RASSEGNA STAMPA di giovedì 20 novembre 2014 SOMMARIO

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1 RASSEGNA STAMPA di giovedì 20 novembre 2014 SOMMARIO Qualcuno pensa che la santità è chiudere gli occhi e fare la faccia da immaginetta. No! Non è questo la santità! La santità è qualcosa di più grande, di più profondo che ci dà Dio. Anzi, è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi. E ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova. Ma tu sei consacrato, sei consacrata? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione e il tuo ministero. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un battezzato non sposato? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro e offrendo del tempo al servizio dei fratelli... Sempre in ogni posto si può diventare santo, cioè ci si può aprire a questa grazia che ci lavora dentro e ci porta alla santità. Sei genitore o nonno? Sii santo insegnando con passione ai figli o ai nipoti a conoscere e a seguire Gesù... Sei catechista, educatore o volontario? Sii santo diventando segno visibile dell amore di Dio e della sua presenza accanto a noi. Ecco: ogni stato di vita porta alla santità, sempre! A casa tua, sulla strada, al lavoro, in Chiesa, in quel momento e nel tuo stato di vita è stata aperta la strada verso la santità. Non scoraggiatevi di andare su questa strada. È proprio Dio che ci dà la grazia. Solo questo chiede il Signore: che noi siamo in comunione con Lui e al servizio dei fratelli : è un passaggio della catechesi svolta ieri da Papa Francesco (testo integrale qui in Rassegna). E su Avvenire di oggi Paola Bignardi commenta così le parole del Papa: Dell udienza generale di ieri ci ricorderemo sempre la «faccia da immaginette», simbolo di una santità da fenomeni speciali, da penitenze eroiche, da scelte straordinarie ed eccezionali. Richiamandosi all insegnamento del Concilio, Papa Francesco ha voluto ricordare che la santità è semplicemente altra cosa rispetto a questo cliché d altri tempi, che essa è dono e chiamata possibile e compatibile con la vita delle persone normali: quelle che hanno un lavoro comune, una famiglia come tante, un esistenza carica di fatiche, di gioie, di preoccupazioni, di gesti ordinari che si ripetono ogni giorno uguali a se stessi Molte giornate sono apparentemente fatte di nulla: di gesti che si ripetono sempre uguali, di incontri, tentazioni, relazioni gioie di cui non riusciamo a sentire più il sapore, preoccupazioni che sembrano schiacciarci, sofferenze che ci pare di non essere in grado di portare. Allora è il momento di rientrare in se stessi e di cercare il senso di tutto nella profondità della coscienza, là dove avviene il nostro incontro con il Signore. Cammineremo sulla via della santità se riusciremo a trovare che ogni gesto, anche quelli di cui nemmeno ci siamo accorti, era tenuto insieme dal filo dell amore, dal desiderio di dare gioia, dalla scelta di non mettere noi stessi al centro. Nelle giornate sempre uguali chi ha coltivato il senso dell amore e custodito dentro di sé l Amore può scoprire la novità sorprendente e appagante che ogni istante reca con sé. Il richiamo a una santità quotidiana ci invita a ripensare la nostra idea della vita cristiana: che è quella che non sta ad aspettare la grande occasione, o l evento straordinario. Una vita cristiana da santi dipende dal modo con cui dentro di noi e nelle nostre scelte quotidiane siamo in grado di far incontrare il Vangelo e la semplicità della nostra esistenza, riuscendo a far scoccare dentro la vita la scintilla di grazia, di bene, di grandezza che essa racchiude. Le scintille si vedono, e parlano della bellezza della vita, dono comune a noi e a ogni essere umano. Ma tutto questo non si improvvisa. Occorre essere persone non superficiali, che nel tempo hanno imparato a riconoscere il valore del esistenza a partire dalla profondità, rifiutando l illusione dell immagine, la suggestione del ruolo, la lusinga delle grandi occasioni. La via della santità è tanto semplice quanto severa: richiede cristiani che sanno pensare l esistenza a partire dal Vangelo, che lo frequentano ogni giorno, come papa Francesco ci ha suggerito anche la scorsa domenica, che scoprono nel silenzio la sua bellezza straordinaria e la forza con cui esso trasforma il modo di guardare l esistenza. Richiede ancora che si vada all Eucaristia della domenica per accogliere quella riserva di amore di cui ha bisogno

2 la nostra settimana per svilupparsi nella stessa logica: quella del Signore che ha amato 'fino in fondo'. Con questa consapevolezza, potremo scoprire con gioia che attorno a noi c è più santità di quanta crediamo: è quella vita buona, vissuta con dedizione e con onestà, di cui tante persone danno testimonianza, contribuendo a tessere il tessuto forte della nostra società. E così si potrà vedere che la santità non è un fatto privato o intimista, ma che veramente costruisce il mondo (a.p.) 1 IL PATRIARCA LA NUOVA Pag 19 Madonna della Salute, il Patriarca ai politici: Fate il bene comune di Nadia De Lazzari All inaugurazione del Ponte votivo, Moraglia ha sottolineato: La crisi economica non diventi anche crisi sociale. Festa tra sacro e profano, ecco tutte le celebrazioni CORRIERE DEL VENETO Pag 8 Salute, benedizione per chi amministra di Elisa Lorenzini Ieri il patriarca ha aperto il ponte votivo e ha fatto ingresso in Basilica IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag VI Salute, Moraglia apre il Ponte Votivo ai pellegrini Domani (in realtà oggi a.p.) la processione con i giovani, venerdì la messa solenne in basilica. Il programma di Mestre e Marghera 2 DIOCESI E PARROCCHIE LA NUOVA Pag 26 Festa a Catene per la Madonna di ma.to. Si parte oggi con l Infiorata, domani ci sarà il patriarca Moraglia 3 VITA DELLA CHIESA L OSSERVATORE ROMANO Pag 6 È il tempo di osare l unità di fratel Alois Cristiani sotto uno stesso tetto Pag 8 A piccoli passi All udienza generale Francesco parla della vocazione alla santità che accomuna tutti i cristiani. Come la signora al mercato che rinuncia alle chiacchiere e il papà che si ferma ad ascoltare il figlio AVVENIRE Pag 3 Sì, la santità ci riguarda di Paola Bignardi La parola del Papa, la nostra ordinaria vita Pag 16 Santo il vescovo Farina. Tutta la vita per i poveri di Romina Gobbo Sarà canonizzato domenica in piazza San Pietro CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Minacce e droni, i timori per il Papa di Massimo Franco Il rischio di azioni di lupi solitari che si ispirano all Isis Pag 3 Bergoglio al lavoro per preparare il prossimo Sinodo di Gian Guido Vecchi IL FOGLIO Pag 2 Perché (e quando) B-XVI ha cambiato idea sull ostia ai divorziati risposati di Matteo Matzuzzi

3 Pag I Il gran silenzio dopo il Sinodo di Juan José Pérez-Soba La rimozione dell attacco ideologico contro la famiglia, problema principale di questi tempi Quando Ratzinger disse sì alla comunione ai divorziati risposati di Andrea Tornielli Nel 1972, cinque anni prima di diventare cardinale, mentre insegnava a Ratisbona, si espresse in un saggio teologico in modo aperturista. Ora in un volume della sua opera omnia in uscita in Germania, ha deciso di ritrattare quella proposta 5 FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO AVVENIRE Pag 3 Reputazione liquida, la sfida delle imprese sull etica di Andrea Di Turi Il ruolo dei consumatori attivi nell era dei social media. Le campagne sociali virtuose e i danni da false accuse LA NUOVA Pag 12 Persi 9 mila posti di lavoro, 94 mila dall inizio della crisi di Eleonora Vallin Pag 23 Un esercito di oltre 11 mila disoccupati di Gianni Favarato I dati raccolti dall amministrazione provinciale confermano che la crisi economica continua a mietere molte vittime. A rischio tutti i nove Centri per l Impiego 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA IL GAZZETTINO Pag 11 Venezia vuole i trolley con le rotelle a posto di Maurizio Dianese Il commissario straordinario intenzionato ad approvare una nuova norma che regola i bagagli IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag IX Tari, la stangata s allarga agli oratori di Alvise Sperandio Dopo il caso delle suore di clausura molte parrocchie stanno ricevendo da Veritas maxibollette di pagamento. Chiesto un incontro urgente con Zappalorto LA NUOVA Pag 21 L Open day dei Patronati: No ai tagli di Gianni Favarato Scatta oggi la mobilitazione dei sindacati contro la riduzione dei soldi: Il cittadino rischia di doversi pagare il consulente. Lettera ai parlamentari veneziani: Non buttiamo via l esempio di buona amministrazione 8 VENETO / NORDEST AVVENIRE Pag 12 Materne, il Veneto si mobilita di Francesco Dal Mas Il nodo fondi IL GAZZETTINO Pag 15 Troppe spese, Coppola decaduta di Gianluca Amadori e Alda Vanzan L assessore fuori dal Consiglio. La campagna elettorale costata 100mila euro in più di quanto dichiarato Pag 16 Scuole paritarie, dalla Regione 42 milioni di Alda Vanzan Stanziati i fondi per il 2014 per asili e materne. Ma 5 milioni arrivano dal fondo sociale

