Cassazione Civile - Sez. lavoro. Sent. n del Omissis. Svolgimento del processo

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1 Cassazione Civile - Sez. lavoro Sent. n del Omissis Svolgimento del processo T.G. propose appello avanti alla Corte d'appello di Messina avverso la sentenza del Tribunale di Messina che, accogliendo la domanda riconvenzionale svolta dal Comune di X., aveva dichiarato la nullità della sua assunzione per mobilità alle dipendenze del suddetto Comune e rigettato le domande del lavoratore (annullamento della deliberazione comunale di revoca dell'incarico di comandante della Polizia Municipale e di numerosi altri provvedimenti che avevano inciso, a vario titolo, sullo svolgimento del suo servizio presso il Comune, ivi compreso quello di risoluzione del rapporto per superamento del comporto; accertamento che la sua malattia era conseguenza delle attività vessatorie e mobbizzanti attuate dal Comune nei suoi confronti; condanna del Comune al pagamento delle differenze retributive, al risarcimento dei danni e alla ricostruzione della carriera). Con sentenza del , la Corte d'appello di Messina, pronunciando sull'appello principale del lavoratore e su quello incidentale della parte datoriale, in riforma della decisione di prime cure, dichiarò l'illegittimità del licenziamento irrogato con determina n. 278 del e condannò il Comune di X. alla reintegra in servizio, al pagamento di un'indennità commisurata alle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento alla reintegra e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; dichiarò inammissibile la domanda di declaratoria di illegittimità della Delib. 6 aprile 2005, n. 11 di revoca dell'incarico di comandante della Polizia Municipale e di reintegra in tali funzioni; rigettò ogni altra domanda e condannò il Comune di X. alla rifusione delle spese afferenti ad entrambi i gradi del giudizio in ragione di due terzi, con compensazione della residua quota. A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò che: - per effetto del giudicato esterno (anche implicito) formatosi in altra causa svoltasi fra le parti, che come tale copriva il dedotto e il deducibile, dovevano ritenersi precluse la domanda del Comune di declaratoria della nullità dell'assunzione del T. e quelle di quest'ultimo relative alla revoca dell'incarico dirigenziale, di corresponsione dell'indennità di risultato e di reintegra nelle relative mansioni; - la domanda di risarcimento del danno da mobbing non poteva essere accolta non essendo stata offerta idonea prova al riguardo; - alla luce del disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 dovendosi escludere il carattere vessatorio delle determinazioni comunali, non sussisteva il diritto del T. ad essere reintegrato in un incarico dirigenziale equivalente a quello da ultimo ricoperto, nonchè quelli al risarcimento del danno da demansionamento e alla corresponsione dell'indennità di posizione organizzativa e di indennità di vigilanza; - non poteva essere ravvisata la denunciata dequalificazione professionale e dovevano essere rigettate le domande di riconoscimento della causa di servizio, di risarcimento dei danni per l'asserita riconducibilità della sua malattia a condizioni di lavoro avversative determinate dalla parte datoriale e di annullamento dei provvedimenti di riduzione della retribuzione e conseguente recupero delle somme erogate quali conseguenze del reiterarsi dello stato di malattia; - la richiesta di corresponsione della maggiorazione retributiva per straordinario andava rigettata, stante la genericità delle allegazioni e il carattere esplorativo delle relative richieste istruttorie; - parimenti non poteva essere accolta la richiesta di annullamento del provvedimento sanzionatorio adottato con la nota n del , tenuto anche conto che non aveva trovato riscontro probatorio il contesto di mobbing in cui sarebbe stato pretesamente assunto tale atto; - doveva ritenersi fondata la domanda di declaratoria dell'illegittimità del provvedimento di cessazione del rapporto lavorativo, non potendo ritenersi compiuto, alla stregua delle disposizioni del CCNL, il periodo massimo di comporto, con conseguente reintegra in servizio del lavoratore e condanna del Comune datore di lavoro al pagamento dell'indennità commisurata alle

2 retribuzioni globali di fatto fino alla reintegra e a versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; - andava disattesa, perchè priva del necessario supporto probatorio, la domanda di corresponsione degli incrementi retributivi dovuti alla progressione economica orizzontale nella categoria D, asseritamente attuata per altri dipendenti di pari categoria. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, il Comune di X. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L'intimato T.G. ha resistito con controricorso, svolgendo a sua volta ricorso incidentale fondato su quattro motivi ed instando per la condanna del ricorrente principale al risarcimento del danno da responsabilità aggravata. Il ricorrente principale ha resistito con controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione 1. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti, siccome proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.). 2. Con il primo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione dell'art c.c. e artt. 100 e 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), assume che la Corte territoriale non aveva il potere di rilevare il giudicato esterno implicito relativo alla validità dell'assunzione del T., posto che il rilievo della mancata proposizione della domanda volta a far dichiarare la nullità dell'assunzione per mobilità riguardava soltanto la sentenza resa inter partes nel 2008 (e pacificamente passata in giudicato) e non già quella successiva del 2012 resa in prime cure nel presente giudizio e perchè il T. non aveva, "in concreto", contestato il giudicato formatosi sulla irregolarità della sua assunzione. Con il primo motivo il ricorrente incidentale, denunciando violazione dell'art c.c. e dei canoni generali di interpretazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto l'inammissibilità della domanda di declaratoria di illegittimità della Delib. di revoca dall'incarico di comandante della Polizia Municipale e quella di reintegra in tali funzioni, deducendo che, su tale domanda, non si era formato il giudicato per effetto della ricordata pronuncia resa inter partes nel 2008, stante la declaratoria di inammissibilità pronunciata al riguardo in quel giudizio. I due motivi di ricorso, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. 2.1 Risulta al riguardo prioritaria la disamina del motivo di ricorso incidentale. La circostanza, pacifica, che il dispositivo della sentenza opposta in giudicato abbia dichiarato inammissibile il ricorso non esime dal considerare l'iter logico giuridico seguito dal Giudicante, quale estrinsecato nella motivazione; al riguardo, come del resto evidenziato nella sentenza impugnata, il Tribunale aveva puntualmente accolto, stante anche la mancata contestazione sul punto da parte del lavoratore, l'eccezione svolta dal Comune di X., fondata sulla circostanza che il T. non era in possesso, come richiesto, del porto d'armi; solo con ulteriore considerazione ad abundantiam (precedendo cioè il rilievo con la locuzione "In ogni caso...") veniva osservata l'omessa integrazione del contraddittorio necessario nei confronti del nuovo titolare dell'incarico (rilievo che, peraltro, avrebbe semmai dovuto condurre ad un provvedimento di integrazione del contraddittorio e non già ad una declaratoria di inammissibilità del ricorso). Ne consegue che, valutato l'atto giudiziario nel suo complesso e, in particolare, avuto riguardo alle ragioni che avevano effettivamente condotto a disattendere la domanda in parola, deve convenirsi che tali ragioni furono essenzialmente di merito, relative cioè alla valutazione del non possesso di un requisito di legge, come tale legittimante il provvedimento di revoca e preclusivo dell'eventuale chiesta reintegra nell'incarico revocato. Condivisibile risulta dunque l'affermazione della sentenza impugnata dell'effetto preclusivo del giudicato esterno in ordine alle domande relative alla revoca dell'incarico, alla reintegra delle mansioni e alla corresponsione dell'indennità di risultato. 2.2 Quanto al motivo di ricorso principale, va rilevato che la rituale costituzione di una rapporto di lavoro (ossia, nel caso di specie, la validità dell'assunzione del T. per mobilità) costituisce presupposto ineludibile del conferimento al lavoratore dell'incarico, poi revocato, di comandante della Polizia Municipale; con la conseguenza che la pronuncia che, con efficacia di giudicato, ha esaminato e disatteso nel merito (per le ragioni testè esposte) la domanda di revoca dell'incarico ha implicitamente assunto come proprio presupposto logico giuridico la sussistenza di un valido rapporto lavorativo (ossia la validità dell'effettuata assunzione), nell'ambito del quale l'incarico revocato era stato conferito

3 (tant'è che, pur dopo la revoca dell'incarico di comandante della Polizia Municipale, al T., nell'ambito del medesimo rapporto lavorativo con il Comune di X., vennero attribuite altre posizioni organizzative). La domanda di invalidità dell'assunzione avrebbe quindi dovuto essere svolta già nel primo giudizio reso inter partes e il non averlo fatto, con conseguente formazione del giudicato implicito sul punto, preclude l'ammissibilità della proposizione di tale domanda nel successivo presente giudizio. Nè può ritenersi fondata l'eccezione di violazione di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, poichè la questione era ancora sub iudice, avendo il T., con il proprio ricorso in appello, espressamente richiesto l'immediata reintegra in servizio con le precedenti funzioni e mansioni di comandante della Polizia Municipale (che, per la ragioni già esposte, presuppone la validità del rapporto lavorativo) ed essendo quindi la Corte territoriale tenuta a valutare la sussistenza del giudicato esterno formatosi riguardo a detta questione. 2.3 Entrambi i motivi all'esame vanno pertanto disattesi. 