Quaderno n. 9 DIOCESI DI FORLÌ-BERTINORO. Quaderno n. 1: presentazione de "La sfida educativa"

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1 ORIENTAMENTI PASTORALI per il decennio "Educare alla vita buona del Vangelo" Quaderno n. 1: presentazione de "La sfida educativa" Quaderno n. 2: "strumento di lavoro" per una verifica della capacità educativa dell'agire pastorale della nostra Chiesa Quaderno n. 3: sussidio di catechesi sulla celebrazione eucaristica Quaderno n. 4: "Educare in un mondo che cambia" Quaderno n. 5: "Educhiamo insieme: comunità ecclesiale e alleanza educativa" Quaderno n. 6: Il Vangelo di Giovanni: riavvio alla lettura Quaderno n. 7: Le nozze di Cana "Eucaristia e affettività"; La moltiplicazione dei pani e dei pesci "Eucaristia e cittadinanza" Quaderno n. 8: Discorso sulla manna e il pane della vita "Eucaristia e tradizione" La lavanda dei piedi, significato dell'eucaristia "Eucaristia e fragilità" Quaderno n. 9: La pesca miracolosa e il pasto del Risorto "Eucaristia, lavoro e festa" DIOCESI DI FORLÌ-BERTINORO Anno pastorale L'EUCARISTIA PER LA VITA La pesca miracolosa e il pasto del Risorto "Eucaristia, lavoro e festa" relazione di don Enrico Casadei Garofani Quaderno n. 9

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3 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI R. FABRIS, Giovanni, Borla, Roma R. VIGNOLO, «Un doppio letterario e testimoniale. Giovanni Battista e il Discepolo Amato», in Personaggi del Quarto Vangelo, Glossa, Milano G. BARBAGLIO L. DELLA TORRE, «Giorno del Signore», in AAVV. Nuovo dizionario di teologia morale, San Paolo, Cinisello Balsamo F. APPI, Evangelizzare il Lavoro, Ave, Roma La pesca miracolosa e il pasto del Risorto: Eucaristia, lavoro e festa don Enrico Casadei Forlì, 24 ottobre 2011 Ogni racconto è sempre un percorso, un itinerario con un suo punto di partenza e, finalmente, con una sua meta, una sua conclusione: cammino dei personaggi sul filo della trama che si svolge,e cammino del lettore che ne segue da vicino le peripezie, i drammi, i dubbi, le scoperte, i successi... E il traguardo si sa permette finalmente di voltarsi indietro, di guardare il tratto percorso e di capire dove ha portato il nostro camminare. La conclusione di un racconto è il suo traguardo, il punto dal quale si osserva quanto è accaduto con una prospettiva d insieme, e dal quale si può valutare come i fatti raccontati hanno cambiato i personaggi (situazioni di vita, consapevolezza, identità...) e come hanno cambiato il lettore. Noi questa sera ci accosteremo a una pagina che è una conclusione, un traguardo: è la pagina finale del Vangelo secondo Giovanni, il capitolo 21. Questa storia, nella quale la vita terrena del Verbo incarnato si intreccia con la vita dei discepoli, dove conduce, cosa ha portato nei discepoli? Qui dobbiamo dire che la nostra pagina è doppiamente significativa: non solo perché conclusiva dell intero racconto evangelico, ma anche perché in un primo momento non era prevista; il Vangelo terminava infatti con il c. 20, dove troviamo il dialogo fra Gesù risorto e Tommaso, con la frase finale di Gesù: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». E a questo punto interveniva l evangelista, che si rivolgeva ai lettori con queste parole: Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Fine del libro. Ma poi... inizia un altro capitolo! Perché questa aggiunta? È, con ogni probabilità, un ripensamento: si è sen- 3

