"Bambini pensati" - Anno II - N 3 - Novembre 2006 Il laboratorio didattico di Battista Quinto Borghi 1. Una parola, tanti significati Parlare oggi del laboratorio in situazione educativa è difficile. La parola "laboratorio", sia nella scuola sia in ambito formativo, è abusata. Se in passato aveva lo scopo di indicare il coinvolgimento diretto ed attivo di tutti gli interlocutori di una classe o di un gruppo, ora il suo ventaglio semantico è talmente aperto da non consentire più un significato univoco. Si parla di laboratorio e di attività laboratoriali dall asilo nido all università, e si rimanda sia ad interventi educativi in ambito scolastico, sia ad attività esterne a volte correlate con la scuola, altre volte da essa nettamente separata. Per laboratorio infatti si possono intendere diverse pratiche, di cui la lista di seguito riportata costituisce un esempio non esaustivo. Descrizione 1 Un attività prevalentemente pratica in contrapposizione o a completamento di un insegnamento teorico: un esempio è rappresentato dall attuale organizzazione dell insegnamento universitario, in cui i laboratori costituiscono, di solito, l espressione operativa degli insegnamenti teorici. 2 Un attività realizzata in uno spazio diverso rispetto a quella normalmente praticata in aula 3 Un attività realizzata con materiali e strumenti specifici, nella quale è cioè presente una attrezzatura specializzata Dominanza Praticità Luogo Tecnologia 4 Un attività realizzata con uno o più insegnanti diversi rispetto a quello titolare Docente 5 Un attività non compresa nei normali programmi di insegnamento Extracurricolarità 6 Un attività programmata e prevista al di fuori della scuola oppure promossa da una sede esterna che non dipende istituzionalmente della scuola 7 Un attività non necessariamente rivolta a persone scolarizzate, quanto piuttosto ad un utenza vasta oppure ad una particolare categoria di utenti (ad esempio cittadini in genere oppure persone diversamente abili) 8 Un attività produttiva in uno dei vari ambiti, come ad esempio la grafica, la pittura, l artigianato, il giardinaggio, ecc. Extra scuola Educazione permanente Tempo libero E possibile andare avanti ulteriormente individuando altre connotazioni: la necessità di restringere il campo e definire i confini entro i quali collocare il laboratorio in situazione educativa è evidente. pag.1/6
2. Fra diffidenze ed entusiasmi Anche la scuola non si muove in modo univoco nei confronti dell idea di laboratorio. C è chi vorrebbe incentrare l intero processo educativo all interno di processi laboratoriali, c è chi ritiene invece che l organizzazione di laboratori non costituisca affatto una soluzione dei problemi della scuola. E possibile individuare schematicamente due posizioni antitetiche che, posti alle loro estreme conseguenze, si frappongono fra loro. 2.1. Contro Analizziamo per prima la posizione di coloro che vedono nel laboratorio una sostanziale perdita di tempo. Il laboratorio è visto come un intralcio, una distrazione rispetto al compito principale che dovrebbe essere quello della lezione. Secondo questo punto di vista il laboratorio serve più che altro ad intrattenere il bambino o il ragazzo offrendogli qualcosa di meno nobile rispetto al più apprezzato sapere formale. Il laboratorio non costituisce, secondo questa posizione, un vero e proprio valore aggiunto ma si tratta piuttosto di un rallentamento dell azione formativa. Questa posizione è dettata da una convinzione, tanto radicata quanto ancora surrettiziamente diffusa, che l apprendimento debba avvenire soprattutto attraverso la trasmissione diretta. Assumono questa posizione gli insegnanti che ritengono di dover essere più guida che sostegno, che pensano che l attività di laboratorio sia poco controllabile e che hanno un idea lineare dell apprendimento. Appare loro naturale perciò che il laboratorio, poiché l azione diretta dell insegnante si pone un po in seconda linea, sia nella sostanza scarsamente efficace: appunto una perdita di tempo. Una seconda ragione simile alla prima, che viene presentata da coloro che nutrono diffidenze nei confronti del laboratorio, consiste in una sia presunta dispersività rispetto alla necessaria centralità dell azione dell insegnamento. Il laboratorio costituirebbe, in altri termini, una evasione ed una perdita di tempo rispetto alla centralità dei contenuti che sono promossi invece