Mercoledì 27 agosto. 1) Basilica di san Giovanni Maggiore. 2) Via san Gregorio Armeno (la via dei presepi)

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1 Mercoledì 27 agosto 1) Basilica di san Giovanni Maggiore 2) Via san Gregorio Armeno (la via dei presepi) 3) Monastero e chiesa di san Gregorio Armeno 4) Cappella di san Severo (il Cristo velato) 5) Basilica di san Lorenzo 6) Maschio angioino Teatro san Carlo Galleria Vittorio Emanuele Piazza del plebiscito Palazzo reale

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3 Chiesa di San Giovanni Maggiore La chiesa di San Giovanni Maggiore si trova in Largo San Giovanni Maggiore. La fondazione della basilica, che prese il posto di un tempio pagano dedicato ad Antino, è da collocare intorno al 324, come suggerito da un iscrizione rinvenuta su un architrave. Un ampia ricostruzione venne effettuata nel tra il 550 e il 560 per volere del vescovo di Napoli Vincenzo, mentre altre trasformazioni vennero ultimate sia nel 1685, quando l abate Giovanni Paolo Ginetti, affidò i lavori a Dionisio Lazzari. Inoltre, altri interventi si resero necessari successivamente a causa di terremoti nel 1732 e nel 1805; a causa di un ulteriore crollo, infine, altri restauri vennero realizzati tra il 1872 e il Nell abside vennero custodite numerose reliquie che, secondo la tradizione, erano state portate a Napoli dall imperatore Costantino: il Legno della Croce, una spina della Corona di Cristo e la spugna con cui gli fu dato da bere, un osso della gamba di San Filippo Apostolo, una parte della testa di San Mattia Apostolo, una costola e un dente di San Giovanni Battista, un occhio di Santa Lucia, le ossa di San Lorenzo Martire, di Santa Elisabetta, di San Leone Papa e di San Sabino, il sangue di San Zaccaria e di Sant Isaia Profeta, le reliquie di San Simone, di San Giovanni I, di Santa Cosma, di San Damiano, di sant'antonio Abate, di San Bonifacio, di San Cristoforo, di Santa Vincenza Donati, di San Zenone Martire, di San Pancrazio Martire e di San Festo, una delle pietre con cui fu lapidato Santo Stefano, il forno e le redini di San Giorgio, un velo di Santa Margherita e un dente di San fortunato Martire. Purtroppo, durante i secoli, l edificio è stato teatro di molti furti che hanno ridotto il patrimonio artistico in essa conservato.

4 Complesso Monastico e Chiostro di San Gregorio Armeno Apertura: Da Lunedì a Venerdì 09:00-12:00; Sabato e Domenica 09:00-13:00 Chiostro: tutti i giorni dalle 9:30 alle 12:00 Il complesso monastico, situato su uno dei cardini dell antico tracciato greco-romano, è un gioiello dell architettura barocca napoletana. Fondato nell VIII sec. dalle monache di S. Basilio fuggite dall Oriente con le spoglie di San Gregorio, il monastero fu unito mediante un cavalcavia a quello di S. Pantaleone (sec. VIII). Nel l arch. V. della Monica rifece il convento; la chiesa venne ancora ricostruita su progetto di G.B. Cavagna ( ). La facciata presenta nella parte inf. una cancellata con 3 arcate a bugne di piperno ed in quella sup. 4 lesene tuscaniche alternate a finestroni che illuminano il coro. Dal vestibolo si accede al magnifico chiostro di Della Monica (1580), che concepì questo spazio in funzione prettamente paesaggistica. Al centro, fra le piante di agrumi, una fontana marmorea e le statue di Cristo e della Samaritana (1733) del Bottigliero. L interno conserva l impianto cinquecentesco, nel quale è inserita la fastosa decorazione barocca: un unica navata rettangolare con cappelle laterali ed abside a terminazione piatta. Lascia esterrefatti la grandiosità decorativa dell insieme arricchita dallo strepitoso soffitto intagliato e dorato. Esterno La facciata, seppur leggermente sproporzionata, presenta quattro lesene toscane che le conferiscono armonia di forma e struttura, con tre finestroni in arcate in un primo tempo sormontate da un timpano e successivamente da un terzo ordine architettonico. L'atrio, severo e scuro, regge il piano del coro con quattro pilastri e le relative piccole volte ad essi collegati. Il portale principale presenta dei bellissimi battenti disegnati con originali linee di ispirazione classica ed eseguiti nel In ciascuno degli scomparti dei tre battenti figurano rispettivamente, intagliati a rilievo, San Lorenzo, Santo Stefano e gli Evangelisti. Superando l'atrio, si notano ai lati della porta le iscrizioni che ricordano l'anno di consacrazione della chiesa nel 1579 e la dedicazione al santo armeno. In una terza lapide è menzionata la visita di Pio IX del Interno