4 tito il bisogno di aggiungere qualcosa: un qualcosa senza il quale il racconto evangelico non sembrava completo; qualcosa che una prospettiva d insieme sembrava reclamare; qualcosa che contribuisse ulteriormente all orizzonte di senso dell intero Vangelo. Noi ora riascoltiamo questa pagina, e fissiamo il nostro interesse su due discepoli in particolare: Pietro e un altro discepolo di cui non conosciamo il nome proprio, e che viene semplicemente indicato con l espressione quel discepolo che Gesù amava ; noi per comodità diremo: il il Discepolo Amato. Ebbene, cosa sono diventati o cosa stanno diventando questi discepoli alla fine della storia, e in questo nuovo contatto con Cristo risorto? Gv 21, Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2 si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3 Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. 4 Quando già era l alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5 Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6 Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7 Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8 Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9 Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10 Disse loro Gesù: «Portate un po del pesce che avete preso ora». 11 Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12 Gesù disse loro: «Venite a mangiaquell uomo perfetto di cui parla San Paolo che realizza la pienezza del Cristo». Incontrare il Risorto e accogliere la risurrezione (che è inizio della creazione rinnovata) significa divenire partecipi dell opera divina (a Pietro Gesù chiede di pascere i suoi agnelli e le sue pecore) e assumersi la propria responsabilità verso il mondo e verso gli uomini (dunque anche iniziare e perseguire una prassi concreta che favorisca la libertà di chi lavora, la solidarietà tra chi lavora, l equità nella ripartizione del lavoro e nella distribuzione delle ricchezze. Attraverso il lavoro l uomo mostra non solo la sua sovranità sul creato, ma prova ad anticipare qualcosa dei nuovi cieli e della nuova terra in cui saremo liberi da ogni schiavitù e corruzione di peccato e di morte. L eucaristia, incontro di festa con il Risorto, non è mai una fuga dalla storia, dalla nostra storia personale, comunitaria, e, più in generale, sociale: essa chiama in causa il nostro essere discepoli amati dal Signore, e la nostra capacità di riconoscere la sua presenza operante in mezzo a noi; essa è un occasione per ricevere di nuovo, purificata dalle sue scorie, la nostra identità personale e comunitaria sfigurata dalle nostre cadute; essa è un occasione per comprendere il nostro ruolo dentro al progetto che Dio ha per il mondo: progetto al quale anche noi, con il nostro vivere e operare in seno alla Chiesa e alla società, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo. 4 17

5 di alienazione dell uomo. Non è su questa distorsione del lavoro che vogliamo soffermarci, ma piuttosto diciamo che la celebrazione eucaristica domenicale ci educa a una visione cristiana del lavoro. Abbiamo già posto le premesse di questo discorso parlando di eucaristia e festa; ora proviamo a fare qualche approfondimento. Nel giorno di festa non lavori, per ricordarti che non sei schiavo: né del faraone né della morte. Celebrare l eucaristia significa dunque ricordare di essere stati riscattati, riprendere coscienza che nessuno può schiavizzare un altro uomo, ridurlo a macchina produttiva, trattare il lavoro del suo simile come fosse pura merce di scambio. D altra parte, occorre stare in guardia anche dall estremo opposto. Celebrare l eucaristia, infatti, significa ricordare che è lui, non noi, ad essere il Signore della vita. I grandi successi della scienza e della tecnica ci hanno ubriacati di orgoglio nei confronti del creato, e addirittura della vita e della morte (manipoliamo la vita nascente e cerchiamo di allungare o di troncare la durata della vita adulta). Senza aspettare gli tsunami che ci fanno sentire piccoli davanti al creato, e senza aspettare il giorno della nostra morte, quando ormai sarà troppo tardi, l eucaristia ci dice anche che non è il nostro solo lavoro a salvarci. Nell offertorio le preghiere sul pane e sul vino parlano del frutto della terra/vite e del nostro lavoro: «lo presentiamo a te perché diventi per noi cibo di vita eterna/bevanda