4 CORRIERE DEL VENETO Pag 3 Paritarie, trovati 42 milioni. Ma la delibera è in ritardo di Ma.Bo. Palazzo Balbi stanzia il contributo 2014, l opposizione è molto critica sui tempi. E le scuole oggi consegnano simbolicamente le chiavi al prefetto di Venezia LA NUOVA Pag 26 Scuole paritarie, protesta contro i tagli per il 2015 di Alessandro Ragazzo 10 GENTE VENETA Tutti gli articoli segnalati di seguito sono pubblicati sul n. 44 di Gente Veneta in uscita sabato 22 novembre 2014: Pag 1 Tempo di alluvioni? No, di siccità di Giorgio Malavasi Pagg 1, 4 5 Il mondo è lo spazio di Venezia di Giorgio Malavasi, Paolo Fusco e Serena Spinazzi Lucchesi I forum di GV. Paolo Costa e Michele Bugliesi sul futuro della città: «Puntiamo sugli scambi, è il momento giusto. Giochiamocela con il pianeta, tra velocità e lentezza» Pag 3 Sostegno ai sacerdoti, un appello alla generosità di Serena Spinazzi Lucchesi Le offerte liberali coprono in minima parte il fabbisogno per il mantenimento dei sacerdoti, il resto viene dall otto per mille. A Venezia il dato delle offerte è appena in leggero calo e sempre di più sta prendendo piede il sistema dei raccoglitori nelle chiese Pag 9 Un adozione benedetta: anche a Venezia il rito di Paolo Fusco Tratto da una preghiera di benedizione della Chiesa ortodossa, sperimentato in altre diocesi, anche nel nostro Patriarcato si celebrerà un gesto che serve a ricordare come l accoglienza di un bambino è un fatto che riguarda tutta la comunità Pag 13 Adorazione perpetua: dopo 70 città arriva Venezia? di Giorgio Malavasi Sono già numerose le adesioni, da più parrocchie, per garantire l avvio della pratica nel centro storico. Ma per iniziare si attendono almeno 200 sì. Don Alberto Pacini: «Qui a Venezia avete una motivazione in più: quella di mostrare ai milioni di ospiti della città che c è una chiesa sempre aperta, con qualcuno sempre in dialogo con Dio» Pag 14 «Attraverso le cellule una Chiesa in uscita» di Paolo Fusco Inizia a S. Maria Goretti il 13 anno di adorazione perpetua: è uno dei frutti portati dal sistema delle Cellule di evangelizzazione. La fila per confessarsi, le messe gremite e i parrocchiani che si trasformano in evangelizzatori: così è cambiato il volto di una parrocchia grazie a un metodo inventato da un pastore evangelico e diffuso poi anche in Italia. E a Venezia... Pag 19 Il successo? Sta in un mix di competenze trasversali di Marco Monaco Un team di Ca Foscari studia la storia di una quarantina di imprese e sta arrivando alla conferma di un ipotesi: per fare economia buona servono empatia, capacità di controllo, tenacia, intelligenza emotiva... Talenti che non si misurano e difficilmente si imparano, ma che fanno la differenza tra gli imprenditori Pag 21 Cavallari, 100 anni fa di mons. Giuseppe Camilotto Il 24 novembre di un secolo fa si spegneva il patriarca Aristide. Due volumetti firmati dalle pronipoti ne ricordano la figura. Papa Pio X lo stimava molto, al punto che lo volle suo successore a Venezia Insieme a GV esce Fuoridibanco, il supplemento dedicato all orientamento scolastico ed inoltre oggi segnaliamo

5 CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Tante speranze (quasi) tradite di Ernesto Galli della Loggia Una democrazia da rifondare Pag 16 Quei due popoli nemici intimi che amano gli stessi film di Khaled Diab LA REPUBBLICA Pag 1 La giustizia in polvere di Gad Lerner Pag 34 Quei bambini abbandonati dallo Stato italiano di Chiara Saraceno LA STAMPA Diritto senza giustizia di Michele Brambilla AVVENIRE Pag 1 Orecchio di guerra di Vittorio E. Parsi Gli Usa rimuovono il Datagate Pag 11 La legge è legge, ma stavolta è dura IL GAZZETTINO Pag 1 Se il sindacato smette di imparare dalle sconfitte di Oscar Giannino LA NUOVA Pag 1 I partiti che spingono al non-voto di Vincenzo Milanesi Torna al sommario 1 IL PATRIARCA LA NUOVA Pag 19 Madonna della Salute, il Patriarca ai politici: Fate il bene comune di Nadia De Lazzari All inaugurazione del Ponte votivo, Moraglia ha sottolineato: La crisi economica non diventi anche crisi sociale. Festa tra sacro e profano, ecco tutte le celebrazioni La Salute, festa di popolo, nata da un voto pronunciato il 28 ottobre 1630 in Basilica di San Marco. La Repubblica, colpita dalla pestilenza ( morti su residenti) volle erigere una chiesa dedicata a S. Maria della Salute. Fu il doge Nicolò Contarini a pronunciare il voto. «Vergine Madre se nel tuo nome venne fondata questa patria, se i nostri cuori furono sempre a te devoti, se tante prove ci desti di patrocinio, di protezione, esaudisci le nostre preci, ricevi le supplicazioni di un popolo sofferente».di Nadia De Lazzari Da ieri è iniziato il flusso dei pellegrini alla Basilica della Madonna della Salute, la più cara ai veneziani. Alle 12,30 si è svolta l inaugurazione del ponte votivo all altezza del traghetto tra Santa Maria del Giglio e San Gregorio alla presenza delle massime autorità. Il Patriarca Francesco Moraglia ha impartito la benedizione e il commissario straordinario Vittorio Zappalorto ha tagliato il nastro tricolore. Poi tutti si sono diretti verso la Salute. Ad accogliere autorità e fedeli il rettore del Seminario don Fabrizio Favaro. Varcato il portone d ingresso il Patriarca ha preso sottobraccio il commissario straordinario e la presidente della Provincia Zaccariotto. Li ha portati davanti all altare maggiore dove al centro è esposta l icona della Madonna Mesopanditissa. Mentre insieme attraversavano la Rotonda maggiore il presule ha affidato ad entrambi un compito: «Mi raccomando il bene comune». Quello del presule è stato un gesto semplice e forte, inaspettato ed eloquente. Un gesto che fa riflettere, amministratori e cittadini, perché il Patriarca vuol bene a Venezia. Nel suo cuore ci sono i veneziani, la Città e il suo futuro. Dopo una preghiera davanti alla Madonna il presule, nel presbiterio, si è rivolto alle autorità civili e militari. Per la prima volta, su invito del

6 Commissario straordinario, era presente il Metropolita d Italia e di Malta Gennadios Zervos della Cattedrale ortodossa di San Giorgio dei Greci che dal Comune avrà in concessione la chiesa dell ex Ospedale Umberto I a Mestre. Queste le parole di monsignor Moraglia: «Ho messo nelle mani della Madonna la nostra Città, il nostro Veneto che comunque è legato in modo particolare a Venezia, le sofferenze, i problemi sociali, la crisi economica che non diventi crisi sociale. Tutti i presenti hanno certamente qualcosa da chiedere, da offrire e da dire il proprio entusiasmo nel voler operare per il bene della nostra Città. Sarebbe stolto chiedere la benedizione della Madonna se non ci fosse da parte nostra questo impegno a metterci a servizio del bene comune. Il bene di tutti inizia sempre dalle persone più fragili e in difficoltà». Sulla scalinata del Santuario i primi commenti. Il commissario Zappalorto: «Domani, per Venezia, ritorno a Roma. Sarà un traguardo non impossibile ma difficile. Tra i progetti lo scavo dei rii. Con i dipendenti ha prevalso il buon senso da una parte e dall altra. Speriamo sia l inizio di un nuovo approccio tra le organizzazioni sindacali e il Commissario. Sui lavori del Marzenego ai commercianti dico di avere fiducia. Risolveremo anche questo problema. Che la Madonna vegli sui politici veneziani, mi dia il conforto e i consigli per poter portare a termine il mio incarico, assista quelli che verranno dopo di me». La Presidente Zaccariotto: «L augurio del Patriarca per coloro che hanno compiti di responsabilità nel guidare le città e i territori è prezioso». Il ponte votivo rimarrà aperto senza interruzioni fino alle 22 di domenica 23 novembre. CORRIERE DEL VENETO Pag 8 Salute, benedizione per chi amministra di Elisa Lorenzini Ieri il patriarca ha aperto il ponte votivo e ha fatto ingresso in Basilica Venezia. Una benedizione rivolta a chi è disposto a mettersi al servizio della città e dunque per gli amministratori locali. Così il patriarca Francesco Moraglia ha aperto ieri i festeggiamenti per la Madonna della Salute. Con lui, davanti alla madonna Mesopanditissa, c erano il commissario Vittorio Zappalorto, il sub commissario Sergio Pomponio, la presidente della Provincia Francesca Zaccariotto, il prefetto Domenico Cuttaia, il questore Angelo Sanna e le autorità militari. «Entrando - ha detto Moraglia - ho messo la città nelle mani della Madonna assieme a sofferenze e problemi, perché la crisi economica non diventi crisi sociale». Il corteo è arrivato nella basilica del Longhena dopo l apertura del ponte votivo, che ha segnato anche la prima volta del commissario in pellegrinaggio. «Spero che la Madonna della Salute - ha detto Zappalorto - vegli sui politici e amministratori locali a iniziare proprio da me, dal commissario straordinario e su chi verrà dopo di me». La festività coincide con la firma, pochi giorni fa, dell accordo con i dipendenti comunali sui contratti integrativi. «Tiro un sospiro di sollievo commenta il commissario sono contento dopo mesi di trattative ha prevalso il buonsenso, spero sia un primo approccio a un cambio nelle relazioni sindacali». La presidente Zaccariotto ha apprezzato il messaggio di Moraglia: «Ce l aveva già anticipato camminando verso la chiesa quando ha preso sottobraccio me e Zappalorto». La presidente ha ammesso di non aver ancora sciolto le riserve per la corsa a Ca Farsetti ma ha ammesso: «Guardo con interesse al Comune di Venezia, alla Città metropolitana, ho avuto modo di conoscere questo territorio, penso di poter pensare alle soluzioni per uscire dai problemi creati dal malgoverno di questi anni». E a proposito dell appello per un sindaco-sceriffo lanciato dal governatore del Veneto Luca Zaia l altro giorno, la presidente ha detto: «Serve a tutta Italia, non solo a Venezia». Ieri è stata la prima volta anche per Gennadios Zervos, metropolita d Italia e Malta e isarca dell Europa meridionale, il rappresentante della chiesa greco ortodossa in Veneto e a Venezia: «Siamo stati invitati dal commissario, che ha dimostrato così apertura e civiltà». Le celebrazioni per la Salute entrano nel vivo oggi con il pellegrinaggio diocesano di stasera. In giornata arriveranno anche i giocatori della Reyer, pure loro in pellegrinaggio. Domani la messa solenne con il patriarca alle 10 alla Salute e alle 19 a Catene. In occasione della festività alcuni musei offrono l entrata gratuita o scontata ai veneziani: alla Guggenheim fino a lunedì si entra gratis, venerdì l ingresso alla Biennale Architettura è scontato a 5 euro. Actv per venerdì ha istituito un servizio aggiuntivo della linea 1, San Tomà-Lido, dalle 9 alle 19.

