Catania a picco come il Titanic?

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1 In tutte le edicole e anche via internet Informazioni: drkba@tin.it Lettere: redazionevoce@lavocedellisola.it GIORNALE SICILIANO DI POLITICA, CULTURA, ECONOMIA, TURISMO, SPETTACOLO ANNO TERZO Nº 14/15 SETTEMBRE 2008 b 1,50 DIRETTORE RESPONSABILE SALVO BARBAGALLO Ma perchè Berlusconi dovrebbe salvare l'amministrazione etnea? Catania a picco come il Titanic? di SALVO BARBAGALLO Il sindaco di Catania Raffaele Stancanelli ha parlato chiedendo aiuto al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi affinché il Governo intervenga per risolvere la crisi economica che rischia di far chiudere i battenti in maniera traumatica al Comune. I debiti che l Amministrazione pubblica della città ha accumulato nel corso degli ultimi anni raggiungono cifre da capogiro: si parla di seicento milioni di euro che, ovviamente, non possono essere recuperati con i normali sistemi. L accorato appello di Stancanelli è stato raccolto dal Presidente Berlusconi: bisognerà attendere, nella concretezza, quale soluzione vera potrà essere adottata. Ma c è da chiedersi: perché Berlusconi e il Governo dovrebbero sanare, anche se con anticipazioni più o meno dovute, i costosi errori delle precedenti Amministrazioni? Forse perché il sindaco che ha preceduto Stancanelli, il dottor Umberto Scapagnini, e amico e medico curante di Berlusconi stesso? A livello personale sicuramente questo è un valido motivo, ma a livello governativo (può darsi che ci sbagliamo) la questione altrettanto sicuramente (se siamo in errore accettiamo di buon grado e senza riserve tutte le spiegazioni) è diversa, e non stiamo di certo ad entrare nel merito. Per anni l amministrazione della città è stata considerata allegra : spese enormi per Il Comune ha accumulato nel corso degli ultimi anni debiti che raggiungono cifre da capogiro: si spera che in extremis il premier e il Governo possano intervenire. Basteranno le promesse? pagare annualmente battaglioni di esperti, e tante, tante altre spese delle quali i cittadini ignorano le ragioni, ma delle quali conoscono le cifre del dissesto finale. Il sindaco Stancanelli ha raccolto una pesante eredità, ma deve pur considerare che la collettività non ha penalizzato la coalizione di destra alla quale appartiene, anzi ha continuato a premiare una classe politica dirigente che, forse, meritava di essere mandata a casa per i danni che ha provocato. I catanesi consapevolmente, o loro malgrado - hanno premiato il cosiddetto sistema clientelare e adesso ne pagano le conseguenze. Con molta probabilità il sindaco Stancanelli con la sua pressante richiesta di aiuto, con il suo Sos lancinante, ha messo in grande imbarazzo il Presidente del Consiglio e lo stesso Governo di destra, della cui compagine egli stesso fa parte: aspettiamo di vedere la parola fine su questa storia, e quale sarà il finale, cioè vedere come sarà possibile far rientrare seicento milioni di euro di debiti senza suscitare un altro scandalo nazionale. D altra parte, certo è che non sta ai cittadini proporre soluzioni per appianare lo stato debitorio del Comune di Catania. Il latte è stato versato, ormai. Verrà concessa clemenza per le malefatte amministrative? Potrebbe anche essere: chi lo può dire: in Italia tutto è possibile. L attenzione di tutto il Paese, non solo la nostra, è rivolta a Berlusconi ed al Governo per capire come verrà girata la frittata. Comunque, in caso di risanamento dei debiti del Comune di Catania, si verrebbe a creare un precedente pericoloso: altri Comuni in difficoltà potrebbero bussare a cassa a Roma, e Roma non potrebbe più negare assistenza e rifocillazione. Una situazione, pertanto, altamente drammatica, una ulteriore tegola su una città le cui forze sane cercano di dare una svolta di cambiamento, nonostante che si trovino davanti politici indifferenti e inadeguati il cui unico pensiero è quello di mantenere la posizione elettorale acquisita, cercando di consolidare quel sistema clientelare che ha dato (e darà) sempre ottimi risultati. Come uscire dal tunnel? Noi non abbiamo ricette da ammannire, ma siamo convinti che non è certo mettendo in piazza mille ragazzi che manifestano contro la mafia che la mafia si elimina. Il perché è molto facile a dirsi: ai ragazzi si dovrebbe spiegare, innanzitutto, cosa è la mafia oggi, e non presentarla ancora con la