di salvezza». Non è il nostro lavoro a salvarci: esso è solo il punto di partenza perché Dio faccia di quell opera il luogo della sua presenza, trasformandola nel suo corpo e sangue. Né schiavo né padrone ultimo della realtà: piuttosto partner di Dio: con lui tu lavori alla e nella creazione. Non si tratta semplicemente di plasmare la materia, di forgiare il ferro o di tagliare il legno; scriveva a questo proposito Paolo VI nella Populorum progressio (nn ): «L uomo deve cooperare con il Creatore al compimento della creazione, e segnare a sua volta la terra dell impronta spirituale che egli stesso ha ricevuto», e aggiunge «La fatica degli uomini ha per il cristiano un significato ben maggiore, avendo anche la missione di collaborare alla creazione del mondo soprannaturale, che resta incompiuto fino a che non saremo pervenuti tutti insieme a costruire 16 re». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13 Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14 Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Prima osservazione: c è una sottolineatura dell evangelista, un Leitmotiv, un tema importante che ritorna. È il verbo manifestarsi, riferito al Risorto. Lo troviamo due volte all inizio, al v. 1: Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così; e poi lo troviamo di nuovo alla fine della parte che abbiamo letto, al v. 14: Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. L evangelista ci tiene a sottolineare che è Gesù a manifestarsi: la sua presenza non è una conquista dei discepoli, ma un dono che lui vuol fare; è lui che prende l iniziativa, è lui che dà voce, da riva, a quel gruppo di pescatori. Del miracolo in sé e per sé si dice poco: solo che gettarono la rete e che faticavano a tirarla su; niente su cosa vedono o fanno in quegli istanti in cui la rete si riempie. Perché questa brevità? Perché non è tanto il pesce che interessa, ma chi ha il potere di farlo trovare. Chi è? Solo uno sa rispondere prontamente, come in un guizzo: il Discepolo Amato. Questo discepolo infatti si rivolge a Pietro e dice: «È il Signore». La sua è una vera professione di fede. Era già successo qualcosa di analogo al c. 20: il Discepolo Amato aveva preceduto Pietro nella fede pasquale. E Pietro come reagisce alle parole del Discepolo Amato? Si cinge la veste e si tuffa. Perché? Forse vuole arrivare per primo da Gesù, senza indugiare neppure un istante? Eppure di un suo arrivo prima degli altri non si parla affatto nel seguito del racconto. O forse si tuffa per ritardare o, addirittura, sottrarsi all incontro? Al v. 11, infatti, troviamo qualcosa che potrebbe avvalorare questa idea. La traduzione della CEI qui è discutibile; recita così: Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. Tuttavia nel testo originale greco nella barca non c è. Salì dove? Nella barca ha inteso la CEI, specifican- 5

6 dolo; ma si potrebbe anche tradurre salì dall acqua, risalì a riva, intendendo che fino ad allora Pietro fosse rimasto in acqua, come per sottrarsi all incontro con Gesù. Sentendosi ancora in colpa verso Gesù, Pietro farebbe come Adamo, copertosi con foglie di fico e nascostosi dalla presenza del Signore. Restiamo con il dubbio; certo è che fin qui non udiamo una sola parola scambiata fra Pietro e Gesù. E per ora sottolineiamo soprattutto una cosa: l atto di fede del Discepolo Amato. Gv 21, Quand ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16 Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17 Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18 In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19 Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». Finalmente qui abbiamo un dialogo personale, a tu per tu fra Gesù e Pietro. Qualunque fosse il motivo per tuffarsi, non è l iniziativa di Pietro che fa partire il dialogo con Gesù; al contrario è Gesù che per primo rivolge la parola a Pietro. Per tre