I trapianti di organi

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1 I trapianti di organi I Trapianti di organi e parti del corpo (a cura di Maurizio Balistreri) 1.Cenni storici Nel settecento incominciarono ad essere effettuate le prime trasfusioni di sangue, ma questi primi tentativi fallirono in quanto all'epoca si ignorava l'esistenza dei gruppi sanguigni. Per altro, dato che questi interventi portavano in genere alla morte del paziente, i medici che li eseguivano venivano spesso accusati di omicidio. Durante la prima guerra mondiale, tuttavia, anche a seguito della creazione di banche di sangue, le trasfusioni di sangue si diffusero velocemente e furono ampiamente praticate. Nel corso del ventesimo secolo la ricerca sui trapianti di organi ha avuto un rapido sviluppo. Agli inizi del secolo, Alexis Carrel (Nobel nel 1912) e a Charles Guthrie perfezionarono la tecnica di sutura dei vasi sanguigni. Negli anni venti, poi, furono realizzati i primi innesti di pelle, in particolare, come procedura temporanea in caso di ustioni. Già nel 1905, comunque, furono compiuti i primi trapianti di cornea, anche se questo tipo di intervento divenne routine solo negli anni quaranta. A tal proposito è da ricordare che oggi le cornee possono essere conservate fino a quaranta giorni e che la procedura di prelievo è divenuta così ordinaria che possono praticarla anche operatori sanitari non medici. Nel 1902 Emmerick Ullman, un chirurgo austriaco, espiantò poi un rene da un cane e lo mantenne in funzione nel corpo di un altro cane per alcuni giorni: il fallimento finale di questo esperimento evidenziò, forse per la prima volta, i problemi del rigetto. Negli anni Quaranta, però, Peter Medawar (Nobel 1960) - studiando gli innesti di pelle su pazienti colpiti da gravi ustioni - scoprì che il sistema immunitario riconosce corpi estranei per mezzo di marcatori o antigeni e che produce anticorpi per rigettarli. Medawar, inoltre, accertò che questi fenomeni sono assenti dove esistono fattori di compatibilità genetica: cioè che tra individui consanguinei e tra gemelli monozigoti gli organi o i tessuti possono essere trasferiti senza che il sistema immunitario li riconosca come corpi estranei. Iniziarono, perciò, le ricerche per individuare quelle sostanze che potessero inibire la produzione degli anticorpi. E tra gli anni '60 e '70 furono introdotti i primi farmaci destinati a diminuire la capacità di rigetto dopo un trapianto. Il 3 dicembre 1967 Christian Bernard portò a termine, a Città del Capo, il primo trapianto di cuore. Il paziente sopravvisse, però, solo 18 giorni. Il secondo paziente che subì l'intervento riuscì, invece, a rimanere in vita per 84 settimane. I trapianti non sono più una mera possibilità, ma diventano ormai un problema fondamentale dei rapporti umani. Nel 1968 vennero eseguiti 107 trapianti cardiaci da 64 équipe in 24 nazioni. I problemi di rigetto, comunque, restavano. E se nuovi farmaci immunosoppressori - aziotropine (imuran), corticosteroidi, il siero e le globuline antilinfocitarie - riuscivano in parte ad inibire la produzione di anticorpi, d'altra parte abbassavano le difese immunitarie dell'organismo rendendolo più vulnerabile agli attacchi di virus. A volte per di più, essi risultavano tossici per il fegato e per il sistema nervoso centrale. Non sorprende, quindi, che i primi interventi non diedero i risultati sperati. Negli Stati Uniti, ad esempio, tra il 1967 e la metà degli anni Settanta si ebbero 162 trapianti di cuore, ma di questi 104 si conclusero con la morte del paziente dopo 3 mesi e 20 registrarono una sopravvivenza tra i 4 e 6 mesi. Per questa ragione, molte équipe furono sciolte. Comunque, anche se i trapianti di cuore venivano da più parti criticati, Norman Shumway proseguì la ricerca e alla fine degli anni Settanta gli interventi cominciarono a dare i primi risultati positivi. Nel 1986 fu registrato negli Stati Uniti un tasso di sopravvivenza a un anno per circa l'80% dei trapiantati. Non a caso, quindi, tra il 1983 e il 1985 negli Stati Uniti i centri che praticavano questi interventi passarono da 12 a 71. Nello stesso periodo, inoltre, il Servizio Sanitario Nazionale americano riconobbe il trapianto cardiaco come "prestazione medica ragionevole e necessaria". Al giorno d'oggi, il 70% dei pazienti trapiantati ha una sopravvivenza di più di 5 anni. I risultati relativi ai trapianti di cuore sono di gran lunga migliorati, tra l'altro, in seguito al perfezionamento nei criteri di selezione dei pazienti: per le condizioni non terminali, per altro, non si interviene subito con il trapianto, ma si ricorre sempre più spesso a soluzioni meno invasive (by pass coronarici, sostituzione di valvole cardiache etc.). C'è da dire,

2 però, che una componente di maggior rischio rimane nei bambini, in quanto il rigetto è più difficile da controllare. Proprio mentre i trapianti cardiaci venivano criticati, quelli di rene - il cui rigetto è meno pericoloso di quello del cuore o comunque se l'intervento non ha successo il nuovo rene può essere espiantato e il paziente può tornare in dialisi (nel caso del trapianto di cuore invece l'unica alternativa al trapianto è lasciare che la natura finisca col distruggere l'organo) - divenivano routine. D'altra parte, l'innesto del rene è relativamente facile in quanto l'organo è poco appartato. Il primo trapianto di rene fu eseguito nel 1951 da D. Hume a Boston con solo l'ausilio della compatibilità sanguigna. Non essendo stato accompagnato, quindi, da una terapia immunosoppressiva, quest'intervento, come gli altri subito dopo praticati, fallì. La sopravvivenza oscillò tra i 30 e i 120 giorni, e solo in un caso fino a sei mesi. Nel 1954, sulla base delle osservazioni di Medawar, un collaboratore del dottor Hume realizzò un intervento di espianto/impianto su gemelli monozigoti. Il paziente trapiantato sopravvisse 8 anni e morì di infarto senza che ci fossero stati problemi di rigetto. Fino al 1962 i trapianti avvennero soltanto da donatori affini. In Italia il primo trapianto di questo tipo fu fatto a Roma dal prof. Casciani nel 1966 e il paziente sopravvisse 8 mesi. La tecnica fu poi perfezionata dalle scuole chirurgiche dirette da Malan a Milano, Stefanini a Roma e Confortini a Verona. Dal 1978, con la disponibilità della ciclosporina, si è potuta controllare con una certa efficacia la reazione immunitaria. Il problema del rigetto non è ad ogni modo ancora superato anche se si valuta che un ricevente possa sopravvivere senza crisi per almeno 8 anni. Un certo numero di pazienti, proprio a seguito del rigetto, deve tornare in dialisi, mentre altri muoiono a seguito di infezioni polmonari. I migliori risultati, ad ogni modo, si hanno quando il donatore è un fratello monozigote o un donatore affine. Si stima che fino ad oggi siano più di i pazienti che hanno ricevuto un rene. Oltre a quello di cuore e di rene, ci sono ormai trapianti di polmone, fegato, cornea, ossa, midollo, ovaie, testicoli, nervi, orecchio medio, intestino tenue, tessuto pancreatico e il numero degli organi o delle parti del corpo che possono essere trapiantati sta