dall azione diretta dell insegnante. Come dire: l insegnante sarebbe garanzia della fedeltà all impianto curricolare, mentre il laboratorio ne garantirebbe un legame più debole. E doveroso affermare che questa posizione non è per forza di cose da condannare. Tutto dipende da che cosa si intende per laboratorio e da chi lo realizza. Può senza dubbio accadere che la scuola si veda offrire proposte laboratoriali tese a perseguire propri obiettivi che finiscono per essere sostanzialmente estranei ai bisogni di apprendimento dei bambini o che non rientrano nell architettura del sistema scuola. Questo avviene soprattutto quando i laboratori sono esterni alla scuola e sono promossi da soggetti terzi. Mai come in questo caso la scuola può trovarsi in difficoltà nel perseguire i propri fini formativi e nello stesso tempo può trovarsi sommersa da offerte suggestive ed allettanti ma deboli sul piano formativo. Il rischio in questo caso è che il laboratorio costituisca nulla più di un buon diversivo che può essere divertente e gradevole, ma nulla più di un passatempo perché privo di una vera fondazione culturale oppure perché persegue obiettivi che poco hanno a che fare con il progetto formativo della scuola. Una terza posizione, simile alla seconda e tuttavia di segno diverso, è rappresentata da coloro che diffidano del laboratorio perché esso costituirebbe un evento non più che occasionale, un offerta saltuaria e non significativa ai fini della formazione. Si tratta, anche in questo caso, di valutare il tipo di offerta. Non è criticabile, in questo caso, il laboratorio in sé, quanto piuttosto l offerta di uno specifico laboratorio. In altre parole, riconoscere la valenza formativa del laboratorio in generale non significa che qualsiasi laboratorio e qualsiasi conseguente offerta formativa sia in sé valida. Occorre anzi un costante monitoraggio ed una permanente analisi delle proposte educative offerte dai laboratori (siano essi interni oppure esterni alla scuola) per rintracciare la sopra citata coerenza con l impianto curricolare adottato. In caso contrario si può fare a meno di una singola offerta senza per questo misconoscere la validità dell apprendimento attraverso l impiego del laboratorio. pag.2/6
2.2. Pro Esiste come detto anche la posizione opposta di coloro che muovono da una prospettiva di fiducia incondizionata nel laboratorio, ed a ben vedere sono la maggior parte. Anche in questo caso non è tuttavia errato adottare alcune cautele ed effettuare alcune distinzioni. Prendiamo innanzi tutto in esame coloro che si dichiarano incondizionatamente a favore del laboratorio. Alcuni insegnanti nutrono nei confronti dell attività laboratoriale un entusiasmo tale da ritenere che tutto sia laboratorio. Il limite per questa posizione è tuttavia quella di muoversi sulla base di una concezione del laboratorio che si ferma in superficie e rinuncia ad un approfondimento. Confonde il laboratorio con ciò che vengono comunemente denominate le "attività". Può accadere infatti che il termine laboratorio venga utilizzato per denominare una organizzazione interna caratterizzata dalla formazione, in determinati orari, di precisati gruppi di lavoro e del conseguente impiego si spazi specifici, più o meno attrezzati in funzione dei contenuti previsti in relazione ad una determinata attività: si tratterebbe in questo caso di una funzione meramente organizzativa. Può anche accadere che, in nome della fiducia incondizionata nei confronti del laboratorio, qualsiasi attività proposta o qualsiasi contenuto offerto sia giudicato positivamente e sia accolto acriticamente. Può accadere in altri termini, soprattutto quando il laboratorio non è gestito dagli stessi insegnanti di sezione o di classe ma da altre figure (animatori, esperti, ecc.) che tale fiducia nasconda in realtà un atteggiamento di delega e disimpegno: tale posizione, vista alle sue estreme conseguenze, si configura come una sorta di delega in bianco alla figura terza che sostituisce di fatto in tutto, per un certo tempo, l insegnante titolare. Proseguendo la nostra rassegna di coloro che si dichiarano a favore del laboratorio, non mancano anche coloro ritengono che il laboratorio consista in uno spazio specificamente attrezzato allo scopo di proporre un attività specifica o un contenuto definito. Il termine laboratorio è infatti sempre accompagnato da un indicatore di specificazione: non esiste cioè il laboratorio in se stesso. Il laboratorio è sempre laboratorio di qualcosa. Laboratorio si musica, laboratorio di lettura, laboratorio di scienze, laboratorio (o atelier) di pittura e così via. La validità del laboratorio dipende perciò dai contenuti che è in grado di offrire, delle risorse culturali e strumentali messe a disposizione e delle strategie adottate allo scopo di promuovere un apprendimento adeguato alla situazione ed alle condizioni dei suoi utenti. Conseguentemente, molti ritengono anche che la validità peculiare del laboratorio sia quella di rendere il bambino o il ragazzo protagonista della propria crescita e del proprio sviluppo. Ciò è possibile quando il laboratorio consente effettivamente ai propri utenti di essere attivi, partecipi e di consentire loro di provare, provarsi, porsi problemi e cercare soluzioni. E prevista in questo caso una partecipazione attiva: il bambino nel laboratorio ha la possibilità di crescere per immersione più che per astrazione. 3. Il laboratorio in situazione didattica Anche in ambito educativo, dunque, il termine laboratorio assume, nella pratica corrente, più di un significato. Spesso infatti fa riferimento a cose in realtà molto diverse fra loro ed in qualche caso inconciliabili. Per sciogliere questo nodo è forse utile tornare alle radici. Volgendo lo sguardo indietro, possiamo individuare alcune prime interessanti tracce nel pensiero di John Dewey quando afferma che l apprendimento non può essere passiva ricezione, ma deve collocarsi sul piano della ricerca, dell azione e dell esplorazione. Lo studioso americano fa leva sulla motivazione e sull interesse: si tratta di fare appello alle forze interiori del bambino. Occorre partire dal bambino: il punto centrale consiste nell accordatagli la possibilità di fare esperienza di soluzioni di problemi attraverso procedure di ricerca libera. (1) Secondo Dewey la validità di un idea trova la propria forza nella verifica che a sua volta viene ottenuta attraverso la ricerca sperimentale. Il laboratorio può essere considerato il luogo privilegiato nel quale colui che apprende cerca le proprie ragioni e le ragioni dei fatti del mondo attraverso un organizzazione strutturata dell esperienza. Perciò i luoghi della costruzione dell esperienza (fra i quali ci pare di potere pag.3/6
annoverare, appunto, anche il laboratorio) rappresentano il contesto entro il quale si fa leva sull intelligenza e nel contempo si esercita la democrazia (che è un modo di vivere etico nel senso di sapersi realizzare in modo socievolmente accettabile e costruttivo) e la libertà (le esperienze e le soluzioni di problemi non possono muovere da procedure dogmaticamente preordinate). Si può tuttavia attribuire la vera e propria paternità del laboratorio ad un allievo di Dewey, W. H. Kilpatrick. Fu discepolo di Dewey e sviluppò il principio già espresso dal maestro che consisteva nel "metodo dei progetti" (project method). Originariamente il metodo dei progetti non prevedeva un applicazione strettamente scolastica ma veniva applicato alle occupazioni manuali, faceva riferimento cioè a situazioni essenzialmente operative e pratiche. Kilpatrick liberò il metodo dei progetti da una concezione puramente pratica e ne svelò la natura problematica: il metodo doveva essere finalizzato alla soluzione di problemi e questo richiedeva l interesse e l iniziativa degli allievi (contro una concezione puramente meccanica dei lavori manuali), la formulazione di un piano d azione (contro una semplice sequenza di atti in assenza di un progetto che organizzi e giustifichi tali atti), la scelta degli strumenti idonei. Il pedagogista americano, attribuisce un significato pedagogico innovativo alle capacità dei bambini. Gli atti del "fare" quando sono inseriti in un metodo diventano appunto un progetto, ossia un atto intenzionale. L azione pratica nasconde dietro di sé il coinvolgimento profondo del bambino. Da ciò derivano alcune conseguenze che assumono un significato profondo per l educazione. L idea del laboratorio educativo ruota dunque intorno all imparare facendo, a quella particolare immersione nell apprendimento caratterizzato dalle azioni e dalle pratiche dei bambini che, con l aiuto degli adulti che sanno stare al loro fianco e che discretamente sanno offrire l aiuto giusto ed al momento giusto (2), "agiscono per pensare" e "pensano per agire". Si tratta di un processo di esplorazione e di elaborazione nel quale contemporaneamente i bambini, esplorando le cose (e le regole delle cose) del mondo, esplorano anche la propria mente e ne saggiano le sue potenzialità. L imparare facendo, tipico del laboratorio in situazione educativa in relazione ai bambini piccoli, richiama due condizioni complementari: indichiamo il primo con il termine di elaborazione ed il secondo con quello di contesto interattivo. 