Fiscal News La circolare di aggiornamento professionale
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1 Fiscal News La circolare di aggiornamento professionale N La condanna alle spese di giudizio nel processo tributario A cura di Giovambattista Palumbo Categoria: Contenzioso Sottocategoria: Processo tributario L inammissibilità del ricorso avverso un diniego di interpello esclude la compensazione delle spese, possibile solo se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di novità della questione o mutamento della giurisprudenza. Ma, nel caso di impugnabilità del diniego su istanza di interpello non vi erano in realtà oscillazioni, essendo la modifica normativa, che ne ha da ultimo sancito l inammissibilità, solo diretta ad una cristallizzazione della consolidata e costante giurisprudenza. La disciplina delle spese di giudizio La Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza n. 815/16/17 del , ha affermato alcune considerazioni in tema di condanna alle spese di giudizio, che meritano di essere analizzate e che comunque rappresentano l occasione per fare il punto sulla relativa disciplina. Con l articolo 9, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 156/2015 è stato modificato l articolo 15 del D.Lgs. n. 546 del Con le modifiche all articolo 15 si è inteso rafforzare ancora il principio in base al quale le spese del giudizio tributario seguono la soccombenza, in ottemperanza all articolo 10, comma 1, lettera b), n. 10 della legge di delega, che prevedeva l'individuazione di criteri di maggior rigore nell'applicazione del principio della soccombenza ai fini del carico delle 1
2 spese del giudizio, con conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca. In particolare, con le modifiche al comma 1, si mantiene la previsione per la quale è la parte soccombente quella condannata a rimborsare le spese del giudizio liquidate con la sentenza. Dalla suddetta norma viene espunta però la norma che consentiva alla commissione tributaria di dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, secondo le norme del codice di procedura civile; e tale possibilità, recata nel novellato comma 2 dell articolo 15, è condizionata ora alle seguenti ipotesi alternative: soccombenza reciproca; sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere espressamente motivate dal giudice. Tra le "gravi ed eccezionali ragioni", peraltro, non rientrano sicuramente i motivi di equità, non altrimenti specificati. Nel caso in cui, infatti, la Commissione Tributaria decidesse, anche solo in punto di spese, secondo equità, la sentenza sarebbe nulla, in quanto in sostanza non motivata. Le "gravi ed eccezionali ragioni", che possono giustificare la compensazione delle spese, devono del resto essere indicate esplicitamente nella motivazione, e devono comunque riguardare specifiche circostanze della controversia decisa (cfr. Cass. n /2014). A dire il vero, peraltro, non è sempre stato così. L'art. 39 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 escludeva, infatti, espressamente l'applicabilità degli artt del codice di procedura civile, e tale previsione non era stata ritenuta illegittima dalla Corte Costituzionale, con il rilievo che "l'istituto della condanna del soccombente nel pagamento delle spese ha bensì carattere generale, ma non è assoluto e inderogabile", e che, nel processo tributario, la deroga era giustificata dalle peculiarità del rito, "pur sempre diverso e più snello dell'ordinario procedimento civile" (Corte Cost., 24 novembre 1982, n. 120). La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 53 del 1988, non ritenne peraltro fondata la questione di costituzionalità degli artt , nella parte in cui non consentivano la condanna dell'amministrazione, ritenendo, da un lato, che la "spiccata specificità" del processo tributario escludesse la violazione del principio di uguaglianza in ragione della diversità di disciplina rispetto ad altri processi e, dall'altro, che non sarebbe stato violato il diritto di difesa, poiché l'art. 46 si limitava a prevedere una "fattispecie legale tipica" di compensazione delle spese in presenza di giusti motivi. 2
3 Con la riforma del 1992, però, la condanna alle spese viene prevista, ma con una lacuna. Infatti, se da una parte l'art. 15 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, accoglieva il principio della condanna del soccombente alle spese, salvo compensazione ai sensi dell'art. 92 del codice di procedura civile, dall altra l'art. 46 introduceva invece una deroga, stabilendo (al comma 3) che le spese del giudizio estinto per cessazione della materia del contendere restavano a carico della parte che le aveva anticipate. Come chiarito poi però dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 274/2005, che ha dichiarato l incostituzionalità dell art. 46, comma 3 del D.Lgs. 546/92 nella parte in cui precludeva la condanna alle spese dell Amministrazione in caso di cessazione della materia del contendere, in caso contrario (cioè in caso di mancata condanna alle spese a seguito della soccombenza, anche solo virtuale, dell Amministrazione), si sarebbe verificato un ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi dell'assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta a ricorrere alla mediazione (onerosa) di un professionista