A cura di Giorgina B. Piccoli Interviste di Francesca Bechis Fotografie di Saverio Colella STORIE. TECA Edizioni

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1 A cura di Giorgina B. Piccoli Interviste di Francesca Bechis Fotografie di Saverio Colella STORIE TECA Edizioni

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3 In copertina: abbiamo proposto a Patrizia Rosso, che sta scrivendo in questi giorni la storia della sua vita, di comparire sulla copertina: questo è il nostro augurio per lei e per il suo libro che verrà, ed è anche un invito a tutti coloro che hanno partecipato o che leggeranno questo libro se non a scrivere, almeno a pensare che anche la loro è una storia che merita di essere raccontata.

4 A cura di Giorgina B. Piccoli Interviste di Francesca Bechis STORIE Fotografie di Saverio Colella

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6 Al professor Antonio Vercellone, maestro della medicina come arte.

7 Introduzione

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9 Questo libro nasce dall amicizia e dalla necessità. E l amicizia che mi ha fatto conoscere e apprezzare molte persone e molte storie, alcune delle quali sono state raccolte in questo libro. E per amicizia che ho chiesto di raccontarle, ed è per amicizia che sono state raccontate. Man mano che questo lavoro cresceva, al primo nucleo di interviste se ne sono aggiunte altre ed il significato dell amicizia si è ampliato a comprendere anche il rapporto partecipe ed affettuoso tra medico e paziente. Il secondo gruppo di interviste, infatti, è stato condotto grazie ai colleghi del Centro Trapianti, che hanno cercato di identificare altre persone le cui storie integrassero quelle già raccolte, nel tentativo di fornire un quadro il più possibile vario della vita con la dialisi e col trapianto renale. A tutti va il nostro ringraziamento. Questo libro nasce anche dalla necessità. La necessità è quella di chi, medico come me, trova arduo spiegare ai propri pazienti una serie di problemi e di difficoltà ma anche di soluzioni, che non coinvolgono solo gli aspetti più tecnici della terapia, ma anche le ragioni che ne sono alla base. Credo che leggere queste storie possa servire, più di molte parole difficili, a trasmettere, più che spiegare, alcuni aspetti fondamentali del vivere con la dialisi e con il trapianto renale; e credo anche che la necessità di capirli sia comune ai medici, ai pazienti e a tutti coloro che si interessano, per una curiosità umana e priva di pregiudizi, alla vita in condizioni molto particolari, come può essere quella con la dialisi o con il trapianto di rene. 9

10 Il fatto che le persone intervistate, partendo dalla malattia, siano spesso giunte a parlare di tutta la loro vita, la dice lunga su molte cose. Alcuni spunti verranno recepiti in modo diverso da ognuno. Altre considerazioni meritano di essere dette apertamente: come i pazienti non si debbano arrendere e come i medici debbano ricordare sempre di avere davanti delle persone e non soltanto dei difficili casi clinici e come per chiunque, vicino o lontano dalla malattia, sia importante avvicinarsi a questa con la mente sgombra da preconcetti. Abbiamo scelto il titolo Storie, ed abbiamo deciso volutamente di tralasciare ogni riferimento alla malattia o al suo trattamento, proprio perché, rileggendo queste interviste, ci siamo resi conto, con stupore ma anche con piacere, che le storie raccolte non erano e non volevano essere dei semplici racconti di malattia ma che, partendo da questa, finivano per diventare dei ritratti di persone nella cui vita la malattia aveva sì un ruolo cruciale, ma che non si riducevano affatto ad una cronistoria clinica. Ci sembrava perciò che parlare di storie di dialisi e di trapianto renale sarebbe stato riduttivo e non avrebbe reso giustizia alla grande fatica che chi ci ha raccontato la propria esperienza ha compiuto per conquistare una vita piena e ricca, nonostante le limitazioni della malattia. Giorgina B. Piccoli 10

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12 Giuseppe Segoloni Abbiamo pensato di inserire la sua intervista, come responsabile del Centro Trapianti di Torino, all inizio del libro 12

