Nella foto lavoratori in attesa di oltrepassare il check point per andare a Gerusalemme.

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1 BETLEMME ALBA AL di CHIARA PELLICCI Ènotte fonda. Piove e un forte vento spazza le strade di Betlemme. Davanti al muro di cemento, che isola i Territori palestinesi dallo Stato d Israele e separa la città natale di Gesù dalla vicina Gerusalemme, c è un via vai di taxi collettivi: vecchie auto spaziose e ammaccate, che trasportano fino a sette persone, arrivano a tutta velocità, quasi a voler sfondare quella barriera che impedisce anche alla sguardo di andare oltre. Ripartono vuote, dopo aver scaricato i lavoratori che giungono qui da Betlemme e dintorni. Sono le quattro e mezzo di notte e centinaia di uomini, come ogni mattina, si apprestano a vivere ciò che è diventato ormai normale per chi deve recarsi al lavoro a Gerusalemme: dalle due alle tre ore quotidiane al check point di Al Maxum. Una lunga garitta larga meno di un metro si snoda come un serpente alla base del muro, in un senso e nell altro: serve per contenere una folla che diventa visibile solo a quest ora di notte e poi sparisce, come se non esistesse più fino al giorno successivo. Oggi il maltempo ha scoraggiato molti dei lavoratori a giornata, Nella foto lavoratori in attesa di oltrepassare il check point per andare a Gerusalemme. quasi tutti manovali per l edilizia: chi si è presentato lo stesso, se la caverà solo con un ora di coda. L apertura del check point è prevista per le 5.00: nell attesa c è chi stende dei cartoni in terra e si inginocchia per pregare verso La Mecca, chi ha acceso un fuoco per riscaldarsi, chi improvvisa u- na colazione con uno snack e una tazza di caffè venduti da giovani studenti che si guadagnano la giornata così, prima dell alba. Stipati in fila, sono tutti uomini le donne non vanno in giro a quest ora e, comunque, hanno una POPOLI E MISSIONE MAGGIO

2 CHECK POINT Ogni notte al varco di Al Maxum unico passaggio tra Betlemme e Gerusalemme nella barriera che isola i Territori occupati dallo Stato d Israele si ammassano centinaia di lavoratori palestinesi che attendono di oltrepassare il muro di cemento alto otto metri per potersi recare al lavoro. Una folla che diventa visibile solo prima dell alba e poi sparisce, come se non esistesse più fino al giorno successivo. Nella Terra Santa che accoglie con speranza la visita di Papa Benedetto XVI, molti drammi sono realtà conosciute solo da chi le vede con i propri occhi, perché i media non le raccontano. corsia preferenziale al check point di oltre 45 anni di età: il permesso per entrare a Gerusalemme, rilasciato dalle autorità israeliane solo dopo accurati controlli, in genere non viene concesso ai giovani perché considerati pericolosi per la sicurezza di Israele. Tra gli uomini in coda la nostra presenza, per di più a quest ora, è motivo di eccezionalità: anche per gli stranieri, come per i disabili, c è una corsia preferenziale ed esserci mescolati ai lavoratori è per loro un segno inconfutabile della volontà di vedere con i no- stri occhi ciò che i media non raccontano. I lavoratori aspettano in piedi, silenziosi, rassegnati per ciò che li attende, dignitosi nella loro povertà. Molti hanno in mano un sacchetto di plastica con un pezzo di pane e un frutto per il pranzo: tutto il 11 MAGGIO 2009 POPOLI E MISSIONE

3 necessario per una giornata di lavoro che non sanno neppure se riusciranno a conquistare. Mohammed arriva da Hebron, a un ora di distanza da qui, è padre di cinque figli e parla qualche parola di inglese. Ci tiene a mostrare il permesso di lavoro in Israele, che gli è stato concesso dopo una lunga trafila e che conserva incartato in un foglio di plastica sgualcita nella tasca interna del giaccone. Il documento è stampato su carta bianca e rossa, arricchita da tante menorah (il candelabro a sette bracci, simbolo dello Stato ebraico) stampate in filigrana. «Per noi il check point è aperto ogni giorno lavorativo dalle 5.00 alle 17.00: al di fuori di questi orari non possiamo passare» dice Mohammed con distaccata rassegnazione, precisando che in Israele il giorno di riposo è il sabato, non il venerdì come per tutti i musulmani. «La giornata di lavoro termina alle 15.30, per avere il tempo necessario per tornare al di qua del muro». Sul suo volto non si legge né odio, né rabbia, ma un misto tra passività e sopportazione. Alle 5.00 la fila inizia ad avanzare: una gabbia girevole, che lascia passare una persona alla volta, si aziona e si blocca ad intervalli regolari, indicati da una luce verde e rossa a intermittenza. Il primo controllo è molto generico: varcando il tornello, ognuno deve solo tenere ben in evidenza il permesso di passaggio e attendere il cenno del militare israeliano, tutt altro che interessato, che si trova dentro la guardiola. Ricevuto il via libera, c è una corsa per attraversare il più velocemente possibile il piazzale ed entrare nel terminal: raggiungere in fretta il secondo controllo permette di guadagnare anche solo qualche posto sull interminabile fila che si viene a creare per il passaggio POPOLI E MISSIONE MAGGIO

