In una posizione ambiguamente ironica, a metà tra una vocazione letteraria serissima ma frustrata ed il divertimento personale privo di sbocchi, si

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1 In una posizione ambiguamente ironica, a metà tra una vocazione letteraria serissima ma frustrata ed il divertimento personale privo di sbocchi, si colloca l esperienza di Italo Svevo, significativa perché espressione di una svolta ideologica e letteraria profonda. Svevo muove da una educazione naturalistica per approdare a risultati di una sconcertante modernità, non solo apprezzati in Italia, ma anche all estero. I suoi due primi romanzi, «Una vita» e «Senilità», sono composti secondo le ricette del Verismo e dello psicologismo di Zola. In essi troviamo una architettura antiquata, una materia opaca e banale, l impegno nella descrizione di differenti categorie sociali, l attenzione ai particolari minuti caratterizzanti un personaggio, la capacità di rappresentazione completa della figura umana, l attenzione con cui viene reso un ambiente, Trieste, nella varietà delle stagioni, delle ore, nei suoi aspetti popolari e borghesi. Ma accanto a tutto ciò - che interessa Svevo solo relativamente, in quanto si riflette all interno del protagonista del romanzo, determinandone l ambiguo rapporto col mondo esterno compare anche un accenno nuovo e diverso: una sottile e torbida inquietudine autobiografica, un modo di raccontare più analitico e tortuoso, a volte sottilmente polemico, che tende ad un realismo meno esterno, non tanto volto a dare una narrazione oggettiva dei fatti, quanto a cogliere, attraverso un analisi spregiudicata, i recessi più segreti ed inconfessabili della coscienza. I protagonisti di entrambi i romanzi Alfonso Nitti ed Emilio Brentani appaiono sostanzialmente affini. Essi sono vinti dalla vita, uomini incapaci di vivere se non interiormente, intenti a sottoporsi ad un continuo esame e a sondare i meandri più segreti del loro Io, incapaci di inserirsi e di intervenire attivamente nel mondo. La senilità diviene consapevolmente un momento non solo cronologico, ma ideale dell esistenza umana e diviene il simbolo di una radicale assenza dalla realtà, icona dell incapacità di dominarla e trasformarla. Per questo l uomo di Svevo può essere definito un antieroe, un uomo senza qualità che non sa vivere come gli altri e con gli altri e che però, a differenza degli altri, è pienamente consapevole del proprio fallimento. In ultima analisi, dunque, i protagonisti dei romanzi di Svevo sono dei vinti, vittime non tanto degli eventi, spesso i più comuni, che qualunque persona sana saprebbe affrontare e sfruttare a proprio vantaggio; bensì sono vittime del Caso o delle strutture sociali, quanto di una loro indefinibile malattia, composta di immobilismo ed accidia, quella che l autore chiamò appunto senilità. Tutti questi elementi confluiranno e verranno approfonditi ne «La coscienza di Zeno», il romanzo più maturo ed originale dello scrittore triestino, che si affianca agli esemplari più arditi ed inquietanti del moderno romanzo