7 IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag VI Salute, Moraglia apre il Ponte Votivo ai pellegrini Domani (in realtà oggi a.p.) la processione con i giovani, venerdì la messa solenne in basilica. Il programma di Mestre e Marghera Con l apertura ufficiale del Ponte votivo, ieri mattina, alle 12.30, si è aperto ufficialmente il tradizionale pellegrinaggio per la Madonna della Salute. Ed è toccato ieri mattina al Patriarca, mons. Francesco Moraglia, alla presidente della Provincia, Francesca Zaccariotto e al commissario prefettizio, Vittorio Zappalorto, dare il via alle celebrazioni attraversando il ponte di barche allestito da Insula unendo le due sponde del Canal Grande, da Santa Maria del Giglio a San Gregorio. Domani (in realtà oggi a.p.), alle 18 con ritrovo a San Marco con Moraglia si terrà il pellegrinaggio dei giovani. Venerdì 21 novembre, alle 10, messa solenne sempre con il Patriarca. Altri appuntamenti a Mestre e a Catene. Nella chiesa della Madonna della Salute in Via Torre Belfredo a Mestre: domani (in realtà oggi) alle 10 sarà celebrata una messa per gli ospiti, i volontari, gli amministratori e gli operatori della casa di riposo Antica Scuola dei Battuti ; alle ore ci sarà un momento di preghiera con i bambini della scuola dell infanzia Madonna della Salute ; in questo giorno, inoltre, viene aperta la tradizionale pesca di beneficenza che si protrarrà fino a domenica 23 novembre. Nella chiesa della Madonna della Salute a Catene: domani (in realtà oggi) alle 17, si terrà l Infiorata con i bambini della parrocchia che offriranno un fiore alla Madonna; venerdì 21 novembre le messe sono previste alle ore ( Messa dell ammalato con imposizione delle mani) - 17 e poi alle ore si svolgerà la messa solenne con il Vicariato di Marghera presieduta dal Patriarca mons. Francesco Moraglia (al termine della celebrazione sarà distribuito il pane benedetto); nello stesso giorno, alle 15.30, si terrà la benedizione dei bambini e delle famiglie; domenica 23 novembre l Eucaristia; è prevista la benedizione degli automezzi e degli autisti sul piazzale della chiesa e nel campetto adiacente; a partire dalle ore 15 è, infine, in programma la tradizionale processione per le vie di Catene presieduta quest anno da don Valter Perini. Torna al sommario 2 DIOCESI E PARROCCHIE LA NUOVA Pag 26 Festa a Catene per la Madonna di ma.to. Si parte oggi con l Infiorata, domani ci sarà il patriarca Moraglia Marghera. Anche quest anno, come tradizione, alla Parrocchia della Madonna di Salute di Catene tornano i tradizionali festeggiamenti per la festa omonima. Oggi, alle 17, primo appuntamento con l infiorata, messa in chiesa seguita dalla consegna di un fiore i bambini da consegnare domenica alla Madonna. Domani, giornata principale della ricorrenza, alle 11 Messa dell ammalato presieduta da don Riccardo Berton (in realtà si chiama Roberto a.p.), alle 15 benedizione dei bambini e delle famiglie e alle 19 Messa solenne vicariale presieduta dal patriarca Francesco Moraglia. Nel corso della giornata la chiesa della Madonna della Salute resterà aperta a orario continuo, con messe previste anche alle 8, 9.30 e 17. Domenica 23, infine dopo la celebrazione liturgica della 11 presieduta da Monsignor Walter Perini, delegato per la catechesi e la scuola del Patriarcato di Venezia, alle 12 si svolgerà la benedizione di automezzi e autisti sul piazzale della chiesa, seguita alle 15 dalla storica processione per le vie di Catene, sempre guidata da Monsignor Walter Perini. La processione partirà dalla Chiesa vecchia in via Catene per poi percorrere via Trieste, via Case Nuove, via Parco Ferroviario, via dei Tulipani, via Bottenigo, via Trieste per terminare nuovamente in Chiesa. Fino a domenica funzioneranno all interno della parrocchia la pesca di beneficenza e il bar, interamente curati dai volontari della Madonna della Salute. La parrocchia di Catene è una delle più attive nel territorio, con feste popolari organizzate ogni anno, la vecchia chiesetta di via Catene trasformata in un piccolo centro culturale e teatrino polivalente e una frequentata scuola materna con asilo nido gestita dalle Francescane missionarie.

8 Torna al sommario 3 VITA DELLA CHIESA L OSSERVATORE ROMANO Pag 6 È il tempo di osare l unità di fratel Alois Cristiani sotto uno stesso tetto Nel nostro percorso ecumenico, uno degli interrogativi a cui dobbiamo urgentemente trovare una risposta è il seguente: come possiamo, noi cristiani, mostrare che l unità è possibile nel rispetto del pluralismo? Se riuscissimo a farlo, non recheremmo solo un beneficio ai cristiani, ma renderemmo anche un grande servizio al mondo. Se riuscissimo a essere insieme in una vera unità, accettando al contempo il pluralismo, diverremmo un segno in un umanità che cerca essa stessa la propria unità. Oggi la globalizzazione del mondo è spesso percepita come una minaccia. Alcune paure sono legate all unificazione degli spazi economici e politici, come la paura di perdere le proprie radici. Tensioni o addirittura violenti conflitti possono nascere per questioni di lingua, d identità. Molti faticano a vedere la globalizzazione in modo positivo. Di conseguenza certi sono portati a mettere in evidenza le loro differenze. Ciò è vero anche tra i cristiani. Sebbene non vi siano mai stati tanti rapporti tra Chiese come ci sono oggi, non ci sono neppure mai state tante Chiese e comunità cristiane diverse. Ciò che le distingue è a volte presentato come un opportunità per soddisfare i bisogni del maggior numero possibile di persone. Senza alcun dubbio, le nuove comunità cristiane che nascono continuamente corrispondono alle aspirazioni di persone che amano sinceramente Cristo. Ma alcuni arrivano a chiedersi: una comunione visibile dei cristiani è davvero auspicabile? Con la sua croce e la sua resurrezione, Cristo ci ha uniti in una nuova alleanza con Dio. Quanti amano Cristo sono invitati a formare nella sua sequela una grande comunità d amicizia. È chiamata comunione. Hanno così un contributo da offrire per curare le ferite dell umanità: senza volersi imporre, possono favorire una globalizzazione della solidarietà che non escluda nessun popolo, nessuna persona. Cristo è giunto a dare la propria vita per «per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Giovanni, 11, 52). Ha superato le barriere; sulla croce, ha teso le braccia da un lato all altro, tra quanti erano divisi. Da allora non c è più nulla che possa veramente giustificare le nostre prese di distanza gli uni dagli altri. Tuttavia, come cristiani, ci vergogniamo di compiere così poco la volontà di unità di Cristo. I giovani, in particolare, hanno sete di significati e di orientamenti chiari. Non possiamo offrire loro più a lungo la confusione delle nostre divisioni. Siamo posti di fronte alla seguente esigenza: la comunione tra tutti coloro che amano Cristo si può stabilire solo se rispetta la loro diversità; ma essa può offrire un vero orientamento solo se è visibile. Nel suo testo sulla «gioia del Vangelo» Papa Francesco dice che «l unità dello Spirito armonizza tutte le diversità» e parla di «diversità riconciliata» (Evangelii gaudium, 230). Come prima proposta, vorrei indicare che abbiamo bisogno di un nuovo punto di partenza per avanzare verso una tale diversità riconciliata. Quando si parla di unità e di diversità, due domande si pongono, ed evocano due possibili scogli. La prima è: non è che incoraggiare la diversità condurrà all atomizzazione? La seconda è opposta: non è che insistere sull unità porterà all uniformità? Sono due rischi reali. Per evitarli entrambi, dobbiamo seguire un cammino difficile. Posso citare per la seconda volta un Papa? A dire il vero prima di essere Benedetto XVI, il cardinale Ratzinger aveva scritto, nel 1986: «La divisione è un male quando porta all inimicizia e all impoverimento della testimonianza cristiana. Ma quando la divisione viene pian piano privata del veleno dell inimicizia e quando, grazie all accoglienza reciproca, la diversità non produce più semplicemente un impoverimento ma una nuova ricchezza di ascolto e di comprensione, essa può diventare felix culpa, ancor prima di essere guarita». Poi Ratzinger cita il teologo protestante Oscar Cullman che parla di «unità attraverso la diversità» ed esprime «la speranza che alla fine la divisione smetterà di essere divisione per restare solo polarità senza contraddizione» (Zum Fortgang der Ökumene, in Theologische Quartalschrift 166 [1986], nn ). Come si può giungere a questa armonizzazione tra l unità e la diversità? Troppo spesso il punto di partenza sono state la constatazione e l analisi delle divisioni. Forse era necessario farlo in una fase preliminare. Ma oggi il punto di partenza dovrebbe essere

9 Cristo e lui non è mai diviso. Fissiamo un altro punto di partenza. Cristo risorto riunisce in una sola comunità uomini e donne di ogni orizzonte, lingua e cultura, persino di nazioni nemiche. È questo punto di partenza a obbligare i cristiani, con le proprie differenze, a ricercare la loro comunione visibile. Suggerire di fissare questo nuovo punto di partenza mi porta a una seconda proposta che deriva dalla prima: oggi le Chiese cristiane non dovrebbero osare mettersi sotto uno stesso tetto ancor prima che venga trovato un accordo su tutte le questioni teologiche? Ci saranno sempre delle differenze tra cristiani; e queste saranno sempre una sfida e un invito a dialogare in modo franco; e così possono anche essere un arricchimento. Ma non è forse giunta l ora di dare la priorità alla nostra identità battesimale, comune a tutti? Come dicevano i teologi del gruppo di Dombes, in tutte le Chiese a essere messa al primo posto è l identità confessionale. Ci si definisce in primo luogo come cattolici, protestanti od ortodossi. In realtà ad avere la priorità dovrebbe essere l identità battesimale. Anche se in modo diverso, l indimenticabile teologo ortodosso Olivier Clément scrive qualcosa di simile: «C è una sola Chiesa, basamento segreto di tutte, e dunque l unità non va costruita ma scoperta: riemergere della Chiesa indivisa che, malgrado le tante tensioni identitarie, è indubbiamente il fenomeno decisivo del nostro tempo». L unità non può essere considerata come una realtà statica e monolitica, ma come un equilibrio tra poli diversi che si riaggiusta costantemente. Per esempio, la forte comprensione cattolica dei sacramenti può essere equilibrata dall insistenza della Riforma sulla libertà di Dio che sfugge a qualsiasi influenza. Non è sufficiente dire queste cose, dette già tante volte. Ma il compiere passi avanti ci obbliga ad andare gli uni verso gli altri, a pregare insieme, ad accogliere in noi i doni che Dio ha depositato tra gli altri cristiani. Tra tutti i battezzati c è una comunione già esistente. Pur se imperfetta, va valorizzata. La recente visita di Papa Francesco a una chiesa pentecostale e l accoglienza che vi ha ricevuto sono più di un gesto cortese, hanno un valore ecclesiologico. Una famiglia abita una casa comune. Se tutti i cristiani formano una stessa famiglia, la cosa più normale non è forse che abitino sotto lo stesso tetto, anche senza attendere che tutte le difficoltà siano pienamente armonizzate? Il nuovo testamento e i padri della Chiesa parlano spesso dei cristiani come di una famiglia o di una casa. Se posso fare questa proposta - di metterci sotto lo stesso tetto - è perché faccio riferimento alla nostra propria esperienza. La storia di Taizé si può leggere come un tentativo di mettersi sotto lo stesso tetto. Provenienti da una trentina di Paesi, lingue, culture e origini ecclesiali diverse, viviamo sotto il tetto di una stessa casa. E quando, tre volte al giorno, ci riuniamo per la preghiera comune, ci mettiamo sotto l unico tetto della chiesa della Riconciliazione. Questa preghiera comune non riunisce solo i fratelli, ma anche giovani di tutto il mondo, cattolici, protestanti e ortodossi. Essi condividono pure la loro vita quotidiana, i pasti, i servizi, la loro ricerca di Dio. Ci sorprende constatare che si sentono profondamente uniti senza tuttavia ridurre la loro fede al minimo comune denominatore o procedere a un livellamento dei loro valori. Al contrario approfondiscono la propria fede. Se dei giovani possono vivere ciò nel quadro degli incontri di Taizé, perché non dovrebbe essere possibile altrove? Cristo dà l unità quando e come vuole, essa è un dono. Ma bisogna ricevere questo dono. Se noi non ci riuniamo sotto un solo tetto, come può egli farci il dono dell unità? È quando sono riuniti, anche con Maria, che gli apostoli ricevono il dono dello Spirito Santo. E lo Spirito Santo ci unisce sempre con tutte le nostre differenze. Vorrei ora trarre alcune conseguenze e fare suggerimenti più concreti. Cominciando dal livello più vicino a ognuno, in una comunità locale, possiamo metterci sotto uno stesso tetto, un po come comunità di base tra vicini e famiglie, per pregare insieme, condividere e aiutarci a vicenda, cooperare, conoscerci meglio gli uni per gli altri e dimostrare così che apparteniamo gli uni agli altri. Tra comunità locali di confessioni diverse, in molti luoghi esiste già una collaborazione nello studio della Bibbia, in qualche opera sociale e pastorale, nella catechesi. Tale collaborazione potrebbe essere intensificata. Nella Charta oecumenica firmata nel 2001 a Strasburgo, le Chiese d Europa si sono impegnate a «operare insieme, a tutti i livelli della vita ecclesiale, laddove ne esistano i presupposti». Mettiamo in pratica questo impegno. Ogni comunità potrebbe fare con i cristiani di altre confessioni tutto ciò che si può fare insieme, e non fare più nulla senza tener conto degli altri. Il dialogo teologico deve continuare. Si potrebbe immaginare di condurlo maggiormente in un quadro di preghiera comune e nella consapevolezza di essere già insieme sotto uno stesso tetto? Ne riceverebbe uno slancio nuovo, non sarebbe più