3.1. Quando il bambino "elabora" Il verbo elaborare (3) rimanda a due principi. Il primo è connesso con l azione concreta, con il fare. Il bambino che entra nel laboratorio deve di necessità avere le mani in pasta, realizzare dei manufatti oppure agire sulla base di un progetto (come ad esempio seguire le regole di un gioco, suonare al ritmo giusto, muoversi sulla scena in modo adeguato nel caso di una rappresentazione teatrale e così via). A volte si tratta di azioni meccaniche e ripetute, come ad esempio il riempire un foglio di colore oppure ritagliare diversi pezzi di carta in modo uguale. Questo tuttavia dovrebbe costituire l eccezione e non la regola. L azione del bambino in laboratorio si configura per lo più un azione pensata. Il bambino, mentre fa, vede ciò che fa e ciò che succede mentre fa, prendendo così atto dell efficacia e delle conseguenze delle sue azioni. A volte agisce a caso, ma a poco a poco impara ad agire sulla base di uno scopo: le azioni nel laboratorio sono finalizzate al conseguimento di un determinato esito o per attivare un determinato processo desiderato. Il bambino nel laboratorio dunque non solo agisce ma riflette sulle proprie azioni e sugli esiti finali che le proprie azioni comportano. A poco a poco impara non solamente a compiere quella determinata azione o ad attivare quel determinato processo, ma diventa, per così dire esperto in relazione a tale contesto. Si tratta perciò solamente di tentativi per prova ed errore ma di apprendimenti più profondi, che rimangono sottotraccia e che non si evidenziano immediatamente ed in modo esplicito. Si tratta cioè di saperi nascosti che nel tempo sono stati chiamati in diversi modi: qualcuno ha parlato di "apprendimenti sottostanti" (John Dewey), qualche altro di "deuteroapprendimenti" (Gregory Bateson); c è chi su un piano più propriamente pedagogico li ha voluti definire come "saperi essenziali" (o della vita) per distinguerli dai "saperi minimi" e dalle conoscenze strumentali tese al conseguimento di uno scopo immediato e diretto. pag.4/6
Dunque, per tornare al nostro discorso iniziale, la funzione del laboratorio non è solamente quella dell azione ma anche quella dell elaborazione. Il bambino nel laboratorio dunque non solamente lavora, ma mentre lavora elabora. 3.2. Il laboratorio come contesto interattivo Il laboratorio è essenzialmente un contesto di significati ed ha una funzione interattiva. Attribuiamo all idea di contesto interattivo due connotazioni reciprocamente complementari. L idea di contesti interattivi è largamente diffuso sia in ambito scientifico sia nel linguaggio comune. Tale concetto assume accezioni molto diverse fra loro e si riferisce tanto alle situazioni globali di una nazione o della vita di un popolo quanto alla vita famigliare, al gruppo di amici o alla comunità scolastica di una classe così come anche, come è nel nostro caso, nel lavoro di elaborazione in situazione di laboratorio. Il contesto è un insieme di cose o di eventi (spazi, persone, oggetti, parole, idee, ecc.) che sono correlate fra loro e che condividono, per motivi diversi, una stessa relazione. Si tratta, nella prospettiva più generale, di una connessione fra individuo e ambiente e delle interrelazioni che intercorrono fra l uno e l altro. Un attenzione particolare a questo tipo di problema è stato posto da Gregory Bateson. Nelle sue sperimentazioni, Bateson ha osservato che una persona, in situazione sperimentale, "non solo risolve i problemi postigli dallo sperimentatore e che singolarmente sono di apprendimento semplice, ma al di là di questo diventa sempre più capace di risolvere problemi in generale. potremmo dire che il soggetto apprende a dirigersi verso certi tipi di contesto, o che sta acquistando un certo intuito per il contesto di risolvere problemi" (4). Il contesto presuppone sempre una relazione, uno scambio di qualcosa con qualcos altro: gli elementi di un contesto interagiscono