13 per commentare, in particolare riguardo al trapianto, il significato di questo approccio all istruzione attraverso l esperienza. Abbiamo scelto questo approccio di raccolta di esperienze dirette, incentrate in particolare sul trapianto renale, perché il trapianto di rene non è un salvavita, è un qualcosa che si ricerca per vivere meglio, ed è difficile che risultati puramente clinici possano spiegare il vivere meglio. Il trapianto può essere valutato in diverse maniere: per valutare l efficacia delle terapie abbiamo dei parametri precisi ma, dato che il trapianto si fa perché il paziente viva meglio, credo che solamente la sua interpretazione o quella della sua famiglia su cosa è successo possano darci un peso di questo. Sovente gli obiettivi che scegliamo per la valutazione clinica sono un po grossolani: la sopravvivenza del paziente e del rene oppure il livello della creatinina. L impatto che ha avuto il trapianto sulla vita dei pazienti noi in genere non lo valutiamo, ed uno dei motivi della scelta di questo lavoro è proprio l impressione di esserci talvolta sbagliati: un punteggio molto buono che noi daremmo, da un ottica clinica, ad una situazione magari andrebbe rivisto, perché al paziente pesano alcuni aspetti della vita col trapianto renale. Sicuramente chi si occupa del trapianto è convinto che questo sia meglio della dialisi, e forse per alcuni aspetti lo è; nei casi singoli però non siamo sempre così sicuri del bilancio e sono 13

14 convinto che non teniamo assolutamente conto, anche nel trapianto che va bene, di quanto questo sia costato al paziente. Noi medici consideriamo i trapianti che vanno bene come dei trapianti riusciti, dei successi. Però anche dove il bilancio netto è positivo, c è una parte di sofferenza che non è assolutamente trascurabile e, forse, in generale, il trapianto è un po più destabilizzante della dialisi. Questo tipo di approccio all istruzione ha un enorme vantaggio perché è una specie di candid camera, è una presa diretta che dà una verità soggettiva. È chiaro che questo va maneggiato come si maneggia un dato emotivo, è un esperienza personale che segnala, per esempio, delle trappole che per altri non ci sono: è probabile che le esperienze negative, vissute da un individuo, da altre persone non sarebbero state percepite come tali. Quindi il materiale raccolto è una fotografia molto più simile al paesaggio reale che il paziente si troverà, perché molto più dettagliata ed articolata delle abituali considerazioni che vengono fatte in ambito ospedaliero. Quando noi medici diamo un informazione in genere la diamo più schematica. Credo che dovremmo usare molta cautela quando sentiamo delle esperienze di trapianto troppo favorevoli. Deve esserci un taglio nel fare proprie queste esperienze. Con cautela, ma forse meno, vanno viste anche le esperienze negative. Chi le racconta così forse le ha vissute in maniera più drammatica di altri. In ogni caso, i trapianti che vanno bene e non danno mai nessun problema sono una minoranza. Temo che in alcuni casi anche le 14

15 esperienze che vengono raccontate come positive dimentichino alcuni momenti difficili: il trapianto può dare un grande benessere ma non tutti i momenti, specie all inizio, sono di gioia. Il trapianto è sempre qualcosa di serio: bisogna tenere molto in conto i dati negativi per non avere delusioni. E chiaro poi che tutti speriamo che vada bene per sempre, ma quella che è secondo me la cosa più triste da sentire è il paziente che dice: Se l avessi saputo non l avrei fatto. Questa frase la consiglio come cautela per la lettura : ci sono pazienti che oggi stanno bene che mi hanno detto, magari al quarantesimo giorno dal trapianto, una frase di questo genere, altri, che oggi non la ricordano, l hanno detta il primo giorno; magari era clinicamente ingiustificata, ma chi l ha detta l ha certamente sofferta. Questo non dovrebbe mai succedere. Il trapianto ha questa caratteristica: quando ci sali sopra è un nastro-trasportatore, è un treno, non puoi scendere. Una persona che ha delle titubanze o che non sa cosa l aspetta rende tutto più difficile, il vissuto personale e la gestione clinica. Dovendo dare un consiglio direi: cautela nel maneggiare tutti questi dati, guardare con uno spirito critico le esperienze troppo positive, tenere conto di quelle negative senza drammatizzare, perché può essere che qualcuna sia un po esasperata, tener conto che il nemico peggiore è il senso di delusione. Non bisogna vedere, anche se può essere molto seducente, il trapianto come una fuga dalla dialisi: il trapianto è un opportunità che in genere va molto bene, ma bisogna affrontare anche la 15