abilitato alla difesa in giudizio. La Corte Costituzionale ha dunque espressamente statuito che la compensazione ope legis delle spese nel caso di cessazione della materia si traduceva in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento di regola determinato dal riconoscimento delle altrui ragioni. Perciò l Amministrazione Finanziaria può oggi essere condannata alle spese anche quando ritira l'atto impugnato in pendenza di giudizio (a meno che il giudice non opti per la pronuncia di compensazione, dando comunque contezza dei motivi che nel singolo caso giustificano una tale scelta). E parimenti potrà essere condannato il contribuente che rinuncia al ricorso. Quanto stabilito dalla Corte Costituzionale non esclude, tuttavia, che l ufficio, anche in ipotesi di cessazione della materia del contendere a seguito di annullamento in autotutela, in presenza di determinate circostanze ( gravi ed eccezionali ragioni ), possa richiedere la compensazione delle spese processuali. L ufficio potrebbe per esempio giustificare la richiesta di compensazione delle spese, esponendo le ragioni che hanno consentito l adozione del provvedimento di annullamento soltanto in corso di giudizio, ad esempio, qualora l illegittimità dell atto sia emersa solo a seguito dell esame della documentazione esibita e/o dalle argomentazioni esposte soltanto in sede contenziosa; la novità, peculiarità od oggettiva incertezza delle questioni di fatto o di diritto che rilevano nello specifico caso; le modifiche normative, le pronunce della Corte Costituzionale o della Corte Comunitaria 3
4 che hanno indotto l ufficio a rivedere la propria posizione, etc. Le stesse giustificazioni, anche in caso di soccombenza, possono valere del resto anche per il contribuente. La compensazione immotivata delle spese di giudizio, invece, rendendo inoperante il principio generale di responsabilità, si tradurrebbe dunque in un ingiustificato privilegio per la parte soccombente, essendo possibile, come detto, procedere alla compensazione solo in presenza di soccombenza reciproca, o ricorrendo altri giusti motivi. Nel processo tributario sussiste infine una speciale disciplina della condanna della parte soccombente alle spese del giudizio, in caso di controversia già sottoposta a mediazione: la parte soccombente è, infatti, condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del procedimento. La maggiorazione è prevista a titolo di rimborso delle spese sostenute per la fase del procedimento amministrativo. La norma ha la finalità di incentivare la risoluzione stragiudiziale delle controversie e di riconoscere alla parte vittoriosa i maggiori oneri sostenuti nella fase procedimentale obbligatoria ante causam. Nelle medesime controversie, fuori dei casi di soccombenza reciproca, la commissione tributaria, può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione. Ne consegue che, in sede di pronuncia della sentenza conclusiva del giudizio, la Commissione tributaria provinciale: condanna la parte soccombente a versare all altra parte una somma a titolo di rimborso delle spese del procedimento di mediazione, normativamente fissata nel cinquanta per cento delle spese di giudizio; dal momento che tale somma è in aggiunta alle spese di giudizio, la condanna al rimborso non trova applicazione nei casi di compensazione delle spese di lite; fuori dei casi di soccombenza reciproca, i Giudici possono compensare, parzialmente o per intero, le spese di lite solo se ricorrono giusti motivi, da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza; i giusti motivi vanno peraltro individuati nelle ragioni che hanno indotto l Ufficio a rigettare l istanza di mediazione del contribuente. Infine, sempre grazie all attuazione della legge delega, è stato introdotto il comma 2-bis all'articolo 15, col quale si prevede che, ove risulti che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, la commissione tributaria la condanna, su istanza dell'altra parte, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni liquidati, anche d'ufficio nella sentenza. 4
5 La disposizione è mutuata testualmente dall art. 96, primo comma, c.p.c., in materia di responsabilità aggravata per la cd. lite temeraria, sulla cui applicabilità nel processo tributario c erano fino ad oggi incertezze. Il nuovo comma 2-ter dell'articolo 15 specifica inoltre che le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre al contributo previdenziale e all'iva, se dovuti. Il nuovo comma 2-quater stabilisce che la statuizione sulle spese di lite deve essere contenuta anche nell'ordinanza con cui il giudice definisce la fase cautelare del giudizio. La pronuncia sull'istanza cautelare in ordine alle spese di giudizio produce effetti anche dopo l'adozione del provvedimento giurisdizionale che definisce il merito. Resta ferma, comunque, la possibilità per il giudice di disporre nella sentenza di merito diversamente in ordine alle spese di lite della fase cautelare. La Relazione illustrativa sul punto chiarisce che tale disposizione mira ad evitare un abuso delle richieste di tutela cautelare. Con il nuovo comma 2-quinquies dell'articolo 15 viene poi confermato il principio secondo cui i compensi spettanti agli incaricati dell'assistenza tecnica sono liquidati in base ai parametri previsti per le relative prestazioni professionali; per i soggetti autorizzati all'assistenza tecnica dal Ministero dell'economia e delle Finanze si applica, invece, la disciplina dei compensi per i dottori commercialisti ed esperti contabili (D.M. Giustizia n. 169/2010). Il comma 2-sexies dell'articolo 15 (che riproduce il precedente comma 2-bis del medesimo articolo) stabilisce infine che nella liquidazione delle spese a favore degli enti impositori, degli agenti della riscossione e soggetti concessionari della riscossione (di cui all'art. 