crescendo. I primi trapianti di fegato risalgono al 1963 e furono eseguiti da T. E. Starzl: il primo paziente sopravvisse solo per 22 giorni. Sebbene siano stati raggiunti notevoli successi, il trapianto di fegato è considerato ancora a rischio, soprattutto per patologie congenite nei bambini e negli adulti. Di certo, le percentuali di sopravvivenza sono più basse rispetto a quelle che si hanno nei trapianti di rene e di cuore. Perciò, prima di effettuarlo devono essere fallite tutte le altre terapie possibili. Dato che il fegato è un organo rigenerabile, sono stati compiuti anche trapianti di metà fegato. Prima del trapianto, ad ogni modo, è anche possibile ormai ridurne le dimensioni per renderlo adatto al ricevente. Secondo fonti dell'aido del 1997, circa il 60% dei trapiantati ha, in media, una sopravvivenza di quasi 5 anni. I trapianti di pancreas, che in genere riguardano i pazienti che soffrono di diabete mellito, furono eseguiti per la prima volta nel I primi dati non furono confortanti, ma la tecnica sembra assicurare ora una maggiore sopravvivenza. Tra il 1978 e il 1985 i trapianti di pancreas furono 713. Nel 1985 si registrarono comunque 214 interventi di questo tipo. E' frequente il caso in cui il trapianto di pancreas avvenga nel contesto di un trapianto multiorgano: l'associazione più frequente è quella relativa al fegato. I trapianti di midollo osseo è indicato, in genere, per le persone che soffrono di leucemia, di anemia aplastica, di morbo di Hodgkin o affetti da altri difetti innati del metabolismo. Il midollo osseo è il midollo emopoietico, che si presenta alla vista come sangue. I trapianti consistono di due momenti: nella prima fase il paziente viene sottoposto a chemioterapia e/o radiazioni per distruggere le sue cellule midollari. Nella seconda fase si compie la trasfusione del midollo osseo sano prelevato dal donatore (in genere dalle ossa del bacino). Una volta colonizzato il midollo, le cellule midollari iniziano a produrre gli elementi ematici e dopo circa due settimane cominciano a circolare nel sangue i primi globuli bianchi. I trapianti di midollo osseo hanno successo solo se il donatore è compatibile. Il reperimento di donatori compatibili è, però, difficile. Al fine di aumentare l'ampiezza del bacino di donatori compatibili, sono stati perciò creati archivi di donatori classificati per HLA (Human Leukocite Antigen) - il più importante è l'international Bone Marrow Trasplantation Register (IBMTR). In Europa c'è l'european Cooperative Group for Bone Marrow Transplantation (EBMT). Nel 1995, erano più di gli interventi fino ad allora eseguiti. Recentemente, comunque, si sta diffondendo sempre più il trapianto di midollo osseo da cellule del cordone ombelicale. Ovaie e testicoli sono stati trapiantati fin dagli anni Settanta. La prima gravidanza ottenuta a seguito di trapianto di ovaie ebbe luogo a Buenos Aires nel Negli ultimi anni, però, si è fatta sempre più strada l'idea di trapiantare nell'utero tessuto ovarico di origine fetale: si pensa, infatti, che questo

3 tessuto potrebbe svilupparsi nel nuovo corpo producendo oociti. Con questa tecnica, evidentemente, anche donne in menopausa potrebbero ottenere una gravidanza. Il primo trapianto di testicolo avvenne nel 1978: l'operazione di espianto-impianto fu eseguita su gemelli monozigoti e il ricevente generò poi dei figli. Alcuni mesi fa, inoltre, un équipe di bioricercatori ha annunciato di aver prodotto spermatozoi umani coltivandoli nei testicoli di topi e ratti. L'esperimento è stato condotto nell'università di Tottori, in Giappone, da un gruppo guidato dal ricercatore greco, Yasuyuki Mio. I ricercatori hanno prelevato degli spermatogoni (cellule primitive da cui poi si sviluppano gli spermatozoi) da 18 uomini sterili e li hanno trapiantati nei testicoli di altrettanti topi e ratti tra il 1997 e il L'esperimento è riuscito con tre ratti e due topi nei quali sono stati prodotti spermatozoi umani nell'arco di cinque mesi. Secondo i responsabili della ricerca, all'osservazione al microscopio, le cellule prodotte dai topi erano normali e del tutto umane, ben distinguibili da quelle degli animali. Se si riuscirà a provare che questi spermatozoi sono anche fertili, gli animali di laboratorio potrebbero diventare una "fabbrica" di spermatozoi in aiuto agli uomini sterili. Negli ultimi tempi si è molto parlato anche del trapianto dell'intero corpo o, a seconda della prospettiva da cui l'intervento si considera, del cervello. A questo progetto lavora soprattutto il dottor White. Robert J. White ha trapiantato il cervello di cani in altri cani e nel 1970 ha trapiantato la testa di scimmia sul corpo di un'altra scimmia. In successivi esperimenti, White tenne in vita anche due teste di scimmia separate dal corpo: in queste condizioni, dice White, le teste conservavano ancora coscienza ed una certa recettività agli stimoli esterni. Le teste trapiantate, comunque, non potevano controllare i loro corpi. Sono stati effettuati anche trasferimenti di cellule nervose embrionali nel cervello di persone affette dal morbo di Parkinson. Queste cellule embrionali rigenerano in parte i neuroni che producono quella sostanza (la dopomina) che trasmette i segnali chimici alle altre cellule nervose del cervello e attraverso la quale quindi il soggetto controlla i propri movimenti. Alcuni ricercatori, infine, lavorano sulle cellule embrionali per produrre da esse, separatamente, i diversi organi umani. Altri, invece, servendosi delle nuove tecniche di ingegneria genetica, cercano di produrre l'organo umano desiderato sul corpo di un animale (in genere topi), inserendo nel codice genetico di quest'ultimo (quando è ancora allo stadio embrionale) geni umani. Come vedremo, comunque, i nuovi sviluppi della medicina dei trapianti sembrano ormai legati ai trapianti di organi animali. Dalla metà degli anni Settanta è stato verificato che i trapianti di organi animali (in particolare da scimpanzé e babbuini) in esseri umani, possono occasionalmente e parzialmente aver successo. I problemi del rigetto, però, almeno fino ad alcuni anni fa, non rendevano questo tipo di intervento molto attraente. Per altro, l'uso di primati faceva sorgere gravi questioni etiche. Queste difficoltà, tuttavia, sembrano oggi in gran parte superate con gli interventi di ingegneria genetica sull'animale da cui si vogliono espiantare gli organi: questi interventi, infatti, rendono gli organi di qualsiasi animale compatibili (o quasi del tutto compatibili), da un punto di vista genetico, con il sistema immunitario umano. Già nel 1994, ricercatori svedesi hanno iniettato nel fegato di dieci pazienti diabetici cellule pancreatiche suine (fetali), con il risultato che in quattro di loro le cellule hanno prodotto insulina per 14 mesi. Nel 1995, poi, negli Usa e nel Regno Unito sono stati eseguiti trapianti di cuore suino in primati non umani con risultati incoraggianti. 2. L'Organizzazione dei Trapianti in Italia Per iniziativa dei Profossori Confortini, Malan e Sirchia si sviluppò a partire dei primi anni '70 un programma di collaborazione tra le strutture ospedaliere della Lombardia e del Veneto per incrementare l'attività dei trapianti. Da questo programma nacque l'associazione di operatori del prelievo e del trapianto chiamata Nord Italia Transplant (NITP), che ora include anche Friuli Venezia Giulia, Liguria e Marche. In Piemonte, Val d'aosta, Emilia Romagna, Toscana e provincia autonoma di Bolzano opera l'airt (associazione interregionale trapianti). Nell'Italia centrale e meridionale si sono costituite, invece, due associazioni: la CCST (Coordinamento Centro Sud Trapianti) che collega Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna e il SIT (Sud Italia Trapianti) che collega parte del Lazio, Abruzzo e Molise. La collaborazione tra queste strutture è ancora scarsa. La nuova legge sui trapianti, però, dovrebbe renderla più efficace ed effettiva. I Centri interregionali si occupano: 1) della gestione delle liste di attesa per i diversi organi; 2) della tipizzazione dei donatori e delle prove di compatibilità 3) dell'allocazione delle risorse 4) della