16 spiacevolissima eventualità di dire: Se il trapianto va male cosa faccio? Nel rivedere le interviste ci siamo resi conto che questo testo potrebbe essere utile sia per i medici, talora poco abituati a fare mente locale sull esperienza diretta e su sfaccettature individuali, sia per chi non ha esperienza diretta e apprende dai giornali informazioni in genere trionfalistiche sul trapianto e deprimenti sulla dialisi. Come vede questo aspetto? Direi che questo è uno strumento di formazione poco convenzionale, che può permettere in poco spazio di cambiare alcune delle idee che uno si fa leggendo i giornali: è uno strumento prezioso perché porta delle esperienze dirette ed induce a delle riflessioni completamente nuove, proprio per questo taglio non di parte, perché non è fatto da chi fa i trapianti, ma da chi li vive. Venendo ai consigli per chi inizia, chi comincia la dialisi deve sapere di potere fare un trapianto quando vuole, in un tempo ragionevole, ma non dovrebbe essere spinto da una compulsione verso il trapianto. Da un punto di vista clinico-scientifico, un certo periodo di dialisi al massimo può facilitare il trapianto: può essere discutibile fino a che punto lo faciliti o meno, ma di certo, almeno per qualche anno, la dialisi non danneggia la futura riuscita del trapianto. Fare il trapianto senza passare attraverso la dialisi, dato che il trapianto può non andare bene, e questo va ribattuto, è molto 16

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18 pericoloso, soprattutto dal punto di vista psicologico. Ritornare alla dialisi dopo un trapianto fallito, che è stato vissuto come fuga dalla dialisi, è una delle situazioni in assoluto più brutte. Credo che, proprio perché il trapianto ha un suo carico di difficoltà e non è comunque mai una strada in discesa, anche per quelli che dicono splendido avere un punto di riferimento sicuro su che cosa è la dialisi possa aiutare a superare molti problemi. E una questione di termini di paragone: al trapianto rispetto alla vita normale si dà una valutazione, rispetto alla dialisi se ne dà un altra; in ogni caso l anticamera della dialisi, ad oggi, è quasi fisiologica. La corsa in avanti verso il trapianto addirittura prima della dialisi andrebbe bene se l esperienza del trapianto fosse di successo al cento per cento. Ad oggi, purtroppo non bisogna dimenticare che il trapianto, soprattutto nel primo anno, crea dei problemi non indifferenti di vita, di riabilitazione, di vincoli (ad esempio di esami due-tre volte la settimana). Tra i pazienti intervistati due hanno scelto, almeno per adesso, di non fare il trapianto. E possibile dare un consiglio sulla durata ottimale della dialisi pre-trapianto? La paura che hanno molti è sulle lunghe attese che li aspettano, una volta presa la decisione. Quando una persona fa un tipo di scelta a favore della dialisi, questa merita il massimo rispetto, anche perché corrisponde in genere ad una situazione dialitica particolare (in tutti e due i casi 18