fra loro in termini di correlazione reciproca. Senza dubbio questo è pertinente anche in relazione alla didattica per laboratori. Un bambino ad esempio inserito in contesti "elaborativi" (5) di "parlanti" diventa normalmente via via sempre più capace di attribuire significati alle parole, di riconoscere la costruzione di frasi e di attribuire loro un significato, di comprendere il senso di un discorso o anche di fare un discorso e così via. Diventa cioè via via sempre più esperto a risolvere problemi legati al contesto nel quale si trova o è inserito (in questo caso si tratta del contesto della lingua della comunità dei parlanti). Diventa, in altre parole, un esperto di quel determinato contesto (strutturato arricchito, dotato di strumenti ad hoc) con il quale ha a che fare. Un altro aspetto importante è rappresentato dalla funzione insostituibile, in situazione di apprendimento non solo in laboratorio, dello scambio con gli altri. Il laboratorio, da questo punto di vista, rappresenta un luogo di scambio per eccellenza. Molti studiosi dello sviluppo, non escluso Piaget, per l elaborazione delle loro teorie hanno osservato i comportamenti del bambino "in vitro", in situazione di laboratorio, in un contesto cioè in cui egli era solo e gli altri non potevano influire in nessun modo. E' noto invece (e del resto diverse ricerche lo hanno confermato) che il bambino "[...] non agisce da solo sul reale: coordinando le proprie azioni con quelle degli altri elabora dei sistemi di coordinazione di queste azioni ed arriva a riprodurli da solo in seguito. [...]... mediante l'interazione l'individuo controlla certe coordinazioni che gli permettono di partecipare a interazioni sociali più elaborate che, a loro volta, diventano fonte di sviluppo cognitivo" (6). In altri termini, il bambino parte dall appropriazione individuale delle coordinazioni collettive: di fronte ad un problema nuovo o ad una difficoltà arriva ad una propria soluzione individuale a partire dalle soluzioni più o meno efficaci degli altri. Le ricerche di Doise e Mugny evidenziano l'esistenza di due fasi successive nello sviluppo di una abilità o una tecnica nuova da parte del bambino. pag.5/6
La prima fase, nella quale non possiede ancora una adeguata competenza per la realizzazione del compito assegnatogli, la cooperazione con gli altri è fondamentale: partire dalle prove e dagli errori degli altri è essenzialmente economico perché il bambino può tenerne conto senza incominciare tutto da capo. Nella seconda fase, nella quale il bambino deve svolgere un dato compito del quale possiede già una propria competenza, una cooperazione stretta con altri può essere fuorviante perché rischia di fare perdere tempo: se fa da solo raggiunge più facilmente e direttamente lo scopo. E noto ad esempio un determinato bambino presenta una maggiore disponibilità ed una maggiore capacità di apprendimento se si trova affiancato ad un gruppo di compagni piuttosto che ad un altro. La manifestazione delle proprie abilità non dipende cioè esclusivamente dai singoli bambini, ma dai gruppi nei quali si trovano. Un aspetto importante della valutazione riguarda perciò anche i gruppi. Ne sanno qualcosa coloro che sono incaricati, ogni anno, di formare le nuove classi prime: una delle principali esigenze che sempre emerge è di formare i gruppi in modo equilibrato (7). 1) Questo aspetto è stato già discusso in "bambini pensati": si veda il contributo di M. Baldacci "Il laboratorio come strategia didattica" all indirizzo http://maternaguala.scuole.piemonte.it/news0512.htm 2) Ci si riferisce qui alla "zona prossimale di sviluppo". 3) Si veda, a questo proposito, B. Q. Borghi L. Selmi, (a cura di) Elabora, Le scienze nella scuola dell infanzia, Cd-rom, www.infantiae.org, Roma, 2004. 4) Bateson Gregory, Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976, p. 204. 5) Attribuiamo a questo termine sia il significato di "azione" e di "lavoro", sia quello contestuale di "elaborazione" e riflessione sul lavoro che si dovrà svolgere (fase progettuale) si sta svolgendo (fase attuale), o che si è svolto (fase valutativa). 6) Doise W. - Mugny G., La costruzione sociale dell'intelligenza, Bologna, Il Mulino, 1981. 7) Questo aspetto è stato già discusso in "bambini pensati": si veda il contributo di B. Borghi "Il piccolo gruppo" all'indirizzo http://maternaguala.scuole.piemonte.it/news0603.htm pag.6/6