Agostino d Ippona [Le confessioni]
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- Emilio Gagliardi
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1 Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so così, in buona fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe il tempo passato, e se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe il tempo futuro, e se nulla fosse, non vi sarebbe il tempo presente. Agostino d Ippona [Le confessioni] 1
2 Introduzione. Nello Stato di diritto amministrativo la cura dell interesse pubblico, da parte della Pubblica Amministrazione, veniva perseguita tramite provvedimenti unilaterali ed imperativi che si atteggiavano come espressione di un potere autoritativo, nei confronti degli amministrati, e rispetto ai quali gli stessi potevano vantare ben poche pretese. In questo contesto l interesse pubblico si presentava esterno e contrapposto a quello dei cittadini; esso era fissato e sintetizzato in sede legislativa prevedendo per la sua determinazione in concreto modalità operative che la Pubblica Amministrazione era chiamata ad applicare rigorosamente. Questa situazione comportava una serie di conseguenze nel rapporto tra amministrazione ed amministrati. Da una parte, si dava luogo ad un rapporto impersonale tra cittadino e funzionario pubblico; a quest ultimo, infatti, la responsabilità sull efficacia ed efficienza dell azione amministrativa era solo indirettamente imputabile essendo responsabile esclusivamente nei confronti dell amministrazione dalla quale dipendeva, e dalla quale era chiamato al rispetto formale dei canoni di legalità ed imparzialità degli atti con conseguente e sostanziale disattenzione per il prodotto finale dell attività amministrativa. Dall altra, per quanto concerne i destinatari dell attività amministrativa, si creava il convincimento che la stessa emissione degli atti costituisse una sorta di benevolenza o peggio di favore, con un sostanziale 2
3 svuotamento delle aspettative, e conseguente depotenziamento delle tutele. Con lo svilupparsi dello Stato di diritto democratico in senso sociale e pluralistico, la vocazione autoritativa della Pubblica Amministrazione ha sempre più dovuto cedere il passo ad una vocazione consensuale dell agire amministrativo. Inoltre, col definirsi di un nuovo contesto democratico e partecipativo la stessa nozione di interesse pubblico si è modificata. Secondo le più recenti acquisizioni dottrinarie, infatti, l interesse pubblico non appartiene più all amministrazione, ma all intero corpo sociale ed esso emerge dalla comparazione ponderata di tutti gli interessi coinvolti nell esercizio del potere. In sostanza i valori del pubblico si intrecciano con le ragioni del privato, tutto ciò ha trovato sul piano normativo concreta attuazione a partire dagli anni novanta. In particolare, è con la legge n. 241 del 7 agosto 1990 recante Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi che si inaugura una svolta nella definizione delle modalità operative della Pubblica Amministrazione, nonché nella consapevolezza della necessità di riconoscere al cittadino un ruolo centrale nella vita pubblica amministrativa. Anzi, possiamo affermare che è con questa nuova legge sul procedimento - per usare la felice espressione di Sabino Cassese - che al riconoscimento della cittadinanza politica inizia a seguire il riconoscimento della cittadinanza amministrativa. 3
4 Quindi, in questa sua moderna accezione l interesse pubblico va più correttamente interpretato quale momento di sintesi di tutti gli interessi coinvolti nell azione amministrativa. Conseguenza più o meno diretta di questa nuova impostazione è che l amministrazione nel suo operare si determina sulle coordinate, non solo della garanzia e della trasparenza, che diventa prevalente rispetto al vecchio principio della riservatezza, ma anche della partecipazione e della consensualità che ne appaiono il precipitato, nonché della certezza dell azione amministrativa. Nel corso di questo lavoro ci occuperemo in particolare di quest ultimo aspetto, ponendo particolare attenzione al tema dell inerzia dell amministrazione e delle conseguenze che questa comporta in termini di certezza del diritto e di legittimo affidamento, come pure delle misure che nel tempo la