5 Navata L'interno presenta una navata unica, con quattro cappelle laterali e cinque arcate per ciascun lato, che termina con un'abside a pianta rettangolare, sormontata da una semicupola decorata con La gloria di San Gregorio di Luca Giordano. Cupola Di straordinaria fattura è il soffitto a cassettoni, realizzato nel 1580 dal pittore fiammingo Teodoro d'errico su commissione della badessa del convento Beatrice Carafa, i cui scomparti con intagli dorati allocano tavole con la raffigurazione della vita dei santi le cui reliquie sono custodite nel complesso conventuale. Cappelle del lato destro Nelle quattro cappelle laterali destre vi sono, tra l'altro, L'Annunciazione di Pacecco De Rosa, la Vergine del Rosario di Nicola Malinconico e notevoli affreschi di Francesco Di Maria. Sul lato sinistro si può ammirare invece un superbo San Benedetto attribuito allo Spagnoletto. L'altare maggiore, appoggiato alla parete fondale dell'abside, è opera di Dionisio Lazzari; l'ancona, ospitante l'ascensione di Giovan Bernardo Lama, è sormontata da una grata che costituisce l'affaccio del Cappellone, o Coro dell'abside, sulla chiesa. Sulla sinistra del presbiterio, il comunichino del 1610: da qui la badessa del convento soleva ascoltare la messa e consentiva alle monache di ricevere la comunione. L'ambiente interno conserva ancora oggi la Scala santa che, fino al secolo scorso le monache erano obbligate a salire in ginocchio tutti i venerdì del mese di marzo come forma di penitenza. Chiostro di San Gregorio Armeno Uscendo dalla chiesa, dal lato dell'omonima via resa caratteristica per le botteghe di pastori e sormontata dal cavalcavia di connessione tra i due conventi poi trasformato in campanile, si accede al chiostro ed al convento, opera dell'architetto Giovanni Vincenzo Della Monica.

6 Il complesso, importante anche per la presenza di un ricco archivio, presenta un chiostro, tra i più belli e suggestivi della città, nel quale si affacciano gli alloggi a terrazza delle monache (le Suore Crocifisse o di Santa Patrizia, che ivi attendono alla confezione delle ostie ed alla preparazione del vino bianco per la messa). Al centro, una grande fontana marmorea barocca, affiancata da due statue settecentesche che raffigurano Cristo e la Samaritana (opera di Matteo Bottiglieri). Cenni storici La precisa data di fondazione della struttura è alquanto sconosciuta, ma, alcune fonti scritte, hanno fatto intuire che il chiostro esistesse già in un periodo anteriore all'xi secolo. In una documento politico, infatti, viene menzionata l'allora piccola chiesetta di San Gregorio Armeno, affiancata da altre tre chiesette. Tutte insieme, collocate a poca distanza le une dalle altre, furono unite per costituire un unico complesso dedicato a San Gregorio Armeno: le cui reliquie furono portate a Napoli grazie alle monache basiliane che sfuggirono alla guerra iconoclasta. Descrizione Scalone d'ingresso Ai primordi, il chiostro era stato concepito con uno spazio verde rettangolare ed adibito parzialmente ad orto e delimitato da undici archi per dodici. Con i dettami del Concilio di Trento, le suore furono costrette a rimaneggiare l'intero complesso monastico. La prima modifica, riguardò la chiesa stessa, cuore del complesso religioso che, sempre secondo le disposizioni tridentine, doveva essere esterna al convento. Il rimaneggiamento più accurato fu quello che riguardò la struttura in oggetto, poiché il chiostro, costituiva l'unico spazio esterno delle suore, il loro giardino personale che avrebbe dovuto essere, secondo il loro gusto, il più accogliente possibile. Sotto richiesta della badessa Lucrezia Caracciolo, le opere vennero affidate a Giovanni Vincenzo Della Monica. Sotto consiglio della nobile, per l'edificio in questione, l'architetto ed ingegnere riprese il disegno del chiostro dei Santi Marcellino e Festo: anch'essa sua pregevole opera. La scelta della badessa, non fu però basata solo su un mero giudizio estetico, ma soprattutto funzionale, poiché il chiostro dei Santi Marcellino e Festo possedeva una rara qualità, ossia quella di rispondere alle esigenze delle suore di dominare, anche solo con lo sguardo, il paesaggio urbano e quello naturale. Cinque belvedere resero meno faticosa la clausura: i due più bassi, ad esempio, sono accanto alla cupola e sull'angolo orientale che fa da sfondo la cupola di San Lorenzo.