tradizionale immagine dei padrini e della piovra tentacolare. Ai ragazzi si dovrebbe spiegare che la mafia oggi è qualcosa di diverso dalla delinquenza organizzata, che la mafia non porta più la lupara a tracollo, ma sta nei Palazzi dove ci sono le stanze dei bottoni e si amministra danaro, tanto danaro che, poi, viene investito in imprese apparentemente lecite. Ma questo è un altro discorso, anche se riguarda pur sempre il sacco della città e del territorio. Il sindaco Raffaele Stancanelli può suscitare tenerezza con i suoi tentativi di coprire il baratro davanti al quale si è trovato appena insediatosi nella carica di primo cittadino di Catania: è stato un temerario nell affrontare già la campagna elettorale, ma i rischi che correva dobbiamo presupporlo li conosceva, come li conoscevano tutti i catanesi. Il tempo dei miracoli è tramontato da un bel pezzo e in politica anche questo è risaputo miracoli è difficile farne perché i Santi stanno altrove. Le parole e gli appelli, dunque, non bastano e non bastano neanche le promesse di risanamento. Dovremmo parlare anche della ricostruzione di Corso Martiri della Libertà, e dei rifiuti che sommergono il capoluogo etneo. Catania affonderà come il Titanic? Non c è da augurarselo, ma non si può vivere nel panico che ciò, prima o poi, possa accadere. Dal Comune va via Armando Giacalone, ma prende il largo anche Francesco Bruno E se Stancanelli volesse delombardizzare Palazzo degli Elefanti? Si dice che il governatore Raffaele Lombardo stia decuffarizzando la Regione Siciliana. E se Raffaele Stancanelli, sindaco di un Comune sull orlo del dissesto in seguito alle due sciagurate gestioni Scapagnini, volesse delombardizzare Palazzo degli Elefanti? L ipotesi e azzardata, se non altro perché sul sindaco catanese pesa il peccato originale di essere stato scelto più che dal neonato Pdl proprio dal leader autonomista. Eppure alcune mosse di Stancanelli sembrano indirizzate proprio verso questa direzione. D altronde lo stesso Stancanelli sa benissimo che non può essere un sindaco prestanome come ha fatto il suo predecessore, con un reale amministratore che agisce nell ombra, in questa delicatissima fase che potrebbe portare al dissesto con conseguenze drammatiche o al salvataggio in extremis con un perdurante stato di respirazione assistita che terrà l organismo del Comune in vita ma con funzioni limitate. Ecco, allora, che si spiega l addio, con dichiarazione polemiche, di Armando Giacalone, che ha retto per tanti anni la struttura burocratica del Comune, da segretario generale prima, da direttore generale poi, assumendo in un delicato momento di svolta della gestione Scapagnini-Lombardo la presidenza di tutte le aziende partecipate del Comune. Adesso Giacalone va via, e non sembra casuale dopo l avviso di garanzia che il sindaco ha ricevuto per il caso solarium, mal gestito proprio dalla direzione generale del Comune. Va via anche Francesco Bruno ragioniere generale della Provincia inviato a Palazzo degli Elefanti proprio dall allora presidente Raffaele Lombardo con l incarico di risanare, diciamo così, i conti del Comune. Operazione che, come dimostrano i fatti, non è riuscita: Bruno si è ritrovato con un avviso di garanzia e con la forte convinzione di tornarsene a casa, probabilmente per godersi la pensione, dopo 40 anni alla Provincia. Lungo periodo di riposo per Carmelo Reale, un altro fedelissimo storico del governatore della Regione, che gli ha fatto fare il tragitto inverso di quello di Bruno: dal Comune alla Provincia dove ha assunto l incarico di direttore del personale, naturalmente senza cedere quello dell amministrazione comunale. Cosa abbia fatto di utile a Palazzo Minoriti non è dato sapere, ma ciò che ha combinato di recente al Comune è noto: mentre centinaia di lavoratori delle cooperative aspettavano qualche euro dal Comune, in debito da oltre un anno, Reale, dimenticando il dichiarato rigore morale pronunciato da Raffaele Lombardo da quando siede a Palermo, ha pensato bene di versare nelle tasche dei dirigenti del Comune una cifra complessiva di circa 2 milioni di euro, che avrebbero potuto salvare il bilancio di qualche cooperativa, per aver raggiunto gli obiettivi nel Atto legittimo, per carità, ma assolutamente inopportuno. Il sindaco gli ha revocato la direzione del personale, complice anche un assenza per malattia che si preannuncia lunga. Solo casi isolati?