4 Qui sopra la lunga fila dei lavoratori all ingresso del check point di Al Maxum dalla parte di Betlemme, unico varco per Gerusalemme nel muro che isola i Territori occupati da Israele. A destra la gabbia girevole si aziona alle A pag. 12 i lavoratori aspettano l apertura del check point: silenziosi, sono rassegnati per ciò che li attende. delle persone al metal detector e dei loro fagotti al controllo a raggi X. Corridoi a zig zag e portoni di ferro, che entrano chissà dove, sono sovrastati da un soffitto di rete metallica su cui vari soldati, con il mitra appeso al collo, camminano per sorvegliare cosa accade al di sotto. Militari e telecamere spiano ogni movimento e di tanto in tanto una voce in e- braico, completamente ignorata, interviene da un altoparlante. Qui l attesa può prolungarsi notevolmente: per questo i lavoratori, già prima che sia il loro turno, si spogliano di cintura, scarpe e giaccone. Sanno che il secondo controllo, quello della sicurezza, può portar via molto tempo. Una volta superato, ancora pochi passi prima di arrestarsi per il terzo: il più temuto. È il controllo dell identità, che avviene tra tornelli e gabbiotti blindati. Dentro, giovani soldati o soldatesse: appena maggiorenni, con il viso ancora punteggiato dall acne e i lineamenti da ragazzini, cresciuti all improvviso nel giorno in cui hanno dovuto indossare la divisa militare per la prima volta (in Israele il servizio militare è obbligatorio per tutti e ha la durata di tre anni per i maschi e due per le femmine). Fuori, padri di famiglia, di anni: devono posizionare la mano destra sul lettore ottico per il riconoscimento delle impronte digitali e con la sinistra devono appoggiare la propria carta di permesso sul vetro del gabbiotto, perché il soldato possa verificare la corrispondenza dell identità rilevata dal computer con quella indicata sulla carta. Una sorta di prova infallibile, senza la quale non si passa, nonostante il superamento dei controlli precedenti. Capita spesso che la mano appoggiata sul lettore non venga riconosciuta al primo tentativo: mani callose, screpolate, a volte ferite. Mani traditrici dell identità di un uomo, che aspetta solo di concludere la trafila per poter recarsi al proprio lavoro. Il viso si tende, lo sguardo rivela nervosismo, gli occhi fissano quella mano a cui tutto è appeso. Al terzo tenta- 13 MAGGIO 2009 POPOLI E MISSIONE

5 tivo, finalmente, sul monitor del computer appare l identità di Mohammed e il soldato fa cenno che «sì, può passare». È arrivato dall altra parte del muro dopo due ore di attese, controlli, incertezze. Sono le 6.00: fuori dal terminal i mini-bus palestinesi aspettano di essere al completo e partono per Gerusalemme e ha già dimostrato di non portare con sé né armi, né bombe; non c è risposta per chi ha famiglia che attende alla sera il salario della giornata. Il chiarore dell alba, ormai, illumina il check point, liberandolo dall aspetto buio e sinistro della notte. Sami è tornato al punto di partenza: in pochi minuti ha co- est. Qui comincia la giornata lavorativa di Mohammed. Non a tutti va così bene. Sami è all ultimo controllo, quello dell identità, ma il lettore ottico non riconosce le impronte della sua mano. Prova, riprova, ma niente. Sami non può passare. Chiede spiegazioni, ma la soldatessa ripete solo «no, non puoi passare», ordinando di togliersi dalla fila perché intralcia. Sami non protesta, non grida, non si indigna. Fa la fila del ritorno senza una risposta. Non c è risposta per chi non viene riconosciuto nella sua identità da un lettore ottico di impronte digitali; non c è risposta per chi non può andare a lavorare POPOLI E MISSIONE MAGGIO

6 A sinistra l attesa dei lavoratori prima dell apertura, prevista per le 5.00: c è chi per riscaldarsi ha acceso un fuoco con dei rifiuti. In basso ingresso al check point di Al Maxum dalla parte di Betlemme. A pag. 14 fila per il secondo controllo: il passaggio delle persone al metal detector. Dei tre controlli, è quello la cui attesa può protrarsi più a lungo. perto a ritroso quel tragitto che qualche ora prima aveva percorso con infiniti tempi di attesa, ma con la speranza e l ostinazione di chi è fedele alla dignità di lavoratore. Sami cammina lungo il muro, rallenta e alza lo sguardo, soffermandolo su una gigantesca bandiera palestinese disegnata sul muro, miraggio di uno Stato che non arriva mai. Poi riprende il suo passo e se ne va. Poche ore più tardi la mattina è già inoltrata. Passiamo nuovamente il check point, stavolta dal lato destinato ai bus turistici. Incontriamo una soldatessa: ormai abbiamo imparato a riconoscerla perché molto spesso si trova a sor- vegliare quella postazione. Ha sempre lo sguardo mesto, non dice niente ma stavolta sembra che il suo volto voglia parlare per lei. È sempre più forte il desiderio di sentire l altra voce, quella dei soldati, per capire cosa passi nell animo di quei ragazzi che ogni giorno si trovano ad eseguire comandi spesso incomprensibili. Le chiediamo perché sia sempre triste e non sorrida mai. «In genere non sono triste si affretta a rispondere con un sorriso ma qui lo sono, perché questo non è il mio posto». E precisa: «Non capisco perché abbiano deciso di costruire questo luogo». La sua risposta mi fa pensare a Sami, che qualche ora prima, a pochi metri da qui, soffermava il suo sguardo sulla gigantesca bandiera palestinese disegnata sul muro. Forse è proprio così: fin quando questa bandiera non sventolerà accanto a quella con la stella di Davide, il muro che lacera la Terra Santa continuerà a schiacciare un popolo nell arbitrio di un assurdo «no, non puoi passare» e ad imprigionare nella tristezza i cuori di chi è obbligato a portare il mitra appeso al collo. 15 MAGGIO 2009 POPOLI E MISSIONE