4 raccolta dei dati del donatore e del paziente, per quest'ultimo anche dopo il trapianto 5) dell'attività di trapianto dei tessuti. La legge sui trapianti di cornee del 1993 ha previsto l'istituzione da parte delle regioni di centri di riferimento per l'attività di prelievo e di trapianto delle cornee a livello regionale od interregionale. Già nel 1987, comunque, si è costituita in Veneto la Fondazione Banca degli occhi, ente non profit, designato ora dalla delibera 5528 del 1993 della Regione Veneto come centro di riferimento regionale per i trapianti di cornea. Attualmente la Fondazione risulta essere l'unica struttura organizzata in Italia per la raccolta e la distribuzione di tessuti corneali: essa partecipa all'associazione europea delle Banche degli occhi, risultando tra l'altro, per numero di donazioni effettuate, il terzo centro di raccolta dopo Bristol ed Amsterdam. Secondo i dati forniti dalla stessa Fondazione, le cornee raccolte ritenute idonee per il trapianto sono state nel I pazienti in lista di attesa, in totale, per il trapianto di rene sono circa ; per quello del cuore 600; per quello del fegato, circa 800; per il pancreas 120; 50 per i polmoni; 7000 per la cornea. Nel decennio i pazienti in lista per un rene sono aumentati di circa il 35%; nel frattempo, però, è aumentato anche il numero dei donatori, per cui rispetto al decennio precedente non c'è stato un allungamento significativo della lista di attesa. Nel 1994 la disponibilità di reni ha permesso di soddisfare il 61.5% delle richieste. In genere, comunque, i pazienti devono aspettare in lista circa 15 mesi. Per quel che riguarda i trapianti di cuore, le liste non sono così lunghe perché i criteri di selezione permettono il trapianto, e quindi l'iscrizione nella lista di attesa, solo alle persone in fase terminale. Anche per questa ragione è possibile soddisfare meglio le richieste di cuore; resta comunque di 12 mesi il periodo di attesa. Per il fegato, l'attesa è invece di 5-6 mesi. 3. La donazione in Italia In Italia esiste un effettivo problema di mancanza di donatori. Nel 1990 in Italia i donatori erano 1/3 di quelli europei. Solo nel 1994 c'è stato un incremento nella disponibilità della donazione, tant'è che i donatori italiani sono diventati circa la metà di quelli europei. La media italiana si è perciò portata a 11,6 donatori per milione di abitanti, ma nel contempo la media europea è cresciuta sino a 19,8. Il Nord ha una media di 18,0 donatori per milione di abitanti. Il Centro una media del 9,8. Il Sud ha una media del 5. Le regioni più attive sono state il Veneto, la prov. Autonoma di Trento, e il Friuli. Le regioni meno attive la Campania, la Calabria, il Lazio. La provincia autonoma di Bolzano ha invece una media superiore a quella europea: del 26,7. Non c'è da sorprendersi, pertanto, se al le liste di attesa presso il NITP comprendevano per il rene 1587 pazienti residenti in Regioni NITP e 938 pazienti provenienti da altre Regioni. Per cuore, fegato, pancreas e polmoni, il numero dei pazienti provenienti da altre regioni è addirittura superiore a quello dei pazienti delle Regioni NITP. 4. Trapianti e questioni etiche Si possono distinguere diversi tipi di trapianti: 1) gli allotrapianti o autoinnesti: trapianti di organi o tessuti nello stesso individuo che dona le parti, ad esempio pelle o midollo osseo, da una parte del corpo ad un'altra. 2) Gli omotrapianti o omoinnesti: trapianti di organi o tessuti da un corpo all'altro di individui della stessa specie. 3) Gli eterotrapianti o xenotrapianti: trapianti tra individui di specie diversa, di solito animali e umani. 4) Isoinnesti: trapianti tra individui geneticamente identici. Mentre gli allotrapianti non fanno sorgere alcun problema etico, gli omotrapianti, gli eterotrapianti e gli isoinnesti o isotrapianti, per le modalità in cui vengono effettuati, possono far sorgere invece diverse questioni. Per quel che riguarda i trapianti da un corpo all'altro di individui della stessa specie ovverosia gli omotrapianti, sorge innanzi tutto la questione circa il diritto e la libertà delle persone di disporre come vogliono del loro corpo e circa il diritto dello Stato di limitare quella libertà per affermare i valori della giustizia. Secondo alcuni autori, lo Stato ha il diritto di interferire con le libere scelte delle persone soltanto quando esse producono degli effetti negativi sulle altre persone o le danneggiano. Da questa prospettiva, quindi, ad ogni persona dovrebbe essere riconosciuto un diritto illimitato di far uso del proprio corpo e dei propri organi e, perciò, anche la libertà di vederli. Questa tesi è sostenuta, tra l'altro, non soltanto partendo da considerazioni generali di natura filosofia, ma anche facendo riferimento a riflessioni di natura empirica: dato che la donazione degli

5 organi ad un familiare non suscita reazioni morali negative, ed invece implica il riconoscimento del corpo come proprietà del soggetto, allora si può dedurre più in generale il diritto di disporre come si vuole del proprio corpo. Quindi, se c'è proprietà e se è possibile la donazione, la conclusione che si trae è che deve essere lecita anche la vendita. In tal senso, evidentemente, il corpo non è sacro e non è nemmeno, come direbbe il filosofo tedesco Kant, la condizione assoluta della vita a tal punto che non possiamo avere un'idea di un'altra vita se non mediante il nostro corpo, o che non ci è possibile usare la nostra libertà se non servendoci di esso: "L'uomo non è una proprietà di se stesso, poiché ciò sarebbe contraddittorio. Nella misura, infatti, in cui egli è una persona, egli è soggetto cui può spettare la proprietà di altre cose. Se invece fosse proprietà di se stesso, egli sarebbe una cosa. ( ) E' impossibile essere una persona e una cosa. ( ) In base a ciò non gli è consentito vendere un dente o un'altra parte di se stesso". Gli oppositori di questa posizione, comunque, più che richiamarsi a Kant sottolineano che le persone che decidono di vendere i loro organi per ragioni economiche, in verità, non sono libere, perché, vivendo in una situazione caratterizzata dall'assenza