10 confinato in una terra di nessuno ecclesiale e le giovani generazioni si sentirebbero più interpellate. Vivendo e pregando insieme, si affrontano in modo diverso le questioni propriamente teologiche. Forse si potrebbe dire lo stesso della riflessione etica. C è poi la questione dei ministeri nella Chiesa. Nella famiglia cristiana che è la Chiesa, tutti i credenti sono chiamati ad assumersi responsabilità, a essere «buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio», come dice l apostolo Pietro, tutti hanno ricevuto una parte di dono pastorale. C è chi ha ricevuto un ministero più specifico di comunione e c è chi è incaricato di vegliare sull unità. Nella casa di Dio, vanno dagli uni agli altri, ascoltano, incoraggiano ed esortano al fine di confermare la comunione fraterna. Questi ministeri di comunione sono necessari a tutti i livelli, da quello locale fino a quello universale. Nella nostra epoca di globalizzazione, un ministero di comunione universale sembra più che mai pertinente. Tale ministero è tradizionalmente associato al vescovo di Roma. Egli deve confermare la comunione fraterna, deve vegliare affinché le porte della casa di Dio restino aperte a tutti e nessun popolo venga escluso dalla famiglia di Dio. Un ministero di comunione universale non è in concorrenza con altri ministeri. Gregorio Magno ha chiamato il vescovo di Roma «servo dei servi di Dio». Il vescovo di Roma può sostenere quanti, in circostanze talvolta difficili, lavorano con tutte le loro forze per fare della Chiesa «la casa comune di tutti». Non potrebbe allora essere riconosciuto come il servo della vita comune, che veglia sulla concordia dei suoi fratelli e sorelle? Quanto all Eucaristia, non siamo un po troppo abituati a essere separati alla mensa del Signore? Se l espressione famiglia cristiana vuol dire qualcosa, come giustificare la separazione di fronte all Eucaristia? In una casa comune, la tavola è comune. L Eucaristia non può tuttavia unire magicamente cristiani che per giunta si oppongono o addirittura si disprezzano. Le Chiese che fanno dell unanimità della fede una condizione per ricevere la comunione insieme, lo sottolineano a giusto titolo. Ma, laddove dei cristiani si amano gli uni gli altri, fino a dare la propria vita per l altro, l essere separati alla fonte dell Eucaristia non ha senso. L apostolo Paolo nega che i cristiani di Corinto abbiano realmente parte alla comunione eucaristica se non sono capaci di condivisione e di comunione. Per quanto celebrino l Eucaristia, le loro divisioni fanno dire all apostolo: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore» e li accusa di «gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio» (1 Corinzi, 11, 20 e 22). Ciò ci pone un interrogativo serio: cosa celebriamo se dalla mensa del Signore sono esclusi altri battezzati che hanno il desiderio ardente di una comunione visibile? Ci sono indubbiamente ragioni per legare la comunione eucaristica a una stessa comprensione della Chiesa. Ma invece di evidenziare solamente il bisogno di un accordo sulle strutture ecclesiali, non occorrerebbe dare altrettanto peso all accordo dell amore fraterno? Secondo Hans Urs von Balthasar, l apostolo Pietro rappresenta la Chiesa come organismo strutturato, mentre Giovanni rappresenta l esperienza dell amore fraterno. Il principe petrino ha bisogno del principe giovanneo. La comunione nell amore è indispensabile all unità istituzionale. Le Chiese che insistono sull importanza del ministero, non potrebbero allora concedere più ampiamente ospitalità eucaristica a quanti credono nella presenza reale di Cristo e manifestano con la loro vita il desiderio di unità? Sarebbe fondamentale oggi tenere maggiormente conto del fatto che l Eucaristia è non solo il culmine dell unità ma anche il cammino verso l unità. Quando i cristiani di un luogo, di una città, di un Paese, o addirittura del mondo intero, cercano di amarsi come si ama in una famiglia, in una casa comune, rendono testimonianza alla pace di Cristo, preparano la pace tra gli uomini, e ciò persino in contesti di gravi tensioni e lacerazioni. Molti cristiani, e la maggior parte delle Chiese e comunità cristiane, vorrebbero essere insieme questi testimoni di pace. I dialoghi ecumenici hanno preparato dei cammini. Osiamo ora trarne le conseguenze. Accettiamo di camminare su una via che non conosciamo in anticipo e di basarci su queste parole di Isaia: «Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono; trasformerò davanti a loro le tenebre in luce» (Isaia, 42, 16). Pag 8 A piccoli passi All udienza generale Francesco parla della vocazione alla santità che accomuna tutti i cristiani. Come la signora al mercato che rinuncia alle chiacchiere e il papà che si ferma ad ascoltare il figlio

11 «La santità non è una prerogativa soltanto di alcuni» ma «costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano». Lo ha detto Papa Francesco all udienza generale di mercoledì 19 novembre in piazza San Pietro. E a chi pensa «che la santità sia riservata soltanto a coloro che hanno la possibilità di staccarsi dalle faccende ordinarie, per dedicarsi esclusivamente alla preghiera» ha ricordato che «è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi». Cari fratelli e sorelle, buongiorno. Un grande dono del Concilio Vaticano II è stato quello di aver recuperato una visione di Chiesa fondata sulla comunione, e di aver ricompreso anche il principio dell autorità e della gerarchia in tale prospettiva. Questo ci ha aiutato a capire meglio che tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità (cfr. Cost. Lumen gentium, 39-42). Ora ci domandiamo: in che cosa consiste questa vocazione universale ad essere santi? E come possiamo realizzarla? Innanzitutto dobbiamo avere ben presente che la santità non è qualcosa che ci procuriamo noi, che otteniamo noi con le nostre qualità e le nostre capacità. La santità è un dono, è il dono che ci fa il Signore Gesù, quando ci prende con sé e ci riveste di se stesso, ci rende come Lui. Nella Lettera agli Efesini, l apostolo Paolo afferma che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5, 25-26). Ecco, davvero la santità è il volto più bello della Chiesa, il volto più bello: è riscoprirsi in comunione con Dio, nella pienezza della sua vita e del suo amore. Si capisce, allora, che la santità non è una prerogativa soltanto di alcuni: la santità è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano. Tutto questo ci fa comprendere che, per essere santi, non bisogna per forza essere vescovi, preti o religiosi: no, tutti siamo chiamati a diventare santi! Tante volte, poi, siamo tentati di pensare che la santità sia riservata soltanto a coloro che hanno la possibilità di staccarsi dalle faccende ordinarie, per dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Ma non è così! Qualcuno pensa che la santità è chiudere gli occhi e fare la faccia da immaginetta. No! Non è questo la santità! La santità è qualcosa di più grande, di più profondo che ci dà Dio. Anzi, è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi. E ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova. Ma tu sei consacrato, sei consacrata? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione e il tuo ministero. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un battezzato non sposato? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro e offrendo del tempo al servizio dei fratelli. «Ma, padre, io lavoro in una fabbrica; io lavoro come ragioniere, sempre con i numeri, ma lì non si può essere santo...» - «Sì, si può! Lì dove tu lavori tu puoi diventare santo. Dio ti dà la grazia di diventare santo. Dio si comunica a te». Sempre in ogni posto si può diventare santo, cioè ci si può aprire a questa grazia che ci lavora dentro e ci porta alla santità. Sei genitore o nonno? Sii santo insegnando con passione ai figli o ai nipoti a conoscere e a seguire Gesù. E ci vuole tanta pazienza per questo, per essere un buon genitore, un buon nonno, una buona madre, una buona nonna, ci vuole tanta pazienza e in questa pazienza viene la santità: esercitando la pazienza. Sei catechista, educatore o volontario? Sii santo diventando segno visibile dell amore di Dio e della sua presenza accanto a noi. Ecco: ogni stato di vita porta alla santità, sempre! A casa tua, sulla strada, al lavoro, in Chiesa, in quel momento e nel tuo stato di vita è stata aperta la strada verso la santità. Non scoraggiatevi di andare su questa strada. È proprio Dio che ci dà la grazia. Solo questo chiede il Signore: che noi siamo in comunione con Lui e al servizio dei fratelli. A questo punto, ciascuno di noi può fare un po di esame di coscienza, adesso possiamo farlo, ognuno risponde a se stesso, dentro, in silenzio: come abbiamo risposto finora alla chiamata del Signore alla santità? Ho voglia di diventare un po migliore, di essere più cristiano, più cristiana? Questa è la strada della santità. Quando il Signore ci invita a diventare santi, non ci chiama a qualcosa di pesante, di triste... Tutt altro! È l invito a condividere la sua gioia, a vivere e a offrire con gioia ogni momento della nostra vita, facendolo diventare allo stesso tempo un dono d amore per le persone che ci stanno accanto. Se comprendiamo questo, tutto cambia e acquista un significato nuovo, un significato bello, un significato a cominciare dalle piccole cose di ogni giorno. Un esempio. Una signora va al mercato a fare la spesa