19 si trattava di pazienti che gestivano direttamente e bene la propria malattia). In generale, mentre stare in dialisi una decina d anni non comporta un cambiamento significativo nelle condizioni cliniche, almeno per un soggetto giovane, quello che può capitare dopo i dieci anni di trattamento non è molto prevedibile. Non credo che sia giustificato, dal punto di vista clinico, sollecitare una persona a stare oltre dieci anni in dialisi, anche se sta bene; d altra parte, se però una persona dopo dieci anni sta bene in dialisi e non si sente di affrontare una diversa avventura, vuol dire che si è strutturata e che ha raggiunto la complementarità psicologica al trattamento. In effetti, ci sono delle situazioni in cui il trapianto può andare meno bene psicologicamente che clinicamente. Leggevo, per esempio, che negli USA, dove sono un po più drastici, molte persone sole hanno vissuto delle sindromi da abbandono pazzesche dopo il trapianto: infatti, molte persone trovano nella dialisi un punto di socialità e quando, una volta fatto il trapianto, vengono seguiti in ambulatorio, perdono un momento di incontro intorno a cui hanno strutturato molti aspetti della propria vita. Ci sono persone che da trapiantate non hanno più niente, hanno difficoltà a reinserirsi, perdono gli amici di prima... La paura dell attesa è forse oggi eccessiva, i tempi si sono decisamente accorciati, però chi si avvicina al trapianto spesso lo fa correndo, pensando di avere più opportunità se si mette in lista d attesa alla prima dialisi. 19

20 Questa situazione di lunghe attese attualmente è cambiata. La mia sensazione è che si stia andando verso l omogeneizzare il più possibile le attese. L espansione del trapianto da vivente porterà probabilmente ad un accorciamento ulteriore dei tempi. Credo che queste lunghe attese, che appartengono soprattutto al passato, non debbano oggi più spaventare. I farmaci che stiamo usando potranno verosimilmente permettere di adottare dei criteri più elastici per quello che riguarda la compatibilità; questo miglioramento sicuramente contribuirà a ridurre le attese troppo lunghe. Per quanto riguarda l aspetto clinico, certamente è meglio fare il trapianto in una persona giovane; visto anche il successo della dialisi, probabilmente oggi non vale la pena andare a trapiantare in fasce di età estreme, oltre i sessantacinque-settanta anni. Il trapianto comunque è una cosa in più, non è una cosa al posto della dialisi: è un completamento, un integrazione ottimale, a condizione che il paziente lo voglia, sia preparato, sappia cosa lo aspetta e lo paragoni con la dialisi e non con una vita del tutto senza restrizioni, altrimenti corre il rischio di un fallimento, almeno psicologico. La conoscenza della dialisi è molto importante, la dialisi è una piattaforma da cui partire, una terapia di cui sappiamo dire cosa accadrà il giorno dopo, molto scandita, programmata, prevedibile. Il trapianto, almeno all inizio, è un momento di caos ed il suo decorso è molto meno prevedibile. Non bisogna avere paura della dialisi, perché è una grossa ruota 20

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22 di scorta per il trapianto e non viceversa: saltare psicologicamente la fase della dialisi è molto pericoloso in questo senso. Per questo motivo, avrei molta paura del trapianto predialisi, ci darebbe probabilmente delle delusioni. Se il paziente ha provato la dialisi, questa esperienza dà al fatto di avere un trapianto una valenza più favorevole; non bisogna però dimenticare che ci sono dei momenti in cui è molto meglio vivere con la dialisi piuttosto che con un trapianto zoppicante. In ogni caso, proprio nella loro storia, dialisi e trapianto sono integrati fra loro; viene da dire Per fortuna che ci sono, e viene da dirlo al plurale: il grande successo del trapianto renale è proprio l esistenza della dialisi. Una cosa che spesso colpisce i pazienti è la sensazione del progresso nel tempo; per questa ragione alcuni hanno l idea che l attendere il trapianto non sia necessariamente un male, perché permette un ulteriore evoluzione delle conoscenze. Credo che questo sia vero. È come quando si vuole comprare un computer e si decide di aspettare un po perché poi esce il tipo nuovo che va meglio. Per chi ha avuto uno o più trapianti falliti è una situazione da prendere in considerazione con molta attenzione. Sicuramente chi è trapiantato oggi ha migliori possibilità rispetto a dieci anni fa; questa considerazione può probabilmente servire per vivere l attesa in modo meno drammatico. 22