volte Gesù chiede: «Mi ami?» e per tre volte Pietro risponde «Ti amo». Addirittura Gesù sembra invitare a un confronto: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Sorprende questa richiesta così imbarazzante. Perché Pietro dovrebbe amare Gesù più degli altri? Forse perché, tuffandosi per andare incontro a Gesù, ha mostrato più slancio degli altri? O forse perché prima della passione, in 13,37, aveva assicurato che avrebbe 20,11: Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Qui veniamo riportati molto più indietro rispetto alle vicende dell esodo dall Egitto: risaliamo addirittura alla creazione. Dio ha creato il mondo e l uomo in sei giorni, e il settimo si è riposato: in altri termini, nemmeno Dio è schiavo del suo lavoro, e la sua è un opera voluta, non dovuta. L uomo è creato a immagine di Dio: infatti Dio, creando l uomo, gli affida il compito di dominare la terra (Gen 1,26). Così, nel suo piccolo, anche l uomo (come Dio) può dominare ed essere signore sul creato; certo la sua è una signoria subordinata, ma pur sempre di signoria si tratta. Legando la motivazione del riposo sabbatico al riposo divino, Dio viene a dire: tu somigli al tuo creatore: come lui anche tu farai la tua opera, e come lui anche tu ti riposerai nel giorno del suo riposo. Ora, questa seconda motivazione del riposo sabbatico si può armonizzare con la memoria domenicale del risorto? Sì, nella misura in cui rievocare l azione creatrice di Dio, all inizio del tempo, pone le premesse per considerare la nuova creazione che prende avvio con la risurrezione di Cristo. Nella risurrezione, infatti, il Padre ha operato qualcosa di nuovo, che progressivamente sarà esteso a tutta la creazione: allora l energia della risurrezione darà vita nuova al mondo intero. A questo proposito i Padri della Chiesa hanno parlato della domenica come dell ottavo giorno.dopo i primi sette giorni della creazione, la domenica è un giorno nuovo, diverso dai primi sette perché illuminato dalla risurrezione; è un preludio, un anticipo della venuta gloriosa di Cristo alla fine dei tempi, e della festa senza fine. Forse sarebbe bello fermarsi qui, alla festa senza fine; invece abbiamo ancora qualcosa da dire sul lavoro. In effetti la domenica nella nostra società ingorda ha smesso di essere per molti il giorno del riposo, della cessazione dal lavoro (dalle opere servili, si diceva un tempo), della ricreazione e della riscoperta della propria identità personale e collettiva. La domenica nella nostra economia è un altro giorno di guadagni, di acquisti, di vendite, e in ultima analisi, 6 15

7 di ritrovare il sistema di valori che è alla base della loro vita e cultura. La memoria del Risorto consente a noi cristiani, di domenica in domenica, di udire la Parola di verità che ci fa liberi, di udire la parola di perdono che recupera il nostro passato e ci apre al futuro, di sperimentare nella condivisione del pasto la presenza e la forza di quel Cristo risorto del quale siamo discepoli e amici, e sul quale si fondano la nostra identità e il nostro stesso nome di cristiani. La festa dunque interrompe il flusso del tempo per farci trovare qualcosa (e Qualcuno) che ci unisce e fonda la nostra esistenza come gruppo. C è da dire che all epoca dei primi cristiani il giorno dopo il sabato era un giorno feriale: altri erano i giorni che interrompevano il flusso ordinario del tempo (per gli ebrei era il sabato; per i pagani altri giorni a seconda dei casi). Solo in un secondo momento i cristiani celebrarono la memoria del Risorto raccogliendo anche l eredità del sabato ebraico, con il suo obbligo di riposo il settimo giorno. Perché gli ebrei riposano di sabato? Il terzo comandamento recita: Ricordati del giorno di sabato per santificarlo (Es 20,8). Noi troviamo due diverse motivazioni di questo comandamento nella Bibbia. Partiamo da quella di Dt 5,15: Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato. Insomma, Perché