Nel diritto amministrativo tradizionalmente rappresenta, dunque, un potere, immanente, per correggere precedenti errori o per adattare la situazione
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- Giovanni Ippolito
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1 Principi di legalità e tassatività dell azione amministrativa in relazione all autotutela decisoria ed esecutiva, esercitate anche in pendenza di giudizio 1. Principio di legalità e tassatività dell azione amministrativa. L art. 1 della l. 241/1990, secondo cui l attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge, contiene un esplicita affermazione del principio di legalità. Principio dei principi, il principio di legalità viene definito da Crisafulli come quel principio per cui l esplicazione dell autorità deve trovare il proprio fondamento positivo, oltre che il proprio limite negativo, in una previa norma. Il fondamento del principio di legalità è contenuto anche nella Costituzione (artt. 97, 24, 113, 23 e 42 Cost). L Amministrazione è soggetta alla legge perché esercita poteri autoritativi, che devono rinvenire il presupposto nella volontà popolare espressa attraverso le leggi (principio di legittimazione democratica). Qualunque potere amministrativo, quindi, deve essere ispirato da una legge che individua i fini e i risultati cui la p.a. deve tendere. Il potere amministrativo non è mai libero nei fini, perché attua ed esegue l indirizzo determinato a monte dal legislatore. Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell'azione amministrativa. 2. Principio di legalità e autotutela. Tradizionalmente il potere di autotutela è stato inteso come un potere immanente, che non richiede un espressa previsione normativa. Non è un caso che uno dei poteri impliciti ammessi era proprio quello di autotutela, sia decisoria che esecutiva, quest ultima desumibile dall art. 823, comma II, c.c. Recentemente, tuttavia, la tendenza sembra invertita, al punto che il principio di legalità sembra essersi rafforzato anche in relazione all autotutela decisoria ed esecutiva. Per lungo tempo, prima della legge n. 15/2005, è stato discusso il fondamento del potere di autotutela della p.a. Si sono prospettate soluzioni volte a rinvenire il fondamento dello stesso nel principio dell autotutela, alla stregua di quanto visto nelle altre branche dell ordinamento, ad una posizione di privilegio dell Amministrazione rispetto agli amministrati, al principio gerarchico che consentirebbe il ritiro dell atto da parte del superiore gerarchico come espressione della relazione gerarchica. Partendo da tale presupposto, l orientamento prevalente che si è formato sul punto ha ritenuto il potere di autotutela un potere di secondo grado, perché incidente su un precedente provvedimento amministrativo e, quindi, legittimato dalla stessa norma attributiva del potere originario. Si è anche richiamato un generale potere di riesame naturalmente assegnato all amministrazione in considerazione dell imperatività che caratterizza il potere amministrativo, o della normale inesauribilità del potere stesso che sopravvive al singolo atto di esercizio. Il problema è oggi superato grazie alla codificazione del potere di autotutela ad opera della legge n. 15/2005 che ha arricchito la legge n. 241/1990, delineando una serie di poteri della p.a. di neutralizzare, sterilizzare, modificare l originario provvedimento o sanarne i vizi.
