricato per essere sottoposto ad un successivo trattamento effettuato, in alternativa, con un apposito macchinario, denominato «VIBROWASH», ovvero con una pinza meccanica. Nel primo caso, l'apparecchiatura separa acqua e cemento dagli aggregati, che poi vengono nuovamente utilizzati nel processo produttivo, mentre, nel secondo caso, il materiale viene versato dalle betoniere sul suolo e, dopo l'essiccazione conseguente all'esposizione agli agenti atmosferici, frantumato mediante la pinza. All'esito di tale operazione, parte del materiale ottenuto dalla frantumazione viene utilizzato in sostituzione degli aggregati inerti per la preparazione di quelle tipologie di calcestruzzo per le quali può prescindersi dal preciso dosaggio delle singole componenti ed il restante quantitativo avviato allo smaltimento o al recupero presso terzi, secondo le disposizioni del «deposito temporaneo». A fronte di tale ricostruzione fattuale, il giudice del merito ha escluso la natura di sottoprodotto del suddetto materiale, ritenendo che lo stesso non fosse pronto al reimpiego nel momento in cui si originava nel corso del processo rivolto alla produzione, dovendo essere sottoposto a specifico trattamento e non essendovi certezza dell'effettivo riutilizzo, essendo la sua destinazione decisa successivamente in base alle concrete esigenze dell'azienda o alle richieste di terzi. Alla luce di tali considerazioni, le operazioni effettuate vengono collocate tra quelle afferenti alla gestione dei rifiuti (sostanzialmente messa in riserva e recupero) che richiedono uno specifico titolo abilitativo, di cui la società non disponeva. I fatti sopra descritti vengono, al contrario, diversamente valutati in ricorso, rilevando la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dall'art. 184-bis d.lgs. 152\06 ed osservando che le «rimanenze di getto» fanno ritorno nel luogo di produzione e, restando immutate nella loro sostanza, consistendo in calcestruzzo in eccesso, vi è certezza del riutilizzo previo trattamento effettuato mediante 3

apparecchiature integrate nel ciclo produttivo e rientrante nella normale pratica industriale. 2. Ciò posto, ritiene il Collegio che la qualificazione dei fatti accertati effettuata dal giudice del merito sia condivisibile e giuridicamente corretta per plurime ragioni. Pare opportuno ricordare, preliminarmente, che la categoria dei «sottoprodotti», come è noto, non era originariamente contemplata dalla disciplina di settore e lo è ora nell'art. 184-bis digs. 152\06, introdotto dal d.lgs. 205/10 ed è definita dall'articolo 183, lettera qq) del medesimo d.lgs., il quale si riferisce a «qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa le condizioni di cui all'articolo 184-bis, comma 1, o che rispetta i criteri stabiliti in base all'articolo 184-bis, comma 2». L'articolo 184-bis, stabilisce che è sottoprodotto e non rifiuto ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfi tutte le seguenti condizioni: - la sostanza o l'oggetto devono trarre origine da un processo di produzione, di cui costituiscono parte integrante, e il cui scopo primario non è la loro produzione; - deve essere certo che la sostanza o l'oggetto saranno utilizzati, nel corso dello stesso e/o di un successivo processo di produzione e/o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; - l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana. 3. Nel caso sottoposto all'attenzione di questa Corte risulta difettare la prima delle condizioni richieste, quella concernente l'origine del sottoprodotto. Invero, tanto la sentenza impugnata che il ricorso riconoscono che il materiale di cui si discute è quello che rientra nello stabilimento dopo la consegna alla clientela e che viene definito con espressioni quali «calcestruzzo in esubero», «residuo di calcestruzzo» o «rimanenza di getto». Si tratta, dunque, di materiale che, ricavato dal processo produttivo, viene poi trasportato all'esterno dello stabilimento e consegnato al cliente. All'esito della consegna la betoniera rientra nello stabilimento, dove il materiale viene sottoposto al trattamento del quale si dirà tra poco. 4

Un primo elemento significativo, ai fini della qualificazione, è dunque dato dal completamento del ciclo produttivo e dalla cessione agli acquirenti di ciò che risulta dal compimento di tale processo, dunque di un «prodotto», il quale, per tale sua natura, non può definirsi «rifiuto» ma neanche «sottoprodotto», dal momento che lo scopo primario del processo da cui scaturisce è la sua produzione. Tale materiale assume, invece, la natura di vero e proprio rifiuto nel momento in cui l'acquirente/destinatario della consegna non lo riceve, lasciandolo al trasportatore e manifestando così, inequivocabilmente, l'intenzione di disfarsene, certamente rilevante, atteso che, come è noto, secondo la definizione datane nell'art. 183, comma 1, lettera a) d.lgs. 152\06, nell'attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi». 4. Va ulteriormente osservato che, pur volendo ipotizzare una diversa situazione (in realtà non rappresentata nel provvedimento impugnato e nel ricorso), nella quale il prodotto non entra di fatto nella disponibilità del cliente, che si limita a ricevere il solo quantitativo esatto di calcestruzzo necessario alle sue esigenze e, conseguentemente, non se ne disfa, deve osservarsi che, verosimilmente, detto materiale, nel momento in cui rientra nello stabilimento, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, non sembra mantenere la «stessa natura del calcestruzzo prodotto e caricato sul mezzo di trasporto», perché, se così fosse, non si spiegherebbe per quale motivo non venga nuovamente commercializzato anziché essere sottoposto ad uno dei trattamenti in precedenza descritti prima di essere reimpiegato per la produzione di altro calcestruzzo. 5. Inoltre, come emerge dalla consulenza tecnica della difesa, richiamata nella sentenza impugnata, non sempre detto materiale è costituito da prodotto «in eccesso rispetto alle necessità del cliente», essendo costituito anche da reflui derivanti dal lavaggio delle betoniere e delle pompe. A tale proposito deve ricordarsi come questa Corte abbia già avuto modo di escludere dal novero dei sottoprodotti i residui di lavaggio delle betoniere, da qualificarsi, invece, come rifiuti (Sez. 3, n. 42338 del 9/7/2013, Delle Cave, Rv. 257733). 6. La natura di rifiuto del materiale suddetto, inoltre, risulta ulteriormente dimostrata dalla circostanza, pure accertata dal giudice del merito, che, anche dopo le attività di trattamento, parte del materiale veniva avviato allo 5