2 POLITICA 2 LA VOCE DELL ISOLA L estate ormai è finita e il Paese se ne và per i fatti suoi Siamo nell autunno freddo della politica nazionale di MARCO MATURANO La prima estate italiana che rimarrà celebre per la venuta messianica dell I-phone volge al termine. Gli italiani tornano a casa e trovano tutte le peggiori coperte di Linus ad aspettarli, con l aggiunta di qualche bella sorpresa negativa a marcia indietro e di almeno una positiva del tutto paradossale. Insomma si prepara un autunno politico forse caldo nelle agitazioni sindacali (e non solo) annunciate, ma sicuramente freddo tendente al gelido per il Paese. E le voci dei protagonisti delle forze politiche di centrosinistra e centrodestra non sembrano rassicurare. Anzi. Cominciamo dalle novità attese (o comunque puntuali come un orologio svizzero ogni settembre) di questi mesi che verranno. Aumenta tutto dalla pasta alla casa e, per stare tranquilli e non avere la sensazione di aver capito male, abbiamo la certezza matematica che in questi mesi è già aumentato tutto e anche di più. Molti stipendi non bastano più quasi neanche per la terza settimana e gli imprenditori annunciano che di soldi per aumentarli neanche l ombra. Insomma ci aspettano mesi e una lunga campagna elettorale ancora una volta sul carovita e affini. Questa volta bipartisan. E poi ancora la Chiesa Cattolica, dopo aver dedicato l estate a scomunicare il pericolosissimo sovversivo di sinistra che dirige Famiglia Cristiana, annuncia da Rimini una nuova stagione di sano protagonismo politico, con la benedizione del Concordato e della laicità dello Stato. Il che significa che sarà divertente stare a vedere (a titolo di esempio) che fine farà il testamento biologico nell agenda della politica italiana, piuttosto che minuzie da agenda politica politicante come l ingresso o meno del PD nel PSE o quello del PDL nel PPE. E poi e poi. Riecco chiaro e limpido per questa stagione che viene il tormentone della Lega che tresca con il PD sul federalismo (dopo la benedizione di Bossi alla Festa Democratica di Firenze), minacciando un italianissima infedeltà alla sua coalizione. Ed ecco il classico dei classici. Il centrosinistra diviso e incerto anche su cosa mangiare a cena. Incerto sul giudizio da dare su una provocazione mediatica trasparente e furba come quella della Commissione da photo opportunity messa in piedi sotto l ombrellone da Alemanno con la complicità di Amato. Incerto il centrosinistra e il PD su quale opposizione fare, nell alternativa tra timida, collaborativa, responsabile o servile. Ma con il ruggito del topo della manifestazione del 25 ottobre a conclusione del referendum per salvare l Italia da Berlusconi, lanciato e spinto da Veltroni, in uno dei suoi ineffabili travestimenti. In questo caso da pseudogirotondino, naturalmente moderato. Ovvero l autunno ci porterà la risposta ad alcuni classici quesiti che sembrano tormentarci da quindici anni almeno. La Lega andrà da sola alle prossime elezioni o in compagnia? E il PDL terrà uniti ancora AN e FI? E Berlusconi, dopo Ronaldinho e il ritorno di Shevchenko, acquisterà come stranieri di rimbalzo Casini e Storace? E La Russa sarà disponibile a riaprire la porta alla sua vecchia amica Santanchè? E il centrosinistra andrà al voto unito o libero (per dirla con il Veltroni delle politiche 2008)? E il PD alle europee si presenterà integro o con pezzi di PD, divisi tra chi vuole entrare nel PPE e chi nel PSE? E si faranno e come le primarie per i candidati? E, soprattutto, sia il centrodestra che il centrosinistra sapranno dire qualcosa di chiaro su come far uscire l Italia dalla recessione? E ancora invece ecco le novità. L economia italiana mette la marcia indietro e questa volta ad aiutarla nel prossimo autunno politico l Italia non chiede tanto unità di circostanza tra maggioranza e opposizione quanto reali alternative per far ripartire il Paese. Mettono la marcia indietro anche tante altre evenienze che fanno di un Paese come l Italia una Nazione che cresce. Ritornano i grembiuli a scuola dopo secoli. Ritorna il mito popolare anni 50 dell insegnante meridionale che rovina la scuola. Due idee portate dal Ministro della Pubblica Istruzione che aprono le porte ad una stagione tutta da vedere nel settore più disastrato dei servizi pubblici italiani. E poi sarà l autunno delle nuove misure sulla sicurezza stradale, visto che Nelle foto. In alto Di Pietro e Berlusconi; al centro Veltroni e Jovanotti; sotto Amato e Alemanno. Gli italiani sono tornati a casa e hanno trovano tutte le peggiori coperte di Linus ad aspettarli, con l aggiunta di qualche bella sorpresa negativa a marcia indietro e di almeno una positiva del tutto paradossale l unica cosa buona (secondo l opinione pubblica) del Governo Berlusconi , la patente a punti, mostra oggi tutti i suoi limiti e gli incidenti ritornano a moltiplicarsi. Ritornano gli atti di violenza nelle grandi città e questa volta è il centrosinistra a specularci sopra come fece il centrodestra fino a qualche mese fa ed è Alemanno, da sindaco, a accusare i suoi avversari di sciacallaggio. Ma nel mentre vengono proposte solo soluzioni da propaganda mediatica. Vedremo se i prossimi giorni porteranno idee nuove e senza colore e slogan. E, infine, ecco, proprio a proposito di sicurezza, una novità inattesa e paradossale per l opinione pubblica. I reati commessi in Italia dal giugno 2007 al giugno 2008 sono in continuo calo rispetto all anno prima. Lo sbandiera, giustamente, l attuale Ministro degli Interni, ma certificando indirettamente che è un merito del terribile Governo Prodi. Quel Governo che proprio sulla sicurezza (oltre che su rifiuti e tasse) ha pagato più pegno e che oggi diventa nei numeri quello che ha saputo rimettere mano meglio alla lotta al crimine. Paradossale e insieme significativo del masochismo e dell incapacità comunicativa del centrosinistra e del suo ultimo Governo. Forse l autunno potrebbe allora portarci anche la sorpresa (sulla base di questi dati) di un centrosinistra che, almeno per le amministrative, si presenta ai cittadini con i suoi sindaci e presidenti provinciali sceriffi senza più dover inseguire qualche insano complesso di inferiorità rispetto al centrodestra e, in particolare, alla Lega. Nulla di certo e tranquillizzante sotto il sole di settembre. La politica italiana, con tutte le sue contraddizioni e ripetizioni, è messa alla prova del suo periodo peggiore o forse della sua occasione migliore per recuperare un senso non solo ideologico tra gli italiani. Se non cogliesse questa occasione, allora ci toccherebbe dire che l estate stà finendo e un Paese se ne và.