2 Nel diritto amministrativo tradizionalmente rappresenta, dunque, un potere, immanente, per correggere precedenti errori o per adattare la situazione di fatto alla sopravvenuta situazione di diritto. E un potere, riconosciuto ad ogni amministrazione, per risolvere i conflitti attuali o potenziali. Ma, tuttavia, è una nozione dai confini incerti, nella stessa infatti si possono ricondurre i provvedimenti che incidono su precedenti atti o su rapporti. Nell ambito dei primi si può distinguere tra autotutela spontanea, necessaria e contenziosa. A queste ipotesi si affianca, per distinguerla, l autotutela esecutiva, che può essere definita come il potere dell amministrazione di portare ad esecuzione, unilateralmente e senza necessità di ricorrere all autorità giudiziaria, i propri provvedimenti. Questo potere è oggi espressamente previsto dall art. 21 ter che lo ammette solo nei modi e nei casi previsti dalla legge. Può dirsi, quindi, che con il termine autotutela si identifichino una serie eterogenea di atti, denominati anche diversamente dalla dottrina, accomunati da un minimo comun denominatore: il potere non deve essersi esaurito. Con la conseguenza che tali provvedimenti di secondo grado non possono essere emanati quando l Amministrazione ha consumato il suo potere. Parimenti il potere di autotutela non può operare sine die, intrecciandosi una serie di interessi, anche dei destinatari del provvedimento, che vanno adeguatamente valutati e soppesati. Ecco perché recentemente il legislatore ha fissato un limite esterno generale al potere di annullamento, espressione principale del potere di autotutela.si è passati, dunque, da una tendenziale atipicità del potere di autotutela ad una rigida tipicità. In particolare, originariamente il potere di autotutela era collegato all immanenza del potere, all inesauribilità dello stesso. Non occorreva un fondamento normativo espresso perché il potere di autotutela derivava direttamente dallo stesso potere. Stesso discorso veniva fatto per l esecutorietà. Tuttavia allo stato la situazione è mutata in quanto la legge prevede il potere. Con riguardo all autotutela decisoria la legge è il fondamento e i presupposti di applicazione sono tipici. Il potere esercitato, però, non è tassativo, perché la legge non determina i casi di esercizio del potere e poi individua, accanto ai presupposti rigidi, anche quelli flessibili. Anche per l autotutela esecutiva, in passato, se ne evidenziata il carattere immanente e generale al potere. Si sosteneva che l esecutorietà rappresentava l essenza stessa del potere, ad esso connaturato, perché garantiva prontamente la soddisfazione dell interesse pubblico.nell autotutela esecutiva, ai sensi dell art. 21 ter l. 241/1990, emergono, quindi, legalità, tipicità e tassatività. Perché l esecutorietà è ammessa solo nei casi e con le modalità previste dalla legge. Non è, quindi, previsto in via generale, ma solo in via specifica. Tale norma ha, dunque, chiarito il carattere eccezionale dell esecutorietà, in tal modo vincolando rigorosamente l esercizio al dettato normativo. Il 21 ter fa riferimento all esecuzione, ossia al complesso di attività materiali attraverso le quali si realizza uno stato di fatto corrispondente alla situazione di diritto delineata dal provvedimento. Si tratta dei casi in cui è richiesta la collaborazione del privato (es. demolizione di un manufatto abusivo). Non opera quindi per i provvedimenti a contenuto dichiarativo e costitutivo di status, né per quelli efficaci ex se. L autotutela decisoria mantiene le caratteristiche di un potere generale ma in presenza di presupposti in alcuni casi rigidi e in altri flessibili.
3 Emerge una progressiva riemersione del principio di legalità, dei vincoli di legge, sull esercizio del potere di autotutela, sia con riguardo agli atti di sospensione (21 quater), alla revoca (21 quinques) che all annullamento d ufficio (21 nonies). L emersione di tali vincoli legislativi induce a dubitare che l autotutela decisoria sia oggi un potere realmente generale come era definito un tempo, sembrando un potere spendibile nelle forme, nei modi e nei termini in cui il legislatore lo consente. In quest ottica si rischia di ammettere la circostanza che la legge diventi non più fonte di effetti dichiarativi di un potere riconosciuto in via generale, ma costitutivo di un potere eccezionalmente attribuito all amministrazione caratterizzato e plasmato dalla norma. La soluzione mediana sembra però preferibile: non è più il potere generale di un tempo, ma non può neanche definirsi eccezionale, in quanto l art. 21 nonies, nella prima versione, si era limitato a codificare in gran parte gli orientamenti giurisprudenziali sul punto che hanno sempre riconosciuto il carattere generale di siffatto potere. Si tratta, però, di un potere che incontra significativi limiti rispetto al passato che è certamente conformato e definito dalla legge. La legge definisce i presupposti dell autotutela decisoria, mentre indica anche i casi in cui può essere ammessa l autotutela esecutiva. Alla Tipicità dei presupposti dell autotutela decisoria, corrisponde la tassatività delle fattispecie di cui all art. 21 ter. Per risolvere tali dubbi è, comunque, necessario, illustrare i vincoli legislativi al potere di autotutela decisoria, perché in relazione a quella esecutiva è pacifico che il vincolo sia massimo e che tale potere rappresenti un eccezione. 3. Autotutela decisoria con effetti demolitori. 3.1.La revoca. La necessità di perseguire in modo perenne il pubblico interesse consente alla p.a. di eliminare per il futuro un provvedimento amministrativo non più rispondente all interesse pubblico. L art. 21 quinquies codifica i presupposti che fondano il potere di revoca: sopravvenuti motivi di pubblico interesse; mutamento non prevedibile della situazione di fatto; rivalutazione dell interesse pubblico originario. Si tratta, quindi, di un potere che è espressione prevalentemente del mutamento del contesto fattuale che aveva legittimato l emanazione dell originario provvedimento. La modifica del fatto o il sorgere di un nuovo pubblico interesse non esistente prima legittima l eliminazione, con effetti ex nunc, del provvedimento originario. È, quindi, un potere espressione del principio rebus sic stantibus sotteso ad ogni provvedimento e che consente all Amministrazione di revocare il provvedimento. Può essere interessante notare come analogo principio venga prospettato anche nel diritto civile: la risoluzione per eccessiva onerosità, disciplinata dall art c.c., consente, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, alla parte che deve eseguire la prestazione divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili di domandare la risoluzione del contratto. Prima che il codice del 1942 introducesse tale principio di carattere generale, gli interpreti rinvenivano, peraltro, analogo principio in via interpretativa, richiamando la teoria della presupposizione o della condizioni implicita del contratto.