di quelle risorse fondamentali, sono in un certo qual modo costrette a vendere il loro corpo. D'altra parte, si fa notare che, proprio perché collocate in una situazione di inferiorità rispetto a chi compra il loro corpo, le persone meno fortunate sono sempre in balia di quelle ricche e finiscono perciò per effettuare uno scambio che non valorizza veramente la merce che vendono. Lo scambio, insomma, non può essere uguale: "La compravendita infatti non avviene fra eguali in quanto il datore (si usa l'espressione donatore compensato o rewarded donor, ma essa è ipocrita e impropria) si trova senza eccezione alcuna in una situazione di inferiorità per censo, per conoscenze e per potere" (G. Berlinguer, Il corpo come merce o come valore, in S. Rodotà (a cura di), Questioni di bioetica, Laterza, Bari, 1993, pp , in particolare pagina 88). Lo Stato, perciò, si afferma, non può permettere un mercato di organi perché non può permettere che alcune persone siano strumentalizzate e ridotte ad oggetto da altre. Non va trascurato, per altro, che il mercato di organi si svolge in genere tra il Nord ed il Sud del mondo. Chi si schiera contro la compravendita del corpo, quindi, sottolinea anche che, se si accettasse l'idea che il corpo può essere trattato come una merce, si delineerebbe una prospettiva in cui il Nord, dopo aver utilizzato le risorse naturali del Sud, potrebbe tentare di curare le proprie malattie importando e usando gli organi prelevati dagli appartenenti delle classi povere dei paesi sottosviluppati. "L'offerta sarebbe più che sufficiente, perché questa è la sola merce che tali paesi producono in sovrabbondanza. Si può aggiungere, per obiettività, che il Nord ha anche esportato ovunque conoscenze e merci utili alla salute. Ma sarebbe una tragica ironia l'aver contribuito con la scienza a mantenere in vita persone sconosciute e lontane, per poi raggiungerle attraverso il mercato al fine di prelevare i loro organi vitali" (Ibidem, p. 90). Per di più, si può pensare che il mercato degli organi giustificherebbe un'attenzione meno sollecita nei confronti di quelle persone che hanno maggiormente bisogno di aiuto. Del resto, se esse possono migliorare la loro posizione mettendo in vendita parti del loro corpo, perché ci si dovrebbe interessare ad assicurare loro una distribuzione più equa delle risorse? Esse, in fondo, si potrebbe dire, hanno già i loro corpi e quindi le risorse che, se spese bene, possono garantir loro una buona qualità della vita. "Ma anche sul piano generale l'allentamento della solidarietà per la salute" porterebbe al soccombere dei deboli, aprirebbe varchi pericolosi nella tutela di un bene che è al tempo stesso individuale e collettivo, e produrrebbe notevoli crepe nel cemento della convivenza civile, contribuendo probabilmente a ingigantire l'onda lunga di violenza che percorre il mondo" (Ivi). Lockwood, tuttavia, ha sostenuto che sarebbe possibile garantire il venditore di organi dallo sfruttamento e dalla frode, facendo gestire la compravendita degli organi dal servizio sanitario nazionale e stabilendo delle tariffe fisse per ciascun organo: "Possiamo rammaricarci del fatto che delle persone siano costrette a vendere i propri reni esattamente allo stesso modo in cui dovrebbe apparirci disdicevole il fatto che tali persone siano costrette a lavori estenuanti per paghe da fame. Ma le stesse persone difficilmente potrebbero essere grate a quanti cercassero di restringere ulteriormente le loro possibilità eliminando anche quelle fonti di rendita. Sarebbe molto più utile se ci impegnassimo affinché fossero garantite condizioni adeguate, la giusta professionalità e dei prezzi congrui per l'espianto dei reni, allo stesso modo in cui eserciteremmo delle pressioni sulle imprese affinché migliorassero le condizioni di lavoro e di retribuzione dei propri dipendenti senza arrivare al punto in cui vengano a cessare gli interessi per continuare l'attività" (M. Lockwood, La donazione non altruistica di organi in vita, in S. Rodotà, op. cit., pp , in particolare, p. 143).

6 Resta il fatto, però, a mio avviso, che anche questa correzione al libero mercato di organi lascerebbe le persone più vulnerabili senza alcuna protezione significativa da parte dello Stato, che è proprio l'istituzione che dovrebbe invece avere maggiormente cura dei loro bisogni ed interessi e che dovrebbe favorire il più possibile la realizzazione di una uguaglianza più concreta tra i cittadini. Certo, è implicita nella proposta di Lockwood l'idea che, vendendo i loro organi, i cittadini più poveri potranno trarne un beneficio immediato. Come dice ad esempio Scarpelli, bisogna tener conto che "Ove per taluno l'indigenza sia ancor più penosa della persista di un occhio o di un rene, vendere un occhio o un rene può accrescere piuttosto che diminuire la sua felicità (o, meglio, accorciare di un poco la sua grande distanza dalla felicità)" (U. Scarpelli, Bioetica laica, Baldini & Castoldi, Milano, 1998, p. 151). Ma perché si deve pensare che per promuovere il benessere delle persone meno avvantaggiate lo Stato non abbia altro mezzo che quello di imporsi come monopolio nella compravendita degli organi? A favore della libertà di vendita del proprio corpo è anche la filosofa australiana Helga Kuhse. Ella ha affermato che se si ammette il lavoro salariato, che è vendita di forza-lavoro, se si tollera la prostituzione che è affitto del proprio corpo, se si pratica la sperimentazione a pagamento sui farmaci, allora non c'è alcuna ragione per biasimare o vietare la compravendita di organi. C'è da dire, però, che l'analogia della Kuhse risulta estremamente debole: mentre infatti nella vendita della propria forza-lavoro e nella cessione del proprio corpo ai fini della prostituzione o della sperimentazione ci si trova in una situazione in cui il soggetto può sempre riacquistare interamente la propria integrità, nel caso della vendita del proprio corpo ci si trova in presenza di danni irreversibili. C'è, ad ogni modo, un'altra questione morale che in genere emerge in relazione agli omotrapianti ed ai problemi che finora abbiamo trattato. Ci sono situazioni, infatti, in cui, data tra l'altro l'assenza di un donatore compatibile, per curare il proprio figlio ai genitori non sembra restare altra scelta che quella di far nascere un altro bambino (questo vale soprattutto per il trapianto di midollo osseo). Ora, si può affermare che questo bambino, che nasce soprattutto per assicurare al fratello un trapianto di cui altrimenti non potrebbe disporre, viene trattato semplicemente come mezzo e che quindi, da un punto di vista morale, i genitori sbagliano a metterlo al mondo? E se il giudizio morale arriva a questa conclusione, si dovrebbe allora vietare il trapianto di organo quando questo viene prelevato da un minore che non ha la capacità di intendere e di volere? La situazione sembra per certi versi portare ad una risposta affermativa. Se infatti abbiamo negato che le persone possano disporre come vogliono del loro corpo e dei propri organi, ne consegue che questo divieto vale maggiormente quando la scelta di donare un organo è fatta