Editing: Daniela Cattani Rusich, Cristina Giambi, Alessandro Vizzino Grafica: Roberto Di Mauro Progetto editoriale: MJM Editore Srl

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2 SIN di Alessandro Vizzino Proprietà letteraria riservata Editing: Daniela Cattani Rusich, Cristina Giambi, Alessandro Vizzino Grafica: Roberto Di Mauro Progetto editoriale: MJM Editore Srl I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata, riprodotta o diffusa con qualsiasi mezzo, senza alcuna autorizzazione scritta. Disclaimer: Quest opera può contenere parole, espressioni e/o atteggiamenti che possono essere ritenuti discutibili, violenti, profani, volgari o offensivi. Questa pubblicazione, quindi, è strettamente destinata a un pubblico adulto e consapevole. Personaggi e fatti di questo libro sono frutto esclusivo della fantasia dell autore, pertanto ogni riferimento a persone o cose effettivamente esistenti o esistite è puramente casuale.

3 SIN. Peccato. E chi non ha peccato scagli la prima pietra. Sembra essere questo l assunto da cui prende il via lo spettacolare romanzo di Alessandro Vizzino. Mezzo secolo avanti, in un mondo diverso. Un futuro molto prossimo a noi, e non solo cronologicamente, purtroppo. Dieci persone si svegliano in un luogo sconosciuto, che scopriranno essere un grande appartamento dotato di ogni confort, un luogo tecnologicamente perfetto e una macchina micidiale allo stesso tempo. Ben presto si accorgeranno di essere in balia di un crudele aguzzino. Uno psicopatico? Un maniaco o un mitomane, qualcuno che cerca vendetta? La soluzione all enigma è molto meno scontata e ben più sconvolgente. E tuttavia, ci riguarda da vicino, poiché legata a doppio filo a quella che è diventata la nostra società attuale: una società vuota di valori, voyeristica, in cui l apparenza e il denaro sono ormai i veri miti. Anzi, quasi vere e proprie figure mitologiche, che divorano senza pietà i propri figli. In un vortice crescente di delirio e terrore, i protagonisti, dopo la reciproca conoscenza, cercheranno risposte, si aiuteranno o entreranno in competizione, lotteranno per la sopravvivenza. Mentre al di là di quei muri tra i quali sono prigionieri, si tramano intrighi e affari a livello internazionale, in cui l etica è la prima grande esclusa, mentre la Chiesa è fra le principali entità coinvolte. La storia è tagliente, appassionante, l andamento è cinematografico in stile pulp, e rappresenta con grande realismo la violenza e il degrado della società moderna. Naturalmente questa è solo una delle tante sfaccettature del romanzo: in realtà nulla è come sembra. Soltanto alla fine ogni cosa apparirà chiara. E il vero peccato emergerà dal fango. SIN è un thriller di ottima fattura, che segue le regole delle migliori opere del genere: ritmo incalzante, suspense, descrizioni accurate, personaggi credibili e ben delineati, sia sotto il profilo psicologico che sul piano morfologico, e un impianto narrativo saldo e originale. Ciò che attrae e sconvolge nel contempo, leggendo SIN, è l infinità di intrecci e di coinvolgimenti, di complicazioni, di misteri, e, in particolar modo, i colpi di scena continui, il mood di angoscia crescente. Ma sopra a tutto è la ricerca della verità. E una denuncia, provocatoriamente non troppo velata, sui limiti oltre i quali l uomo può spingersi, sulla degradazione morale dell umanità. Una domanda campeggia irrisolta nella mente dei protagonisti e del lettore. Perché? Daniela Cattani Rusich

4 Sai fare la lista dei buoni e dei cattivi? Ogni animo gentile riserva un posto speciale a un innata dose di egoismo che placidamente ne osserva l operato; e anche una mente perfida e feroce è capace di amare. Il limite è valicabile e fortemente condizionato dal tutto più grande di cui sei parte e a cui non puoi sottrarti. SIN ti ci proietta con violenza: un ritmo troppo veloce, imposto da denaro e potere, che non sempre ti dà il tempo di decidere. Chiediti in ogni momento chi e dove sei. Perché la vita ti può sfuggire di mano, al punto tale da fagocitarti voracemente. Non credere di essere immune, non peccare di superbia. I peccati di SIN lasciano sgomenti. Dieci anime, cinque uomini e cinque donne, imprigionate in un luogo senza nome, sono costrette a fare i conti con il proprio passato. Un peccato invade anima e corpo; temporaneamente puoi metterlo in un angolo, lasciando credere a te stesso che era inevitabile. Ma se un giudice cinico te ne rammenta i dettagli, scandendo impietosamente il tempo, allora non hai scampo. Chi è il carnefice? Un maniaco? Un boia paranoico? Un entità soprannaturale? E soprattutto perché? La sola follia di una mente perversa ha forgiato un inferno? Nella storia è già successo, più di una volta. La pazzia di un uomo o l atroce conseguenza di un contesto difficilmente intuibile se non lo si è vissuto in prima persona? SIN è estremo, SIN è forte, SIN trasuda energia. Una miscela gelatinosa di vitalità, astuzia, emozione, suspense e originalità non ne permette l immediata categorizzazione. SIN ti invita a pensare, se vuoi farlo. Puoi scegliere di leggerlo per il sano piacere di divorarne le pagine senza respiro, godendo dell eccitante sensazione di non sapere e di voler scoprire la verità. Impossibile, fino al finale agghiacciante che supera l immaginazione umana. Oppure puoi accettare la provocazione e avere il coraggio di fermarti a riflettere sul mondo e sui suoi ingranaggi sincroni e serrati. Con un passo incalzante e considerazioni mai banali, Alessandro ti propone un viaggio duro e accattivante, lasciandoti esplorare la complessità dei sentimenti umani, fornendoti con la giusta parsimonia e un tempismo perfetto gli strumenti necessari per capire cosa sta succedendo e cosa potrebbe succedere. A questo punto puoi decidere se accettare l invito oppure no. Ma nella tua vita, sei sicuro di essere sempre tu a decidere? Cristina Giambi

5 Prologo Pag. 9 di 640 L oceano scivolava su e giù sulla battigia, indeciso se venire o se andarsene. Non troppo distante dalla propria casa di Portland, c era chi lo stava ammirando. A piedi nudi sulla rena. Contemplare la sua vastità donava un senso di pace e di affrancamento. Osservarne la superficie fino alla linea d orizzonte, dove l acqua si confondeva col cielo e le nuvole si specchiavano nella spuma delle onde. Davanti a quel blu sterminato i pensieri nascevano spontaneamente, senza bisogno d aiuto. Emergevano per il solo gusto di esserci, per il mero piacere di esistere. Prendevano forma per la semplice esigenza di vivere. Tutto può mutare e stravolgersi, fuori e dentro le persone. Il mondo cambia, si trasforma. Diventa diverso da se stesso, per poi tornare magari a essere di nuovo uguale a prima. Talvolta però non concede sconti e resta ciò che ormai è divenuto. Anche le persone si modificano, di pari passo con l avanzare dell età. Varia il peso delle emozioni, la maniera con la quale si misurano, si controllano e s affrontano. Tuttavia non cessa mai la loro presenza. Loro ci sono sempre, a far da costante compagnia e calibro all uomo. Il mondo può mutare, può stravolgersi. Le stagioni passano. Ma le sensazioni rimangono, non muoiono, mantengono in eterno la propria essenza. Alcune sono pronte a saltar fuori in qualsiasi momento, anche quando sembra essersene persa la traccia. A dispetto di tutto. E a testimonianza della loro invincibilità. La paura, la morte, l amore.