giurisprudenza ed il legislatore hanno messo in atto fino ad arrivare ai giorni nostri a prevedere il risarcimento del danno da ritardo nell emanazione del provvedimento finale. Questo tema, a parere di chi scrive, ci offre l occasione di osservare da una singolare angolazione, quale può essere quella della tempistica amministrativa, il processo di trasformazione sopra accennato nonché il modo di concepire il ruolo che la Pubblica Amministrazione svolge nei moderni Stati di diritto. Non è un caso che il tema della tempistica amministrativa è da diversi anni presente sullo scenario dei singoli paesi europei e nelle loro legislazioni. Si pensi alla legge sul procedimento amministrativo del 25 maggio 1976 della Repubblica federale tedesca, alla legge francese 4
5 dell 11 luglio 1979 (confermata nel 1986) o ancora alla legge spagnola sul procedimento amministrativo del 26 novembre Infine, in ambito di integrazione europea, nel Trattato per la Costituzione europea siglato a Roma il 29 ottobre 2004 all art. 101, primo comma, è sancito chiaramente che ogni persona ha diritto che le questioni che la riguardino siano trattate dalle istituzioni, organi e organismi europei, oltre che in maniera equa e imparziale, in un tempo ragionevole. Al successivo terzo comma, si stabilisce anche la sanzione del risarcimento del danno per le Amministrazioni che non rispettino tale principio. Nel nostro ordinamento, infine, la tematica del tempo amministrativo ha trovato dei precisi referenti normativi di carattere generale all interno della legge sul procedimento amministrativo, in particolare, ci riferiamo agli artt. 2, 19 e 20 ai quali sarà rivolta attenzione nelle pagine che seguono. In generale possiamo concludere questa introduzione sottolineando che questa legge sul procedimento n. 241/1990, ha fissato solennemente la legalità procedimentale, stabilendo regole di garanzia per il privato nel procedimento amministrativo. Si tratta di un momento decisivo nella evoluzione del diritto amministrativo italiano, che con questa importante riforma, ha voluto incidere profondamente nello stesso modo di intendere il nuovo rapporto tra amministrazione e amministrati. 5
6 1.0 - All origine della riflessione giuridica sul tema dell inerzia della Pubblica Amministrazione. Storicamente l esigenza di tutela del privato a fronte dell inerzia della Pubblica Amministrazione, 1 si è manifestata in principio in un ambito particolare, costituito dall ipotesi di ricorso gerarchico contro un atto emesso dall ente pubblico. La legge n del 31 marzo 1889, istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, poneva come requisito basilare per l impugnazione dell atto amministrativo la sua definitività, caratteristica questa che veniva ad esistenza solo se vi era una decisione sul ricorso da parte dell organo gerarchicamente superiore a quello che aveva emesso l atto impugnato. Logica conseguenza era che l eventuale mancata decisione sul ricorso gerarchico precludeva la possibilità di impugnazione dell atto dinanzi al giudice amministrativo. Si rendeva, pertanto, necessario un rimedio che consentisse al privato di superare un simile ostacolo. Tale rimedio fu individuato con la nota sentenza n. 429, resa dalla IV Sezione del Consiglio di Stato in data 1 Cfr. CANNADA BARTOLI E., (1956), Inerzia a provvedere da parte della pubblica amministrazione e tutela del cittadino, p. 175; Cfr. CASSESE S., (1963) Inerzia e silenzio della pubblica amministrazione, p
7 22 agosto In base a quest ultima in pratica, decorso un congruo termine di tempo, dalla presentazione del ricorso gerarchico, l interessato doveva notificare una formale diffida all amministrazione, intimando alla stessa di decidere in merito entro un determinato ulteriore termine. Il decorso di tale termine senza alcuna pronuncia doveva interpretarsi come rigetto del ricorso (c.d. silenzio-rigetto), assumendo in questo modo la valenza di un provvedimento negativo. Tale soluzione costituiva una finzione giuridica ed era resa necessaria dal carattere impugnatorio, proprio del processo amministrativo, 3 ovvero di un processo che ha ad oggetto un atto amministrativo rispetto al quale, si chiede la pronuncia dell autorità giudiziaria. Tale rimedio ebbe una successiva trasposizione in ambito legislativo con