cessare di lavorare il settimo giorno? Perché non si è più schiavi. In altri termini, Dio dice: tu non sei sottomesso alla volontà di un padrone; tu sei libero (finalmente a casa tua, nella tua terra) e puoi scegliere se lavorare o no. Smetterai di lavorare ogni sabato per riprendere coscienza ogni volta che sei libero, e che la tua libertà è un dono che io ti ho fatto. I cristiani hanno trasferito alla domenica il riposo sabbatico degli ebrei. Ma questo riposo e la sua motivazione possono armonizzarsi con la memoria domenicale del Risorto? Sì, nella misura in cui la pasqua ebraica ricorda la liberazione dalla schiavitù dell Egitto, e la pasqua cristiana ricorda essa pure una liberazione: non semplicemente dalla schiavitù d Egitto, ma addirittura dalla schiavitù del peccato e della morte, ad opera del Crocifisso Risorto. L altra motivazione del riposo sabbatico degli ebrei la troviamo in Es 14 dato la vita per Gesù? E però Gesù aveva subito replicato : «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m abbia rinnegato tre volte». Ora, alla domanda di Gesù, Pietro risponde «Ti amo», senza però confrontarsi con gli altri: si rimette a Gesù e alla sua conoscenza dell animo umano: «Signore, tu lo sai»; «Signore, tu sai tutto». Un fatto è fin troppo evidente: Gesù pone la domanda «Mi ami?» a Pietro per tre volte consecutive, e Pietro deve rispondere a Gesù «Ti amo» per tre volte consecutive. In questo modo Pietro può far memoria del triplice rinnegamento. Tuttavia il suo fallimento di prima non è l ultima parola: il dialogo con Gesù gli offre un altra possibilità. Si noti: non c è un rimprovero esplicito di Gesù sul rinnegamento di Pietro; non c è una richiesta di perdono esplicita da parte di Pietro; non c è una parola di perdono esplicita da parte di Gesù; tutto è detto velatamente: delicatezza che è essa stessa un segno d amore. «Simone, figlio di Giovanni»: così Gesù si rivolge a Pietro, con questa espressione che ha in sé qualcosa di solenne, di ufficiale. Anche in questo caso le parole di Gesù rimandano ad un altro punto del Vangelo, e in particolare al primo incontro tra Gesù e Pietro in 1,42: Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» che significa Pietro. Così a Pietro è data occasione di far memoria non solo del suo fallimento, ma anche, in positivo, di tutto il suo cammino di sequela, a partire dal primo inizio. E intanto viene invitato a pascere (con due diversi verbi: bosko= assicurare nutrimento, e poimaino= custodire, proteggere ) gli agnelli e le pecore, insomma ad aver cura di tutto quanto il gregge, e a farlo secondo tutti gli aspetti della cura pastorale. Questo invito di Gesù ci porta al c. 10 del Vangelo secondo Giovanni, dove si parla del buon pastore. In 10,11 Gesù aveva detto: «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore». Ora chiede a Pietro di pascere il gregge, eppure non gli chiede di dare la vita per le pecore. Perché? Forse perché ormai non crede più nella capacità di Pietro di donare la vita? La ragione è un altra. Non c è bisogno che Pietro doni la vita per la salvezza delle pecore: Gesù, infatti, ha già dato la sua! Del resto Gesù era stato chiaro, tant è che sempre in 10,11 aveva 7

8 affermato: «Io sono il buon pastore». Se a Pietro chiede di pascere, tuttavia il buon pastore è lui solo. D altra parte per Pietro la necessità di dare la vita si profila ugualmente. A Pietro Gesù dice: «Quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». Tendere le mani per lasciarsi cingere e andare dove non si vuole sono situazioni tipiche della vecchiaia, ma qui questi gesti assumono un altro significato: tendere le mani per lasciarsi cingere richiama agli occhi la stessa postura di chi ha le braccia distese sulla croce; e andare dove non si vuole può ben riferirsi al viaggio verso il patibolo. Ora, se Pietro non dovrà dare la vita per le pecore, che