7 Il terremoto del 1930, provocò danni ingenti all'intero monastero e i restauri successivi si rivelarono alquanto deludenti. Il fattore che ha sconvolto gli esperti dei beni culturali, è notare che fu demolita la splendida scala settecentesca che fece posto ai bagni dell'orfanotrofio, a cui era stata destinata parte del complesso religioso. Un arancio Il chiostro è caratterizzato da una splendida fontana di controversia attribuzione [1] realizzata per richiesta della badessa Violante Pignatelli e la stessa è affiancata da due statue raffiguranti il Cristo e la Samaritana, opere scultoree di Matteo Bottiglieri. Inoltre, sono ivi presenti decorazioni originali ed aranci. Il creatore della struttura idrica, rimasto sconosciuto, sempre sotto richiesta della nobildonna, introdusse anche delfini ed altri animali marini, maschere, ecc. tutte figure intrecciate, elemento degno del barocco napoletano, avido di forme e di spazio. Accanto alla fontana, invece, troviamo il pozzo che, assunse tale struttura, solo per coprire il foro dal quale fu estratto il materiale tufaceo per le ricostruzioni. Altra principale caratteristica del chiostro, sono le reti idriche ideate per usufruire delle acque provenienti dal condotto del Carmignano e quelle piovane, dunque in maniera completamente indipendente. I canali che facevano sopraggiungere l'acqua alle cisterne, vennero collocati su due archi rampanti sollevati tra l'orto e il portico adiacente alla chiesa. Le cisterne furono rivestite da volte a padiglione in lapillo battuto e rese accessibili attraverso una piccola finestra, dalla quale poteva passarci tranquillamente un uomo. Il pozzo che raccoglieva le acque piovane, invece, fu posizionato lungo l'asse orientale. Ben 135 scalini conducevano ai cunicoli dell'acquedotto e a numerosi depositi ricavati negli ambienti sottostanti. Il chiostro è formato da numerosi altri ambienti, come ad esempio la farmacia e il forno (convertito poi a refettorio per le orfanelle, nel XVIII secolo). I lavori che furono effettuati dopo il 1664, sotto direzione di Francesco Antonio Picchiatti, modificarono sensibilmente la struttura del chiostro, riducendo sensibilmente le sue dimensioni; infatti, fu costruito il refettorio al piano terra, mentre le celle occuparono il piano sovrastante. Nel cortile di servizio vi si trovavano diciassette cucine, il che ha fatto intuire quanto le religiose tenessero ad ogni comodità: come ben spiega Enrichetta Caracciolo che visse, per ben sette anni, all'interno del complesso, non come donna religiosa, ma come laica; ella pubblicò le sue memorie intitolate I misteri del chiostro napoletano. La cappella dell'idria Dal chiostro si accede a due cappelle, in una delle quali si conserva una tela di autore ignoto che raffigura L'Adorazione della Vergine. Nell'altra, la Cappella dell'idria (unico reperto del convento medievale, sebbene ridecorato nel XVIII secolo), sono presenti diciotto dipinti di Paolo De Matteis sulla Vita di Maria. Sull'altare maggiore, inoltre, campeggia l'icona orientale della Madonna dell'idria. La struttura è l'unico reperto del convento medioevale. Sulla sinistra dell'ingresso si accede al Coro delle monache e da qui al cosiddetto Corridoio delle monache, attraverso il quale le fanciulle che prendevano i voti portavano in dote opere d'arte quale segno di devozione. Sempre in uno degli ambienti interni, c'è Il "Salottino della Badessa in puro stile rococò.