la legge n. 383 del 3 marzo 1934, (Testo Unico della legge comunale e provinciale), che all art. 5 riconobbe al ricorrente decorsi senza esito centoventi giorni dalla presentazione del ricorso il potere di notificare istanza alla Pubblica Amministrazione. affinché decidesse sul ricorso presentato. In assenza di decisione, trascorsi sessanta giorni, il ricorso era considerato rigettato. Si compiva così un piccolo passo avanti, eliminando il problema preesistente di come interpretare l espressione congruo termine, ma si restava sempre nel caso specifico del ricorso amministrativo, nulla 2 Cfr. CHIAPPETTA M., DE GIORNI M., SANDULLI A., (2001), Consiglio di Stato, Sezione IV, decisione 22 agosto 1902, n. 429 Commento p Cfr. NIGRO M., (2002), Giustizia amministrativa, 7
8 dicendosi riguardo al silenzio dell ente pubblico, a seguito di un istanza del privato volta ad ottenere un concreto provvedimento. Fu così che la giurisprudenza amministrativa, seppure con alcuni tentennamenti, ritenne di poter colmare tale lacuna interpretando la disciplina suddetta, come il frutto di un principio di carattere generale, riferibile a qualsiasi caso di inerzia della Pubblica Amministrazione. 4 Non mancavano, tuttavia, in dottrina forti perplessità, incentrate sulla circostanza che il silenzio non costituiva altro che un comportamento della Pubblica Amministrazione, cui per mera finzione si attribuiva il carattere di un atto. Tali perplessità trovarono un espresso riconoscimento da parte dell Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che con la sentenza n. 8 del 3 maggio 1960, superò la concezione del processo amministrativo quale esclusivamente di tipo impugnatorio, riconoscendo che i ricorsi giurisdizionali contro il silenzio-rifiuto hanno ad oggetto non un atto amministrativo, ma il comportamento della Pubblica Amministrazione omissivo rispetto all obbligo di provvedere. Qualche anno più tardi, si giunse, all abrogazione dell art. 5 del Testo Unico della legge comunale e provinciale del 1934, ad opera dell art. 6 del D.P.R. n del 24 novembre 1971 di disciplina dei ricorsi amministrativi, che prevede che decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso gerarchico, senza che l organo abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato è esperibile il 4 Cfr. Consiglio di Stato,, Sez. IV, 21 gennaio 1936 n. 26; id., Sez. IV, 29 ottobre 1951 n
9 ricorso all autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente della Repubblica. A tale sviluppo normativo la giurisprudenza fece seguire un importante pronuncia, resa dall Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione n. 10 del 10 marzo In tale occasione, accogliendo la posizione espressa da una parte della dottrina, la magistratura amministrativa ritenne di dover applicare al silenzio-rifiuto la procedura contemplata dall art. 25 del D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957, 6 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), per cui decorsi inutilmente sessanta giorni dalla presentazione di un istanza, il privato doveva diffidare e mettere in mora la Pubblica Amministrazione affinché, provvedesse entro un termine di almeno trenta giorni. Decorso infruttuosamente tale termine, era possibile impugnare il silenzio-rifiuto dinanzi al giudice amministrativo. 5 Cfr. SANDULLI A., (2001), Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, decisione 10 marzo 1978, n. 10 Commento, p Cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 marzo 1979, n. 220, in Foro amministrativo, 1979, I, 343; id., Sez. V, 9 luglio 1990, n. 591, in Foro amministrativo, 1990, I,
10 2.0 - L obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso nella nuova legge n. 241/1990. Come si evince da quanto sopra accennato nell ordinamento giuridico anteriore alla riforma del procedimento amministrativo, avvenuta con legge n. 241/1990, non esisteva una norma di carattere generale che imponesse alla Pubblica Amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso 7. Di conseguenza, il comportamento omissivo della Pubblica Amministrazione era da ritenersi illegittimo nei soli casi in cui sulla stessa incombeva un obbligo giuridico a provvedere derivante da una norma di legge, da un regolamento, ovvero da un atto amministrativo. Tuttavia già all epoca dell emanazione della legge sul procedimento non era mancata l attenzione del legislatore sul tema dell inerzia della Pubblica Amministrazione. A ben vedere, qualche mese prima nell aprile del 1990, era stato novellato il reato di omissioni di atti di ufficio 8 mediante la riscrittura dell art. 328 c.p. che al secondo comma, aveva incriminato l omissione del pubblico ufficiale e la 7 Cfr. CLARICH M., (1995), Termine del procedimento e potere amministrativo, Cfr. MARCHESE P., (1983), Il silenzio nel diritto amministrativo, Cfr. SCOCA F.G., (1971) Il silenzio della pubblica amministrazione. 10