6 Primavera

7 I Pag. 13 di maggio, martedì Ore 11:09. L uomo che sedeva davanti a lei si alzò. Era il segnale del commiato. È sempre un piacere vederti e trattare con te, Emanuela disse lui. Anche la donna si alzò. Il piacere è mio, Timothy. Lo sai gli rispose. Appena torni a New York, fatti sentire subito. Non parlo di lavoro. Anche solo per un caffè, una cena insieme. Cena privata e intima, s intende. Se lo dici seriamente, contaci. Certo che lo dico seriamente. Più che seriamente. Quando? la incalzò l uomo. Adesso non so dirtelo, Tim, anche se mi piacerebbe. Fammi rientrare e organizzarmi. Però presto, molto presto. Va bene. Ti aspetto. Sai dove cercarmi. Ti cercherò. Le mani si congiunsero. Le labbra sfiorarono le guance in un saluto amichevole. Emanuela voltò le spalle a Timothy Walken. La porta dietro di lei si richiuse.

8 II Pag. 14 di maggio, martedì Ore 11:22. Il sole prepotente e rincuorante di quella tarda mattinata d inizio maggio era arginato dai finestroni dello shuttle IUS1, oscurati su tutti i lati dell abitacolo, tranne in quello riservato all autista. Gli unici rumori che penetravano dall esterno erano i soffi smorzati del mezzo in movimento, che si univano a quelli delle molte altre navette in circolazione, quando queste li affiancavano o li superavano. All interno si udiva solamente il suono dei loro respiri e dei loro pensieri. Il traffico era intenso, come sempre a quell ora e in quella zona di New York City. I tanti veicoli IUS, deputati all uso individuale e privato, ne recitavano il ruolo di principali protagonisti. Si muovevano smaniosi, come sciami di mosche impazzite, addensandosi in frotte compatte davanti ai crocevia. Poi tornavano a snodarsi tra le strade, colorandole di tinte difformi e mescolandosi ai più voluminosi mezzi del trasporto pubblico. I CUS, Collective Use Shuttle. All interno dei CUS, richiamati da qualche inevitabile esigenza sociale, spiriti e corpi di persone diverse si spalmavano gli uni sugli altri, a formare un elemento unico, un blocco coeso, pur se confuso e provvisorio. Una pigiata macedonia umana, che affollava senza tregua le navette collettive, quella mattina come in qualsiasi altra frazione del tempo. L ammasso multietnico di gente era ancora più tangibile nei CUS di tipo 3, da centocinquanta posti in piedi e a maggior frequenza di tratta. Nei più sporadici CUS di tipo 1, invece, ai trecentocinquanta passeggeri era sempre riservato un posto a sedere, non essendoci lì la possibilità di viaggiare in piedi.

9 A chi lo avesse osservato ripetutamente, quell instabile insieme di apparecchi ad aria si sarebbe rivelato in perpetua evoluzione. Un continuo avvicendarsi di posizioni tra i veicoli, che si oltrepassavano gli uni con gli altri secondo tutte le direzioni di marcia possibili. Emanuela pensò che poteva esserci sicuramente un modo migliore di gestire il traffico metropolitano. A New York come a Roma e nell intera Western World Confederation. I tempi in fondo lo permettevano, anzi lo rendevano più opportuno che mai. Se soltanto il Ministro Confederale dei Trasporti avesse avuto palle un po più solide per affrontare e risolvere la questione, una volta per tutte. In ogni caso questi non erano affari suoi, specialmente in quel giorno, rifletté infine. Gli IUS di tipo 1, di norma più difficili a vedersi in giro per la città, in quella zona centrale della megalopoli emergevano numerosi e vanagloriosi, a testimoniare la rilevanza strategica, economica e politica del quartiere. Intorno al loro IUS1 special version, procedevano discretamente due IUS2 di protezione. Emanuela Di Maggio sedeva su una delle tre poltrone posteriori, quella di centro, affiancata su entrambi i lati da un paio di energumeni dallo sguardo serio, attento a ogni particolare. Quella era una giornata straordinaria per Emanuela, come importantissime ne erano state altre, nel suo recente passato. Però quella lo era davvero più di tutte. Non solo per il sole prepotente, che a- vrebbe saputo infondere voglia di vivere e di saltare anche ai sassi o ai cadaveri. Non solo per l omonimia che quel meraviglioso mese primaverile aveva con il suo cognome, quasi per una sarcastica ma piacevole coincidenza del destino. Ma soprattutto perché quella giornata segnava la chiusura di ogni aspetto preparatorio, l inizio dell azione effettiva e così tanto attesa. Ciò che le era stato ordinato mesi addietro, lei lo aveva portato a termine nel migliore dei modi e nel più adeguato dei tempi. Senza imprecisioni e sbavature di qualunque sorta, da impeccabile sicario. Aveva eseguito il proprio compito alla perfezione. Aveva sviluppato l incarico nella maniera più pragmatica e compiuta fosse stato possibile.