8 Cappella Sansevero Orari Visite Giorni feriali: 09:30-18:30 Domenica e giorni festivi: 09:30-14:00 Situato nel cuore del centro antico di Napoli, il Museo Cappella Sansevero è un gioiello del patrimonio artistico internazionale. Creatività barocca e orgoglio dinastico, bellezza e mistero s'intrecciano creando qui un'atmosfera unica, quasi fuori dal tempo. Tra capolavori come il celebre Cristo velato, la cui immagine ha fatto il giro del mondo per la prodigiosa "tessitura" del velo marmoreo, meraviglie del virtuosismo come il Disinganno ed enigmatiche presenze come le Macchine anatomiche, la Cappella Sansevero rappresenta uno dei più singolari monumenti che l'ingegno umano abbia mai concepito. Un mausoleo nobiliare, un tempio iniziatico in cui è mirabilmente trasfusa la poliedrica personalità del suo geniale ideatore: Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero. LA CAPPELLA Le origini della Cappella Sansevero sono legate a un episodio leggendario. Narra, infatti, Cesare d Engenio Caracciolo nella Napoli Sacra del 1623 che, intorno al 1590, un uomo innocente, trascinato in catene per essere condotto in carcere, passando dinanzi al giardino del palazzo dei di Sangro in piazza San Domenico Maggiore, vide crollare una parte del muro di cinta di detto giardino e apparire un immagine della Madonna. Egli promise alla Vergine di donarle una lampada d argento e un iscrizione, qualora fosse stata riconosciuta la propria innocenza: scarcerato, l uomo tenne fede al voto. L immagine sacra divenne allora meta di pellegrinaggio, dispensando molte altre grazie. Poco dopo, anche il duca di Torremaggiore Giovan Francesco di Sangro, gravemente ammalato, si rivolse a questa Madonna per ottenere la guarigione: miracolato, per gratitudine fece innalzare, lì dove era apparsa per la prima volta la venerabile effigie (oggi visibile in alto sull Altare maggiore), una picciola cappella denominata Santa Maria della Pietà o Pietatella. Fu però il figlio di Giovan Francesco, Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria, che intraprese nei primi anni del 600 grandi lavori di trasformazione e ampliamento, modificando l originario sacello in un vero e proprio tempio votivo destinato a ospitare le sepolture degli antenati e dei futuri membri della famiglia.