da una persona altra da quella che di fatto ha quell'organo e quando quest'ultima non può nemmeno esprimere il proprio consenso. La legislazione italiana vieta espressamente la donazione di rene, mentre la donazione di cellule o tessuti - nei limiti indicati dalla legge n. 107/90 - è ammessa previo consenso di chi esercita la potestà del figlio. Anche su questo versante, però, la disciplina vigente non sempre considerare adeguatamente il problema della rilevanza della volontà del minore, adolescente maturo, eventualmente in contrasto con quella dei suoi genitori. Né quello di un possibile abuso del minore da parte dei genitori. Comunque, se si considera il minore ricevente è opinione diffusa che il trapianto vada considerato alla stregua di ogni altro trattamento sanitario e che perciò siano applicabili ad esso le regole relative alla potestà dei genitori. Ritorneremo, comunque, sulla questione più avanti. Gli eterotrapianti sono spesso presentati come i trapianti del futuro ed essi, come abbiamo sopra accennato, riguardano i trapianti tra individui di specie diverse: in particolare dagli animali all'essere umano. Attualmente si usano parti di animali per alcune pratiche mediche: gli intestini di pecora nelle suture chirurgiche, le ossa e i tendini di mucca per sostituire quelli dell'uomo (quando ad esempio sono danneggiati in incidenti), le valvole cardiache dei maiali per sostituire quelle umane difettose o non più funzionanti. Se tutto ciò fa parte ormai della routine, non è così per i trapianti di organi solidi da animale a essere umano. Il problema in tal caso sembra essere soprattutto di ordine tecnico: l'organo animale trapiantato sull'essere umano, di fatto, è inevitabilmente espulso o rigettato dal corpo di questo. Il problema, però, può essere anche di carattere morale. Può essere detto, infatti, che l'introduzione di un organo animale nel corpo umano può produrre alterazioni della personalità e che quindi è ripugnante servirsene. Per quanto attiene a quest'ultima considerazione, la tesi, che è stata avanzata soprattutto riguardo al trapianto di cuore, non tiene conto che gli organi non sono la sede dei sentimenti e delle emozioni e che essi svolgono una funzione essenzialmente

7 esecutiva. D'altra parte, in genere le persone sono pronte a subire un trapianto di organo animale pur di sopravvivere. Per quel che concerne invece il primo problema, negli ultimi anni il rigetto degli organi animali è stato significativamente ridotto con l'uso di medicinali e sembra ormai che possa essere del tutto superato con la creazione di animali modificati nei loro geni in maniera tale che i loro organi non possano essere più riconosciuti come organi estranei dal corpo umano. Con ciò, tuttavia, i problemi non scompaiono; si aprono invece ulteriori questioni che non possono essere trascurate. Innanzi tutto, c'è da chiedersi quale diritto abbiamo noi, esseri umani, di servirci degli animali come semplici oggetti. Ovvero fino a che punto abbiamo il diritto di abusare di loro e di cambiare la loro natura per raggiungere i nostri scopi e massimizzare il nostro benessere. C'è da chiedersi poi a quali pericoli e rischi ci esponiamo ed esponiamo le generazioni future modificando nella loro essenza genica gli animali. Secondo alcuni autori, infine, con gli eterotrapianti aumenta il rischio di trasmissione di virus animali agli esseri umani, per cui trapianti di quel genere non soltanto comportano un maltrattamento per gli esseri animali, ma non vanno nemmeno incontro agli interessi degli esseri umani e non massimizzano il loro benessere. Gli isotrapianti ovvero i trapianti effettuati tra individui geneticamente identici oltre a far sorgere quelle questioni relative al tipo di consenso che un minore può dare quando il gemello o la gemella ha bisogno di un organo, di un tessuto o di una sostanza che non è rigenerabile, fanno nascere oggi particolari e nuove questioni morali. Dato che è immaginabile che la tecnica di clonazione potrà essere applicata in futuro anche agli esseri umani, per ognuno di noi sarà di fatto possibile creare dal nucleo di una sua cellula somatica un individuo geneticamente identico. Senza dubbio, le regole del consenso che valgono al presente per i minori saranno estese anche per proteggere le persone che nascono attraverso un processo di clonazione. Se, però, l'embrione non viene fatto sviluppare o fatto nascere, allora ognuno di noi potrà avere delle cellule e degli organi (geneticamente uguali ai propri) che, sebbene non ancora sviluppati, potrebbero essere usati con profitto e con successo in alcuni casi particolari (per esempio trapianto delle ghiandole genitali o delle cellule staminali per i malati affetti da una distruzione delle cellule cerebrali). Evidentemente qui comunque il problema verte sullo statuto morale dell'embrione, per cui in questa sede non ce ne occuperemo. 5. Organi artificiali Anche in questo campo sono già in uso molti sostegni alla salute dell'essere umano. Ci sono impianti di routine riguardanti le valvole cardiache di plastica, i pacemaker, gli impianti di silicone di vario genere, e inoltre si lavora per l'occhio artificiale, formato da telecamere miniaturizzate, collegato alla corteccia cerebrale. La stessa pratica della dialisi fa parte degli organi artificiali. A prima vista la consideriamo una terapia ospedaliera, ma si tratta di una terapia eseguita da un rene artificiale. "Per quanto riguarda gli organi interni, il progetto più avanzato è quello del cuore artificiale. Dal punto di vista ingegneristico molti problemi sono stati risolti e si va speditamente verso la soluzione del problema tecnico delle dimensioni delle pile che devono alimentare l'organo. Resta ancora irrisolto il grave problema delle infezioni croniche e degli ictus che colpiscono i pazienti trapiantati. Per questo motivo, anche l'innesto di un cuore artificiale è al momento solo una soluzione ponte, in vista di un trapianto di organo umano. Dal punto di vista etico si pongono problemi relativi all'alto grado di rischio che questo tipo di innesto comporta. Da non trascurare la sofferenza a cui sono sottoposti i pazienti, anche dopo l'impianto. Dati gli altissimi costi di questo genere di impianti, si pongono pure i problemi dell'eguaglianza nell'accesso alla terapia e la valutazione se le risorse impegnate siano ben spese" (M. Aramini, S. Di Nauta, Etica dei trapianti di organi, Ed. Paoline, Milano, 1998, p. 135). 6. La legislazione italiana I codici civili Zanardelli e Rocco vietavano qualsivoglia attentato all'integrità del corpo di persona vivente o già cadavere. La prima legge italiana sui trapianti è quella del 3 aprile 1957, n. 235 che autorizza il prelievo da cadavere delle cornee e del bulbo oculare, se il soggetto ne aveva dato l'autorizzazione. L'art. 2