3 LA VOCE DELL ISOLA A colloquio con l avvocato Roberto La Rosa, penalista del Foro di Palermo 3 POLITICA C è chi vuole ancora applicare lo Statuto Autonomistico di GIUSEPPE FIRRINCIELI Pare che il vento sia cambiato in Sicilia! E l estate ha suscitato l interesse sullo Statuto Siciliano, anche da parte di un importante settore della società civile isolana. Alcuni avvocati, infatti, civilisti e penalisti del Foro di Palermo hanno deciso di dare vita ad un comitato promotore denominato Per lo Statuto Siciliano con il preciso scopo di richiamare l attenzione pubblica sulla mancata attuazione dello Statuto Speciale con particolare attenzione agli articoli riguardanti l istituzione in Sicilia della Sezione civile e penale della Corte di Cassazione, nonchè il ripristino dell Alta Corte affinché si possano compiere i primi passi per la piena attuazione dell Autonomia. Ed in considerazione che bolle in pentola l attuazione del federalismo fiscale, ecco che l argomento diventa di piena attualità e assume la fase propedeutica per tutti gli atti che si dovranno compiere per non fare precipitare l Isola in un disastro economico di ampia portata. Roberto La Rosa, avvocato penalista del Foro di Palermo, convinto sicilianista è stato per lunghissimi anni attivista del Fronte Nazionale Siciliano Sicilia Indipendente, ricoprendo incarichi di alto livello fino al 2007 e quella di segretario politico dal 1989 al E adesso è uno dei promotori di questto comitato Per lo Statuto Siciliano. Lo abbiamo intervistato in proposito, nella sua bella Palermo. Ha tenuto a precisare di essere un convinto assertore della realizzazione di un nuovo soggetto politico, composto da tutte le forze politiche sicilianiste. Avvocato, il suo progetto politico nasce da una forza di volontà tale che vorrebbe la sua Isola riscattata da una succube dipendenza politica centralista. Nei miei editoriali, come in tutte le manifestazioni pubbliche alle quali ho preso parte, mi sono sempre battuto per l attuazione dei diritti costituzionali del popolo siciliano, sanciti dallo Statuto Speciale di Autonomia. Il 17 luglio scorso, ho costituito per l appunto un comitato promotore, composto interamente da avvocati, con l obiettivo di difendere lo Statuto Siciliano e di avviare una raccolta di firme per l adesione a tale iniziativa di tutti gli operatori del Diritto siciliani, al di là e al di sopra delle appartenenze partitiche ed ideologiche, in modo da richiamare l attenzione dell opinione pubblica sulla esistenza dello Statuto Siciliano e sulla sua mancata applicazione. Il suo progetto rientra pienamente in un argomento di attualità, visto che adesso si dovranno alzare tutte le barriere di difesa dell Isola, affinché il parlamento italiano non ci distrugga in pieno con l adozione di un Federalismo fiscale, del tutto negativo per l Isola. Mi sono sempre battuto al fine di dare man forte alla realizzazione di quel tanto agognato ampio decentramento, in tutti i settori, politico, amministrativo e finanziario, indispensabile per il raggiungimento di quella indipendenza economica che promuova la Sicilia protagonista nel Mediterraneo, in Europa e nel mondo. E proprio da uno Stato di Diritto che in una parte del suo territorio lede la sua stessa costituzione non può essere accettata. Da troppo tempo, ormai sono trascorsi 62 anni per l esattezza, lo Statuto Siciliano, che è legge costituzionale, di origine pattizia, avente, quindi, pari dignità rispetto alla Costituzione repubblicana e anche in materia di giustizia, continua a rimanere una carta ingombrante nel cassetto, quando, invece, andrebbe attuato interamente, a cominciare dall Alta Corte, soppressa da due sentenze della Corte Costituzionale, senza, quindi, osservare la procedura prevista dall art. L avvocato Roberto La Rosa Raffaele Lombardo, presidente della Regione Siciliana Costituito un comitato composto interamente da avvocati, con l obiettivo di difendere lo Statuto e di avviare una raccolta di firme per l adesione a tale iniziativa di tutti gli operatori siciliani del Diritto, al di là e al di sopra delle appartenenze partitiche 138 della Costituzione. Questo è un argomento che condiziona di molto la gestione dell apparato istituzionale regionale e a distanza di mezzo secolo non si riesce a venirne a capo. E vero? L alta Corte è l unico organismo capace di poter garantire l esistenza e l attuazione dell Autonomia e la cui assenza, precisamente risale a 51 anni fa, ne causa l