4 Dal diritto civile, dunque, si trae la conferma che la revoca è un istituto necessario del diritto amministrativo, specie in un settore in cui è sempre necessario che il provvedimento, ad efficacia durevole o differita, sia rispondente al pubblico interesse. Meno giustificata sembra, invece, la revoca per nuova valutazione dell interesse pubblico originario; in tal caso, la revoca è ascrivibile ad uno ius poenitendi dalla latitudine molto ampia che consente all Amministrazione di ritornare sui propri passi senza limiti. Per tale motivo il d.l. n. 133/2014 conv. in legge n. 164/2014, modificando l art. 21 quinquies, ha limitato tale potere solo ai provvedimenti diversi da quelli autorizzatori o da quelli che attribuiscono vantaggi economici, coerentemente a quanto avviene in relazione all art. 21 nonies con riguardo al termine ragionevole di diciotto mesi per annullare il provvedimento. Trattandosi di un potere necessario per il corretto e costante perseguimento del pubblico interesse, che prescinde dall illegittimità del provvedimento, il legislatore ha previsto la corresponsione di un indennizzo a compensazione dell affidamento frustrato del beneficiario del provvedimento; indennizzo che andrà parametrato al solo danno emergente patito: alle spese, quindi, e ai pregiudizi direttamente patiti, non anche al lucro cessante, al mancato guadagno. Tale esito interpretativo è l unico coerente con la diversità sussistente tra indennizzo da atto lecito (id est, revoca legittima) e risarcimento del danno da atto illecito che, ai sensi dell art c.c., comprende oltre alla perdita subita anche il mancato guadagno. Ricomprendere il mancato guadagno all interno dell indennizzo da revoca legittima vorrebbe dire trattare in maniera uguale istituti profondamente diversi tra di loro. Conferma di tale impostazione si ha nel I bis co. che, in relazione alla revoca incidente su rapporti negoziali, parametra l indennizzo al solo danno emergente. 3.2 Annullamento d ufficio. Espressione più importante dei provvedimenti di secondo grado ad esito eliminatorio, anche indicato come atto di riesame, l annullamento d ufficio presuppone che il provvedimento originario sia illegittimo (id est, affetto dal vizio di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere) e non semplicemente inopportuno, come la revoca. Può avere ad oggetto qualunque tipo di provvedimento, anche ad efficacia istantanea, a differenza della revoca; similmente a quest ultima il provvedimento originario può essere annullato, sussistendone le ragioni di pubblico interesse. Al controllo di legalità si affianca, quindi, anche un controllo di opportunità dell atto: quest ultimo può essere ritirato solo se, in presenza di vizi di legittimità dell atto, sussista, comunque, un interesse pubblico concreto al ritiro dell atto; interesse pubblico che non coincide (salvo quanto si dirà infra) con il mero ripristino della legalità violata. Si tratta, quindi, come per la revoca, di un potere ampiamente discrezionale. L Amministrazione non è, infatti, tenuta a ritirare il provvedimento amministrativo, in quanto tale esito è il frutto di una ponderazione discrezionale della p.a. che può ragionevolmente scegliere di mantenere in vita il provvedimento amministrativo o ritirarlo. Ne deriva che non è possibile attivare il giudizio sul silenzio inadempimento ai sensi dell art. 31 c.p.a. che presuppone l obbligo della p.a. di intervenire. Inoltre, l eventuale provvedimento di secondo grado emesso spontaneamente dalla p.a. può essere impugnato innanzi al g.a. che potrà annullarlo solo se manifestamente irragionevole o sproporzionato. Recentemente, tuttavia, si sono affiancati al tradizionale potere di autotutela discrezionale, poteri definiti vincolati che