12 e trova una vicina e incominciano a parlare e poi vengono le chiacchiere e questa signora dice: «No, no, no io non sparlerò di nessuno». Questo è un passo verso la santità, ti aiuta a diventare più santo. Poi, a casa tua, il figlio ti chiede di parlare un po delle sue cose fantasiose: «Oh, sono tanto stanco, ho lavorato tanto oggi...» «Ma tu accomodati e ascolta tuo figlio, che ha bisogno!». E tu ti accomodi, lo ascolti con pazienza: questo è un passo verso la santità. Poi finisce la giornata, siamo tutti stanchi, ma c è la preghiera. Facciamo la preghiera: anche questo è un passo verso la santità. Poi arriva la domenica e andiamo a Messa, facciamo la comunione, a volte preceduta da una bella confessione che ci pulisca un po. Questo è un passo verso la santità. Poi pensiamo alla Madonna, tanto buona, tanto bella, e prendiamo il rosario e la preghiamo. Questo è un passo verso la santità. Poi vado per strada, vedo un povero un bisognoso, mi fermo gli domando, gli do qualcosa: è un passo alla santità. Sono piccole cose, ma tanti piccoli passi verso la santità. Ogni passo verso la santità ci renderà delle persone migliori, libere dall egoismo e dalla chiusura in se stesse, e aperte ai fratelli e alle loro necessità. Cari amici, nella Prima Lettera di san Pietro ci viene rivolta questa esortazione: «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo» (4, 10-11). Ecco l invito alla santità! Accogliamolo con gioia, e sosteniamoci gli uni gli altri, perché il cammino verso la santità non si percorre da soli, ognuno per conto proprio, ma si percorre insieme, in quell unico corpo che è la Chiesa, amata e resa santa dal Signore Gesù Cristo. Andiamo avanti con coraggio, in questa strada della santità. AVVENIRE Pag 3 Sì, la santità ci riguarda di Paola Bignardi La parola del Papa, la nostra ordinaria vita Dell udienza generale di ieri ci ricorderemo sempre la «faccia da immaginette», simbolo di una santità da fenomeni speciali, da penitenze eroiche, da scelte straordinarie ed eccezionali. Richiamandosi all insegnamento del Concilio, Papa Francesco ha voluto ricordare che la santità è semplicemente altra cosa rispetto a questo cliché d altri tempi, che essa è dono e chiamata possibile e compatibile con la vita delle persone normali: quelle che hanno un lavoro comune, una famiglia come tante, un esistenza carica di fatiche, di gioie, di preoccupazioni, di gesti ordinari che si ripetono ogni giorno uguali a se stessi. Fino qui, per chi ha qualche familiarità con il magistero del Concilio, nulla di particolarmente nuovo. Il bello comincia quando si comincia a pensare che, se questa è la santità, allora è una questione che riguarda ciascuno, invitato a interrogarsi su che cosa significa questo messaggio nella sua vita di ogni giorno. Il Papa fa tanti esempi semplici che illustrano come il segreto di una 'vita da santi' stia nel vivere con amore e nel fare con onestà e responsabilità il proprio compito quotidiano: ascoltare una persona che ha bisogno di condividere con noi le sue preoccupazioni, aprire la mente e il cuore di un bambino al bene, fare con serietà il proprio dovere al lavoro, portare con serenità il peso di una sofferenza, prestare attenzione e aiuto a un povero Molte giornate sono apparentemente fatte di nulla: di gesti che si ripetono sempre uguali, di incontri, tentazioni, relazioni gioie di cui non riusciamo a sentire più il sapore, preoccupazioni che sembrano schiacciarci, sofferenze che ci pare di non essere in grado di portare. Allora è il momento di rientrare in se stessi e di cercare il senso di tutto nella profondità della coscienza, là dove avviene il nostro incontro con il Signore. Cammineremo sulla via della santità se riusciremo a trovare che ogni gesto, anche quelli di cui nemmeno ci siamo accorti, era tenuto insieme dal filo dell amore, dal desiderio di dare gioia, dalla scelta di non mettere noi stessi al centro. Nelle giornate sempre uguali chi ha coltivato il senso dell amore e custodito dentro di sé l Amore può scoprire la novità sorprendente e appagante che ogni istante reca con sé. Il richiamo a una santità quotidiana ci invita a ripensare la nostra idea della vita cristiana: che è quella che non sta ad aspettare la grande occasione, o l evento straordinario. Una vita cristiana da santi dipende dal modo con cui dentro di noi e nelle nostre scelte quotidiane siamo in grado di far incontrare il Vangelo e la semplicità della nostra esistenza, riuscendo a far scoccare dentro la vita la scintilla di grazia, di bene, di grandezza che essa racchiude. Le scintille si vedono, e

13 parlano della bellezza della vita, dono comune a noi e a ogni essere umano. Ma tutto questo non si improvvisa. Occorre essere persone non superficiali, che nel tempo hanno imparato a riconoscere il valore del esistenza a partire dalla profondità, rifiutando l illusione dell immagine, la suggestione del ruolo, la lusinga delle grandi occasioni. La via della santità è tanto semplice quanto severa: richiede cristiani che sanno pensare l esistenza a partire dal Vangelo, che lo frequentano ogni giorno, come papa Francesco ci ha suggerito anche la scorsa domenica, che scoprono nel silenzio la sua bellezza straordinaria e la forza con cui esso trasforma il modo di guardare l esistenza. Richiede ancora che si vada all Eucaristia della domenica per accogliere quella riserva di amore di cui ha bisogno la nostra settimana per svilupparsi nella stessa logica: quella del Signore che ha amato 'fino in fondo'. Con questa consapevolezza, potremo scoprire con gioia che attorno a noi c è più santità di quanta crediamo: è quella vita buona, vissuta con dedizione e con onestà, di cui tante persone danno testimonianza, contribuendo a tessere il tessuto forte della nostra società. E così si potrà vedere che la santità non è un fatto privato o intimista, ma che veramente costruisce il mondo. Pag 16 Santo il vescovo Farina. Tutta la vita per i poveri di Romina Gobbo Sarà canonizzato domenica in piazza San Pietro Saranno Kumari e Juvanna, la figlia del miracolo a portare a papa Francesco l ostensorio con la reliquia del beato Giovanni Antonio Farina. Questo darà il via, domenica in piazza San Pietro a Roma, alla cerimonia di canonizzazione del vescovo vicentino, a cui Kumari, al nono mese di gravidanza, affetta da un epatite B che non le avrebbe lasciato scampo, aveva chiesto la grazia di salvare la sua vita e quella della bimba in arrivo. Così, il segno di salvezza di Dio, grazie all intercessione del Farina, ha raggiunto un villaggio di braccianti a giornata, nello stato dell Andhra Pradesh. E non poteva essere che così per il vescovo dei poveri. Per ringraziare del dono arriveranno numerosi gli indiani in piazza San Pietro, e con loro pellegrini da tutti i Paesi dove le suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori (congregazione fondata dal Farina) sono presenti: Brasile, Colombia, Spagna, Ecuador, Messico, Polonia, Romania, Terra Santa, Ucraina, Costa d Avorio. Oltre persone, 35 pullman solo da Vicenza. «Se la canonizzazione del Farina ripete l eccezionalità della santità, la vita cristiana si dispiega nel quotidiano, dove si consumano giorni tristi e felici, dove ci si spende nello studio e nel lavoro, dove si opera il bene afferma Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza. Per questo, affidiamo a san Giovanni Antonio la vita della nostra Chiesa di Vicenza e la fede di ciascuno di noi, perché ogni nostro giorno sia vissuto con la stessa passione e lo stesso amore. Anche quando la fatica ci chiede qualcosa in più». Viene così a compimento il sogno di suor Albarosa Ines Bassani, che da trent anni, in qualità di storica e postulatrice prima e, oggi, di consultore della Congregazione delle cause dei Santi, studia, accompagna e sostiene l iter che ha portato prima alla beatificazione e oggi alla canonizzazione del fondatore del suo Istituto. Era il 1981 quando una consorella ecuadoriana, suor Inés Torres Cordova guariva da un tumore maligno all utero dopo aver appoggiato sul ventre alcuni capelli del Farina. È la spinta per decidere di promuovere la causa. Suor Albarosa viene nominata nella commissione storica e comincia lì la sua missione trentennale. I primi dieci anni sono dedicati esclusivamente alla ricerca archivistica, in 34 archivi, fra Italia, Austria e Vaticano. Lo scoglio più grosso è arginare le polemiche che hanno compromesso la figura del Farina, in particolare l accusa di essere austriacante per aver accettato l appoggio dell Austria per la fondazione dell istituto, in un epoca in cui la sottomissione del Lombardo-Veneto all Impero Austro-Ungarico era fortemente contestata. Sciolti i nodi, all inchiesta diocesana la commissione storica arriva con 66 volumi, per l equivalente di 20mila pagine, e una ventina di testimoni, ovviamente non persone che avevano vissuto con il prelato (era già morto da oltre un secolo), ma che avevano conosciuto chi aveva vissuto con lui. Ottenuto il beneplacito diocesano, la positio del Farina (si chiama così il sunto, in questo caso, pagine, che ne ricostruisce la biografia e ne attesta la fama di santità, che dev essere ininterrotta, dalla morte fino all inizio del processo di beatificazione) vola a Roma, dove passa i tre esami dei consultori storici, dei teologi, e del Papa con il collegio cardinalizio. Nel 2001 il Farina viene proclamato beato. «Poi, per diventare santo spiega suor Albarosa serve la firma di Dio, ovvero qualcosa che è