assoluta paralisi. In termini più chiari, l Alta Corte è l organo giurisdizionale costituzionale che garantirebbe l Autonomia. Essa, infatti, giudica sia sulla costituzionalità delle leggi emanate dall ARS in via preventiva che su quelle emanate dallo Stato, e aventi efficacia in Sicilia, in via successiva (art. 25 dello Statuto). L Alta Corte ha anche competenza penale in quanto andrebbe a giudicare i reati commessi dal Presidente e dagli assessori regionali nell esercizio delle loro funzioni (art. 26). Perché è stata soppressa? La sua soppressione è avvenuta in pieno spregio della stessa Costituzione, infatti, non è stata emanata altra norma costituzionale abrogatrice, supportata dal criterio fissato dall art. 138 sempre della Costituzione italiana, ma addirittura con due sufficienti sentenze della Corte Costituzionale (la prima del 1957 e l altra del 1970 ) che hanno ritenuto di avocare a se le competenze dell Alta Corte, senza dire poi che l art. 134 della Costituzione, istitutivo della Corte Costituzionale, non fa il minimo riferimento all Alta Corte, quasi a voler sottolineare l assoluta compatibilità tra i due organismi costituzionali all interno di uno stesso Stato. Quali sono le ragioni perchè gli avvocati siciliani sollevino questo problema? Le ragioni per noi avvocati, oltre ad essere un azione di difesa della nostra categoria e dei loro assistiti, rappresentano qualcosa di più e cioè la rivendicazione dei diritti costituzionali di tutti i siciliani. E detta battaglia si potrà portare avanti attraverso l Assemblea Regionale Siciliana che rappresenta la sede politica competente, ed è l Organo legislativo sovrano anche per dare piena attuazione agli articoli, dal 23 al 30 dello Statuto Siciliano, finora disattesi. Per questo, come avvocati siciliani, che hanno formato questo Comitato, ci sentiamo difensori dei diritti e delle libertà dei siciliani e sentiamo il dovere morale e giuridico, di intraprendere questa battaglia. Giornale Siciliano di politica, cultura, informazione, economia, turismo, spettacolo Iscritto al n 15/2006 dell apposito Registro presso il Tribunale di Catania Registro ROC n Editore Mare Nostrum Edizioni Srl Direttore responsabile Salvatore Barbagallo Condirettore Marco Di Salvo Redazione Catania - Via Distefano n 25 Tel/fax drkba@tin.it redazionevoce@lavocedellisola.it Fotocomposizione e Stampa Litocon Srl - Z.I. Catania Tel Per la pubblicità: Tel/fax drkba@tin.it redazionevoce@lavocedellisola.it Anno III, nº 14/15 Settembre 2008 Gli articoli rispecchiano l esclusivo pensiero dei loro autori

4 POLITICA 4 LA VOCE DELL ISOLA Ma è proprio vero che tutti possono comprarci con una manciata di spiccioli? Facciamoci amministrare da un emiro miliardario... di GIUSEPPE FIRRINCIELI La Sicilia, ovvero l Isola delle contraddizioni e delle assuefazioni, potrebbe essere il titolo di un tema di grande attualità, visto che non c è fine ai peggiori tipi di sfruttamento, specie nel periodo estivo, quando gli stessi siciliani vogliono staccare la spina per riposarsi un po e non pensare a nulla, almeno fino all autunno, quando ci sarà veramente da pensare sul serio per la moltiplicazione dei costi del vivere quotidiano. Aglio della Cina e del Perù, arance spagnole, olio del Nord Africa e adesso limoni argentini, questo è il risultato della vendita al consumo che si opera nei supermercati siciliani, alla faccia dei prodotti nostrani che non si trovano più. Le etichette dei preconfezionati parlano chiaro, mentre la produzione agrumicola nostrana viene buttata al macero, beffando una delle nostre economie primarie storiche. Ma è possibile tutto questo e nessuno di chi ci amministra solleva il problema, almeno per cercare di porvi rimedio? In questa era di globalizzazione, non si sta riuscendo a riprendere le redini del controllo, almeno per la tutela dei nostri prodotti di qualità. L economia agricola, quanto meno dovrebbe essere tutelata in una terra massacrata dallo sfruttamento ad ampio raggio, e addirittura il riscontro dei problemi, in Italia viaggia su altre strade, ovvero sul federalismo fiscale, come se la nostra Isola potrebbe risollevarsi dallo scempio finora perpetrato e sulla crisi lavorativa che ci attanaglia. Non si pensa minimamente a capire che le iniziative da prendere per il Sud e per la Sicilia in particolare, riguardano ben altre priorità e cioè porre le basi per una ripresa economica di ben altro aspetto come la fiscalità di vantaggio. Di Contro, il