11 mancata esposizione delle ragioni del ritardo nel conseguimento dell atto oltre il termine di trenta giorni dalla richiesta scritta, di chi vi avesse interesse. Tuttavia la norma in questione, lungi dal prevedere un generale obbligo di conclusione del procedimento, si limitava a consacrare, ai fini dell esonero della responsabilità penale, l obbligo di un riscontro da parte del funzionario attinto dalla richiesta del privato, riscontro quest ultimo, che doveva essere idoneo a giustificare il mancato adempimento dell atto richiesto. Tuttavia è con l introduzione della legge sul procedimento amministrativo che si registra una vera e propria svolta sul tema dell inerzia della Pubblica Amministrazione. La nuova legge, anche nell ottica di una rinnovata visione del rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione prevede ai sensi dell art. 2, che la Pubblica Amministrazione. è obbligata a concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento finale espresso 9 entro un termine certo e ragionevole nel rispetto dei principi di certezza del diritto e di imparzialità-trasparenza dell azione amministrativa, in questo senso la norma in parola costituisce una diretta attuazione del principio costituzionale di buon andamento dell azione amministrativa della Pubblica Amministrazione, stabilito dall art. 97 della Costituzione. Peraltro, sempre l art.2 della legge n. 241/1990, oltre a generalizzare l obbligo di conclusione espressa del procedimento amministrativo, nella versione originaria fissava al terzo comma un 8 Cfr. CADOPPI A., VENEZIANI P., (1995), Voce omissione o rifiuto di atti di ufficio p
12 termine di conclusione dello stesso di trenta giorni dalla data di inizio d ufficio o di ricevimento dell istanza di parte, salvo diversa disposizione normativa di legge o regolamento. Al secondo comma dell art. 2, della legge citata, si aggiungeva che a ciascuna amministrazione era attribuito il potere di individuare autonomamente il termine finale dei procedimenti da essa stessa gestiti, garantendo in tal modo un buon grado di flessibilità ed adattabilità che sarebbero stati sacrificati se il termine fosse già fissato dalla legge o da un regolamento non emanato dalla stessa amministrazione. Quindi una volta scaduti i termini di conclusione del procedimento siano essi fissati dalla stessa amministrazione o in via suppletoria dall art. 2 della stessa legge nel caso in cui la Pubblica Amministrazione non avesse ancora provveduto, il suo silenzio poteva considerarsi illegittimo, tranne i casi di silenzio significativo, 10 tassativamente indicati dalla legge. Vi erano dei casi, infatti, in cui la Pubblica Amministrazione poteva derogare all emissione di un atto formale conclusivo dell iter procedimentale sia in funzione di accoglimento dell istanza (c.d. silenzio-assenso), sia in funzione di rigetto della stessa (c.d. silenziorigetto). Inoltre giova ricordare che l art. 20 della legge n. 241/1990, prima di essere modificato nel 2005, rimandava per la elencazione dei casi in cui l attività privata dovesse essere considerata accolta, qualora non fosse stata comunicata all interessato il provvedimento di diniego, 9 Cfr. CIOFFI A., (2005), Dovere di provvedere e pubblica amministrazione. 10 Cfr. PARISIO V., (1996), I silenzi della pubblica amministrazione. 12