senso avrà il suo andare al patibolo? Quando Gesù aveva chiesto a Pietro «Mi ami?», questi per tre volte aveva risposto «Ti amo», utilizzando il verbo phileo (è l amore dell amicizia: philos, infatti, significa amico ). E ora Gesù preannuncia che Pietro darà la vita. Ebbene, il dono della vita da parte di Pietro non va compreso nell orizzonte della cura pastorale, ma piuttosto in quello dei rapporti tra Gesù e Pietro. Dando la vita, Pietro mostrerà di avere per Gesù un amore simile a quello che Gesù ha già mostrato (anche) per Pietro, nel momento in cui ha affrontato il sacrificio della croce. E su questo tipo di amore, che arriva al dono della vita, Gesù si era già espresso in precedenza: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Con la sua profezia sulla morte di Pietro, Gesù stesso dà la misura dell amore del suo discepolo e amico. Il punto non è tanto se Pietro ama Gesù di più o di meno degli altri, come poteva sembrare all inizio del dialogo: qui si tratta di avere l amore più grande possibile. E Pietro, stando alla profezia di Gesù, mostrerà di averlo. A questo punto Gesù dice a Pietro: «Seguimi», un invito che assume qui tutto il suo spessore: è la condivisione dello stesso destino fino alla morte. Chi è dunque Pietro in questa pagina? Cosa comprendiamo della sua identità in questo contatto con il Risorto, al termine del percorso 8 A questo punto, per parlare di eucaristia e festa, partiamo dalla domenica di Pasqua. Gesù risorge il primo giorno della settimana, quello dopo il sabato. In quel giorno, nel racconto di Giovanni, Gesù appare alla Maddalena e ai suoi, assente però Tommaso. Otto giorni dopo, dunque ancora in domenica, Gesù appare nuovamente ai suoi, ed è presente anche Tommaso. La domenica è il giorno della risurrezione, in cui si rende visibile agli occhi dei discepoli che l itinerario di Gesù non è stato un fallimento, ma un cammino verso la gloria e verso il Padre. I discepoli prendono definitivamente coscienza di chi egli è: «Rabbunì!» che significa Maestro esclama la Maddalena al mattino della domenica di Pasqua; «Mio Signore e mio Dio!» esclama Tommaso, messo di fronte alle piaghe ancora visibili sul corpo del Risorto. Quella del Cristo risorto è una presenza che si dona, si manifesta, eppure nel contempo resta velata; occorre un atto di fede («È il Signore!» esclama il Discepolo Amato sulla barca) per riconoscere il Risorto. D altra parte, riconoscerlo è anche il punto di partenza per ritrovare la propria identità: il cammino di sequela di Pietro, interrotto con l arresto di Gesù, riprende con il perdono del Risorto, un perdono che apre davanti a Pietro le porte del suo futuro. Ora, la Pasqua di Cristo, con la sua morte e risurrezione, è il contenuto della celebrazione eucaristica: Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga (1Cor 11,26). Testimoni del Risorto, i cristiani hanno visto nella domenica, in ogni domenica, l occasione di ricordare e di celebrare quanto era accaduto in quella domenica di Pasqua nella quale il Cristo era risorto. L eucaristia feriale, introdotta vari secoli più tardi, ha oscurato un po questo nesso forte fra Pasqua, eucaristia e domenica. Ma dobbiamo ribadirlo: l eucaristia ha a che fare prima di tutto con la Pasqua e con la domenica. L eucaristia domenicale è dunque la festa dei cristiani. Al di là degli aspetti gioiosi, del carattere lieto, delle manifestazioni di allegria tipiche di ogni festa, noi dobbiamo sottolineare in primo luogo il senso del fare festa per l uomo. Gli antropologi hanno evidenziato come la festa interrompe il flusso del tempo non per una evocazione del passato fine a se stessa, ma per consentire a un gruppo sociale 13