8 dice: "E' ammesso il prelievo a scopo terapeutico della cornea, del bulbo e di quelle parti di cadavere che saranno specificate da apposito regolamento di esecuzione della presente legge ". La legge è stata aggiornata con il D.P.R. del 20 gennaio 1961 che ha esteso la possibilità di prelievo ad altre parti di cadavere. L'art. 1, infatti, le specifica: esse sono: "1) bulbo oculare, sue parti e connessi; 2) ossa e superfici articolari; 3) muscoli e tendini; 4) vasi sanguigni; 5) sangue; 6) nervi; 7) cute; 8) midollo osseo; 9) aponeurosi; 10) dura madre. La legge del 26 giugno 1967, n. 456 introduce la liceità del prelievo da vivente a scopo terapeutico, limitandolo comunque solo al rene e stabilendo rigidamente la gratuità (art.6) dell'atto di cessione del rene. L'art. 1 dice: "In deroga al divieto di cui all'art. 5 del Codice Civile, è ammesso disporre a titolo gratuito del rene al fine di trapianto tra persone viventi ( ) Solo nel caso che il paziente non abbia i consanguinei di cui al precedente comma o nessuno di essi sia idoneo o disponibile, la deroga può essere consentita per altri parenti e per donatori estranei". Come si vede la legge è una deroga all'art. 5 del Codice Civile che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo, quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume: ma anche l'attuazione di questa legge è stata fortemente limitata dalla mancata emanazione del regolamento esecutivo. La legge prevede che siano soltanto gli istituti universitari a eseguire il trapianto. Ad ogni modo, dall'articolo 5 del Codice Civile e dalla legge del 26 giugno 1967 si possono dedurre le seguenti regole: 1) la liceità dei prelievi dei tessuti; 2) illiceità assoluta del prelievo di organi essenziali dispari; 3) illiceità di regola dei prelievi di organi pari, salvo il rene. Nell'articolo 2 della legge del 1967 si afferma altresì che il donatore deve essere: maggiorenne, in grado di intendere e di volere, a conoscenza dei limiti della terapia del trapianto di rene, consapevole delle conseguenze personali, ed avere espresso un consenso informato ed esplicito. E si aggiunge in un articolo successivo che l'atto della donazione deve essere a titolo gratuito, del tutto libero, sempre revocabile e non deve far sorgere alcun diritto da esibire presso il ricevente: "il trapianto del rene legittimamente prelevato e destinato ad un determinato paziente non può aver luogo senza il consenso di questi o in assenza di uno stato di necessità" (art. 4). La legge del 2 aprile 1968, n. 519 permetteva il prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto durante il corso dell'autopsia, tranne che il defunto si fosse chiaramente espresso contro di esso. Le sedi di prelievo vengono ampliate, aggiungendo alle sedi universitarie gli ospedali civili e militari, gli istituti di cura e gli obitori. La legge del 2 dicembre 1975, n. 644 dal titolo Disciplina dei prelievi di parte di cadavere a scopo di trapianto terapeutico e norme sul prelievo dell'ipofisi da cadavere a scopo di produzione di estratti per uso terapeutico è una legge molto importante perché con essa vengono autorizzati i trapianti di tutte le parti del corpo ad eccezione delle gonadi e dell'encefalo. Negli articoli 3 e 4 viene introdotto un doppio criterio per l'accertamento di morte: quello cardiaco e quello cerebrale, accertabile quest'ultimo dall'assenza della respirazione spontanea per due minuti prima di quella artificiale; e dall'assenza dell'attività elettrica cerebrale, spontanea e provocata. Il criterio cardiaco di morte è raccomandato per le morti comuni, in caso o in ospedale. Quello cerebrale per i decessi in rianimazione. Il cadavere deve rimanere in stato di osservazione post mortem per 12 ore (oggi questo tempo è stato ridotto a 6 ore per gli adulti, 12 per i bambini, 24 per i neonati) e l'accertamento deve essere eseguito da una commissione di tre medici, diversi da quelli che eseguiranno l'espianto e il trapianto. La legge regola la questione del consenso stabilendo che il prelievo di organi non è possibile nel caso in cui vi fosse un esplicito dissenso, espresso in vita dal defunto o espresso post mortem e in forma scritta dai parenti fino al secondo grado. La prassi effettiva non domanda comunque ai parenti se si oppongono al prelievo, ma se essi intendono autorizzare l'intervento. (Il regolamento attuativo di questa legge è nel D.P.R n. 409). La legge del 12 agosto 1993, n. 301, - che semplifica le procedure per il prelievo e l'innesto di cornea - perciò, non fa altro che codificare la prassi. Essa afferma, però, che il prelievo da cadavere è consentito quando si sia ottenuto l'assenso del coniuge non legalmente separato, oppure dei figli se di età non inferiore a 18 anni oppure dei genitori. Non si può procedere al prelievo, comunque, se il soggetto deceduto si sia espresso per iscritto contro l'espianto. Il contrasto tra le disposizioni del 1975 e queste è palese. E' davvero singolare, per altro, che in un periodo in cui si stanno intensificando gli sforzi per uniformare e semplificare le disposizioni in materia di consenso, il legislatore metta nelle mani dei familiari una decisione che, in vita, sarebbe spettata al de cuius. E che, mentre per il trapianto di organi da cadavere sufficientemente il mancato diniego del soggetto al prelievo (o il

9 mancato rifiuto dei familiari), per il trapianto di cornee occorre invece l'esplicito assenso del coniuge o dei parenti più stretti. La legge prevede, poi, che si usino i criteri cardiaci per l'accertamento della morte. La legge del 29 dicembre 1993, n. 578 tratta le norme per l'accertamento e la certificazione della morte cerebrale. La morte è caratterizzata con la perdita totale e irreversibile delle funzioni cerebrali. Il suo accertamento deve prescindere dalla possibilità del prelievo di organi. Il 30 novembre 1995 il Senato ha approvato una nuova legge sulla donazione di organi, legge che ora è stata approvata anche alla Camera. In senato, l'approvazione è stata unanime con l'eccezione dei leghisti che hanno lasciato ai senatori libertà di coscienza. Il consenso viene sollecitato attraverso l'invio da parte delle ASL di un formulario relativo alla dichiarazione di volontà. In particolare si afferma che "la mancata espressione della manifestazione della volontà, rilevata dall'assenza di qualsiasi annotazione sulla tessera sanitaria, equivale ad assenso alla donazione di organi, tessuti e cellule successivamente al decesso". Il testo valorizza, quindi, la scelta autonoma del soggetto, ed elimina il ruolo dei familiari, che risulta essere in genere un freno alla donazione. Sicuramente, comunque, il consenso dei familiari è richiesto in caso di minori o incapaci. A tal riguardo, il testo di legge del senatore Provera, presentato il 9 maggio 1996, prevede che "nel caso in cui non risulti che il soggetto di cui si accerti la morte abbia attestato la volontà di donare o meno gli organi, ai sensi della presente legge, non si potrà prelevare alcun organo dal suo cadavere". A tal riguardo, c'è da dire che la Lega Nazionale contro la Predazione degli Organi lavora per difendere il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona che con questa legge, ad avviso dei suoi membri, sarebbe violato. La Lega, perciò, si sente vicino alla normativa inglese, che prevede, per l'espianto di organi, la donazione esplicita del soggetto, attestata dalla donor-card, e dalla non opposizione dei parenti. La Lega, poi, distingue tra morte cerebrale e morte vera, e afferma che la morte cerebrale non coincide con la morte e che essa non sarebbe altro che una finzione per rubare gli organi ai pazienti. 