13 ad un successivo regolamento da adottare ai sensi del secondo comma dell art. 17 della legge n. 400 del 23 agosto 1988, recante: Disciplina dell attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge sul procedimento. Per quanto riguarda i profili strettamente attinenti l oggetto della nostra indagine, vale la pena di osservare, che la legge n. 241/1990 sul procedimento, oltre ad essere una legge sulla partecipazione dei cittadini alla funzione amministrativa, è una legge sulle certezze temporali dell agire della Pubblica Amministrazione. Certezze temporali necessarie per il funzionamento della macchina della Pubblica Amministrazione nei procedimenti infrastrutturali (artt. 16 e 17), ma soprattutto certezze temporali da dare ai privati, sia con riferimento ai procedimenti che portano all emanazione di provvedimenti autorizzatori (art. 20), sia con riferimento agli atti amministrativi che possono condizionare l attività` dei cittadini (art. 19) Cfr. FONDERICO G., (2005), Il nuovo tempo del procedimento, la d.i.a. e il silenzio assenso. 13
14 3.0 - La riforma del 2005 e la generalizzazione del silenzio-assenso. In un quadro di crescente interesse per la tempistica amministrativa il legislatore del 2005 è intervenuto con due distinti provvedimenti, a distanza l uno dall altro di poco più di due mesi. Infatti l art. 2 della legge n. 241/1990, novellato dalla legge n. 15 dell 11 febbraio 2005, che ha introdotto il comma quattro-bis, è stato nuovamente riscritto insieme agli artt. 19 e 20 dall art. 3 della legge n. 80 del 14 maggio 2005, che ha convertito il D.L. n. 35 del 14 marzo 2005, contenente misure in materia di competitività rivoluzionando di fatto il modo di concepire l inerzia della Pubblica Amministrazione. Con questa importante riforma che ha comportato una rivisitazione complessiva della legge sul procedimento amministrativo a distanza di quindici anni dalla sua approvazione si ribaltano, per ciò che riguarda il tempo amministrativo, 12 i termini della questione giacché il silenzio-assenso diventa regola generale, eccezion fatta per i procedimenti inerenti le materie specificamente individuate nel quarto comma dell art. 20 della legge n. 241/1990, tra le quali: il patrimonio culturale e paesaggistico, l ambiente, la difesa nazionale, la pubblica 14
15 sicurezza, la salute e la pubblica incolumità. Da segnalare peraltro che recentemente, con la legge n. 69 del 18 giugno 2009, 13 l elenco di cui al quarto comma dell art vale a dire delle materie sottratte al meccanismo del silenzio-assenso - è stato integrato comprendendo anche i procedimenti inerenti l immigrazione, l asilo e la cittadinanza di stretta attinenza dell Amministrazione dell Interno. Lo spirito della riforma era quello di limitare i casi in cui l inerzia della Pubblica Amministrazione, si traducesse di fatto in una intollerante situazione di incertezza per i privati; essa costituisce un importante traguardo raggiunto in termini di certezza del diritto e di salvaguardia dei cittadini rispetto a comportamenti patologici se non addirittura ostruzionistici della Pubblica Amministrazione. Per quanto riguarda la ridefinizione dei termini di conclusione del procedimento, nonché delle modalità di fissazione di tali termini, la disciplina introdotta nel 2005 non poteva non dedicare a questo argomento importanti modifiche, anche alla luce di un riequilibrio resosi necessario dalla suddetta generalizzazione del silenzio-assenso. Infatti, ricordiamo che l originario art. 2 della legge 241/1990, attribuiva a ciascuna amministrazione il potere di individuare autonomamente il termine finale dei procedimenti da essa stessa gestiti, salvo i casi in cui il termine fosse già fissato dalla legge o da un regolamento. Inoltre, in caso di mancata fissazione spontanea del termine da parte di ciascuna amministrazione, la legge prevedeva l applicazione di un termine 12 Cfr. DE ANDREIS M., (2005), Il nuovo silenzio assenso. 13 Cfr. SANDULLI A., (2009), La legge n. 69/2009 e la pubblica amministrazione, p