3. Con il secondo motivo il ricorrente principale, in relazione al capo di pronuncia relativo ai licenziamento per superamento del periodo di comporto, denuncia violazione dell'art. 21 CCNL per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). 3.1 Il ricorrente non muove tuttavia alcuna effettiva critica in diritto all'interpretazione resa dalla Corte territoriale al ridetto art. 21 CCNL 1995 e, in particolare, all'assunto decisionale secondo cui andava fatto valere l'episodio morboso in corso alla data di inizio del procedimento volto alla risoluzione del rapporto ( , prot. n. 7474), con conseguente computo di tutti gli episodi morbosi verificatisi nell'arco temporale di tre anni, ossia a far data dal , essendo cessato in data l'ultimo episodio morboso. 3.2 La censura, oltre che su questioni sollevate dal T. in grado di appello, ma non prese in considerazione dalla sentenza appellata e, quindi, irrilevanti in questa sede, si incentra invece sulla mancata considerazione da parte della Corte territoriale del provvedimento di rettifica dell' , alla stregua del quale, secondo l'avviso del ricorrente principale, si sarebbe dovuto giungere all'accertamento di una durata complessiva delle assenze superiore al periodo di comporto. Al riguardo va tenuto presente che, nel presente giudizio, trova applicazione il disposto dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente a seguito della riformulazione dello stesso attuata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012, considerato che la sentenza impugnata è stata depositata il In proposito le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di affermare i principi secondo cui: - la riformulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, cosicchè è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabilì e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione; - l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non

4 integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr, Cass., SU, nn. 8053/2014; 8054/2014; 9032/2014; 15429/2014). Nel caso di specie, attesa la sussistenza sul punto di una motivazione effettiva e non meramente apparente, coerente con le circostanze esaminate e scevra da elementi di illogicità, la mancata espressa considerazione dell'emergenza istruttoria dedotta dal ricorrente (priva peraltro di rilevanza in sè decisiva, poichè altra successiva nota del medesimo Comune, quella n dei , richiamata dalla Corte territoriale, risulta essere stata posta a base del provvedimento di risoluzione del rapporto), non può concretizzare un'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè. Il che determina, anche sotto il profilo del preteso vizio motivazionale, l'inaccoglibilità del mezzo all'esame. 4. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia l'omesso esame di fatti decisivi, il rigetto immotivato delle domande istruttorie (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e la falsa applicazione dell'art. 100 e 112 c.p.c., con riferimento alle domande dipendenti dall'accertamento del mobbing e dalla illegittimità dell'atto di revoca dall'incarico di comandante della Polizia Municipale, con conseguente richiesta del pagamento delle differenze retributive. 4.1 Sotto quest'ultimo profilo il motivo è infondato, essendo già stato riscontrato, nell'ambito della disamina del primo motivo di ricorso incidentale, come la Corte territoriale si sia in effetti pronunciata al riguardo. 4.2 Quanto alle doglianze relative alla questione di accertamento del preteso mobbing, vanno qui richiamate le considerazione già svolte in ordine alla portata della nuova disposizione di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Al contempo va tenuto presente che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni - di vario tipo ed entità - al dipendente medesimo (cfr, ex plurimis, Cass., n /2013); dal che discende che, al fine di valutare l'ammissibilità e rilevanza delle prove offerte dal dipendente che si pretende vittima di tale comportamenti, è necessaria una disamina complessiva di tali prove, onde verificare se l'insieme delle circostanze allegate sia idoneo alla dimostrazione della fattispecie dedotta nei suoi indicati aspetti oggettivi e soggettivi. Tale accertamento è stato effettuato dalla Corte territoriale, che ha osservato, appunto nell'ambito di una valutazione complessiva, che, dei molteplici articolati testimoniali destinati ad offrire la prova di comportamenti vessatori da parte del Comune, la maggior parte avevano ad oggetto presunte disfunzioni o irregolarità, più o meno gravi, da parte dell'organo^ ~ dirigenziale, senza, tuttavia, che fosse stato indicato in alcun modo in quali comportamenti si fosse, in concreto, attuata la volontà vessatoria e mobbizzante da parte del Comune di X., mentre altre circostanze risultavano inammissibili in quanto de relato actoris; la riproduzione del contenuto dei capitoli di prova effettuata in ricorso non smentisce affatto il giudizio reso dalla Corte territoriale (vertendo principalmente i capitoli su asseriti disservizi e disfunzioni dell'organizzazione comunale, su presunte irregolarità amministrative, su fatti non riguardanti il dipendente, su