23 Questo discorso è vero soprattutto dove c è una buona dialisi. Oggi una dialisi ben condotta permette non un parcheggio ma il trascorrere una parte della propria vita in buone condizioni, che poi il trapianto potrà ancora nettamente migliorare. Ritornando al libro delle Storie, che sviluppi pensa ci possano essere per questo tipo di testo? Mi piacerebbe continuare a proseguire in questa linea, inserendo anche altre situazioni, per rendere questo libro, o altri analoghi, ulteriormente articolati e aggiornati, perché non diventino datati. Questo approccio potrebbe diventare un golden standard d informazione, potrebbe essere dato non solo ai pazienti che giungono all ambulatorio pre-trapianti, ma a tutti coloro che entrano in dialisi. Mi piacerebbe, ad esempio, che per i pazienti che vengono in ambulatorio a fare la visita pre-trapianto ci fosse una casella con su scritto ha letto il libro : anche egoisticamente, a noi operatori toglierebbe un sacco di problemi. Sapere che il paziente ha letto il libro rende sicuri dell informazione avvenuta e permette di approfondire in modo produttivo le conoscenze. Il nostro sistema informativo si concentra nella visita, ma in questa occasione il paziente spesso non recepisce tutto quello che diciamo, perché è emozionato, non ha nessuna base su cui piantare delle informazioni o su cui chiedere delle cose importanti, dei chiarimenti, dei dubbi. 23

24 È importante che il paziente arrivi con delle informazioni già interiorizzate perché sappia dove orientarsi e quali domande fare; la lettura di esperienze dirette permette di conoscere anche dei particolari o dei punti di vista che noi probabilmente non gli diremmo mai. Nel nostro centro, anziché un consenso informato generico, farei leggere questo libro e considererei la sua discussione come forma di informazione e di consenso. Una raccolta di informazioni così poco tecnica può poi essere utile anche in altri campi... Per esempio come mezzo di sensibilizzazione al trapianto ed alla donazione di organo, ma anche per fare capire che essere malati non è un buon motivo per essere discriminati. 24

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26 Storie

27 Maria C. Sono Maria C. Ho iniziato a far dialisi a undici anni e a quindici anni ho avuto il trapianto. 28

28 Quindi ho cominciato questa storia abbastanza giovane. Sono stata trattata qui a Torino perché all inizio, quando mi sono ammalata, all ospedale di S. non facevano la dialisi. E stata una fortuna che sia arrivata qua da bambina, appena ricoverata mi hanno messa in dialisi e ho cominciato a vivere così, non c erano altre possibilità. Certo che l impatto con la dialisi non è stato dei migliori, però a quell età uno la prende anche un po come viene, anche perché non si sa bene a che cosa si va incontro. Devo dire che sono stati molto gentili in ospedale e poi, dopo qualche mese, sono andata a far dialisi in un Centro ad Assistenza Limitata. Lì è andata molto meglio, perché si faceva tutto da soli, si montava la macchina, si preparava il filtro, ultimamente mi bucavo anche da sola. Capire il funzionamento della macchina mi ha aiutata molto. Io ho sempre fatto una vita normale, con gli amici, andavo a scuola. Poi, per fortuna, a quindici anni è arrivato il trapianto. Qui non li facevano ancora e ho dovuto andare a Bruxelles. Il trapianto è andato bene, ho avuto soltanto due rigetti che sono stati curati subito. I primi due anni ho avuto qualche problema, poi, con i soliti alti e bassi, nell insieme è sempre andato bene. Questa primavera, sono vent anni che ho fatto il trapianto. La cosa più bella è che il trapianto mi ha permesso di avere un bambino, che adesso ha nove anni. Io lo consiglierei a tutti, dal mio punto di vista. 29