16 suppletivo di trenta giorni. A questo meccanismo basato sull autonoma determinazione del termine da parte di ciascuna amministrazione, l art. 3 della legge n. 80/2005, novellando l art. 2 della legge n. 241/1990, sostituisce un sistema maggiormente centralizzato nel quale i termini dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali, ove non siano direttamente previsti per legge vengono determinati non più dalle singole amministrazioni, ma dal Governo su proposta del Ministro competente di concerto con il Ministro per la funzione pubblica con uno o più regolamenti adottati ai sensi del primo comma dell art. 17 della legge n. 400/1988. Giova ricordare che il regolamento governativo fissava i termini solo per le amministrazioni dello Stato, mentre, per quanto riguarda gli enti pubblici nazionali diversi dallo Stato, la norma riconosceva a questi ultimi il potere di fissare secondo i propri orientamenti i termini entro i quali dovevano concludersi i procedimenti di propria competenza. In ogni caso il nuovo art. 2 post riforma 2005, disponeva che i termini finali del Governo e degli enti pubblici nazionali diversi dallo Stato fossero modulati tenendo conto della loro sostenibilità, sotto il profilo dell organizzazione amministrativa e della natura degli interessi pubblici tutelati. Altra novità riguardava il termine da applicare in caso di mancata emanazione dei regolamenti governativi per le amministrazioni statali e di inerzia da parte degli enti pubblici nazionali: il termine suppletorio veniva portato da trenta a novanta giorni. La disposizione come riformulata dalla legge n. 80/2005 prevede altresì, che nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l adozione 16
17 di un provvedimento l acquisizione di valutazioni tecniche da organi o enti appositi, i termini di conclusione del procedimento sono sospesi fino all acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo comunque non superiore a novanta giorni Profili processuali in tema di silenzio amministrativo. La tematica del silenzio della Pubblica Amministrazione coinvolge allo stesso tempo profili sostanziali e processuali. 14 Questi ultimi peraltro non possono essere trascurati ai fini di un analisi delle effettive ed efficaci forme di tutela che hanno trovato applicazione nel corso del tempo e che mettono in evidenza, mai come in questo caso, come il diritto amministrativo rappresenti, in modo peculiare, un diritto in divenendo 15. Da notare, infatti, che i contributi delle elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali, 16 dopo un lungo periodo di dispute sono stati composti sinergicamente dal legislatore del 2005, portando all odierna disciplina, la quale nondimeno in tempi recentissimi è stata oggetto di ulteriore revisione, ci riferiamo in particolar modo alla legge n. 69/2009 di cui ci occuperemo più avanti. 14 Cfr. CARIOLA A., (2005), Riflessioni sul silenzio della p.a. profili sostanziali e processuali, atti del convegno Le nuove regole dell azione amministrativa (Catania novembre 2005). 15 Cfr. JANNOTTA L. (1996), Scienza e realtà p Cfr. RESTA D., (1983), Il silenzio della pubblica amministrazione tra dottrina e giurisprudenza. p
18 Nel frattempo, con riferimento ai profili processuali ed impugnatori due sono le questioni che è opportuno affrontare in questa sede, ovvero, quello della diffida a provvedere e del suo successivo superamento; e quello del potere del giudice amministrativo di conoscere della fondatezza della pretesa sostanziale. 4.1 L istituto della diffida a provvedere ed il successivo superamento. Per quanto riguarda l istituto della diffida, riassumendo schematicamente quanto abbiamo avuto modo di scrivere precedentemente, la ratio di tale istituto poggiava su due corollari: il carattere impugnatorio del processo amministrativo e la mancanza di un parametro normativo di riferimento in grado di stabilire con precisione i termini del procedimento, onde poter considerare l atto da impugnare definitivo. Va da sé quindi, che con l entrata in vigore della legge n. 241/1990, ed a maggior ragione della legge n. 205 del 21 luglio recante: Disposizioni in materia di giustizia amministrativa, parte sempre più rilevante della dottrina si è orientata nella direzione di un superamento dell istituto della diffida, venendo meno la necessità di una finzione giuridica in grado di sostituire la mancanza di un termine certo, entro cui emettere il provvedimento finale. 17 Cfr. TARANTINO L., (2001), Giudizio amministrativo e silenzio della pubblica amministrazione, p