2 analitico. Il fatto che Svevo nasca a Trieste, serve a spiegare e comprendere la sua fisionomia di scrittore. In quegli anni, infatti, la città è senza dubbio il porto più importante dell Impero austro-ungarico, ed è quindi un luogo denso di traffici e di commerci, dove ferve una vita ricca ed intensa. Il suo ambiente culturale, se da una parte è poco legato alle correnti fondamentali della tradizione letteraria italiana, si apre agli influssi di tutte le culture europee, soprattutto la tedesca e la slava con i loro accesi e umanissimi fermenti romantici. Svevo quindi è il primo rappresentante di quella cultura della Venezia Giulia, che nella prima metà del 1900 costituisce uno degli innesti più vigorosi e decisivi ai fini di un rinnovamento della nostra cultura. Questo spiega il risoluto impianto psicologico dei suoi romanzi, ed anche la tendenza antiletteraria del suo stile, o per meglio dire la vera e propria assenza di un autonomo impegno stilistico. Anzi, a tale proposito, si può dire che la scrittura di Svevo si costituisce sempre in funzione della prosa analitico-rievocativa. Tanto che le sgrammaticature, le storture sintattiche, gli errori, costituiscono il pregio dello scrittore, dal momento che non intaccano la continuità di tono del discorso, e rappresentano degli interventi di lingua pratica nel linguaggio artistico, o tuttalpiù delle cadute repentine in cui tale linguaggio lascia libero il varco, per mancanza di un sufficiente controllo espressivo, ad arcaismi ad elementi di derivazione dialettale o tedesca. Le letture fondamentali per la formazione culturale dello scrittore triestino non sono quelle dei poeti, ma quelle dei pensatori e degli scienziati che gli offrono un criterio di interpretazione della realtà psicologica: Schopenhauer al tempo dei primi romanzi, e più tardi Freud. Inoltre, l arte di Svevo, che affonda le sue radici nei recessi più profondi della psicologia dello scrittore stesso, si esercita tutto sul fondo di una materia autobiografica sorda ed opaca, che egli ritrae con un freddo rigore scientifico, ma al tempo stesso con l aria dell immediata ed oscura necessità di una confessione personale. L opera di Svevo Sorge non sul terreno sociale, ma su quello individualistico che si matura nella crisi del gusto naturalistico, e talora dà al lettore addirittura l impressione di trovarsi di fronte piuttosto ad un prezioso documento di vita, che non ad uno sforzo di ricreazione poetica. Come del resto si è notato precedentemente, già nei due primi romanzi la pittura distaccata e ferma dell ambiente e dei personaggi minori, visti con acutezza e concretezza, sembra mettere in risalto l incapacità radicale di vivere, la natura informe e dispersa del personaggio protagonista. Il pericolo di un autobiografismo grezzo, presente in «Una vita»,

3 viene ampiamente superato man mano che si approfondisce la vocazione analitica dello scrittore, o per meglio dire via via che si precisa quella capacità di analisi esercitata dall interno, che poco ha in comune con quella descrittiva-psicologica allora tanto in voga; e questa sicura capacità di introspezione sarà la strada attraverso cui il Nostro approderà, con «La coscienza di Zeno», alla tecnica della confessione diretta e all ironica trascrizione di un fondale iridescente ed allucinato di memorie. «La coscienza di Zeno» è senza dubbio il libro più nuovo e più denso che Svevo abbia scritto: in esso si può notare un contenuto autobiografico che si manifesta come monologo interiore; un approfondimento dei sondaggi di tipo psicoanalitici che, talvolta, si fanno troppo sottili e minuti, così che la figura dell autore degenera e si confonde con quella del patologo, la pagina letteraria con la cartella clinica; ed infine quasi a confermare la difficile valutazione di questo romanzo una certa episodicità e frammentarietà, costituita da quella sua composizione in capitoli riuniti insieme, che non si può ricondurre all unitaria costruzione di un romanzo. Ma la natura antiromanzesca, il determinato ripudio e la consapevole dissoluzione dell abituale struttura del romanzo, sono implicite nella concezione stessa de «La coscienza di Zeno», dal momento che il motivo conduttore di quest opera, volutamente dato da un intrecciarsi di vicende presenti e di un ampio rifluire di ricordi, non può avere altro scenario se non l animo, la coscienza, la subcoscienza del personaggio protagonista. Da questa analisi de «La coscienza di Zeno» risulta chiaramente quanto poco sia fondato l accostamento operato da alcuni critici letterari di Svevo a Proust e a Joyce. Per quanto riguarda il primo possiamo dire che Svevo conobbe le opere di Proust solo nel 1926, cioè dopo che aveva pubblicato ormai da tre anni «La coscienza di Zeno»; quanto al secondo, si deve notare che il monologo interiore del Nostro è assai diverso da quello dell irlandese, di cui egli peraltro non aveva le complesse ambizioni simboliche, allegoriche e filosofiche, né l aspirazione al poema in prosa realizzato attraverso un procedimento espressivo di tipo sorprendentemente musicale. In pratica si può dire soltanto che in Svevo, come in Pirandello, in Joyce, Kafka, Proust, Mann, ed altri autori del Novecento, si mostra una nuova sensibilità umana ed artistica in cui, con il tramonto della filosofia oggettivistica del positivismo e l avvento di una filosofia di carattere idealistico, la posizione dell uomo di fronte al mondo nelle sue varie manifestazioni è mutata e l individuo si pone in primo piano. È del tutto logico affermare quindi che tutti questi autori vivono l inquietudine e