7. La legislazione europea La Raccomandazione 78/29 approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'europa l'11 maggio 1978, contiene una serie di norme, di definizioni e di raccomandazioni agli Stati membri al fine di uniformare le legislazioni nazionali. In particolare, viene raccomandato agli Stati di adottare il consenso presunto. Questa posizione - prassi già in 13 Paesi su 21 - è stata confermata dalla Conferenza dei Ministri europei della Sanità di Parigi del novembre 1987 sulla base che il cadavere non può essere più considerato portatore di diritti, sebbene meriti ancora rispetto in conformità al contesto socio-culturale, alle tradizioni, agli orientamenti filosofici e alle fedi religiose delle persone. In tale prospettiva, quindi, l'interesse della comunità prevale su quello del cadavere. Per gli espianti è richiesto l'esplicito consenso: in Belgio per gli stranieri; a Cipro per la donazione della cornea; in Germania ci vuole il consenso scritto o, in assenza di questo, il consenso di un parente prossimo; anche nei Paesi Bassi e in Svezia ci vuole il consenso scritto, o in assenza il consenso della famiglia. La non opposizione o consenso presunto vale invece: in Austria, in Danimarca, in Norvegia, in Portogallo, in Spagna, in Svizzera, in Belgio per i cittadini belgi; in Francia la famiglia può provare l'opposizione all'espinato del defunto; in Grecia, anche se non sempre l'assenza di opposizione è considerata come consenso presunto; in Lussemburgo l'opposizione deve essere scritta. Non si tiene conto dell'opinione dei familiari in Austria, Francia, Belgio, Gran Bretagna (sempre salvo per i minorenni). L'opinione dei familiari ha valore in Danimarca, Cipro, Grecia, Norvegia, Svizzera, Turchia (dove però non è prevalente). In Germania e Finlandia conta se il donatore non ha espresso il consenso in vita. Irlanda, Olanda, Spagna, Svezia: in questi Paesi l'opinione dei familiari è prevalente; in Irlanda addirittura prevale sul consenso esplicito del defunto. Per quanto riguarda i trapianti da viventi, il documento più importante della Comunità Europea è la Convenzione per la protezione dei diritti umani e la biomedicina, in particolare gli articoli 19 e 20, approvata dal Consiglio dei Ministri il 19 novembre L'articolo 19 precisa che "Il prelievo di organi o tessuti a fini di trapianto non può essere effettuato su un donatore vivente che nell'interesse terapeutico del ricevente e allorché non si disponga di organo o di tessuto appropriati di una

10 persona deceduta né di metodo terapeutico alternativo di efficacia paragonabile. Il consenso ( ) deve essere dato espressamente e specificamente, sia per iscritto sia davanti a un organo ufficiale". L'articolo 20 tutela, invece, le persone incapaci di consentire al prelievo d'organo: "Nessun prelievo d'organo o di tessuto può essere effettuato su una persona che non ha la capacità di consentire ( ). A titolo eccezionale e nelle condizioni di tutela previste dalla legge, il prelievo di tessuti rigenerabili da una persona che non ha la capacità di consentire può essere autorizzato se le condizioni sono le seguenti: i) non si dispone di un donatore compatibile che goda della capacità di consentire; ii) il ricevente è un fratello o una sorella del donatore; iii) la donazione deve essere di natura tale da preservare la vita del ricevente; iv) l'autorizzazione ( ) è stata data specificamente e per iscritto (dal rappresentante legale); v) il potenziale donatore non oppone rifiuto". L'articolo 21 infine si occupa di stabilire delle regole precise riguardo al rapporto tra donatore e ricevente di organo. In particolare, si afferma che il corpo umano e le sue parti non devono essere, in quanto tali, fonte di profitto. Un'ultima precisazione va fatta riguardo agli organi che possono essere trapiantati. Come abbiamo detto, la legislazione italiana vieta il trapianto di gonadi e di cervello. Ebbene, nel testo originario della Convenzione per la protezione dei diritti umani e la biomedicina era presente la seguente statuizione: "Ai sensi di questo capitolo, l'espressione prelievo di organo si estende al prelievo di organi o tessuti a fini di trapianto o di innesto, ad esclusione delle ovaie, dei testicoli e delle cellule riproduttrici. Non si applica alla trasfusione sanguigna". Tuttavia, nel corso della discussione in aula essa fu eliminata ed ora l'articolo 18 non contiene più alcun espresso divieto alla donazione di ghiandole genitali. Dato, perciò, che l'italia è stata uno dei primi firmatari di questa Convenzione, c'è da aspettarsi che nel nostro Paese verrà presto approvata una legge che recepisca questa nuova norma. E' chiaro che questo cambiamento fa sorgere nuove questioni morali. Innanzi tutto, la questione di chi debba essere considerato il padre del bambino che nasce a seguito del trapianto delle ghiandole genitali. Nel caso delle ghiandole genitali maschili, infatti, gli spermatozoi che verranno prodotti dopo il trapianto avranno lo stesso codice genetico della persona che le ha donate. La situazione sembra, ad ogni modo, poter essere inquadrata all'interno delle norme che ormai regolano la fecondazione assistita. La Corte Costituzionale italiana, nello specifico, ha sancito che deve essere considerato padre a tutti gli effetti la persona che ha dato il suo consenso alla fecondazione assistita eterologa ovvero alla fecondazione con l'uso di un gamete all'esterno alla coppia e non la persona che è legata biologicamente a quel gamete. Può essere detto, perciò, che in base alle attuali norme giuridiche, il bambino che nasce da persona che ha subito un trapianto di gonadi potrà e dovrà essere considerato a tutti gli effetti figlio di questa. Il prelievo di ghiandole genitali, però, può essere effettuato anche dagli embrioni. L'Italia non ha ancora una legge sulla fecondazione assistita e sull'uso degli embrioni. Nel nostro Paese, quindi, almeno nei centri privati dove non si applicano le direttive del Ministro della Sanità, il prelievo ed il trapianto di ghiandole genitali da un embrione ad un individuo adulto possono essere praticati senza commettere alcun illecito o reato. 8. Il criterio di morte L'espianto di organi avviene in genere da cadaveri. Ma quando possiamo considerare morta una persona? Fino a poco tempo fa, come terminale della vita umana era considerato l'ultimo battito del cuore: si riteneva cioè che la morte avesse luogo quando il cuore avesse cessato di battere. L'interruzione dell'attività cardiaca, del resto, provoca istantaneamente la perdita della coscienza ed il collasso degli altri sistemi organici. Nel 1968, però, la Commissione di Harvard pubblicò sul Journal of the American Medical Association la propria definizione di morte, legata all'esaurimento di tutte le funzioni del cervello, e questa venne presto assunta dalla legislazione americana e da quella della maggior parte degli stati occidentali (inclusa quella italiana). A tal riguardo, fa eccezione il Giappone che assume ancora come criterio di morte la cessazione del battito cardiaco. Quando si parla di tutte le funzioni del cervello si fa riferimento evidentemente alle funzione del cervello che presiedono alle facoltà intellettive e di coscienza, ed a quelle che presiedono alle funzioni fisiologiche dell'organismo e che possono perdurare anche una volta che le funzioni del