14 al di fuori delle possibilità umane, cioè serve il miracolo. Tra beato e santo c è un salto teologico: per il primo c è una proposta di culto limitata alla Chiesa locale; sei anche libero di non credere alla santità di quel personaggio. Per quanto riguarda il santo, invece, è il Papa che dichiara con sicurezza infallibile che il personaggio in questione è santo e ne estende il culto alla Chiesa universale, perciò, se non ci credi, hai un problema di coscienza». Giovanni Antonio Farina nasce l 11 gennaio 1803 a Gambellara, in provincia di Vicenza. Figlio di Pietro e Francesca e settimo di undici fratelli (sei dei quali muoiono ancora piccoli), viene educato dallo zio paterno, don Antonio Farina. A 15 anni entra in Seminario e, sette anni dopo, già insegna ai seminaristi. Nel 1827 viene ordinato sacerdote e vice-parroco della parrocchia di San Pietro in Vicenza, dal vescovo Giuseppe Maria Peruzzi. Nel 1831 apre la prima scuola popolare femminile gratuita, riconosciuta dal governo italiano. Nel 1836 fonda la congregazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori, dedite all educazione. Nella scuola del Farina vengono accolte tutte le ragazze, ma soprattutto quelle dei quartieri periferici, le cieche, le sordomute, le orfane. Nel 1846 pone alle sue suore un altro obiettivo: l assistenza ai malati. Le forma come infermiere professionali e le manda negli ospedali. Nel 1850 viene nominato vescovo di Treviso e, dieci anni dopo, vescovo di Vicenza: in entrambe le diocesi istituisce associazioni per l assistenza agli indigenti. Nel 1869 partecipa al Concilio Vaticano I, dove sostiene l infallibilità pontificia. Il 4 marzo 1888, muore per un emorragia cerebrale. Il 4 novembre 2001 viene beatificato da papa Giovanni Paolo II. «Il Farina fu un educatore e un uomo attento ai bisogni della gente. Per tutta la vita coltivò questi due filoni di interesse, tanto che da prete era chiamato 'uomo della carità' e, da vescovo, 'vescovo dei poveri'», dice suor Albarosa Bassani. Le Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori sono presenti, oltre che in Italia, in Spagna, nei Paesi dell Est europeo: Polonia, Romania, Ucraina; nel Medio Oriente: Israele, Palestina, Giordania, Siria; in America Latina: Brasile, Colombia, Ecuador, Messico; in vari stati dell India; in Africa: Costa D Avorio, Togo. Fin dalla fondazione, nel 1836, operano in istituti educativi, nella scuola primaria e secondaria, negli ospedali, nelle case di riposo. In risposta ai tempi nuovi, praticano anche la pastorale familiare, nelle forme e nei luoghi più vari, si occupano dell accoglienza del diverso, nel rispetto delle altre culture, e del sostegno all uomo sofferente. Sono tante le caratteristiche di Giovanni Antonio Farina che affascinano suor Emma Dal Maso, madre generale delle Dorotee: «La dimensione ecclesiale, quella essenziale, ma anche la grande sensibilità nel rispondere ai bisogni della gente, quelli di promozione umana, con le associazioni caritative, così come quelli spirituali. Nelle celebrazioni amava riprodurre, con capacità immaginosa gli episodi della Bibbia, per renderli fruibili ad un assemblea composita. Il suo essere a servizio degli altri è modello di vita anche per noi». Nel mondo delle Dorotee il Farina è il secondo santo, dopo suor Bertilla Boscardin. Le sorelle sperano che suor Rima Nasri, uccisa a gennaio 2013 nel bombardamento dell università di Aleppo, possa essere riconosciuta martire. Tuttavia, poiché non è stato trovato nulla del suo corpo, per il governo siriano suor Rima rimane dispersa. Le celebrazioni per la canonizzazione del beato Giovanni Antonio Farina, in diocesi di Vicenza iniziano oggi, con i resti del futuro santo che verranno trasportati dalla casa madre delle suore Dorotee alla Cattedrale, dove rimarranno esposti per la preghiera fino a giovedì prossimo. La salma arriverà poco dopo le 20 di stasera e il vescovo Beniamino Pizziol presiederà una veglia di preghiera. I primi pellegrini partiranno già domani alla volta di Roma. Il viaggio prevede prevede una tappa ad Assisi sabato, domenica la presenza in piazza San Pietro per la canonizzazione, lunedì alle 8.45 la partecipazione alla celebrazione eucaristica a Santa Maria Maggiore, presieduta da Pizziol e dall arcivescovo vescovo di Treviso Gianfranco Agostino Gardin. Giovedì 27, ultimo giorno dell esposizione del Farina in Cattedrale a Vicenza, alle 20, verrà celebrata la Messa di ringraziamento per il nuovo santo. CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Minacce e droni, i timori per il Papa di Massimo Franco

15 Il rischio di azioni di lupi solitari che si ispirano all Isis Nell agosto del 2014, di ritorno dal suo viaggio in Corea del Sud, papa Francesco voleva fare tappa in Kurdistan, un area incorniciata tra Siria, Turchia, Iraq e Iran. Aveva intenzione di lanciare anche da lì il suo appello a favore dei cristiani del Medio Oriente massacrati dai fondamentalisti islamici. Ma i servizi segreti lo hanno fermato, elencandogli i pericoli che il cambio di programma avrebbe rappresentato. L episodio riaffiora in questo autunno inoltrato, mentre i timori sulla sua sicurezza si sono impercettibilmente impennati. Forse è solo un riflesso del disorientamento psicologico, oltre che geopolitico, dell Occidente. Sono i filmati degli ostaggi decapitati dai macellai dell Isis, lo Stato islamico che ormai sta superando in crudeltà Al Qaeda; e che, oltre a fare proseliti in Europa, alimenta i timori di un attacco contro il Pontefice che ha unito in preghiera cattolici, ebrei, musulmani e ortodossi. Così, ai fantasmi dell attentato del turco Ali Agca contro Giovanni Paolo II nel maggio del 1981 proprio in piazza San Pietro, tra la folla, si somma lo spettro di un azione eversiva del fondamentalismo islamico. Il dubbio che possa accadere qualcosa aleggia da quando è diventato Papa. La scelta di vivere a Casa Santa Marta, altamente simbolica, rappresenta un incognita. È un albergo, per quanto unico, e dunque riceve dall esterno forniture di pasta, pane, carne, si fa notare. È un piccolo porto di mare, per quanto super-controllato, separato dall Italia solo dalle mura che danno su via di Porta Cavalleggeri. E dunque, in teoria il pericolo aumenta. Si aggiungano le udienze nelle quali il Papa cerca di incontrare e di intrattenersi con più gente possibile. Auto blindata e agenti in borghese - Insomma, qualche motivo di apprensione è giustificato, perché oltre tutto Francesco vive con una punta di insofferenza le misure di sicurezza. Ne sanno qualcosa alla Gendarmeria vaticana, che all inizio ha faticato per convincere il primo pontefice argentino ad accettare un minimo di prevenzione. «Sull auto blindata ci salite voi!». Raccontano che abbia accolto così la prima offerta di protezione, peraltro di routine. Durante la visita alla parrocchia di Tor Sapienza, nella periferia romana, a dicembre del 2013, disse dal pulpito: «Se qualcosa vi ha disturbato di questa visita, forse un eccesso di sicurezza, sappiate che io non sono d accordo con quello, sono d accordo con voi». E quando alcuni mesi dopo decise di andare a far visita a un amico protestante a Caserta, in Campania, non fu facile fargli capire che usare l auto invece dell elicottero avrebbe comportato problemi maggiori: Autostrada del Sole congestionata, scorta della polizia, posti di blocco. Alla fine si adattò ad un piccolo elicottero. Non è un papa molto «gestibile», sebbene si sia abituato a convivere con gli imperativi della prevenzione, e ad accettarli. Sembra perfino che i suoi collaboratori a volte scherzino con lui sulle minacce di morte. «Santo Padre, ancora non l hanno ammazzata oggi?», lo apostrofano superando il timore reverenziale che pure incute. «Jorge, ti proteggono abbastanza?», gli gridano i connazionali alle udienze, sotto gli occhi inquieti degli agenti in borghese con l auricolare, disposti strategicamente a distanza intorno a lui anche sul sagrato di piazza San Pietro. Il pontefice ha imposto un modello di religiosità che significa distruzione di qualunque diaframma tra il papa-re ed i suoi sudditi: uno stile che lo ha reso un mito delle folle, e un obiettivo terroristico potenzialmente «facile». La bandiera nera sull obelisco - D altronde, Dabiq, la rivista online dell Isis, diffusa da luglio anche in Europa in lingue diverse, a ottobre del 2014 ha messo sulla sua copertina digitale un fotomontaggio. Campeggia un immagine di piazza San Pietro con l obelisco sovrastato dalla sua bandiera nera e il titolo: «La Crociata fallita». L Isis promette di non fermare la Jihad, la Guerra santa dell Islam, «finché non ci troveremo sotto gli alberi di ulivo di Roma ed avremo distrutto quell edificio osceno che si chiama Casa Bianca». Il nome della testata è altamente simbolico. Dabiq è il villaggio siriano dove nel 1516 gli Ottomani sconfissero i Mammalucchi, consolidando l ultimo califfato della storia. E le sue minacce vengono prese sul serio. Nelle ambasciate occidentali a Roma si avverte una certa inquietudine. Tra i diplomatici ci si scambia impressioni che danno corpo agli scenari più foschi. Ma i servizi di sicurezza italiani e vaticani appaiono più cauti. Analizzando la rivista Dabiq, la sensazione dell intelligence è che con i suoi proclami l Isis (acronimo di Islamic State of Iraq and Syria) stia parlando innanzi tutto all interno del mondo musulmano, per imporre il primato sunnita contro gli odiati sciiti e accreditarsi come unico vero nemico dell Occidente. Ma non esistono indizi di attentati clamorosi in