9 Della fase seicentesca della Cappella Sansevero sono rimaste pressoché inalterate solo le dimensioni perimetrali e la snella architettura dell insieme, nonché la decorazione policroma dell abside; sono ancora visibili, inoltre, quattro mausolei nelle cappellette laterali, mentre altri di cui si ha notizia sono stati rimossi. L attuale assetto della Cappella e la quasi totalità delle opere in essa contenute, infatti, sono frutto della volontà di Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, che a partire dagli anni 40 del 700 riorganizzò la Cappella secondo criteri del tutto nuovi e personali. Benché molti particolari dell aspetto seicentesco del tempio gentilizio ci sfuggano, è certo che già allora esso dovette essere uno scrigno d arte: lo testimonia, tra gli altri, la Guida di Napoli di Pompeo Sarnelli (1685), che definì la cappella dei di Sangro grandemente abbellita con lavori di finissimi marmi, intorno alla quale sono le statue di molti degni personaggi di essa famiglia co loro elogi. Quel che è sopravvissuto delle opere seicentesche conferma sostanzialmente tale impressione, anche se la magnificenza dei lavori settecenteschi mette in ombra quanto eseguito prima dell attività mecenatesca di Raimondo di Sangro. Sin dalle origini, dunque, la Cappella è circonfusa di un alone leggendario: il racconto di d Engenio Caracciolo è certamente intessuto con particolari fantasiosi, ma la suggestione resta. Il ruolo avuto da Alessandro di Sangro nelle vicende edificatorie della Cappella Sansevero, peraltro, è confermato oltre che da diverse testimonianze d archivio dall iscrizione posta sulla porta principale del complesso monumentale, che recita: Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria destinò questo tempio, innalzato dalle fondamenta alla Beata Vergine, a sepolcro per sé e per i suoi nell anno del Signore CRISTO VELATO Giuseppe Sanmartino, Posto al centro della navata della Cappella Sansevero, il Cristo velato è una delle opere più note e suggestive al mondo. Nelle intenzioni del committente, la statua doveva essere eseguita da Antonio Corradini, che per il principe aveva già scolpito la Pudicizia. Tuttavia, Corradini morì nel 1752 e fece in tempo a terminare solo un bozzetto in terracotta del Cristo, oggi conservato al Museo di San Martino. Fu così che Raimondo di Sangro incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, di realizzare una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua. Sanmartino tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto. Come nella Pudicizia, anche nel Cristo velato l originale messaggio stilistico è nel velo, ma i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi di Sanmartino imprimono al sudario un movimento e una significazione molto distanti dai canoni corradiniani. La moderna sensibilità dell artista scolpisce, scarnifica il corpo senza vita, che le morbide coltri raccolgono misericordiosamente, sul quale i tormentati, convulsi ritmi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda,

10 quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, ancor più inesorabili e precise le linee del corpo martoriato. La vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani sottili, il costato scavato e rilassato finalmente nella morte liberatrice sono il segno di una ricerca intensa che non dà spazio a preziosismi o a canoni di scuola, anche quando lo scultore ricama minuziosamente i bordi del sudario o si sofferma sugli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo. L arte di Sanmartino si risolve qui in un evocazione drammatica, che fa della sofferenza del Cristo il simbolo del destino e del riscatto dell intera umanità.

11 Basilica di San Lorenzo Maggiore Apertura: Lunedi-Sabato: 09:30-17:30; Domenica: 09:30-13:30 Eretta per volere di Carlo d Angiò tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, là dove sorgeva una preesistente chiesa paleocristiana, è uno straordinario esempio dello stile gotico francese a Napoli. Rinnovata in forme barocche nel XVII e XVIII secolo, i restauri novecenteschi ne hanno restituito le originarie forme gotiche. La facciata di Ferdinando Sanfelice è del 1742 e conserva il trecentesco portale marmoreo originario. La pianta è a croce latina a navata unica, con copertura a capriate lignee, scandita da colonne di sostegno di archi a sesto acuto e cappelle laterali. Di rilievo è l abside poligonale con volte a crociera e cappelle radiali illuminate da alte finestre bifore e trifore. Molte le opere di interesse artistico tra cui il Sepolcro di Caterina d Austria con sculture di Tino da Camaino (1323) e il Cappellone di S. Antonio opera barocca di Cosimo Fanzago (1638). All esterno, accanto alla chiesa, vi sono il campanile quattrocentesco e il convento dei Frati Minori con il chiostro settecentesco, la Sala Capitolare affrescata da Luigi Rodriguez (1608) e il refettorio. Area archeologica di San Lorenzo Maggiore La fase più antica dell area archeologica di San Lorenzo Maggiore è rappresentata dall agorà greca di V sec. a.c. In età romana sfruttando il pendio della collina, la piazza si estese su due livelli, a monte ed a valle di via Tribunali: la zona inferiore, destinata alle attività commerciali, e quella superiore riservata a funzioni politiche. Tale sistemazione si data al I sec. d.c. e ricalca forse un organizzazione più antica. Oggi è riconoscibile il macellum, costituito da uno spazio porticato rettangolare su cui si aprivano botteghe e da una zona interna scoperta e pavimentata a mosaico, al centro di quest'area era collocata una tholos, un edificio circolare destinato alla vendita degli alimenti. Nella zona inferiore sono visitabili piccole tabernae, una lavanderia, l'erario cittadino. Nel V secolo d.c., la zona venne colmata da strati di natura alluvionale.

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