4 la crisi che nasce dal naufragio dell ottimismo positivistico, e si indirizzano verso un assillante ricerca della personalità, verso l esplorazione della memoria e del tempo perduto, verso la notomizzazione dell io. Solo in questo senso si possono stabilire delle relazioni tra Svevo, Proust e Joyce, cioè considerandoli con la triade rappresentativa della coscienza contemporanea e della crisi dell uomo del primo Novecento, che sotto esteriori certezze avverte il vuoto, causa principale dell inquietudine e dell angoscia esistenziale. Anche il rapporto del nostro con Dolstoevskij che pure alcuni hanno voluto sottolineare lascia un poco scettici, poiché se si possono trovare spunti simili ne «La coscienza di Zeno» e ne «L idiota», questi sono puramente casuali. Né si può pensare che Svevo abbia attinto dall autore russo la sua scrittura trasandata e scolorita, antiretorica, in quanto a questa egli era naturalmente portato, oltre che da una non perfetta conoscenza della lingua italiana, anche dalla sua stessa posizione di panorami interiori, attento più al mondo che svelava a sé e agli altri, più che alla trascrizione espressiva di questo.

5 La coscienza di Zeno «La coscienza di Zeno» appare 25 anni dopo «Senilità» e differisce dai precedenti due romanzi per il quadro storico in cui matura l opera che, infatti, risulta particolarmente mutato dal dagli effetti disastrosi della prima guerra mondiale, la quale chiude effettivamente un epoca aprendo le porte a nuove concezioni filosofiche, che superano definitivamente il Positivismo che verrà sostituito dall esplosione delle avanguardie e dall affacciarsi della teoria della relatività. Appare evidente, dunque, che il romanzo di Svevo non potesse non risentire di questa diversa atmosfera, cambiando, per questo, prospettive e soluzioni narrative ed arricchendosi di nuovi temi e risonanze. L autore abbandona il modulo ottocentesco di matrice naturalistica del romanzo narrato da una voce anonima ed estranea al piano della vicenda e adotta l espediente del memoriale. Svevo, infatti, finge che il manoscritto prodotto da Zeno Cosini su invito del suo psicanalista, il Dottor S (e chi si nasconda sotto quell iniziale, se Sigmund Freud o Svevo stesso, è tuttora ben lungi dall essere stabilito), venga pubblicato dallo stesso Dottor S per vendicarsi del paziente che si è sottratto alla sua cura, frodandolo così del frutto dell analisi. Il libro è quindi concepito come una sorta di confessione psicoanalitica, ispirata alle teorie di Freud, il quale sosteneva che gli stati d animo e le reazioni coscienti dell individuo altro non fossero che un riflesso di complessi psichici che si erano stratificati nel subcosciente durante l infanzia. Zeno Cosini è un uomo mancato, un abulico che, attraverso la confessione, tenta invano di comprendere se stesso e di liberarsi dal suo torpore e dalla sua inerzia spirituale. Questa confessione approda al riconoscimento dell imprevedibilità di ogni esperienza umana e dell impossibilità di dare una sistemazione logica e compiuta al nostro oscuro e complesso modo di agire. Nascono da ciò sia lo scoraggiato e rassegnato guardarsi vivere del protagonista (tema particolarmente caro a Luigi Pirandello e che lo scrittore siciliano indagherà e svilupperà variamente nelle sue opere), sia la sua sterile saggezza, che consiste in una lucida e spietata consapevolezza della propria malattia, accompagnata dalla totale sfiducia di poterla in qualche modo superare. La vita di Zeno Cosini è dunque il tema del romanzo; ma non la vita per come essa effettivamente fu, bensì la vita per come si rivela e si determina nel momento in cui viene rivissuta dal protagonista, intrecciata indissolubilmente con il presente e con le