10 Fino al giorno prima, rimaneva solamente la formale conferma del tutto. Da quel momento in poi, anch essa si era dileguata nel paniere delle cose ormai realizzate. E realizzate per bene. Ora restava soltanto la parte esecutiva, che però non era più un suo problema, ma sarebbe diventato un onere di altri. Lei sarebbe passata a riscuotere la sua parte di lavoro ben fatto e sarebbe poi rimasta alla finestra a guardare, nella dolce aspettativa di una meritata gloria finale. continua

11 Giorno 1 22 dicembre, venerdì

12 III Pag. 21 di 640 Ore 10:36. Ferdinando Montese aprì gli occhi per primo. Non fu difficile rendersene conto, dato che tutti quelli che aveva intorno a sé dormivano ancora. Ammesso che non fossero morti. Ma dalle prime apparenze, semplicemente dormivano tutti. Di un sonno esteriormente ordinato e sereno, anche se non avrebbe dovuto essere così se pure loro, come Ferdinando, si erano ritrovati in quel posto sconosciuto senza accorgersene e senza motivo alcuno. Per il momento però, finché fossero rimasti preda dei loro sogni, quello non sarebbe stato un loro problema. Per Ferdinando invece, adesso che s era svegliato, unico tra tutti per un primato inutile e sconveniente, quello era diventato un problema concreto, reale. Così tangibile da assumere persino un definito odore. L odore dello stupore, del disorientamento e della paura. Non aveva idea di dove diavolo fosse e del perché ci fosse. Di chi ce lo avesse messo e quando. Solitamente i risvegli di Ferdinando, nella consuetudine della vita, erano lunghi e travagliati come un sofferto parto trigemellare. Le poche volte che aveva orari stabiliti in cui ridestarsi e che regolava a questo scopo la sveglia, la faceva suonare inutilmente per un numero di volte così ampio da far perdere la pazienza anche a un santo, se fosse stato con lui in quella circostanza. Si girava e rigirava nel letto pensando se davvero i propositi della sera prima fossero stati corretti. Se sul serio era il caso di alzarsi o se magari poteva farne tranquillamente a meno. E di solito vinceva la seconda ipotesi. Pure a costo di qualche clamorosa buca e di un appuntamento mancato, se la cosa non aveva una rilevanza così eccezionale.

13 In quell occasione, al contrario, il risveglio era stato brusco e improvviso. Il suo sesto senso lo aveva avvertito che c era qualcosa che non tornava e, appena s era congiunto con la coscienza, lo aveva ricondotto nel mondo degli esseri viventi e pensanti. Una volta aperte le palpebre, Ferdinando era stato pervaso da un ansia asfissiante. Una sensazione che aveva tuttavia cercato di sottomettere sin dal primo istante, reputandola del tutto inefficace, in quel misterioso frangente. Aveva tentato di conservare la calma e di guardarsi un po attorno, per raccogliere qualunque elemento valido alla razionale valutazione delle cose. Si era subito reso conto di essere in una specie di loculo, steso su un letto circondato da tre pareti su quattro. Una specie di box informazioni senza nessun soffitto, se non il solaio della stanza. Poi si era sollevato sul busto e s era portato in avanti, percorrendo carponi quel breve giaciglio, fino a lambirne l estremità libera, dalla parte opposta al cuscino. Per non peccare d imprudenza, aveva però mantenuto la testa all interno di quello spazio. Il suo non era l unico loculo, ve ne erano molti intorno a lui. E messi insieme, nella loro interezza, sembravano assumere la forma di uno squadrato ferro di cavallo. Adesso, dalla sua attuale posizione, continuava a non scorgere molto del suo lato del ferro, uno dei due più lunghi. Tuttavia riusciva a cogliere distintamente i quattro box di fronte a lui, sul secondo lato maggiore. Vi riposavano persone all apparenza normali, abbastanza ordinarie in ogni loro espressione e abbigliamento. Un bel miscuglio di esistenze diverse, ma senza segni percepibili di eccezionalità, a un primo sguardo. Eppure una particolarità quelle figure la possedevano. Erano tutte esistenze ignote, persone a lui assolutamente sconosciute. Ferdinando si alzò in piedi e si avvicinò cautamente all altro lato. Senza però perdere mai d occhio anche il resto dell ambiente. Nel primo box sulla destra si vedeva un uomo un po sotto la mezza età, con una precoce e diffusa calvizie e sensibilmente in sovrappeso. Quel tale aveva un viso che lasciava tuttavia indovinare una sorta di sfiorita bellezza giovanile. Un avvenenza che doveva aver posseduto in discrete dosi, in tempi di minore obesità e trascu-

14 ratezza verso se stesso. Sebbene ora apparisse soltanto un orsetto ingenuo e pacioccone. Dopo di lui, nel loculo successivo, riposava un altro uomo. Considerevolmente alto, dal fisico corpulento, muscoloso. Una figura atletica, che a prima vista dava l idea di essere pure molto agile, malgrado la grande mole. La sua pelle era scura e la sua testa completamente rasata. A Ferdinando diede l impressione di essere un uomo sempre desto e pronto, anche mentre dormiva. Con i lineamenti del viso tesi e disciplinati come se avesse solamente chiuso gli occhi per un singolo istante. Eppure dormiva. Ferdinando ne aveva conosciuti parecchi di uomini così. Anche le volte che era stato dentro, in gattabuia. E non gli erano mai piaciuti quei tipi di uomini, perché c era sempre da guardarsi le spalle da loro, c era sempre il bisogno di non voltarsi mai. Ma forse quel tizio non era così, dopotutto stava semplicemente dormendo, si disse. A seguire, si notava una bella ragazzina mora, dai capelli lunghi e mossi. Una tipica adolescente di quella loro epoca stravagante e infame. Era lievemente coperta da una corta magliettina rosa, con un arabesco luccicante di strass all altezza del seno. Dopo la ragazzina, un altra giovane donna. Più adulta rispetto alla prima di una decina d anni e pure lei molto bella. Capelli biondi e lisci, un po sciupati dal tempo, che le incorniciavano un espressione impastata di armonia, grazia e misura. Oltre quegli iniziali quattro box cominciava il lato corto del ferro di cavallo, composto da due soli spazi. continua

15 V Pag. 36 di 640 Ore 11:14. Appena ebbero aggirato l angolo destro e lasciato la vasta camerata con i box a ferro di cavallo, il bestione demoniaco spostò Ferdinando Montese davanti a sé. Poi, quasi interpretando il pensiero del giovane zingaro, cercò di rassicurarlo. Con quel fare che proprio niente aveva di dolce, di fraterno o di paterno. Non mi fai da scudo, stai tranquillo. Io non uso scudi. Ti copro le spalle ed è meglio per te, fidati. Adesso osserva tutto ciò che puoi osservare. E poi muoviamoci, cazzo. Lentamente. Schiena alla parete bisbigliò. Posso solo sapere come chiamarti, qual è il tuo nome? domandò Nando. Io non ho nome fu la secca replica dell altro. E ora muoviamoci. Nando si costrinse a non replicare, ad accettare per buona la risposta da stronzo di quel grosso figlio di puttana, che avrebbe meritato davvero una razione di schiaffi direttamente proporzionale alla sua mole. Però in qualche modo lui doveva nominarlo. Doveva trovare la forma di etichettarselo in mente. Così stabilì che quel figlio di troia, da quel momento in poi, sarebbe stato l Anonimo. Almeno per lui. E almeno fino a quando quel pazzo furioso non avesse deciso di svelare la sua effettiva identità. Ma poi, alla fin fine, chi cacchio se ne fregava del suo nome. Sarebbe stato tanto difficile inventarsene uno, se proprio non voleva rivelare il suo, chissà poi perché? Che andasse a fare in culo, quell enorme stronzo di merda! Nando decise di uscire dai pensieri e di entrare in azione. Come il suo sgradevole compagno gli aveva intimato di fare e prima che perdesse di nuovo le staffe, nel vederlo assorto e distratto.