ministro Tremonti propone una finanziaria da rabbrividire e non si pone alcun problema sulla sorte di una società siciliana che risulta inguaiata dalla Sanità all agricoltura, passando dal commercio, dalla necessità di interventi strutturali, dalla impossibile gestione degli enti locali, dal servizio rifiuti, per arrivare all imprenditoria esistente indebitata fino all osso e alla minaccia di riprendere gli ammortizzatori sociali proprio in autunno, senza garanzie economiche di salvaguardia. Ancora un ultima beffa, mentre nelle aule parlamentari vengono proposti emendamenti per la possibilità di creare Casinò in Sicilia, il Comune di Venezia propone un desco di elemosina, ovvero, offrendoci una possibile apertura nell Isola di una succursale dei propri casinò del tipo on line. Ma più maltrattati di così, dove vogliamo arrivare? Il quadro della situazione politica in Sicilia oramai è chiaro: L Isola è una semplice colonia da sfruttare, la Regione Siciliana gode di uno Statuto che nessuno riesce a mettere in atto, perché chiaramente sia il centralismo politico romano che i poteri economici forti del Nord ci ricattano, - e non sappiamo fino in fondo con quali tipi di stratagemmi. Se poi a tutto questo aggiungiamo lo scandalo dei prodotti petroliferi, raffinati nelle centrali chimiche siciliane di proprietà dei Nordisti e che si permettono il lusso di imporre gli aumenti dei carburanti il giorno dopo le quotazioni di mercato del greggio, senza aspettare almeno 15 giorni, come succede in Svizzera nei Paesi seri, ossia il tempo di raffinare il greggio comprato con il nuovo prezzo e non quello già raffinato comprato a sua volta al vecchi prezzo, giacente nei silos Troppo abituata all assistenzialismo ed al clientelismo questa Regione non riesce ad esprimere una classe dirigente adeguata ai tempi e svincolata veramente dalla sudditanza romana delle raffinerie e nelle stazioni di servizio, favorendo anche lo Stato italiano complice solidale e omertoso di detta fregatura, visto che lo stesso ci guadagna con il plus valore nelle accise. Il ministro Maroni ha abbandonato l Isola di Lampedusa allo sbarco incondizionato di extracomunitari, il primo cittadino di quella isoletta si trova nelle difficoltà più assurde, mentre Berlusconi va in Libia a parlare con Gheddafi e per cercare dei punti di accordo per porre fine a questa dolorante e funesta traversata. E quanti ancora soldi dobbiamo versare al popolo libico per cercare di mettere un freno? Nessuno si sta accorgendo che le ferrovie siciliane sono al collasso estremo, in molti centri abitati dove passano ancora i binari, le stazioni hanno chiuso i battenti, le famose littorine non fanno più fermate come prima e i servizi essenziali di collegamento per le strade ferrate non esistono più nemmeno in capoluoghi di provincia siciliani, come Ragusa. Nessuno si sta accorgendo del dramma che sta vivendo questa terra. Il noto attore catanese, Tuccio Musumeci, in una intervista televisiva ha lanciato una battuta scherzosa, ma seria e profonda nello stesso tempo: visto che con l Italia che ci amministra abbiamo avuto solo e soltanto guai, sarebbe il caso che l isola venisse affidata ad un Emiro petroliere arabo per cambiarne le sue sorti? Sicuramente è stato uno sfogo, ma la forza della disperazione porta anche a questo tipo di speranza alternativa. Il drammatico ritorno alla povertà è dietro la porta per noi siciliani. La distribuzione della ricchezza italiana è sempre più ingiusta per la Sicilia e per i siciliani, visto che siamo sempre i primi a pagare le malefatte dello Stato italiano e non si riesce a cavare il classico ragno dal buco. Ma è diventato così difficile trovare una via breve da percorrere per imporre allo Stato italiano il diritto al riconoscimento dello Statuto siciliano in tutta la sua stesura, a farci riconsegnare tutte le spettanze economiche pregresse e attuali e poi partire con una nuova politica di tutto interesse per il popolo siciliano e cioè il cosiddetto federalismo fiscale con l imposizione all imprenditoria industriale del Nord di far pagare le tasse in Sicilia, della introduzione della fiscalità di vantaggio per tutte le Imprese che vogliono investire nell Isola, per una seria programmazione per le strutture di collegamento da completare e da realizzare, per una vera tutela dei prodotti agricoli e agrumicoli siciliani, per un processo di compensazione razionale per gli scambi commerciali, per il risanamento delle aree