11 cervello superiore (corteccia cerebrale) siano venute a mancare. Ciò implica che, in base al criterio di morte di Harvard, sia ha la morte quando oltre alla morte cerebrale sia avvenuta anche la morte corticale. L'introduzione del nuovo criterio di morte è senza dubbio legata al parziale successo dei primi trapianti di cuore. Come suggerisce Singer, la Commissione di Harvard, diede voce alle nuove possibilità della scienza medica: di fronte a corsie d'ospedali piene di corpi senza coscienza (e senza speranza di riacquistarla) tenuti in vita artificialmente (in cui il cuore quindi veniva fatto pulsare grazie all'ausilio di macchine che pompavano ossigeno nei polmoni), la Commissione trovò un criterio per giustificare l'espianto da questi pazienti di cuore ed altri organi, garantendo in tal modo la vita (biografica) ad altri esseri umani. Certo, da tempo si facevano trapianti di reni, ma questi non ponevano nessun problema particolare che implicasse la nozione di morte: i reni possono essere espiantati dal corpo del donatore quando il cuore ha cessato di battere. Per il trapianto del cuore le cose non stanno così: se si aspetta che abbia cessato di battere, si rischia di poterne disporre quando è ormai danneggiato. Allora anziché un peso sempre più difficilmente tollerabile per le risorse degli ospedali, i pazienti in stato di incoscienza permanente potevano diventare un mezzo per salvare altre vite. Con la vecchia definizione di morte, rimuovere il cuore di un paziente vivo significava ucciderlo. Il nuovo criterio di morte, invece, permetteva l'espianto nel momento in cui si fosse accertata la cessazione di tutte le funzioni del cervello, ed anche se il cuore poteva essere ancora fatto pulsare per mezzo di macchine. Se, comunque, Singer sottolinea la prospettiva morale ( salviamo quelli che possono avere uncora una vita biografica, e lasciamo morire quelli che hanno solo una vita biologica ) implicita nel criterio di morte avanzato dalla Commisione di Harvard, secondo altri autori il nuovo criterio di morte non sarebbe altro che un criterio per accertare meglio (in maniera più oggettiva) la morte, e non farebbe quindi riferimento ad una particolare concezione morale. Anche l'accademia Pontificia delle Scienze riconosce il momento della morte nella cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo, anche se il cuore continua a battere con l'ausilio di macchine. Prolungare la vita di un paziente con elettroencefalogramma silente e con segni di morte delle zone interne dell'encefalo che coordinano le funzioni organiche, non solo - dice l'accademia - sarebbe un'offesa al morente e alla sua morte, ma anche un inganno ai danni dei suoi parenti. 9. La legislazione italiana sulle parti distaccate dal corpo Come abbiamo visto, la legislazione italiana vieta la vendita degli organi e delle parti o sostanze del corpo umano. Per la legge, tuttavia, le cose cambiano una volta che le parti vengano distaccate dal corpo umano. Quando ciò accade (soprattutto a seguito di un intervento chirurgico), la parte è ridotta a stato di cosa. Fino a non molti anni fa, si assumeva che le parti distaccate fossero oggetto di diritto di proprietà di colui dal cui corpo si sono distaccate e che, perciò, potessero essere anche oggetto di negozi giuridici. Ancora fino a qualche decennio fa, ad esempio, il contratto di baliatico autorizzava la vendita retribuita di latte materno. Attualmente, invece, si tende a precisare che mentre alcune parti sono extra commercium, la commerciabilità di altre è solitamente ammessa. In particolare, capelli e unghie sono considerati vendibili; al contrario, tenendo conto dell'espandersi degli interessi di mercato su tali materiali, si tende a vietare la raccolta e la cessione, per il successivo impiego a fini produttivi, di placenta, urine, e altri materiali biologici (Decreto Legislativo , n. 161, disposizioni urgenti in materia di sperimentazione e utilizzazione dei medicinali, reiterato con Decreto Legislativo n. 291 e successivamente decaduto). D'altra parte, la Convenzione sui diritti dell'uomo e della biomedicina del 19 novembre 1996 dice all'articolo 21 che "Il corpo umano e le sue parti non devono essere, in quanto tali forme di profitto" e all'articolo 22 che "Qualora una parte del corpo umano sia stata prelevata nel corso di un intervento, questa non può essere conservata e utilizzata per uno scopo diverso da quello per il quale sia stata prelevata, tranne che conformemente alle procedure di informazione e di consenso adeguate". Comunque, per il sangue è ammessa la vendita non solo negli Stati Uniti ma anche in Germania, in Austria, in Svezia, nella maggioranza dei Paesi dell'est europeo. In Francia il latte e i capelli, che sono considerati elementi periferici, insensibili e immediatamente rigenerabili, possono essere oggetto di vendita con l'unica salvaguardia, per il latte, che ciò non può avvenire a danno del

12 bambino nato dalla nutrice. Il caso di parti corporee distaccate in occasione di eventi fisiologici oppure patologici, è anch'esso oggetto di norme diverse e controverse. 10. Le associazioni che si dedicano alla cultura della donazione L'AVIS è l'associazione Volontari Italiani Sangue. La donazione di sangue è estremamente facile ma anche in questo campo essa è inferiore al fabbisogno. A causa di questa insufficienza siamo costretti ad importare dall'estero il sangue mancante. La non autosufficienza comporta costi elevati e abbassa a volta anche la qualità del sangue di cui si dispone. L'AIDO è l'associazione Italiana Donatori di Organi. Essa si occupa, in particolare, oltre che all'informazione sulla realtà dei trapianti e alla promozione di un dibattito che aiuti il superamento delle paure, alla raccolta delle dichiarazioni di dono. Da quando anche in Italia si effettua il trapianto di midollo osseo, è attiva l'admo: Associazione Donatori di Midollo Osseo. La peculiarità dell'admo è il lavoro svolto per arricchire il registro dei donatori. Per diventare donatori di midollo osseo è necessario sottoporsi al prelievo di un campione di sangue e firmare l'adesione presso il registro, con la quale si dà la propria disponibilià a donare il midollo nel caso in cui ce ne fosse bisogno. Il fatto che la donazione possa essere richiesta molto tempo dopo che si è fatta la dichiarazione, fa sorgere comunque dei problemi, in quanto a volte i potenziali donatori dopo molto tempo non sono più disposti a donare il midollo. Dal 1998, il Centro Trapianti di Midollo Osseo del policlinico di Milano è in collegamento con la banca dati degli USA, per cui il bacino dei potenziali donatori si è allargato.

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