29 Quello che conta non è solo la terapia in sé e per sé, sono anche le persone che ti sono attorno, i genitori, gli amici, anche i medici e gli infermieri, tutti quelli che ci sono qui. E anche, certo, una questione di carattere; un altro magari reagisce in un altro modo. E chiaro che ci sono dei problemi anche con un trapianto che va bene: a volte mi sono sentita anche a disagio. All inizio, ad esempio, a Bruxelles sono stata parecchio, perché ho fatto due rigetti: uno dopo quindici giorni dal trapianto; non avevo ancora finito quello che già iniziava l altro. Quindi sono stata via settanta giorni, ma quasi tutti in ospedale: poi vent anni fa c erano anche altre tecniche, essere all estero è tutta un altra cosa rispetto a stare a casa. Mi sono trovata bene come ospedale, perché c è una certa serietà, come qui del resto, però è così lontano; bisogna sempre allontanarsi da casa. Anche tre anni fa ho avuto un altra operazione e sono stata su tre mesi. Mio figlio era a casa, aveva solo cinque anni ed ha patito abbastanza. Spero che adesso non capiti più, però purtroppo quando c è qualcosa che non va sono obbligata a dirlo e va a finire che devo andare lassù. E chiaro che devo dire tutti i problemi ai medici che mi seguono, poi se c è qualcosa che non va, non mi obbligano, ma in genere mi consigliano di andare a Bruxelles. Sono ben seguita comunque, e da due parti. Il giudizio è positivo sia per questo 30

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31 ospedale che per l altro. Qui mi hanno salvata una volta, quando ho cominciato a far dialisi. Laggiù ho fatto il trapianto... Quando ho avuto il bambino hanno fatto di tutto, tutti insieme. Chiaramente mi hanno consigliato di andare a partorire lassù, e io sono andata. Però è andata benissimo. Ci sono stati periodi di alti e bassi, come per tutti. Il periodo più bello è stato quello in cui ho avuto il bambino. Prima di tutto il trapianto e poi il bambino. Ho saputo che c era gente che aveva avuto figli dopo il trapianto e non si era trovata bene. Io non ho niente da ridire su tutto. Se non ci fossero state tutte queste cose, io a undici anni non avrei potuto più vivere. Io non ho mai preso male la dialisi, perché anche se ero giovane ho capito che se non ci fosse stato quello. Per il trapianto non so neanche io se ero contenta di farlo, oppure no. Sono andata così perché sembrava che fosse una cosa quasi naturale da fare. Poi per fortuna è andato tutto bene, e speriamo continui. Certo che ci sono delle altre cose che a volte danno dei problemi, il fegato, ad esempio: per forza, prendendo tutti questi farmaci per il trapianto non c è da aspettarsi tanto, ma l importante è che andiamo sempre avanti. Con le ricerche che si stanno facendo c è sempre più possibilità di migliorare ancora. A chi inizia adesso la dialisi direi di prenderla come qualcosa che fa continuare ad andare avanti, anche se non è bella, però non si 32

32 può fare niente altro. Direi di darsi una scrollata, di continuare la vita di sempre, anche perché la dialisi non è più quella di una volta, hanno fatto tante cose anche in questo campo. Lo so che uno non si sente bene, anch io quando uscivo dalla dialisi il giorno dopo stavo maluccio. Ho fatto dialisi per quattro anni ma sono andata a scuola, uscivo con gli amici, mi divertivo anche un po, non ci pensavo tanto. Non bisogna buttarsi giù. E poi per i giovani c è il trapianto, c è una possibilità reale. A me è andata bene subito, ho visto persone che hanno fatto due-tre trapianti prima di sistemarsi. Certo è facile a dirsi ma non a farsi. Quando qualcosa non va, sei sempre lì col magone, adesso cosa succederà?. Però bisogna andare avanti, se non per se stessi si va avanti per la famiglia. A volte si ha proprio voglia di lasciarsi andare, però c è sempre chi sta peggio di noi. Forse non è una cosa giusta, però la si pensa. Secondo me le persone che sono intorno, la famiglia, gli amici non dovrebbero far sentire la persona malata; io per esempio non mi sono mai sentita malata. Io ho un disturbo, ho qualcosa che non funziona, però il termine malato non mi è mai andato giù. Mio marito e gli altri mi dicono sempre che devo reagire, non mi compatiscono quando ho qualcosa che non va. Ho visto tanti anziani che vivono benissimo in dialisi, fanno la loro vita normale. Certo bisogna prendere la vita come viene, d altra parte non so chi sia senza problemi oggi, tutti ne hanno 33