5 obbligherebbero la p.a. a intervenire e, in mancanza, potrebbero essere sollecitati con il giudizio sul silenzio inadempimento. Non è usuale affrontare il tema dell apposizione di termini perentori all azione amministrativa. Nel diritto amministrativo il tema è normalmente ribaltato, perché è al privato che sono imposti termini decadenziali per stigmatizzare l azione amministrativa, per esigenze di certezza e di stabilità delle situazioni giuridiche su cui incide il provvedimento amministrativo. In un diritto amministrativo in continuo movimento non è un caso che anche questa tradizionale concezione stia mutando: l art. 21 nonies, come novellato dalla legge n. 124/2015, rappresenta, come affermato dalla Commissione Speciale insediata presso il Consiglio di Stato, un nuovo paradigma nei rapporti tra cittadini e pp.aa. 1. La legge n. 124, con la novella all art. 21 nonies della legge n. 241, ha introdotto «una nuova regola generale che sottende al rapporto tra il potere pubblico e i privati una regola di certezza dei rapporti, che rende immodificabile l assetto (provvedimentaledocumentale-fattuale) che si è consolidato nel tempo, che fa prevalere l affidamento». Una regola, secondo l organo consultivo del Consiglio di Stato, «speculare nella ratio e negli effetti a quella dell inoppugnabilità, ma creata, a differenza di quest ultima, in considerazione delle esigenze di certezza del cittadino. Non si tratta, tuttavia, di una novità assoluta nel sistema, in quanto già la legge 30 dicembre 2004, n. 311, all art. 1, 136 co. (ora abrogato dalla stessa legge n. 124), aveva stabilito che l annullamento di «provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante». La novità importante, come si è detto, è che tale meccanismo è diventato, ora, «un elemento qualificante, di valenza generale, nei rapporti tra cittadino e potere». Nell era della semplificazione, la legge n. 124/2015, all art. 6, ha realizzato una nuova modifica del potere di annullamento, introducendo un significativo limite esterno. Per sospendere gli effetti del provvedimento o annullare il provvedimento originario, oltre ai limiti tradizionali, oggi è necessario che il provvedimento sia emesso in un termine ragionevole e, in caso di provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici, non oltre i 18 mesi dall adozione degli stessi. Tale limite temporale è stato opportunamente esteso anche ai contropoteri in tema di S.c.i.a. e al provvedimento di sospensione di cui all art. 21 quater. Si apprezza immediatamente la differenza con la revoca, che tendenzialmente può essere esercitata senza limiti temporali, perché l affidamento del beneficiario è tutelato con la compensazione pecuniaria costituita dall indennizzo. Tuttavia, anche in tale ambito, come visto sopra, il d.l. n. 133/2014, conv. in legge n. 164/20114 ha escluso la revoca per rivalutazione dell interesse pubblico originario in relazione, ai provvedimenti di autorizzazione o attributivi di vantaggi economici; con riguardo a tali provvedimenti, che fondano un profondo affidamento del beneficiario, la revoca come ius poenitendi non è ammessa. Nell annullamento d ufficio, invece, il ragionevole affidamento del beneficiario del provvedimento favorevole è garantito, imponendo all Amministrazione una serie di limiti interni ed esterni.