16 Subito dopo l angolo della stanza con i box, nel punto in cui stavano adesso, esaminarono tutto ciò che potevano esaminare. Si trovavano all interno di una suite principesca, di gran lusso, con ogni comfort ipotizzabile e sfarzosamente enorme. La camerata con i loculi a ferro di cavallo, per quanto già grande non meno di una sessantina di metri quadrati, spariva di fronte al soggiorno, che costituiva la parte principale di quella suite. Era un open space almeno quattro volte più ampio della camerata, nel quale trovava posto, tra le altre cose, un gigantesco divano di tessuto verde a giro. Anch esso all incirca un ferro di cavallo, un largo cerchio incompleto. Il divano si stagliava su un esteso tappeto rotondo, di lana avana. Sopra il tappeto e davanti al divano, un tavolino di finto vetro a gambe basse, in stile giapponese, adornato da una fioriera di rose artificiali e multicolori. Rosse, gialle e bianche. Sul muro retrostante il divano, alla loro sinistra, una fila di piante altrettanto posticce. Poco più avanti dell imponente e tondeggiante sofà si notava invece un pianoforte a coda, accostato alla parete più lontana dell ambiente e probabilmente funzionante. Oltre il pianoforte, una scala di raffinata fattura, ornamentale e funzionale allo stesso tempo. Di fianco alla scala, spostato verso il centro di quello smisurato locale, un salottino di pelle beige. Pareti omogeneamente tinteggiate di un bianco uniforme. Su tutto il pavimento un parquet color legno, di acacia sintetica. E un soffitto ovunque elevatissimo, al di là dei cinque metri e mezzo. Pressappoco il doppio di quello della stanza con i loculi. Immaginando quel soggiorno come un rettangolo visto dall alto, la camerata notte si allungava oltre lo stesso rettangolo, nella sua zona inferiore e sinistra. Un rettangolo più piccolo attaccato al suo gemello maggiore, in sostanza. Una propaggine del corpo centrale. Un soppalco, a occhio e croce un ottantina di metri quadri, occupava la parte destra di quell imperiale soggiorno, sovrastandone suppergiù un terzo di spazio. La scala ornamentale ne consentiva l adito. Il piano rialzato cominciava nel punto in cui terminava il salottino beige ed era sostenuto da tre colonne circolari, equamente distribuite lungo l intera larghezza dell ambiente.

17 Anche in quel vastissimo soggiorno nessuna finestra. Però sempre tutto molto aperto e libero. Eccettuato il doppio ingresso scorrevole della camerata notte, l unica porta immediatamente visibile era rappresentata da un battente di legno marrone, che rompeva il bianco del muro a tre o quattro metri da Nando e dall Anonimo. Anche in quel caso l uscio sembrava di tipo scorrevole, a scomparsa. E a movimento manuale. I due incominciarono ad avanzare di passo lento, con la schiena rivolta alla parete. Attenti anche al loro respiro e alle molecole che ne determinavano l esistenza. Stavano percorrendo il lato inferiore del rettangolo immaginario, cioè uno dei due fianchi più lunghi del soggiorno. Senza tuttavia rendersi conto di camminare su una fila di piccoli cerchi adiacenti al muro, tracciati sul pavimento e mimetizzati con la stessa superficie del parquet. Raggiunsero la porta marrone, la prima cosa che si frappose sul loro tragitto. L Anonimo fece segno a Nando di oltrepassare quel varco e di posizionarsi sull altro versante, quello su cui c era l appiglio d apertura. Poi gli diede cenno di spalancare di scatto. Il fulmineo sblocco del battente a scrigno partorì un nuovo locale. L Anonimo fece irruzione, scaraventandosi di getto sulla soglia. Nando gli andò dietro. continua

18 VIII Pag. 50 di 640 Ore 12:35. L intera comitiva si era disposta sul grande divano verde a semicerchio, nello spazio dello smisurato soggiorno. Gli unici rimasti in piedi erano Giorgio Minatelli e il bestione. Quest ultimo sempre qualche passo in disparte. Minatelli prese la parola, nel mezzo del più concreto silenzio e dell interesse più autentico. Signori, ritengo sia giunto il momento di capirci qualcosa. Del perché siamo qui. Come ci siamo arrivati, credo sia ormai un po chiaro a tutti. Almeno quando. Ognuno di noi ha già detto la stessa cosa degli altri. Siamo andati tutti a dormire nei nostri alloggi ieri sera, a prescindere dai diversi orari. E tutti ci siamo risvegliati in questo posto sconosciuto. Senza più i nostri pigiami, ma vestiti pressappoco con gli stessi abiti che indossavamo prima di andare a letto. Sin qui è tutto corretto, per chiunque? Tutti fecero segno di sì. Nando notò subito come quell uomo sapeva parlare alla gente, sicuramente abituato a farlo nel corso della sua vita normale. In quel pur breve preambolo non aveva usato toni apocalittici, né vocaboli fuori posto che potessero evocare paura o sgomento. Al contrario, aveva messo nelle sue frasi un tono asettico e distaccato, un sorriso non troppo sottinteso. Quasi stesse sostenendo una dissertazione accademica. Quasi non stesse discutendo del perché fossero tutti in quel luogo assurdo e per assurde ragioni. Più che assurde, assolutamente incognite. L Anonimo aveva di nuovo capito tutto prima degli altri, rifletté lo zingaro, scegliendo come moderatore il miglior conferenziere tra tutti loro.

19 Bene, allora fin qui ci siamo continuò Minatelli. I nostri due amici hanno verificato la zona, quest intero appartamento. Direi dunque di far parlare un po loro. Poi proseguiremo con il resto. Con un ampio movimento del braccio, esortò il bestione a intervenire. Il demone non si spostò da dov era, ma accettò l invito e aprì bocca. L appartamento ve lo descriverà Nando. E comunque lo vedete. Io devo farvi un altra domanda, che può avere una stracazzo d importanza fottuta. Vi conoscete? Il quesito non fu troppo comprensibile. Lui se ne accorse e aggiustò perentoriamente il tiro, con serenità e senza superflue giustificazioni. Intendo dire chi di voi si conosceva già, prima di stamattina? Dario Beltrami precisò per primo la propria posizione. Io non avevo mai visto nessuno. Tranne Giorgio Minatelli. Lui lo conoscevo già. Di persona? chiese il bestione. No, di fama. Sono stato all ultima presentazione dell altro ieri. Un mio amico me lo doveva far incontrare, ma poi l amico non è venuto e non ci siamo più conosciuti. Non credo che lui mi abbia mai visto prima. Vero, Giorgio? Minatelli confermò di non averlo mai incrociato prima d allora. Anche Fanny s inserì nella conversazione. Come già sapete, almeno alcuni di voi, anch io conoscevo già Giorgio. Però anch io soltanto di fama. Lavoro per la ditta di pulizie e preparazioni fieristiche che ha curato la presentazione. Ma che cazzo di presentazione? sbottò il bestione. Minatelli chiarì. Sono uno scrittore, per chi non lo sapesse. La sorte ha voluto regalarmi un bel po di successo e d affermazione. L altro ieri ho presentato il mio ultimo libro, Il vero Dio. Qui a Roma, alla Sala Centrale della Cultura Confederale. E chi ti ha detto che siamo a Roma? inquisì il bestione. Cosa? Giorgio lo guardò senza intendere.