9 Qui troviamo il noi : parla la comunità fondata dal discepolo amato. Ed ecco il senso del rimanere : non è il restare in vita fino al giorno della venuta ultima del Signore (così si era inteso inizialmente), bensì è il rimanere attraverso la testimonianza; la testimonianza del Discepolo Amato, infatti, non è andata e non andrà mai perduta. Ad assicurarlo è la sua stessa comunità. A questo punto del nostro itinerario di lettori, possiamo dare un nome a questa identità? Qualcuno sostiene che si tratti di Giovanni, altri di un altro discepolo (Andrea o Natanaele), altri ancora di un altra figura del NT. Ma è un errore cercare di dare un nome. Questo discepolo, infatti, è talmente intimo a Gesù che la sua identità non sta più nel suo nome, bensì nel punto di vista di Gesù: è e deve essere il Discepolo che Gesù amava; è l amore di Gesù per i discepoli che fonda il loro ruolo e la loro identità. Questa figura sul piano letterario ci offre un opportunità: l evangelista lo lascia senza nome come identità aperta, e noi, sulla sua identità, possiamo costruire la nostra. È senza nome anche perché attende il nostro nome; è un discepolo modello, tuttavia non si tratta di un privilegio, bensì di un invito aperto a tutti. Questo c. 21 del Vangelo secondo Giovanni, così denso di significato, ci ha permesso di guardare all indietro, di cogliere dei nessi con le pagine precedenti, di comprendere l evoluzione e l esito degli itinerari di due personaggi importanti. Nello stesso tempo, però, ci ha permesso anche di evidenziare alcuni elementi utili che ci permettono di dire qualcosa su eucaristia, lavoro e festa, e in particolare su come la celebrazione eucaristica ci educa a vivere il lavoro e a vivere la festa. Qualcuno potrebbe rimanere sorpreso dalla scelta del brano giovanneo come punto di partenza per nostra tematica che dobbiamo sviluppare: in fondo il pasto a base di pesce sulla riva del lago non è una celebrazione eucaristica; inoltre in questa circostanza Gesù non impartisce alcun insegnamento sul lavoro, e infine il clima dell incontro è segnato più dal timore che dalla gioia tipica della festa. Da parte nostra ci siamo soffermati a parlare di identità, còlta come frutto di un itinerario di sequela di Cristo, conferita dal Risorto che si manifesta ai suoi discepoli, e legata a lui per sempre. 12 narrativo giovanneo? Pietro è un perdonato: nella sua identità è scritta la misericordia di Cristo, che ha riportato Pietro nel dinamismo dell amore e della sequela nonostante il precedente rinnegamento. Pietro è uno invitato a pascere, e a rendere visibile, con il suo agire, la cura pastorale dell unico pastore per l unico gregge (nella rete che non si spezza pur essendo piena di pesci, al v. 11, si è visto un riferimento all unità della Chiesa). Infine Pietro è un seguace di Gesù, e lo sarà fino al martirio: scalando le vette dell amore, mostrerà di avere raccolto l invito all imitazione del Maestro, risuonato in occasione della lavanda dei piedi: «Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). Nel breve dialogo, Gesù recupera tutta la storia precedente di Pietro: la vocazione di lui («Simone di Giovanni...»), l insegnamento impartito ai discepoli (le parole sul buon pastore, sull amore per gli amici), la caduta (evocandola e consentendo a Pietro di superarla), la precedente profezia sulla sequela/morte di Pietro (a Pietro, che voleva seguirlo prima della passione, Gesù aveva replicato: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi», Gv 13,36) e anche il desiderio infranto di Pietro di amare Gesù fino a dare la sua vita per lui (Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m abbia rinnegato tre volte, Gv 13,37-38). Il Risorto, dunque non butta la storia precedente di Pietro, ma gliela restituisce confortata dal perdono e rischiarata dalla profezia, e lega a sé l identità del suo discepolo e amico per sempre. Accostiamoci ora, più brevemente, ad un altro personaggio già incontrato: il Discepolo Amato, còlto nella sua fede intuitiva, pronta, certa. Tuttavia, almeno per il momento, è ancora un personaggio velato di mistero. Gv 21, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». 21 Pietro dunque, come lo vi- 9