smaltimento o al recupero presso terzi utilizzando le procedure previste per il deposito temporaneo, applicabile, come è noto, ai rifiuti. 7. In definitiva, il materiale in questione non scaturisce dal processo produttivo come sottoprodotto e, nel momento in cui viene sottoposto a trattamento ha natura di rifiuto, cosicché le operazioni effettuate devono ritenersi correttamente qualificate come attività di recupero svolte in assenza di titolo abilitante. Va conseguentemente affermato che costituisce attività di recupero il trattamento di materiale proveniente da pregresse forniture di calcestruzzo alla clientela e dalle operazioni di lavaggio delle betoniere e delle pompe, che ha natura di rifiuto e non di sottoprodotto. 8. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve osservarsi che effettivamente la permanenza del reato di cui al capo A) della rubrica non risulta indicata nell'imputazione, ma l'affermazione del giudice del merito oggetto di contestazione in ricorso viene effettuata al solo fine di dare una collocazione temporale alla condotta che non assume, tuttavia, pratico rilievo. Invero, una diversa datazione, per quel che è dato rilevare dalla sentenza impugnata e dal ricorso, unici atti ai quali questa Corte ha accesso, potrebbe avere conseguenze soltanto per ciò che concerne la individuazione dei termini massimi di prescrizione del reato. Tuttavia, pur considerando la data di commissione del reato indicata nell'imputazione (2 luglio 2010) e considerati i periodi di sospensione dei termini (gg. 56 dal 30/12/2013 al 24/2/2014 per impedimento dell'imputato) la prescrizione non risulta a tutt'oggi maturata, spirando detti termini il 27/8/2015. 9. Per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso, osserva il Collegio che lo stesso risulta articolato quasi integralmente in fatto, con richiami ad atti del processo alle quali questa Corte non ha accesso e risulta sostanzialmente finalizzato a sollecitare una rivalutazione delle emergenze processuali inammissibile in questa sede di legittimità. Quanto alla mancata assunzione di una prova decisiva, deve in primo luogo richiamarsi la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo la quale il diritto alla prova riconosciuto alle parti implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici (Sez. U, n. 15208 del 25/2/2010, Mills, Rv. 6

246585). Nella fattispecie, come risulta dal verbale di udienza del XXX, che la Corte può consultare stante la natura processuale dell'eccezione, il giudice del merito ha dato atto dell'assenza del teste e, ritenuta l'imminenza della prescrizione, ha rilevato che quanto il teste avrebbe potuto riferire era comunque dimostrabile mediante produzione documentale della difesa. Non rilevandosi alcun profilo di illegittimità nella decisione del giudice sul punto, deve comunque osservarsi che, in ogni caso, il ricorrente non deduce di aver eccepito immediatamente l'eventuale nullità dell'ordinanza di revoca, né la formulazione dell'eccezione risulta dall'esame del verbale medesimo, con la conseguenza che la stessa sarebbe in ogni caso sanata ai sensi dell'art. 182, comma 2 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 2, n. 9761 del 10/2/2015, Rizzello, Rv. 263210; Sez. 5, n. 51522 del 30/9/2013, Abatelli e altro, Rv. 257891; Sez. 5, n. 18351 del 17/2/2012, Biagini, Rv. 252680; Sez. 3, n. 816 del 06/12/2005 (dep. 2006), Guatta, Rv. 233256). 10. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso, afferenti entrambi all'imputazione di cui al capo D), possono essere unitariamente trattati. Il giudice del merito ha valorizzato, ai fini dell'affermazione di responsabilità, le dichiarazioni testimoniali raccolte nel corso dell'istruzione dibattimentale e quanto documentato dalle fotografie acquisite, dando atto che, nel corso del dibattimento, era emerso come da anni i proprietari dei fondi limitrofi allo stabilimento lamentassero la presenza di polveri provenienti dall'insediamento. Il giudice osserva anche, rispondendo a specifica doglianza della difesa, che tali soggetti non erano esclusivamente i titolari di siti industriali «concorrenti», in quanto le segnalazioni provenivano anche da altre persone, come nel caso del titolare di una casa editrice, il quale aveva presentato un esposto ai Carabinieri lamentando non soltanto i problemi arrecati ad alcuni pannelli solari che, a causa della polvere che li ricopriva, non funzionavano regolarmente, ma anche l'inalazione quotidiana delle polveri medesime. Viene inoltre richiamato il contenuto di altri esposti che avevano dato origine ad altro procedimento penale. 11. Si tratta, dunque, di una motivazione esaustiva e giuridicamente corretta, che pone chiaramente in evidenza come, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, l'emissione di polveri sia avvenuta all'esterno dello stabilimento ed abbia effettivamente interessato le persone oltre che le cose, come chiaramente si desume da richiamo ai contenuti delle denunce presentate dai proprietari dei fondi confinanti con quello ove è collocato l'insediamento. 7

12. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione. Così deciso in data 28.7.2015