20 Hai detto che hai presentato il tuo libro qui a Roma. Chi cazzo ha detto che siamo a Roma? Dopo qualche attimo di riflessione, Minatelli replicò. No, no. Hai ragione. Scusatemi. L ho detto d istinto. In effetti, non lo so dove siamo. Nessun problema lo tranquillizzò il bestione. Nessun problema. Era solo per capire. Ok, andiamo avanti. Nulla sfuggiva a quell essere sovrumano, considerò Nando. Parallelamente a quell ultima valutazione, il giovane zingaro si rese anche conto del perché la faccia di Minatelli gli avesse ricordato qualcosa, quando lo aveva visto per la prima volta, poco tempo addietro, sdraiato nel suo loculo. L intuizione arrivò a illuminargli la memoria grazie alle delucidazioni appena fornite dallo stesso Giorgio, che avevano finalmente abbinato un titolo e una professione a un arido nome e cognome. Nando non aveva mai fatto della lettura una sua arte di vita. Nemmeno un inclinazione secondaria. Neppure un fatto sporadico. Il vero Dio era forse il primo e unico libro che avesse mai letto. A dirla tutta, il primo e unico che avesse solamente infilato nel proprio cpad e tenuto dinanzi agli occhi. Lo aveva fatto solo perché gliel aveva regalato Patrizia. Lo aveva cominciato soltanto per evitare di non saper rispondere ai quesiti che poi la ragazza gli avrebbe certamente posto, chiedendogli pareri e commenti vari. E non voleva che Patrizia lo ritenesse un sempliciotto distratto, un povero ignorante. Voleva condividere con lei qualsiasi forma d interesse e di passione e, di conseguenza, la sua intera vita. Aveva iniziato a leggere quel polpettone con una partecipazione vicina al sottozero e un applicazione ancora più bassa. Poi, man mano che aveva scorso le pagine elettroniche, s era fatto prendere la mano. Fino a terminare quel cacchio di tomo in tre giorni, nonostante le sue difficoltà di lettura. Di sicuro Nando non era un letterato e di questo era ben consapevole. Eppure in quelle giornate non era quasi riuscito a fare altro, se non a leggere, leggere e ancora leggere. Quel fottuto figlio di puttana di scrittore, aveva pensato varie volte, il suo mestiere lo sapeva fare proprio bene. Grazie a lui aveva capito che leggere era bello, se era bello ciò che era scritto. Molto

21 più che bello, addirittura affascinante, meraviglioso, travolgente. E la faccia di quel figlio di troia era quella che aveva visto incastonata dentro al libro, nella piccola foto di presentazione dell autore. Chi altro tra di noi lo conosceva già? chiese ancora il bestione. Beh, di fama credo un po tutti, dai intervenne l orsetto pacioccone. Qualcuno lo conosceva già di persona? Penso sia questa la domanda più giusta. Tutti sostennero di no. Tutti lo conoscevano per notorietà, a eccezione della giovane Nicole e del bestione infernale, ma nessuno lo aveva mai incontrato o incrociato prima d allora, di persona. E nessuno era noto a lui. Ma, al disopra di tutto, nessuno aveva mai visto prima di quella circostanza qualunque altro componente del gruppo. Tranne Minatelli erano tutte persone anonime alla celebrità e nessuno s era mai imbattuto prima in nessun altro di loro. Costituivano una congrega di perfetti elementi sconosciuti. Questo era già un punto fermo, un primo dato di partenza. Il briefing andò avanti con Nando. continua

22 IX Pag. 64 di 640 Ore 13:44 (New York, 07:44 a.m.). Emanuela spostò lo sguardo al di fuori del proprio tinello, oltre l ampia finestra che lo illuminava. Rimase per un po a osservare il ritaglio di mondo che quell apertura le permetteva di scorgere. Faceva molto freddo, al di là dei vetri. Si capiva anche da lì, dal rincuorante calduccio che la propria casa le offriva. In effetti era un inverno veramente rigido, quello che l annata in corso stava concedendo a Roma. Anche più del solito. La neve aveva da un pezzo imbiancato ogni cosa, con la sua presenza pulita e rinfrancante. A Emanuela sembrò quasi di percepirne l odore, la freschezza. Senza rifletterci, quella visione candida e luminosa le si affiancò alla fantasia e a un pizzico d indolenza, producendo una miscela di sensazioni che la trasportò in una dimensione di ricordi e di vecchie immagini del passato. Com era cambiato il mondo, da quando era nata, pensò. Quante cose erano ormai diverse, rispetto a quando la mano di suo padre le teneva la sua, piccola e carnosa come quella di ogni bambina di otto anni. Quando percorrevano insieme i viali di Villa Borghese, all ombra delle querce e dei lecci in fiore, per raccogliere ghiande e sassolini e per ripararsi un po anche dal sole. Dai suoi raggi caldi e così familiari, a quel tempo. Quando si sorridevano nel Giardino del Lago, gli occhi dell uno dentro agli occhi dell altra, ammirando le anatre mentre pescavano o mentre si portavano a spasso il loro buffo seguito di giovani anatroccoli. Quando lei lo implorava per un rapido giro sulle giostrine e lui la accontentava, con tutta la pazienza del mondo. Quando oltrepassavano i pini e i cipressi di Piazza di Siena e arrivavano, mano nella mano, fino alla