6 La ratio dell intervento è cercare un punto di equilibrio tra opposte esigenze: da un lato, quella della p.a. nella consapevolezza che l azione amministrativa deve poter intervenire e sopperire alle esigenze mutevoli della vita umana e della società civile ritornando sui propri passi; dall altro, l esigenza di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici, che impongono di tutelare l affidamento serbato dal cittadino in relazione ad un provvedimento amministrativo a lui favorevole. Il legislatore trova il punto di equilibrio, fissando un limite temporale insuperabile in 18 mesi dall adozione del provvedimento autorizzatorio o attributivo di vantaggi economici; si tratta di un limiti invalicabile che la Commissione Speciale del Consiglio di Stato ha precisato doversi applicare in modo effettivo, senza prestarsi a prassi elusive. La legge n. 124/2015, nell ottica di certezza, specifica il termine ragionevole per ritirare l atto nei diciotto mesi che non potrà essere più superato; naturalmente ciò non vuol dire che qualunque potere di annullamento che intervenga entro i diciotto mesi sia legittimo, ben potendo accadere che l atto di autotutela sia, comunque, irragionevole, perché il tempo trascorso, per la particolarità del caso concreto, ha consolidato situazione giuridiche che meritavano diversa considerazione da parte della p.a. Tale convincimento trova un riscontro anche letterale nel nuovo art. 21 nonies che espressamente prevede che la p.a. può ritirare il provvedimento originario non oltre i diciotto mesi. Questo potere, nuovo paradigma dei rapporti tra p.a. e cittadino, si colloca in un contesto in cui le relazioni giuridiche tra Amministrazione e privati sono ormai improntate ai principi di leale collaborazione e buona fede; del resto, come già visto, il principio di proporzionalità, cui deve uniformarsi l azione amministrativa, e che trova attuazione nel rinnovato potere di autotutela, non è altro che espressione del principio di buona fede applicato al diritto amministrativo. Che sia così emerge dall art. 21 nonies, II bis co. legge n. 241/1990 che consente all Amministrazione di intervenire anche oltre il termine citato nel caso in cui il beneficiario del provvedimento abbia ingannato l Amministrazione con false rappresentazione dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato. Trattandosi di un potere espressione di un principio generale è necessario individuarne l ambito applicativo con una certa elasticità. La norma si riferisce ai provvedimenti autorizzatori o, comunque, attributivi di vantaggi economici. La ratio della riforma, unitamente al dato testuale, consentono di applicare la norma a qualunque atto ampliativo, comunque, denominato 2. Proprio tale tendenza espansiva ha indotto la Commissione speciale del Consiglio di Stato a suggerire al legislatore di modificare il termine autorizzazione espressa con titolo espresso sì da poter includere nell ambito applicativo della norma anche le attività soggette a licenza, concessione, permesso, nulla osta 3 ; suggerimento che non è stato accolto, ma che comunque, consente di interpretare estensivamente l ambito applicativo della norma. 4. Autotutela e giudizio pendente. In linea generale non è precluso all amministrazione intervenire in pendenza di giudizio, ritirando l atto con l effetto di rendere il giudizio improcedibile o far cessare la materia del contendere.
7 Il giudizio potrebbe proseguire solo qualora il ricorrente avesse interesse a far accertare vizi diversi da quelli rilevati dall amministrazione. Resta salva la possibilità di una pronuncia incidentale sull illegittimità del provvedimento da parte del giudice ai fini del risarcimento del danno, come si desume dall art. 34, comma 3, c.p.a. In ogni caso l amministrazione dovrebbe soccombere sulle spese. La riconosciuta possibilità di intervenire sul provvedimento in corso di giudizio, ha indotto alcuni ad ammettere anche la possibilità di integrare la motivazione del provvedimento in corso di giudizio. Dubbi nel caso in cui l annullamento in autotutela risulti meno favorevole dell annullamento giurisdizionale, come quando è disposto per motivi procedurali pur in presenza di vizi sostanziali. Nell ipotesi in cui una sentenza abbia escluso l illegittimità del provvedimento l amministrazione non potrà per gli stessi motivi annullare l atto, salvo il caso in cui il ricorso sia respinto per motivi pregiudiziali. Dubbi sull annullamento in caso di rigetto del ricorso amministrativo. Anche qui si propone di ammetterlo solo per motivi diversi, pena il rischio di un eccesso di potere per contraddittorietà nella condotta dell amministrazione. Revoca e giudizio. E tendenzialmente ammessa perché è legata ad una valutazione di opportunità dell amministrazione normalmente preclusa al giudice. Autotutela esecutiva e giudizio: Ammessa, perché il provvedimento amministrativo, se non viene sospeso in via cautelare, o annullato, produce sempre effetti e, quindi, alle condizioni previste dalla legge può essere portato ad esecuzione.
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