16 preparazione da parte del gruppo terroristico. L unico timore è che qualche affiliato europeo, per imitazione prepari un azione dimostrativa fai-da-te: magari utilizzando un drone da pilotare su piazza San Pietro durante un udienza. «Per ora», viene spiegato, «il pericolo non è quello di grandi attentati ma dell atomizzazione dell eversione». Il nodo di Santa Marta - Sono informazioni simili a quelle che circolano nei centri studi sull antiterrorismo, da Washington a Londra. Sono stati esaminati documenti e rapporti che parlano di minacce al Papa. Ma non sono ancora ritenuti tali da convalidare la tesi di un piano sofisticato in incubazione, o di una minaccia concreta. La sensazione degli analisti è che per ora l Isis concentri i suoi assassinii in Mesopotamia, senza uscire da quei confini religiosi e geografici: sebbene esorti i suoi seguaci europei a colpire, e il numero di terroristi inglesi e francesi «arruolati» dall organizzazione metta i brividi. Ma il Pontefice continua a fare la vita di sempre. Uno degli aspetti che quanti lavorano con lui sottolineano, è che vuole essere padrone del suo tempo e della sua agenda, geloso della propria libertà. Una volta il cardinale statunitense Timothy Dolan ha spiegato in un intervista che Francesco si dovrà abituare alle restrizioni necessarie per garantire la sua incolumità personale: anche lui ci si era rassegnato quando era capo dei vescovi Usa. Ma non è chiaro quanto il Pontefice si sia adattato davvero a tutto questo. Un cardinale italiano che conosce bene Casa Santa Marta sostiene da tempo che prima o poi potrebbe accadere qualcosa tale da suggerire il trasferimento del Papa nell Appartamento papale nel palazzo apostolico: quello occupato dai predecessori, oggi vuoto anche perché identificato con gli intrighi e gli scandali di Vatileaks: il furto di documenti riservati di Benedetto XVI, compiuto dal suo maggiordomo. Ma Francesco non appare né turbato né spaventato da quanto sta avvenendo. È assillato dalle persecuzioni e le stragi dei cristiani in Medio Oriente, e non smette di ricordare le vittime del terrorismo. Ha appena condannato l ultimo attentato alla sinagoga di Gerusalemme. Ma non si preoccupa per i rischi che corre personalmente; né è intenzionato a cambiare residenza e abitudini. Il quotidiano La Nación di Buenos Aires ha riferito che Juàn Carlos Molina, un prete argentino di un organizzazione che combatte il traffico di droga, la Sedronar, il 12 novembre è stato a colloquio con Francesco per quaranta minuti. Hanno sorseggiato insieme con la cannuccia il mate caldo, l infuso tipico del loro Paese. E Molina ha raccontato di avere detto al Papa, dandogli del tu come fanno molti sacerdoti che lo conoscono dai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires: «Attento, ti possono ammazzare. Francesco mi ha risposto: È la cosa migliore che mi potrebbe capitare. E anche a te...». Non erano parole rassegnate. Sembrava dire, più semplicemente, che bisogna essere pronti anche al martirio. Pag 3 Bergoglio al lavoro per preparare il prossimo Sinodo di Gian Guido Vecchi A un mese dalla conclusione del Sinodo sulla famiglia, Francesco è già al lavoro per il grande Sinodo che si riunirà dal 4 al 25 ottobre Il Papa ha presieduto martedì il Consiglio ordinario del Sinodo, composto da quindici cardinali e vescovi, che si è riunito due giorni e ha definito ieri il testo da spedire nelle prossime settimane a tutte le conferenze episcopali del mondo. Alla «Relazione finale» votata dai padri sinodali il 18 ottobre si aggiunge una sorta di questionario, domande e «richieste di approfondimento» rivolte alle diocesi del pianeta. Non c è tempo da perdere. La Relatio accompagnata dalle domande rappresenta i cosiddetti Lineamenta cui le chiese del mondo risponderanno «entro Pasqua», in modo che si possa preparare l Instrumentum laboris, cioè il testo che sarà la base di lavoro al Sinodo La prima «tappa» era già stata preceduta da un questionario rivolto a tutti i fedeli. Il secondo questionario è più contenuto e concentrato sulle discussioni del mese scorso: ciascuna conferenza episcopale deciderà poi come coinvolgere la «base» dei cattolici. Nel voto del 18 ottobre tre paragrafi - due sui divorziati e risposati e uno sugli omosessuali - avevano ottenuto la maggioranza assoluta ma non quella di due terzi che sarebbe richiesta per l approvazione. Ma il Papa aveva disposto che fossero pubblicati lo stesso nella Relatio finale: la discussione prosegue. Altrettanto significativo è che Francesco abbia confermato per il 2015 sia il relatore generale sia il segretario speciale del Sinodo: il cardinale Péter Erdo e l arcivescovo teologo Bruno Forte. IL FOGLIO

17 Pag 2 Perché (e quando) B-XVI ha cambiato idea sull ostia ai divorziati risposati di Matteo Matzuzzi Roma. Che il professore cattedratico a Ratisbona Joseph Ratzinger, quaranta e più anni fa, la pensasse come Walter Kasper sulla misericordia da usare nei confronti dei divorziati risposati, non è una novità. Il saggio in cui il futuro Pontefice scriveva che "nel caso in cui il secondo matrimonio avvenga dopo diverso tempo e sia vissuto nello spirito della fede, e siano rispettati obblighi morali nei confronti dei bambini e della nuova moglie", è noto da decenni, presente sugli scaffali delle biblioteche nella sezione teologica e brandito come fosse il libretto rosso maoista dai principali gruppi progressisti d'europa, primo fra tutti Noi siamo chiesa. La novità è che quella frase, Benedetto XVI, prima di farla stampare nel quarto volume della sua opera omnia ora in uscita in Germania, l'ha riscritta da cima a fondo. "Se la Chiesa rilevasse come un matrimonio fosse nullo a causa di una immaturità psicologica, le nuove nozze sarebbero ammesse. Anche senza questo procedimento un divorziato potrebbe inoltre essere attivo nelle comunità ecclesiastica, e poter diventare padrino di un battezzato", recita la nuova formulazione. La questione, dunque, cambia radicalmente, e nella versione redatta dal Ratzinger Papa emerito l'accento si sposta sulla validità del sacramento. Un processo di maturazione datato, che risale agli anni Ottanta, quando il futuro Benedetto XVI s'insediò nel palazzo del Sant'Uffizio e fece studiare alla congregazione il problema del sacramento contratto senza fede. E' sempre stato questo il punto fondamentale da cui partire, per il teologo bavarese. Non certo l'adeguamento allo spirito dei tempi della dottrina o l'aggiornamento della pastorale alle mutate esigenze della società contemporanea. Già nei primi anni Novanta, Ratzinger corresse pubblicamente la posizione aperturista messa nero su bianco a Ratisbona nel 1972, allorché rispedì al mittente - con il placet di Giovanni Paolo II - la richiesta dei vescovi Kasper, Lehmann e Saier di permettere ai divorziati risposati di comunicarsi. Il prefetto bavarese, citando la Familiaris Consortio e il Catechismo della chiesa cattolica, scriveva che "la dottrina e la pratica della chiesa precludono ai cattolici risposati civilmente di ricevere la comunione, dal momento che la loro condizione di vita oggettivamente contraddice l'unione d'amore tra Cristo e la chiesa". Non era quello dell'ostia ai divorziati risposati, il cuore del problema, per Benedetto XVI. In uno dei suoi ultimi discorsi da Pontefice, nel gennaio 2013, all'inaugurazione dell'anno giudiziario della Rota romana, si soffermò sul principio del bonum coniugum: "Non intendo certamente suggerire alcun facile automatismo tra carenza di fede e invalidità dell'unione matrimoniale, ma piuttosto evidenziare come tale carenza possa, benché non necessariamente, ferire anche i beni del matrimonio, dal momento che il riferimento all' ordine naturale voluto da Dio è inerente al patto coniugale". "I cambiamenti scritti da Benedetto XVI si possono leggere come una risposta a Kasper", ha scritto la Süddeutsche Zeitung, commentando la revisione operata da Ratzinger sui suoi vecchi saggi teologici, aggiungendo che "il Papa emerito pare aver rotto la sua promessa di non intromettersi negli affari correnti della chiesa cattolica". In realtà, la frase sulla comunione ai divorziati Ratzinger l'ha riscritta molto tempo fa, ben prima che i padri sinodali si riunissero a Roma a discettare di dottrina e prassi pastorale da aggiornare. Pag I Il gran silenzio dopo il Sinodo di Juan José Pérez-Soba La rimozione dell attacco ideologico contro la famiglia, problema principale di questi tempi Pubblichiamo la prima di tre parti dell'intervento del professor Juan José Pérez -Soba sul recente Sinodo straordinario sulla famiglia che s'è tenuto a ottobre. Sacerdote spagnolo, Pérez -Soba è professore ordinario di Teologia pastorale del matrimonio e della famiglia presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e famiglia di Roma. "Criticare la Familiaris Consortio di Karol Wojtyla - diceva al Foglio lo scorso febbraio - rientra in una visione in cui la chiesa sta sempre dietro al mondo, mentre la chiesa deve proporre qualcosa che salvi il mondo". Insieme con il collega Stephan Kampowski, ordinario di Antropologia filosofica presso lo stesso Istituto, ha da poco pubblicato il libro "Il Vangelo della famiglia nel dibattito sinodale oltre la proposta del cardinal Kasper" (Cantagalli).

18 Un mese dopo la conclusione del primo Sinodo sulla famiglia con il titolo "Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell'evangelizzazione", da quanto è accaduto sorgono molte domande. In primo luogo, si percepisce un grande silenzio. Dopo un'alluvione costante di notizie, a stento s'è sentita un'eco posteriore. Ci sono state dichiarazioni valutative da parte di alcuni protagonisti del Sinodo, ma in generale di profilo basso e senza creare nuove aspettative per la prossima assemblea sinodale. Mi chiedo dunque: cosa è successo? Come dobbiamo valutare questo primo Sinodo? La Chiesa come deve prepararsi per il prossimo? A malapena abbiamo ricevuto qualche luce, a tal proposito. Mentre l'anno scorso, a una settimana dalla convocazione del primo Sinodo, già veniva presentato ai mezzi di comunicazione il questionario che sarebbe stato il sentiero del cammino sinodale che il Papa desiderava, ora, invece, si attende qualche indicazione con una certa tensione. Il quadro dell'interpretazione che ci resta è esiguo, il che è preoccupante per una questione come la famiglia, con tante ripercussioni sociali e tanto esposta a ogni tipo di campagna mediatica. Questa inquietudine è ancora maggiore dopo il bombardamento continuato di notizie sul Sinodo che abbiamo vissuto nei mesi precedenti. La conseguenza è una certa disillusione che prende la forma sociologica di una lotta tra "progressisti" e "conservatori", ma nella quale la vera questione del Vangelo della famiglia è del tutto assente. La ricerca di un'interpretazione. Anche il testo che dovrebbe essere la base per qualunque interpretazione posteriore del Sinodo, il discorso del Papa Francesco alla conclusione dello stesso (18 ottobre), non ci offre molte piste. In questo documento a stento si trova menzionata la famiglia: l'unica affermazione in cui si parla del matrimonio e della famiglia è quando s'afferma che s'è discusso sul tema "senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del sacramento del matrimonio. L'indissolubilità, l'unità, la fedeltà e la procreazione, vale a dire l'apertura alla vita", e cita come fonti il diritto canonico (cc ) e il Concilio (GS 48). Sembra che il Pontefice non abbia trovato questioni da evidenziare nel risultato finale del Sinodo. La domanda è chiara: per questo risultato c'era bisogno di un Sinodo? Di più, la lettura attenta della Relatio finale acuisce questa domanda. E' certo che si tratta di un testo necessariamente breve e di compromesso tra le diverse posizioni che sono state presentate in Aula ma, almeno, qualche lettore cerca in quel documento qualche novità incisiva sulla famiglia e la pastorale. Invece, trova semplicemente o mere indicazioni generali espresse in forma esortativa o, tutt'al più, una descrizione di discussioni che non portano a nulla. Non si può dubitare che il discorso del Papa a conclusione del Sinodo sia importante, articolato, e parli con chiarezza dei temi che a lui preme mettere in risalto e che hanno come segno d'interpretazione diretta ciò che è accaduto al Sinodo come il Pontefice l'ha visto e valutato. Il discorso ruota attorno a due temi: come venire a capo di una discussione nella Chiesa e la relazione tra il Papa e il Sinodo che è espressa in una forma lontana da ogni accenno di sinodalismo. Sono temi seri che permettono una certa comprensione di ciò che è accaduto. Tutto questo è certo, ma tra questi temi principali non ci sono né la famiglia né il matrimonio. Sembra che quello che hanno dibattuto i padri sinodali sia stata dunque un'altra questione. Deve essere compresa bene questa prima conclusione. E' chiaro che si è parlato e discusso molto di famiglia, ma non è così evidente dove abbia portato questa discussione. Questo è uno dei presupposti fondamentali per qualsiasi dialogo: non si parla solo di un argomento, ma c'è un interesse prioritario che aiuta a orientarlo e che permette qualche aggiunta in proposito. Ma non sembra che questo argomento sia stato in realtà la famiglia. Dobbiamo cercare di capire che cosa sia accaduto in verità. L'ideologia che occulta la realtà. In questo senso, emerge allora una possibile chiave interpretativa del Sinodo che ha a che fare precisamente con l'ultima delle "tentazioni" sottolineate dal Pontefice: "La tentazione di dimenticare la realtà". Questo è "dire tante cose senza dire niente". In concreto sembra che, a partire dalla situazione difficile del matrimonio e la famiglia, alcuni hanno voluto dirimere altre questioni, che in realtà non interessano la famiglia, per cui questa non è stata altro che un pretesto. Parlando della famiglia, si può in fondo dibattere su altro, per cui, in realtà, non si fanno progressi sull'aiuto di cui necessitano le famiglie. Si tratta, senza dubbio, d'una grave tentazione, che si inquadra soprattutto nella enorme difficoltà di giungere a una visione reale della famiglia. Uno degli aspetti su cui aveva posto la propria attenzione l'instrumentum laboris previo (n.45) era stato quello di cogliere nei giovani un interesse percepibile per la famiglia,