23 Casina di Raffaello. E quando lui la contemplava giocare, trasmettendole ogni amore possibile. Quando vivevano uniti momenti incondizionati, liberi, autentici. Quei momenti che, una volta abbandonata l infanzia, non tornano più. Per nessuno. A prescindere dall epoca che si sta vivendo. Emanuela ritornò anche ai suoi dieci anni. Da sua nonna, a Torvaianica. Quando assaporavano assieme l aroma della salsedine, passeggiando vicine sulla spiaggia. L una al fianco dell altra. Quando lei ascoltava da nonna Amanda le storie del tempo che fu, mentre le trasferiva inconsapevolmente la felicità del tempo che verrà. La speranza del futuro, per la propria giovane e preziosa nipotina. Quante cose erano ormai davvero diverse. Non era cambiato tutto, ma era cambiato tanto. Il mare c era sempre, questo era vero. Ma il sole e molte altre cose no. Almeno non più come una volta. Non c era più il rumore ovattato e un po catarroso dei vecchi motori diesel, dei pistoni e dei cilindri che si sfregavano tra loro. Quel suono dolce di quando suo padre l accompagnava a scuola, ogni mattina presto. Adesso gli uomini si muovevano su mezzi ultrasilenziosi, fluttuanti su sospensione elettromagnetica, spinti da turbine elettriche lungo strade lastricate di metallo. Il Grande Collasso di diciassette anni prima, aveva trasformato il pianeta. La fortuna aveva voluto che non ci fossero state guerre totali, con i loro relativi milioni di morti. Ma quella crisi gigantesca e globale, di natura soprattutto economica, energetica e ambientale, aveva comunque messo l uomo davanti alla propria sorte. L aveva posto di fronte al futuro a cui lui stesso si era destinato. Più che una crisi, era stato un crollo vero e proprio, generato semplicemente dall assenza di lungimiranza. L umanità aveva preso il palo in piena faccia, nel momento esatto in cui c era arrivata dinanzi. Senza avere occhi adatti a scorgerlo da lontano, nonostante si fosse avvicinato gradualmente e con nitidezza. E così l uomo si era riorganizzato, politicamente e socialmente. E aveva provato a rimettere indietro la lancetta del tempo, riportando il proprio pianeta a quello che era e che avrebbe dovuto sempre restare.

24 Alcune cose erano riuscite bene, in effetti. Specialmente in campo energetico, grazie alle moderne tecnologie. Altre, in verità, un po meno. Come in ambito climatico. Almeno per alcune zone. O quanto meno per Roma, dove il sole si era stancato di risiedere per troppi mesi e con eccessiva lucentezza. Al contrario di ciò che faceva quando Emanuela attraversava i viali di Villa Borghese, attaccata alla mano di suo padre. Oppure lambiva a piedi scalzi la sabbia di Torvaianica, con nonna Amanda accanto. I paesi occidentali erano stati i più colpiti dal Grande Collasso e pure i primi a ristrutturarsi. Si erano congiunti in una vasta confederazione, con un presidente generale e una serie di circoscrizioni territoriali, quelle che un tempo si chiamavano nazioni. Il tutto con un unica lingua ufficiale, una singola moneta, una sola religione riconosciuta. E al di sopra di una gran quantità di sfumature, di culture e di tradizioni differenti. Eh già, si disse Emanuela. Il mondo era davvero cambiato. E lei lo aveva visto cambiare, crescendo. Crescendo con lui. Ne aveva praticamente vissuto l intero percorso di mutazione, mentre anche lei si trasformava. Da bambina ad adolescente prima, da ragazza a donna poi. E ora quella donna era lì, seduta in quel tinello, con gli occhi oltre la finestra. A pensare alla propria fanciullezza e a guardare la neve. La neve che aveva imbiancato ogni cosa e che era l unico a- spetto della giornata che riuscisse a infonderle un minimo di entusiasmo. La visita del giorno prima l aveva spiazzata, le aveva messo il cuore in una posizione troppo inusuale per poter essere sopportata a lungo. Ma in realtà, al di là della neve, c era un altro elemento ad alimentare il suo appetito. Un elemento con un corpo, un volto e un nome ben definiti. Quelli di Timothy Walken. All incirca da sette mesi, Timothy era diventato qualcosa di più di un importante e occasionale partner professionale. Erano divenuti amici intimi, compagni a distanza. Amanti era la parola esatta, per descrivere la loro situazione sentimentale. Si vedevano di rado, quando la lontananza e i reciproci impegni lo permettevano. Per il resto ognuno alla propria vita. Ma era mera-

25 viglioso così. Emanuela non desiderava che cambiasse qualcosa. Voleva che tutto rimanesse immutato, per l eternità. Perché quando lei e Tim stavano insieme, qualunque cosa intorno a loro scompariva, si dileguava nel nulla. E restavano soltanto l amore, la passione, il divertimento e le risate. Lasciando i rispettivi problemi a quando ciascuno di loro sarebbe rientrato nella propria normale esistenza di ogni giorno. Di solito stavano assieme per due o tre giornate. Poi si salutavano e si davano appuntamento alla successiva occasione. In sette mesi di rapporto, si erano visti otto volte, pressappoco una volta al mese o poco più. A New York, a Roma, talvolta anche in campo neutro. Adesso erano già quattro settimane che stavano lontani. Per la precisione, non si sfioravano da ventisei lunghi giorni. Con relative notti. Emanuela ora avvertiva il bisogno di lui, lo percepiva con estremo vigore e tenacia. Doveva andare da Timothy, doveva vederlo, si disse. E il prima possibile, appena avesse sbrigato quell ultima e fastidiosa faccenda. Quell incarico giunto all improvviso e in modo imprevisto. Emanuela si alzò dalla sedia e s infilò nel bagno. Si sistemò un po i capelli e si rifece il trucco. Anche un paio di gocce di profumo, a bagnare il collo e a rinfrescarle il fascino. Infine si accomodò alla propria scrivania e mise in funzione il suo cquackie per telecomunicazioni. Quell aggeggio ultratecnologico e sottile, grande quanto una barretta energetica, con la struttura inferiore di metallo pieghevole e il resto del corpo interamente di vetro sintetico, a contatto digitale. 22 Dicembre, Venerdì. Ore 14:06. Informava lo schermo. Emanuela si selezionò in opzione real image, per consentire a Tim di vederla dal vivo, così come lei voleva adesso farsi osservare. Accarezzò il profilo di Timothy Walken e attese la sua risposta. Passò qualche secondo. La real image fu rifiutata, dall altro lato della linea. Poi Timothy apparve. Però in avatar, senza la sua immagine vera, quella in tempo reale. La stanza da lavoro di Emanuela si riempì