devastate dall industria chimica con imposizioni drastiche e perentorie, per l incentivazione del settore turistico e per la realizzazione ed il completamento del diporto turistico, per il riordino della sanità siciliana, per la ridistribuzione delle ricchezze nel territorio isolano, per la realizzazione delle infrastrutture necessarie al commercio e al trasporto dei prodotti agricoli, via aerea, via gommato e via ferrata. E un utopia? Crediamo proprio di no, basta pensarci seriamente e cominciare a darci da fare con un pizzico di buona volontà. Nelle foto. In alto il sultano Qabus e il suo yacht ancorato a Palermo, che ha elargito cene e doni ai siciliani; a sinistra una slot machine in un casinò che resta il sogno dei siciliani

5 LA VOCE DELL ISOLA Chi ha interesse a polverizzare il Paese? A quale nuovo padrone obbedirà la Sicilia? 5 POLITICA Tutta da fare la NazioneItalia l Autonomia siciliana anche Nel migliore dei casi fa riflettere la foto di Raffaele Lombardo che stringe la mano a Calderoli. Non è certo per i personaggi in sé ma quanto per quello che rappresentano. Il primo è il Presidente eletto della Regione Siciliana, a Statuto Autonomo, nata nel 45 poco prima della Costituzione Italiana la quale riconosce l Assemblea Regionale come Organo di Governo legiferante; il secondo è uno dei Ministri, a nomina politica, del Governo italiano ed uno dei rappresentanti di un movimento che ha fatto e fa della secessione della cosiddetta Padania dall Italia la propria bandiera fin dalla prima ora. Cosa dovrebbero avere, nel bene e nel male, i politici siciliani in comune con quelli della Lega Nord? Nulla. Ma invece assistiamo alla farsa del leghismo meridionale come se la Sicilia avesse bisogno di prendere lezioni di indipendentismo o separatismo dalle regioni del nord. Comunque tutti falsi problemi! Dalla colonne di questo periodico abbiamo più volte scritto della storia politica siciliana (dall ingresso dell Italia in guerra ai giorni nostri), ma rinvangare serve a poco quando non si vuole imparare dal passato; in questo caso si fa solo demagogia. Così come non serve a nulla scrivere sempre più in chiave negativa degli eroi del Risorgimento quando nei libri di testo di storia sono ancora tutti lì; belli, alti, biondi e inossidabili a discapito dei veri fatti storici siciliani. Provvediamo piuttosto a far conoscere ai nostri giovani la nostra vera storia senza veli e senza reticenze. In realtà la storia della Sicilia è sotto gli occhi di tutti: sessantatre anni di malgoverno, di torbidi intrighi, di patti scellerati, di collusioni con la mafia, di appecoramenti alla politica centralista, di occasioni perse. E ora facciamo i patti e le alleanze con quelli che dell atavica sudditanza del popolo siciliano e dei tradimenti dei politici siciliani hanno avuto il massimo giovamento? Quelli che hanno capito tutto, i furbi, sono loro. Ora che hanno raggiunto il benessere a spese delle regioni del meridione, perché dovrebbero volere Rinvangare serve a poco quando non si vuole imparare dal passato: in questo caso si continua a fare solo demagogia una Italia unita, una nazione Italia come lo sono la Francia e la Germania? Perché la Slovenia, entrata nell orbita tedesca, può essere nazione e la Padania no? E così l Italia tornerà ad essere solo una espressione geografica. Non è l Unità italiana da abbattere (Lombardo dichiara "ma io non sono contro l'unità d'italia, né filo-borbonico"), ma è la vera Autonomia siciliana da costruire (Lombardo dichiara "Noi, secondo il nostro Statuto, siamo già una Regione federata. Sarebbe assurdo metterci allo stesso livello degli altri"). L ordine di scuderia per i sindaci leghisti è: massimo protagonismo e sfida costante a norme nazionali o regionali. Ormai appare chiaro che l idea di Maroni dei sindaci-sceriffo prefigura l'abolizione dei prefetti. Che ne sarà delle province? E delle Regioni a statuto speciale? Abbiamo saputo nelle passate settimane che Lombardo non vuol saperne di modifiche dello Statuto siciliano. Bene! Ma a quale scopo? Perché tutto continui così come negli ultimi sessantatre anni oppure (come ci auguriamo) perché ha deciso di farlo applicare alla lettera articolo per articolo? E di eliminare tutte le furbate che negli anni ne hanno snaturato lo spirito? Nel secondo caso crediamo proprio che troverà dei fieri oppositori: primi fra tutti i suoi stessi colleghi politici siciliani dell'assemblea regionale abituati, nel migliore dei casi, a