6 interpretazioni soggettive, consce ed inconsce, del vecchio Zeno. Lo stesso scrittore chiama il tempo della narrazione tempo misto proprio per la caratteristica che ha il romanzo di non raccontare, non presentare gli avvenimenti in quella che fu la loro lineare successione cronologica, ma inserendoli in un tempo tutto soggettivo che mescola piani e distanze, un tempo in cui il passato riaffiora continuamente e si intreccia con infiniti fili del presente in un movimento incessante, in quanto resta presente nella coscienza del personaggio narrante. All interno del memoriale, l autobiografia appare un gigantesco tentativo di autogiustificazione da parte dell inetto Zeno, che vuole dimostrarsi innocente da ogni colpa nei rapporti con il padre, con la moglie, con l amante e con il rivale Guido, anche se comunque traspaiono ad ogni pagina i suoi reali impulsi che sono sempre e comunque ostili, aggressivi ed alle volte addirittura omicidi. Per tutto il romanzo, ogni gesto, ogni affermazione di Zeno rivela un groviglio complesso di motivazioni ambigue, sempre diverse, spesso addirittura opposte rispetto a quelle dichiarate consapevolmente. Il personaggio si costruisce dunque attraverso il suo ricordare e non esiste, in ultima analisi, che in questo prendere coscienza di se stesso: Zeno altro non è che la coscienza di Zeno, cioè colui che narra dietro mascheramenti autogiustificatori la propria incoscienza. Narrando oggi i fatti di ieri, Zeno scardina le categorie temporali poiché il fatto o l atteggiamento psicologico si presentano sfaccettati, con una contaminazione di presente e passato e con una molteplicità di valutazioni dovute alle progressive modificazioni che quel fatto ha assunto nel ricordo alla luce delle esperienze posteriori, con un notevole complicarsi dell impostazione della trama e della tecnica narrativa. La conseguenza principale derivante da tutto ciò è il dissolversi del personaggio: lo scrittore tradizionale ce lo presentava oggettivamente come una realtà autonoma da descrivere, mentre ora questa realtà del personaggio la vediamo nel suo farsi. Inoltre viene mutato il piano di rappresentazione: dal piano oggettivo dello scrittore narratore, creatore ed organizzatore delle vicende si passa al piano soggettivo del protagonista che dice Io, e ciò tramite la particolare tecnica narrativa (di cui James Joyce è principale artefice e esponente) del monologo interiore, che consiste nella trascrizione immediata, senza alcun ordine razionale o sintattico, di tutto ciò che in modo tumultuoso si agita nella coscienza. Il romanzo approfondisce così, mediante questa nuova tecnica narrativa, la ricerca psicologica iniziata nei due romanzi precedenti. Anche Zeno è un inetto di fronte alla vita, ma è un personaggio psicologicamente più ricco, in quanto ha lucida consapevolezza della

7 sua malattia morale e del complesso meccanismo di giustificazioni e di alibi a cui è solito ricorrere nella vita di tutti i giorni. Di conseguenza, con Zeno, Svevo approfondisce la sua diagnosi della crisi dell uomo contemporaneo che è tanto più grande quanto maggiore ne è l autoconsapevolezza. Infatti i suoi personaggi, ridotti a subire la vita con una sofferenza rassegnata, lucidamente consapevoli della loro malattia e della loro sconfitta di fronte alla vita stessa e pur tuttavia incapaci di lottare, riflettono la crisi dell uomo del primo Novecento che sotto esteriori certezze avverte il vuoto, causa principale dell inquietudine e dell angoscia esistenziale. Emerge all analisi di Svevo una condizione di alienazione dell uomo che risulta lucidamente incapace di avviare un rapporto operoso con la realtà che lo circonda. Zeno ad esempio è un vinto consapevole ma senza grandezza, perché l inettitudine esclude la lotta. Questa condizione però, per Svevo, non è connaturata all uomo, bensì deve imputarsi a precise ragioni storiche. La spirale produttivistica di una società come l attuale ha ridotto così l umanità e potrebbe produrre la catastrofe. Svevo condanna senza clemenza la società borghese capitalista, ma non ne vede alternative sul piano storico. L unica alternativa è, infatti, sul piano individuale: la sola salvezza per il singolo individuo è nell acquisizione della coscienza, nella consapevolezza della condizione umana, delle menzogne e degli alibi con i quali mascheriamo le nostre fughe dalla realtà, laddove ci si sappia adattare, come Zeno, alla propria inettitudine. Le uniche vie di salvezza, insomma, sono l autocoscienza e l ironia. Ed ecco allora l ironia (di cui già s è detto) che si avverte in tante pagine de «La coscienza di Zeno», il vedersi vivere spesso divertito del protagonista. In questa lucidità ironica sta la principale differenza con i due protagonisti dei precedenti romanzi del Nostro, e la profondità psicologica ed esistenziale di Zeno Cosini: un ultimo per forza del destino, il cui nome inizia con l'ultima lettera dell'alfabeto; un inetto per definizione, come si capisce dallo striminzito cognome.

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