comportamenti di soggetti terzi, su critiche e rimproveri rivolti all'operato del dipendente dei quali non è tuttavia riportato l'effettivo contenuto), che non può dunque ritenersi configurare una motivazione meramente apparente o di stile, mentre, per quanto già ricordato, l'eventuale insufficienza della motivazione non ha più rilevanza nell'ambito della nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Quanto poi al dedotto mancato esame delle prove documentali, di alcuni dei fatti esposti e degli altri mezzi istruttori richiesti, il ricorrente non ne ha dimostrato la decisività, nè, in ossequio al principio di autosufficienza, ha riportato in ricorso (o lo ha fatto soltanto in forma riassuntiva e valutativa, ovvero per brevi e non esaustivi lacerti) il contenuto dei documenti di cui è stato lamentato il mancato esame o che avrebbero dovuto comprovare i fatti per i quali è stata dedotta l'omessa disamina. Dal che discende l'inaccoglibilità del motivo. 5. Con il terzo motivo il ricorrente incidentale, denunciando violazione di norme di legge e di CCNL, nonchè omesso esame di fatti decisivi, lamenta che la Corte territoriale, nel rigettare le domande di reintegra in incarico dirigenziale equivalente a quello ultimo ricoperto, di

5 risarcimento de danno da demansionamento e di condanna al pagamento dell'indennità di posizione organizzativa e dell'indennità di vigilanza, abbia fatto erroneo riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 non avendo egli mai chiesto la reintegra nell'incarico di Responsabile dei Servizi Sociali, quanto invece il risarcimento del danno in misura equivalente per il carattere ritorsivo e vessatorio della riduzione delle posizioni organizzative e della mancata selezione per l'affidamento delle due uniche posizioni organizzative. 5.1 La doglianza non può essere accolta, poichè la motivazione effettuata dalla Corte territoriale in ordine all'assenza di un diritto del lavoratore alla reintegra in un incarico dirigenziale equivalente è proprio finalizzata ad escludere il dedotto carattere vessatorio dei provvedimenti adottati dal Comune, nè il ricorrente incidentale indica da quali risultanze istruttorie, di carattere decisivo, tale carattere vessatorio avrebbe per contro dovuto risultare dimostrato, tanto più ove si consideri la già rilevata assenza di prova in ordine alla sussistenza di una condotta datoriale di mobbing nei suoi confronti. 6. Entrambe le parti hanno svolto doglianza relativa alla liquidazione delle spese. 6.1 La censura del ricorrente principale (terzo motivo del suo ricorso) è tuttavia svolta sul presupposto che l'appello proposto dal T. avrebbe dovuto essere rigettato e quindi resta assorbita per effetto del rigetto degli altri motivi di impugnazione. 6.2 Con il proprio quarto motivo il ricorrente incidentale lamenta: - l'erroneità della disposta compensazione parziale (nella misura di un terzo) delle spese; - l'erroneità della quantificazione delle spese per entrambi i gradi del giudizio di merito alla luce delle disposizioni del D.M. n. 140 del 2012 e del valore della controversia (asseritamente superiore ad Euro ,00) Il primo profilo di doglianza resta assorbito per effetto del rigetto degli altri motivi del ricorso incidentale Quanto al secondo profilo deve ritenersene l'infondatezza per ciò che concerne la quantificazione delle spese afferenti al primo grado, conclusosi prima dell'entrata in vigore deld.m. n. 140 del 2012 e per il quale la liquidazione non può pertanto essere effettuata con riferimento a tale fonte normativa, bensì alla disciplina precedente (come effettuato dalla Corte territoriale, che ha infatti proceduto alla liquidazione sulla base dei diritti e degli onorari) Per ciò che concerne la quantificazione delle spese del grado d'appello, la doglianza è priva del requisito dell'autosufficienza, non essendo stato riportato in ricorso il contenuto dei documenti (o delle eventuali altre risultanze istruttorie) da cui dovrebbe desumersi l'importo delle retribuzioni globali di fatto e, conseguentemente l'ammontare, nella misura dedotta, del valore della controversia. 7. La richiesta del ricorrente incidentale di condanna del Comune di X. al risarcimento del danno per responsabilità aggravata non può essere accolta, posto che, nel caso di specie, non emergono concreti elementi di valutazione idonei a comprovare che la resistenza in giudizio, determinata dall'erronea individuazione, alla luce della normativa contrattuale, del periodo utile ai fini del calcolo del comporto e, quindi, del conteggio delle assenze rilevanti a tal fine, sia ascrivibile a malafede o colpa grave della parte datoriale. 8. In definitiva entrambi i ricorsi vanno rigettati. La reciproca soccombenza consiglia la compensazione delle spese. Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione di entrambi i ricorsi, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; spese compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto rispettivamente per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis. Così deciso in Roma, il 7 ottobre Fonte:

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