10 de, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». 22 Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». 23 Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?». Chi è dunque questo Discepolo Amato? Il testo, al v. 20, rimanda alla sua prima comparsa esplicita nel racconto giovanneo; dice infatti: quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Il riferimento è all ultima cena di Gesù, e in particolare a quanto si racconta in Gv 13,21ss.: Gesù aveva annunciato il tradimento di Giuda; Pietro aveva chiesto al Discepolo Amato chi fosse il traditore; il Discepolo Amato, che mangiava reclinato sul fianco, con la testa vicina al petto di Gesù, aveva a sua volta chiesto e ricevuto la risposta dal Signore. Ma con ciò non abbiamo ancora capito granché. Il Discepolo Amato è un personaggio in qualche modo misterioso, nella misura in cui non ne conosciamo il nome; peraltro anche la sua designazione pone un interrogativo: perché si sottolinea che quello era il discepolo che Gesù amava? Gli altri non erano amati allo stesso modo? È possibile capire qualcosa di più da altri passi del Vangelo secondo Giovanni? Abbiamo già visto che la prima volta che si parla di lui è al c. 13, durante l ultima cena: un punto molto inoltrato della narrazione. Dunque la sua è una trafila per lungo tempo silenziosa; c è tutta una sequela ordinaria prima della sua comparsa sul proscenio. Egli è il primo a sapere la verità sul tradimento con cui inizia il cammino verso la croce; è il primo amico a cui si confida senza remore il segreto più grande e terribile. È il primo (l unico: gli altri sono assenti) a cui Gesù rivela la propria madre come madre anche sua (e perciò viene a trovarsi anche nella posizione di fratello di Gesù). È il primo che arriva alla tomba vuota e, viste le bende (senza bisogno di apparizioni) crede. È il primo, infine, che riconosce il Signore 10 in riva al lago per la sua parola. Da queste osservazioni ci rendiamo conto che nell esperienza di questo discepolo c è tutto un itinerario di rivelazione. E questo ci porta alla chiave del suo mistero. La troviamo in Gv 14,21: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch io lo amerò e mi manifesterò a lui». Ora capiamo il mistero di questa predilezione di Gesù verso questo discepolo: Gesù ama tutti di amore uguale (infatti per tutti dà la vita, che è la più alta vetta di amore); ognuno reagisce con l amore di cui è capace, e questo discepolo evidentemente mostra una reazione di speciale amore per Gesù; di rimando, Gesù (e con Gesù il Padre) lo riama e lo fa partecipe in maniera proporzionata del suo mistero, della sua intimità divina. Siamo dunque all interno di un dinamismo in cui amore e rivelazione sono collegati e proporzionati: l intimità con Gesù fa entrare sempre più nel suo mistero, e la conoscenza più profonda del mistero fa crescere l amore verso Gesù. E quel gesto di tenere il capo sul seno di Gesù? È un gesto che imita un altro gesto di Gesù stesso, del quale l evangelista aveva fatto menzione in 1,18: Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Nel caso di Gesù si tratta di un gesto di intimità profondissima tra lui e il Padre; nello stesso tempo si tratta di un gesto che non ha nulla di intimistico e privato: infatti si apre verso l esterno con la rivelazione agli uomini. Analogamente, anche il Discepolo Amato non si chiude nella sua intimità con Gesù, ma fa partecipi anche gli altri varie volte Pietro delle rivelazioni che sono frutto di quella intimità. Ma, oltre a Pietro, anche altri sono destinatari delle rivelazioni del Discepolo Amato: addirittura una comunità intera. Gv 21, Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. 25 Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere. 11

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