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997), se assistiti da propri dipendenti, si applica la disciplina relativa ai compensi degli avvocati (D.M. Giustizia n. 55/2014) con la riduzione del 20 per cento. Si ricorda infine che anche l articolo 44 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in tema di estinzione del processo per rinuncia al ricorso, è stato modificato. Viene in particolare modificato il comma 2, ai sensi del quale il ricorrente che rinuncia doveva rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo fra loro, con liquidazione fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile, che costituisce titolo esecutivo. Le norme eliminano l esecutività della predetta ordinanza, in quanto nell impianto del provvedimento in esame l'unico strumento utilizzabile è il giudizio di ottemperanza, anche per le spese legali in favore del contribuente. Diversamente, per le spese liquidate in favore dell'ente impositore e degli altri soggetti equiparati è prevista l'iscrizione a ruolo dopo il giudicato, come dispone il nuovo articolo 15, al comma 4. 5
6 Il caso In tale contesto interviene la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza n. 815/16/17 del Nel caso di specie il contribuente impugnava la sentenza di primo grado, chiedendo l annullamento della sentenza nella sola parte in cui condannava il medesimo contribuente al pagamento delle spese di giudizio, ritenendo che solo con il D.Lgs. 156/15 fosse stata introdotta la non impugnabilità delle risposte alle istanze di interpello, oggetto del ricorso in primo grado. Secondo la CTR l appello era infondato. LA DECISIONE Ritengono, infatti, i giudici di secondo grado che, una volta pronunciata l inammissibilità del ricorso promosso dall odierno appellante per impossibilità di proporre impugnazione avverso un diniego di interpello (atto reputato non impugnabile) la compensazione delle medesime è possibile solo a mente del comma 2 dell art. 92 cpc, ossia se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di novità della questione o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. Ma, nel caso di specie, ad avviso della CTR, sulla questione in oggetto (impugnabilità del diniego istanza di interpello) non vi erano in realtà oscillazioni, essendo la modifica normativa solo diretta anzi ad una cristallizzazione della consolidata e costante giurisprudenza. Quanto poi alle spese di giudizio della fase di appello, il giudice ritiene che queste non potessero essere liquidate in favore dell Agenzia, atteso che questa si era difesa tramite propri funzionari e a conferma di tale conclusione richiama la sentenza della Cassazione n. 8413/16 (in realtà però in tema della del tutto diversa fattispecie del giudizio ex L. 689/81 davanti al giudice ordinario). CONCLUSIONI La sentenza in commento, a prescindere dalle sue conclusioni, presenta, a ben vedere, diverse inesattezze. Come detto, infatti, l articolo 9, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 156/2015 ha modificato l articolo 15 del D.Lgs. n. 546 del 1992, essendo condizionata la possibilità di compensazione delle spese alle seguenti ipotesi alternative: soccombenza reciproca e sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni. Tra tali gravi ed eccezionali ragioni potrebbero quindi anche rientrare la novità, peculiarità od oggettiva incertezza delle questioni di fatto o di diritto che rilevano nello specifico caso, o le modifiche normative, pronunce della Corte Costituzionale o della Corte Comunitaria. 6
7 Ritenere dunque che il consolidato orientamento giurisprudenziale sulla questione dell inammissibilità del ricorso avverso il diniego di interpello comportasse tout court l impossibilità della compensazione delle spese, priverebbe di senso l intervento del Legislatore, che, invece, evidentemente mirava a chiarire l incertezza sul punto (seppur sposando la tesi della prevalente giurisprudenza). Ancora più evidente poi la seconda inesattezza, in tema di spese della fase del giudizio di appello. Il comma 2-sexies dell'articolo 15 (che riproduce peraltro il precedente comma 2-bis del medesimo articolo) stabilisce, infatti, che nella liquidazione delle spese a favore degli enti impositori, degli agenti della riscossione e soggetti concessionari della riscossione, se assistiti da propri dipendenti, si applica la disciplina relativa ai compensi degli avvocati (D.M. Giustizia n. 55/2014) con la riduzione del 20 per cento. La disciplina di cui alla L. 689/81, riguarda invece tutt altra fattispecie (e tutt altro giudice e tutt altre parti). La decisione, dunque, non ha applicato la specifica previsione normativa stabilita per il giudizio davanti alle commissioni tributarie. - Riproduzione riservata - 7
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