26 così con la figura tridimensionale di un joker. Cioè la sembianza virtuale che Tim aveva scelto per se stesso, quando non poteva comunicare attraverso la sua effettiva e attuale apparenza. Oppure quando, più semplicemente, non lo gradiva. Scusami Emanuela, sono in riunione. Iniziamo tra pochissimo le annunciò il joker. Il tono di Tim risuonò distaccato e freddo, tanto diverso da quello che usava quando loro due stavano insieme, magari l uno dentro alla carne dell altra. Ma d altronde le aveva appena fatto intendere di essere già impantanato nella sua babilonia quotidiana, a dispetto dell ora. Quell asettico tono vocale era dunque più che normale, più che ammissibile, si rasserenò Emanuela. Ok, nessun problema. Non sapevo che fossi già fuori di casa a quest ora. Lì da te sono ancora le otto precisò lei. Lasciamo perdere quest argomento, per favore. Non ci sono proprio andato a casa, stanotte. Ti lascio, allora. Ci sentiamo dopo. No, assolutamente. Dammi soltanto un minuto, però. Si vide il joker lambire un pulsante, come per chiudere la parte audio di quella conversazione. Poi l avatar si alzò e allargò garbatamente le braccia, mentre parlava con un altro paio di joker, identici a lui. Quindi gli altri due joker si mossero in avanti, mentre il primo li accompagnava verso un punto estremo, probabilmente la porta della stanza. Infine il joker Timothy ritornò al proprio posto e riaccese la trasmissione sonora. Tim, non serviva mandarli fuori. Ti avrei potuto ricontattare io più tardi, con maggior calma lo rimproverò Emanuela, con molta dolcezza. Sei matta, amore mio? E chi se la perde un occasione così! Vederti adesso, in mezzo a tutti i dinosauri che mi toccherà ancora sopportare per oggi. E quei due comunque non erano pezzi importanti, altrimenti è ovvio che non gli avrei chiesto di uscire. Solo che ho veramente i minuti contati, tesoro. Ti accetto la real image, ok? Okay. Però passami anche la tua. Mentre Emanuela penetrava nella stanza di Timothy, il joker sparì dalla sua. Al suo posto arrivò un uomo intrigante, con un impec-

27 cabile completo di lana antracite, camicia bianca e cravatta di seta scura, molto vicina al nero. Sei bellissima, amore le sorrise Timothy. Anche tu lo sei gli rispose Emanuela. Zitta! Una donna non lo dice mai a un uomo! E io, invece, te lo dico. Va bene? Se lo sei, non è colpa mia. A limite fortuna, ma non colpa. Va bene, come vuoi tu. Incasso e porto a casa con piacere, allora. Ti amo, Tim. Anch io ti amo, tesoro. Ok, dai. Altrimenti fai tardi. Volevo soltanto dirti che pensavo di venire da te. Sul serio? Finalmente! È fantastico! Quando? Sei già in viaggio, vero? Dimmi di sì, forza! No, Tim. Domattina ho un ultimo lavoretto da sbrigare. Ma appena finisco, prendo il primo volo per New York. Se per te va bene, è chiaro. Mi stai dicendo, se ho capito correttamente, che arrivi domani di sicuro. Ma non sai ancora a che ora. Giusto? Giustissimo. A ogni modo, non credo di arrivare da te oltre la tarda mattinata. Forse anche parecchio prima. Ma ora come ora non so essere più dettagliata, Tim. Se la cosa ti crea difficoltà, dimmelo senza alcuna remora. Tranquillo. Scherzi? Domani è sabato. Poi ci sarà vigilia e Natale. Avevo un po di cose da fare, ma chi se ne frega. Le rimando a mercoledì, ok? Ti fermi fino a martedì, no? Sì, certo. Con piacere. Allora è andata, amore mio. Ti aspetto domani. Mi dirai a che ora atterri appena lo saprai. Nessun problema. E ci passiamo Natale e quattro giorni indimenticabili insieme. Come sempre con te, d altra parte. Ho già un posto dove portarti, un idea che mi è venuta da un po. Non farmi morire, Tim, che sennò domani non arriva in fretta. Ora però vai. Ci sentiamo stasera, stanotte, domattina. Appena saprò qualcosa di più preciso, insomma. Ma adesso non fare tardi.

28 Sì, hai ragione. Devo scappare. Mi hai fatto felice, amore mio. Non me l aspettavo. Quello che manca di oggi, ormai passerà in un lampo. Col pensiero di te. Sei dolcissimo. Anche tu, tesoro mio. Ora vado sul serio. A domani. Ti amo tanto. Ciao. Ciao Tim. Anch io ti amo tanto. La comunicazione si chiuse. L immagine di Timothy evaporò in un istante nell aria, come quella della sua compagna da lui. Emanuela rimase qualche minuto ferma al proprio posto, nell estasi più completa. Quell uomo l amava davvero, alla pari di quanto lei amasse lui. E ciò era splendido. Una vera botta di fortuna, che la vita aveva deciso di donarle. E lei se lo prendeva tutto quel regalo, senza se e senza ma inopportuni. Vivendolo come meritava di essere vissuto, con corpo, cuore, anima e poco cervello. Non serviva il cervello in quel tipo di relazione, a meno di non volerla distruggere. E lei non aveva alcuna intenzione di distruggerla. Desiderava anzi tenersela stretta per il resto dei suoi giorni. Emanuela tornò in bagno, davanti allo specchio. Si guardò e si sorrise, sussurrandosi la propria infinita felicità.

29 X Pag. 71 di 640 Ore 13:57. A intervallo scaduto, arrivò il momento della bella ragazza bionda, dai capelli lisci e un po deteriorati dalle stagioni. Attese qualche secondo prima di iniziare, come se volesse riordinare le idee o stesse calcolando quali cose andavano dette e quali altre no. Alla fine stabilì ciò che poteva essere raccontato e cominciò. Il mio nome attuale è di nuovo Carla Carmignani. Nella mia vita profana sono nata ventinove anni fa esordì la ragazza. Ci fu una stagnante parentesi di silenzio. Hai avuto più di una vita? cercò di chiarire e di farla procedere Giorgio Minatelli. Non mi sembra che questo tuo preambolo sia stato comprensibile a molti, Carla. A me no, perlomeno. Avete ragione. Proverò a essere più esplicita. Ritengo di avere avuto due vite, sì. Anzi, forse questa è la terza. Sono nata a Taranto e ho fatto una vita normale. La vita di chiunque, da bambina e da adolescente. Poi, a diciannove anni, sono diventata suora di santa Chiara e sono andata a vivere in un convento. A Manduria, nel mio distretto. Lì sono stata fino a poco tempo fa. Ma ieri, quando qualcuno mi ha portato in questo posto con voi, senza che me ne rendessi conto, non ero più a Manduria. Ero a Roma. E non ero più neanche una suora. Minatelli ebbe la sensazione che la ragazza stesse per affrontare una parte estremamente dolorosa del suo racconto esistenziale. Anche qualcun altro se ne accorse, oltre a lui. La giovane Nicole su tutti. Sia l uno che l altra non furono per niente sicuri che Carla volesse dilungarsi nella sua storia, che volesse andare avanti in quel momento. Lo pensarono nello stesso istante, nel medesimo frangen-