19 Infatti, scaduto il termine di cui all art. 2 della legge n. 241/1990, il silenzio della Pubblica Amministrazione è da ritenersi di per sé illecito, rendendo superflua la diffida a provvedere. Ciò nonostante anche dopo l entrata in vigore della legge sul procedimento la giurisprudenza amministrativa, superando le critiche della dottrina maggioritaria, si è ostinata 18 a richiedere la preventiva diffida come passaggio endoprocedimentale necessario onde poter esperire il ricorso giurisdizionale avverso il silenzio rifiuto o inadempimento ex art. 21-bis della legge n. 1034/1971 introdotto dall art. 2 della legge n. 205/ Da notare, che si trattava di un iter particolarmente complicato previsto dall art. 25 del D.P.R. n. 3/1957. Per diffidare la Pubblica Amministrazione inerte, infatti, non era sufficiente una semplice lettera ma era necessaria una notifica a mezzo di un ufficiale giudiziario il che costituiva - come si può comprendere - un aggravio procedurale nell esercizio del concreto diritto costituzionale del cittadino, di tutelare i propri interessi ritenuti lesi dal comportamento inerte della Pubblica Amministrazione nonché, una indebita dilazione dei tempi del procedimento. Non va dimenticato a riguardo, che la tesi giurisprudenziale che richiedeva la previa diffida ai fini della formazione del silenzio-rifiuto finiva inevitabilmente per dar luogo ad 18 Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 giugno 2004, n. 4453, in 19 Cfr. GOISIS F., (2004), La violazione dei termini previsti dall art. 2 l n. 241 del 1990: conseguenza sul provvedimento tardivo e funzione del giudizio ex art. 21-bis l. TAR, p. 571; Cfr. STICCHI DAMIANI E., (2002), La diffida a provvedere nel giudizio avverso il silenzio dell amministrazione, p
20 una surrettizia dilatazione di una regola sulle modalità di esercizio del potere. L art. 25 citato prevedeva, infatti, l inefficacia della diffida se non fossero trascorsi almeno sessanta giorni dall istanza dell interessato o dell ultimo atto procedimentale; la norma inoltre, prevedeva che nella diffida venisse concesso all amministrazione un ulteriore spazio temporale di deliberazione di almeno trenta giorni. Il legislatore del 2005, facendo proprie le critiche mosse all operatività della diffida dalla dottrina maggioritaria, ha riformulato il testo del quarto comma dell art. 2 della legge n. 241/1990, (oggi comma otto per effetto della modifica intervenuta a seguito della riforma del 2009), prevedendo che decorso il termine per la conclusione del procedimento può essere proposto il ricorso avverso il silenzio dell amministrazione anche senza necessità di diffida dell amministrazione inadempiente. 20 Attualmente la diffida, seppur non più necessaria per l attivazione della tutela di cui all art. 21-bis della legge n. 1034/1971, si mantiene quale strumento lasciato alla discrezionalità del privato il quale, valuterà di volta in volta, se nella fattispecie concreta può costituire uno strumento ulteriore a cui attingere per un più proficuo dialogo con la Pubblica Amministrazione. Ulteriore merito della riforma del 2005 è quello di aver sciolto il nodo problematico relativo al termine per l impugnazione del silenzio. 20 Cfr. OBERDAN FORLENZA, (2005), Se c è il silenzio della Pa ricorso al Tar senza diffida. 20
21 Al fine di evitare il pericolo che, venuto meno l onere della diffida, il silenzio-rifiuto possa divenire inoppugnabile dopo appena sessanta giorni dalla scadenza del termine per provvedere, senza che il privato se ne sia effettivamente reso conto, nella nuova versione è stato allungato fino ad un anno il termine per esercitare l azione volta ad accertare l illegittimità dell inerzia. Si tratta, pertanto, di un termine perentorio che comunque, per la sua ampiezza, mette al riparo il cittadino dal rischio di eventuali decadenze. Ad ogni modo, anche nel caso in cui il termine annuale previsto fosse già scaduto il cittadino non è comunque sprovvisto della possibilità di far valere l inerzia dell amministrazione procedente, poiché, allo scadere dell anno tale inerzia non vale a trasformare la natura del silenzio, da silenzio-rifiuto a silenzio-rigetto, ma conserva la valenza comportamentale originaria ancorché, la situazione di antigiuridicità non sia più denunciabile dall interessato, il quale però avrà la facoltà di riproporre l istanza di avvio del procedimento laddove ne sussistano i presupposti, dovendosi tale locuzione interpretarsi nel senso della permanenza in capo all istante di un interesse all ottenimento del provvedimento connotato dal predicato dell attualità. 21
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