33 qualcuno; a noi è toccato questo. Adesso mi preoccupo più per la mia famiglia che non per me. Forse è questo che aiuta. Claudio ha nove anni, va a scuola, non sopporta la matematica. Si sta informando sulle professioni, se bisogna studiare, se c è tanta matematica, se si guadagna bene, se ci sarà lavoro. Beh, aspettiamo ancora quattro o cinque anni. E alto e un po grassottello, adesso gioca a basket. Poi è molto sensibile, quando vengo a fare gli esami è sempre in agitazione. Non ha neanche più due anni, ormai sa tutto. E dice tutto fiero: Io sono nato a Bruxelles. 34

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35 Luciano S. Ho quarantanove anni, faccio dialisi da ventun anni e due mesi. La mia malattia è iniziata improvvisamente, almeno per quello 36

36 di cui mi sono accorto; sono stato ricoverato alle Molinette per disturbi vari: alito cattivo, spossatezza e niente altro. Sono entrato in ospedale qualche giorno prima della vigilia di Natale, dopo due giorni ho fatto la fistola ed il giorno di Natale la prima dialisi alle Molinette. Sono stato dimesso senza altri problemi connessi alla malattia esattamente alla fine delle vacanze di Natale. Allora io avevo ventinove anni ed insegnavo italiano e storia alle medie. Quando mi hanno dimesso, mi hanno detto di andare subito a scuola e mi hanno invitato a continuare a fare la vita di prima. Questo mi è servito molto, sono stato curato bene anche dal punto di vista psicologico dall équipe del professor V. Ho patito le prime dialisi fatte alle Molinette, poi mi hanno prospettato la possibilità ed anche invitato caldamente, vista la carenza dei posti dialisi, a scegliere la dialisi domiciliare. Questo perché ero in condizioni di salute buone, a parte la dialisi, ed avevo una persona disponibile, che allora era mia madre. Così sono passato in corso Vittorio, dove è iniziato il primo vero training, completato poi al centro di corso Regina. Un po per volta le mie condizioni sono nettamente migliorate; all inizio ero molto debole ma, continuando a lavorare, sono tornato abbastanza in forze in fretta e la dialisi non mi è più pesata. Sono andato a dializzare a casa dopo circa otto-nove mesi; all epoca le tecniche dei monitor e della preparazione della dialisi erano piuttosto rudimentali, specialmente in rapporto ai moderni macchinari più sofisticati. Negli anni dopo sono stato sempre bene e addirittura per alcuni anni ho potuto diminuire anche il numero di sedute dialitiche, che ora sono però tornate allo standard normale, cioè tre 37

37 alla settimana. Anche grazie al fatto che sono stato per diversi anni in dialisi una sola volta alla settimana, ho potuto completare sia la vita lavorativa che quella affettiva. Ho potuto fare i concorsi e sono passato di ruolo e dalle medie alle superiori. La mia promessa sposa ha accettato di continuare a stare con me, dopodiché mi sono sposato ed abbiamo avuto anche due bambini, che oggi hanno tredici ed undici anni. In dialisi continuo a trovarmi discretamente bene, ovviamente non è più come prima: dopo vent anni si è più deboli, si cambia di carattere, si è più stanchi, gli anni passano e secondo me la loro velocità è il doppio di quella di una persona che non è in dialisi. Tuttavia, non avendo altri problemi e sopportando bene la dialisi, ormai sono così abituato a questa vita che non ho ancora deciso per il trapianto, anche perché ritengo che sia un passo molto impegnativo cui pensare bene, un traguardo che, protratto nel tempo, offre probabilmente maggiori garanzie. Finché potrò condurre un esistenza normale, come sto facendo, con nessuna privazione, dato che continuo ad avere un residuo di diuresi e non ho problemi di potassio o di dieta, penso di rinviare il trapianto, che ovviamente non escludo, ancora di qualche anno, se è possibile. Non mi sono ancora iscritto in lista trapianto. Ho potuto fare dialisi in giro, anche se non ci muoviamo molto. Durante le ferie ho fatto dialisi in diversi posti italiani ed a Montecarlo e mi sono sempre trovato bene. Ritengo sia molto importante conoscere sia i mezzi tecnici sia il decorso della malattia. Penso, per esperienza, che si debbano ascoltare 38