30 te, come se i loro due cervelli fossero in collegamento diretto. Ma senza la possibilità di sapere che anche l altra persona stava ponderando la stessa cosa. Come prevedeva il suo recente incarico da intercessore collegiale, che lui stesso si era spontaneamente attribuito all interno della nuova comunità, Giorgio ruppe gli indugi. Quel ruolo in fondo non gli era mai stato inconsueto, neanche prima d allora. Te la senti di continuare, Carla? le chiese. La bella ragazza si fece coraggio e fece cenno di sì. Soltanto se lo vuoi, se te la senti davvero specificò Nicole. Minatelli annuì verso Nicole, in segno d intesa. Carla ribadì l assenso e proseguì. Dio solo sa che non è colpa mia! Lui lo sa, perché Lui sa tutto, vede tutto e tutto può. E io non volevo che andasse così! Tirò su col naso, poi se lo asciugò con il dorso della mano. Si asciugò anche qualche fresca lacrima, da poco ritornata in superficie, per l ennesima volta. Una sera sono uscita, come uscivo tutte le sere, per andare a portare la cena all orfanotrofio che sta proprio dietro il convento. In parte ci occupiamo direttamente noi dell orfanotrofio e in parte il Ministero Territoriale della Solidarietà. Ci fornisce fondi e un po di persone ben preparate. Educatori, assistenti, medici. A ogni modo, alla refezione ci pensiamo sempre noi, tutti i giorni. Noi prepariamo e portiamo i pasti. Colazione, pranzo, merenda e cena. Io mi occupo della cena, insieme ad altre tre mie sorelle. Rivolgendosi esclusivamente a se stesso, Nando constatò come Carla parlasse costantemente al presente, raccontando quella sua parte di vita. Non diceva ci occupavamo, ci forniva o noi preparavamo, bensì occupiamo, fornisce, prepariamo. Si rese conto che anche gli altri prima di lei avevano parlato così, nell identica forma. Dallo stesso Minatelli a Beltrami, da Giuseppe Rotoli alla contessa Borgese. Persino Filomena Marrone, detta però Fanny e non Filomena e che questo fosse ben chiaro a tutti. Ciascuno aveva coniugato i verbi come se nella propria vita non fosse mutato nulla. Come se fossero ancora tutti pienamente immersi nelle loro faccende quotidiane e usuali. Come se non stavano lì.

31 Come se ancora stessero lavorando, oppure discutendo davanti alle loro mogli o mariti o fidanzati. Come se lì non fossero mai entrati, come se nessuno ce li avesse mai trasportati. Però, in fin dei conti, considerò Nando, non era molto che si trovavano in quel luogo enigmatico. Magari le loro teste dovevano ancora agganciarsi all idea che da quella mattina in poi le loro esistenze cambiavano. Non se ne conosceva il tempo, questo era vero, ma certamente cambiavano. Lui questo lo aveva invece già compreso. E tutto sommato non era un male che solo lui l avesse fatto. O almeno solo lui e l Anonimo. O quanto meno loro due e pochissimi altri. Qualche volta è meglio non percepire la realtà. Talvolta l inconsapevolezza è un approdo essenziale, per quanto invisibile, nel mare delle proprie fragilità. Giuseppe Rotoli ebbe la luminosa ispirazione di interrompere Carla, proprio nel bel mezzo delle sue più sofferte confessioni. E per giunta con una domanda che più sterile e stronza di così non poteva essere. Scusami, Carla. Ma non sei suora di clausura? le chiese. Ancora quell indicativo presente. Nando pensò che però c era un limite a tutto e che quell orsetto pacioccone del cacchio fosse veramente uno scemo a pieni titoli. Carla lo aveva detto o no, che ormai non era più una suora? Sarebbe bastato ascoltare, caro il mio orsetto cretino, si disse lo zingaro. Al di là del fatto che all orfanotrofio ci si può arrivare anche senza uscire dal convento, Giuseppe, il punto non è questo. La clausura è stata definitivamente abrogata dal Papa almeno quindici anni fa, per qualunque ordine monastico! straripò l ex suora. Probabilmente anche lei stava ora pensando le stesse cose di Nando. Giuseppe Rotoli realizzò di aver detto una stupidaggine. E soprattutto di averlo fatto nel frangente meno indicato possibile. Abbassò la testa e le sue guance carnose si fecero ancora più rossicce e paonazze del solito. Quando ritirò su il capo, i suoi occhi andarono a incrociare quelli del bestione. L uomo gli fece intendere con lo sguardo, senza profe-

32 rire alcun inutile parola, che adesso era tenuto a dire qualcosa, nel tentativo di giustificare l inconcludente idiozia che aveva appena sparato. Era giusto che fosse così, ragionò pure Nando, al quale non sfuggiva nessun occhiata o gesto che l Anonimo facesse. E com era sua consuetudine, quello del bestione non era stato un amichevole consiglio, fiutò Giuseppe. Bensì un ordine da eseguire alla lettera e istantaneamente, pena la sua preoccupante incazzatura e la sua facile vendetta. Scusami Carla, era solamente una curiosità, da ignorante. Non volevo interromperti si scagionò Rotoli. Non fa niente, Giuseppe. Scusa tu se ti ho risposto un po male lo rassicurò la ragazza, che poi aggiunse Volete che continui? Carla sembrava ora un pizzico più serena di poco prima e tutti le fecero capire di sì, che volevano ben volentieri. Anzi, non aspettavano proprio altro. Quella sera sono uscita, stavo dicendo, come facevo ormai tutte le sere. Nell ultimo periodo avevo preso l abitudine di non passare da dentro, ma di fare il giro del convento, dalla strada esterna. Ci trovavo sempre tre senzatetto, ai quali allungavo con piacere una pagnotta e qualche pezzo di carne. Magari un po di pasta o di minestra, qualche foglia di verdura cotta. Quello che era possibile, insomma. E loro mi aspettavano sempre lì, alla stessa ora, ogni giorno, da due o tre mesi a quella parte. Io ero la loro cena, come lo sono per tutti i bambini e i ragazzini del brefotrofio, con l aiuto delle mie tre sorelle. Ma quella sera, Dio mi perdoni, non c erano solo i tre mendicanti ad attendermi. Lo sconforto tornò a far breccia su Carla e dentro ai suoi occhi. Tutti gli altri stavano ascoltando nel più rispettoso e totale silenzio la sua narrazione. La storia di quella donna molto bella e aggraziata fuori, ma che appariva ancor più deliziosa dentro, all interno del proprio animo gentile. Tutti stavano intuendo che adesso sarebbe arrivata la parte più dura e sconvolgente di quella testimonianza. Carla si chiese per un istante se fosse giusto raccontare tutto, così come stava facendo ora, a quel gruppo di perfetti sconosciuti. Poi si rispose che lo era, che era giusto così, magari evitando le parti più confidenziali e anche quelle più segrete. La situazione in

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