19 malgrado una cultura che la denigra o che in più d'una occasione ha mostrato di volerla distruggere. Questo dato è constatato da tutte le indagini sociologiche che, da una parte, attestano che la famiglia è l'istituzione più apprezzata dalle persone; dall'altra, evidenziano il suo rigetto culturale e istituzionale. Si osserva allora una profonda frattura fra la realtà della famiglia come desiderio delle persone e una cultura che presenta modelli apparenti che ostacolano la realizzazione di ciò che davvero desiderano i giovani. Constatare questa frattura è il modo migliore per scoprire l'esistenza di un modo ideologico di parlare della famiglia che si concentra non sulla situazione familiare, ma sulle difficoltà che la stessa ideologia causa alle famiglie. Si osserva qui la forza enorme di questa ideologia che appaga la speranza di molti e induce tanti uomini a intraprendere cammini che in verità non desiderano. Senza dubbio alcuno, scoprire questa frattura è un principio pastorale di primaria importanza poiché il dialogo del pastore deve dirigersi al cuore delle persone e non alle ideologie che vanno per la maggiore. Di più, la Chiesa può approfittare di questo fatto affinché tanti uomini possano realizzare la vita piena cui aspirano e che quella nebbia esteriore ideologica rende più complessa. Possiamo allora essere sorpresi dell' assenza totale nella relazione finale di qualunque menzione del fatto fondamentale della pressione ideologica, come se non fosse qualcosa di rilevante per la pastorale del matrimonio e della famiglia. Non parlare di una ideologia è il modo migliore affinché la sua influenza sia maggiore. Come diceva Karl Marx, l'ideologia ha la funzione di nascondere un interesse inconfessabile. A chi non se ne accorge, gli si deve far presente che una persona si mette una maschera per nascondere il volto affinché l'inganno che si determina sia il minore possibile. Invece, non incontriamo alcuna traccia di tale denuncia nel Sinodo sulla famiglia, neppure nella sua analisi culturale, nella quale si parla dell'ambiguità della cultura occidentale davanti alla famiglia. In definitiva, stupisce la mancanza di coscienza di questo cammino pastorale privilegiato. La Chiesa ha sperimentato nel corso della sua storia molte volte l'influenza delle ideologie; ha anche dovuto vincere la tentazione di pensare che qualunque presa di posizione debba essere di partenza ideologica e che non può rimanere bloccata in idee precostituite. La Chiesa è stata capace di superare questa provocazione per il suo modo profondo di sperimentare la realtà delle persone, poiché partecipa di come Gesù Cristo, il Buon Pastore, punta al cuore degli uomini e può così leggere il piano di Dio in lui. Con ciò, non ha disdegnato l'importanza delle mediazioni culturali, che sono parte di quella realtà, ma è stata fermento di purificazione delle culture alla luce del Vangelo. Non parlare di ideologia per favorire un dialogo è una cattiva strategia di partenza. Ciò che pretende qualche ideologia è che la si prenda come interlocutrice diretta, perché così ha il cammino spedito per dare una "patente di realtà" alle sue idee. Quando Ratzinger disse sì alla comunione ai divorziati risposati di Andrea Tornielli Nel 1972, cinque anni prima di diventare cardinale, mentre insegnava a Ratisbona, si espresse in un saggio teologico in modo aperturista. Ora in un volume della sua opera omnia in uscita in Germania, ha deciso di ritrattare quella proposta Nel 1972, quando mancavano meno di cinque anni alla sua nomina episcopale e cardinalizia, quando era già membro della Commissione teologica internazionale voluta da Paolo VI, Joseph Ratzinger si espresse in favore dell'ammissione all'eucaristia per quei divorziati risposati la cui seconda unione fosse solida e comprovata nel tempo, avesse obblighi morali verso i figli e i coniugi vivessero l'esperienza di fede. L'ammissione sarebbe dovuta avvenire per via extragiudiziale, sulla base della «testimonianza del parroco» e dei «membri della comunità». Una soluzione che per Ratzinger era «suffragata dalla tradizione». Il futuro Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e futuro Papa scrisse queste considerazioni in un saggio scientifico contenuto nelle pagine di una raccolta di riflessioni cristologiche (Zur Frage nach der Unauflöslichkeit der Ehe. Bemerkungen zum dogmengeschichtlichen Befund und zu seiner gegenwärtigen Bedeutung; in: Ehe und Ehescheidung. Diskussion unter Christen, a cura di F. Henrich - V. Eid; Münchener Akademie-Schriften 59, München 1972). Ora quel saggio viene ripubblicato nell'opera omnia di Ratzinger, edita da Herder e curata dal cardinale Gerhard Ludwig Müller, ma l'autore ha deciso di rivederlo integralmente

20 cambiando notevolmente la conclusione e ritrattando le aperture espresse nel 1972: non si deve dimenticare che da Prefetto dell'ex Sant'Uffizio, in accordo con Giovanni Paolo II, Ratzinger negò la possibilità della riammissione avanzata in una lettera pastorale da tre vescovi tedeschi, uno dei quali era il futuro cardinale Walter Kasper. Il volume dell'opera omnia che contiene la nuova versione del saggio sta per arrivare nelle librerie in Germania e la rivista Herder Korrespondenz pubblica un articolo riportando i passi salienti di entrambi i testi. Che cosa scriveva 42 anni fa Joseph Ratzinger? Ecco alcuni passaggi significativi di quel testo. «La Chiesa è la Chiesa della Nuova Alleanza, e tuttavia essa vive in un mondo nel quale rimane immutata la durezza di cuore (Mt 18,9) dell Antica Alleanza». Il futuro Papa riteneva dunque che «in chiare situazioni di emergenza, per evitare il peggio» la Chiesa potesse «acconsentire a circoscritte eccezioni». Una proposta che non intendeva mettere in discussione le parole di Gesù e la Scrittura, legata «al carattere di eccezionalità come alla sua regolamentazione, e a quello dell aiuto in situazioni di stringente necessità». «Vorrei tentare di formulare, con tutta l accortezza del caso - continuava il teologo che di lì a poco sarebbe stato chiamato a diventare l'arcivescovo di Monaco di Baviera - una proposta che a me sembra rientri» in questo quadro di situazioni di stringente necessità. «Quando un primo matrimonio è da tempo distrutto, e in modo irreparabile per ambedue le parti; e quando, per converso, un secondo matrimonio si è rivelato in seguito una realtà morale ed è stato riempito dallo spirito della fede, specialmente anche per quel che riguarda l educazione dei figli (così che la distruzione di questo secondo matrimonio distruggerebbe una grandezza morale e causerebbe danni morali), in questo caso attraverso una via extragiudiziale sulla base della testimonianza del parroco e dei membri della comunità si dovrebbe acconsentire l accostarsi alla comunione a coloro che vivono un secondo matrimonio di questo tipo». Questa «regolamentazione» a Joseph Ratzinger sembrava «suffragata dalla tradizione da due punti di vista». Il primo di questi riguarda i processi di nullità matrimoniale. «È necessario ricordare con forza - scriveva Ratzinger - i margini di discrezionalità che sono insiti in ogni processo di nullità. Questo margine di discrezionalità e la disparità di possibilità che inevitabilmente deriva dal diverso grado di istruzione ma anche dalle diverse possibilità economiche delle persone coinvolte dovrebbero mettere in guardia dall idea che per questa strada possa essere resa giustizia in modo inoppugnabile». E in ogni caso, al di là di questo, «molto di ciò che non è giudicabile tuttavia è reale». «La prospettiva processuale - osservava ancora il teologo Ratzinger - deve limitarsi necessariamente a ciò che è dimostrabile dal punto di vista giuridico, e tuttavia proprio per questo è possibile che essa trascuri dati di fatto decisivi. Soprattutto, così, criteri formali (quali vizi di forma o quanto alla forma ecclesiastica, deliberatamente trascurata) acquisiscono un peso sproporzionato che porta ad ingiustizie». Per questo Ratzinger concludeva che «il processo di annullamento... non esaurisce il problema» e «non può pretendere quella severa esclusività» che gli è stata attribuita. Il secondo punto di vista entrava più nei dettagli della proposta ritenuta da Ratzinger nel 1972 come suffragata dalla tradizione, facendo notare come un «secondo matrimonio» che attraverso un periodo lungo abbia rivelato «una grandezza morale» e sia stato vissuto nello spirito della fede, «di fatto corrisponda a quel tipo di indulgenza sperimentabile in Basilio, là dove dopo un più lungo periodo penitenziale a colui che vive seconde nozze viene concessa la comunione senza abolire il secondo matrimonio: confidando nella misericordia di Dio, che non lascia inascoltata la penitenza». «Quando, da un secondo matrimonio, sono nati obblighi morali nei confronti dei figli, nei confronti della famiglia e così anche nei confronti della moglie - ribadiva Ratzinger nel e non sussistono obblighi dello stesso tipo rispetto al primo matrimonio; quando dunque per ragioni di natura morale il rinunciare al secondo matrimonio è inammissibile e d altro canto in pratica la continenza non rappresenta una possibilità reale (magnorum est, dice Gregorio II), in tal caso l accesso alla comunità di coloro che ricevono la comunione, dopo un periodo di prova, appare non meno che giusto e pienamente in linea con la tradizione della Chiesa». Il teologo Ratzinger non considerava, in quel saggio, l'astensione dagli atti sessuali come una «possibilità reale» per tutti, osservando che l'accesso al sacramento non poteva «dipendere da un atto che o è immorale (la rottura della seconda unione, con conseguenze per i figli, ndr) oppure nei fatti impossibile (l'astensione dagli atti propri dei coniugi, ndr)». Il futuro Papa con questa proposta non intendeva mettere in discussione l'indissolubilità: «Il matrimonio è sacramentum, esso

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