38 le imposizioni dei sanitari, cosa su cui prima di ammalarmi ero molto scettico. Ultimamente sono un po preoccupato, perché mi pare di aver percepito che la dialisi domiciliare sia un po trascurata ed emarginata; questo mi pare un grave peccato. Non ho dializzato a casa per i periodi in corrispondenza della nascita dei figli e sono tornato in corso Regina qualche tempo, oppure sono dovuto ogni tanto rientrare in centro per motivi tecnici, come cambi del monitor, che sono stati tre o quattro, o per interventi come il rifacimento della fistola e la paratiroidectomia. Io non sono partito con l idea del trapianto, anche perché vent anni fa era molto più aleatorio di oggi. Sicuramente il trapianto fatto oggi, e con l équipe di Torino, è una buona meta. Però non credo che si debba pensare subito al trapianto, un periodo in dialisi dà la possibilità di rinforzarsi fisicamente e di capire come funziona, anche perché un trapianto fatto da giovane non è detto che durerà in eterno. Bisognerebbe scandire la terapia nel corso di quella che si spera sia una lunga vita, sia pure da nefropatici. La dialisi non mi ha condizionato eccessivamente, se non per i viaggi, cui però non ho mai tenuto molto. Si può fare una vita normale come prima, specialmente se si è in dialisi domiciliare, che si può gestire secondo orari e criteri che meglio giovano. Io vorrei solo aspettare ancora qualche anno, anche per eventuali innovazioni tecniche e poi, dopo venti-venticinque anni di dialisi, penso che un trapianto possa dare un pochino più di slancio. Bisogna pensare che il trapianto non è qualcosa di definitivo, non sempre dura una vita. Si sa che dopo un periodo di tempo, più o meno lungo 39

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40 a seconda della fortuna, uno ritorna poi da capo. Mi pare che quella del trapianto sia una carta da giocare con intelligenza e con scrupolo. Io non sono ancora convinto di farlo perché penso che i rischi siano notevoli, non solo rischi tecnici ma anche derivati dal donatore; poi la terapia è pesante, si chiude un armadio di medicinali e bisogna aprirne un altro. Penso che sia stressante controllare sempre che questo rene funzioni e mi pare che sia molto più rilassante la dialisi che il trapianto. Della mia esperienza di dialisi domiciliare non posso proprio lamentarmi; all inizio, anche se i mezzi erano molto più arretrati, bisognosi di attenzione e rischiosi, sono stato molto felicemente impressionato da come eravamo seguiti sia fisicamente che psicologicamente. Auspico che ritorni un analogo impegno. Vedo dei problemi soprattutto all inizio, quando si è un po frastornati e bisogna organizzare la casa e coinvolgere un partner. A parte questo, non penso che ci siano poi vere controindicazioni; dializzare a casa è sicuramente meglio perché si può gestire e capire meglio la malattia ed è meno stressante, tanto più se uno vive anche lontano dal centro dialisi e deve avere per una vita sempre quell orario preciso, inderogabile. Quando, invece, si dializza a casa, si può cambiare orario ed essere molto più elastici. Anche all inizio, quando i macchinari erano primitivi, non ho mai corso dei pericoli veri e propri, anche se abbiamo avuto degli incidenti, ad esempio è capitato che il monitor si guastasse durante la dialisi, oppure che il filtro fosse fallato o si rompesse. Bisogna considerare queste quattro ore di dialisi come una tranquilla 41

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