sprechi e comparaggi. Speriamo che non sia un film già visto. Ogni qual volta la magistratura coglie un componente della casta con le mani nel sacco è subito tacciata di giustizialismo ( pur rimanendo sempre fiducioso nell operato dei giudici bla bla bla ); e così la classe politica viene assolta da tutti gli sprechi, le malversazioni, gli abusi di decenni di malgoverno. E chi paga sono sempre i cittadini. Ultimamente nella compagine di governo non sono più chiare le posizioni rispetto al dibattito sull'unità d'italia. Il leader del PdL, il premier Berlusconi si nomina presidente del comitato per i festeggiamenti dei 150 anni dell'unità d'italia che cadrà nel Festeggiamenti che saranno finanziati dallo Stato e dalle Regioni per un totale di 130 milioni di euro, mentre il 30% degli eventi si svolgerà in Piemonte. I dirigenti della Lega non sprizzano di gioia e così Bossi, durante l esecuzione dell'inno nazionale, ha fatto sapere ai suoi elettori che il dito medio (almeno quello) ancora gli funziona. Il governatore della Regione Veneto, Giancarlo Galan (PdL), per paura di perdere il posto, delizia le orecchie dei suoi elettori veneti mutuando il linguaggio leghista e sputando veleno sul meridione, sulle Regioni a statuto speciale e in particolare sulla Sicilia. Calderoli, fulminato sulla via di Damasco, ora dichiara che " chi parla di Statuti speciali (ndr il presidente del Veneto, Giancarlo Galan) dovrebbe studiare di più e parlare di meno. Queste sono cose serie. A volte gli Statuti sono anche più forti della Costituzione, come quello della Regione Siciliana ; " sei Regioni, con le finanze dissestate, ricadono nel Mezzogiorno, ma sono ben tredici quelle che non riescono più a bilanciare entrate e uscite. Non è un problema solo del Sud"; " per quanto mi riguarda, penso che il fondo di perequazione debba essere previsto per tutte le Regioni"; " bisogna cercare di incrociare le esigenze del Nelle foto. In alto il presidente della Repubblica Napolitano; nelle altre immagini il brillante show politico del presidente Raffaele Lombardo con Berlusconi e Calderoli federalismo fiscale con le esigenze dei territori. Con il federalismo fiscale, le imposte restano non dove le aziende hanno sede legale, ma dove avvengono le produzioni. È un ragionamento complesso che comprende anche le accise. Sotto questo aspetto, la Sicilia, che dalla presenza delle raffinerie ha subito gravi danni ambientali, non può che trarne benefici"; " sono assolutamente d accordo sul partito del Sud, federando i movimenti autonomisti per fare meglio gli interessi dei cittadini. Per esempio, in Calabria il finanziamento dei servizi sanitari non avviene procapite, ma secondo i servizi erogati. Molte somme vanno in economia, mentre la gente va a curarsi fuori. E interesse del cittadino calabrese sapere come vengono spesi i soldi. Per questo è utile un Partito del Sud". Infine Raffaele Lombardo, precisando alcune sue dichiarazioni sull'unità d'italia, ha detto "Mi sono limitato a ricordare che, prima dell'unità, l'emigrazione era composta soprattutto da piemontesi, friulani e veneti. Solo più tardi, dopo la proclamazione dell'italia unita e, in particolare, fra le due guerre, si infittisce l'esodo di pugliesi, calabresi e siciliani. Se questa è la storia, cosa c'è da festeggiare per noi meridionali?". In realtà l Unità d Italia è stata per i notabili ed i politici siciliani il passaporto per trasferirsi a Roma e per integrarsi con la nuova leadership sabauda, continuando a fare intrallazzi e abbandonando i siciliani nelle mani del baronato latifondista e del loro braccio armato, la mafia. Per questo motivo noi siciliani non abbiamo nulla da festeggiare, anzi dovremmo portare il lutto al braccio: per tutti i morti che questa scellerata scelta ha comportato. Oggi, in Sicilia, il nemico numero uno è Garibaldi. E perché? Tutto sommato quell uomo (chiunque sia stato) ha fallito. La nazione Italia non si è mai concretizzata. Un vero sentimento nazionale finora non si è mai manifestato divisi come siamo stati fra filo comunisti, che guardavano a Mosca, filo americani, che guardavano alla Casa Bianca, e filo cattolici fedeli alla politica del Vaticano. Nei momenti importanti e decisivi per il futuro dell Italia siamo stati sempre incerti, titubanti, paurosi; risultando così inaffidabili per qualsiasi alleato e oggi lo siamo per gli stessi paesi europei. Lasciamolo stare, quindi, Garibaldi, tanto, anche se non lui, qualcun altro avrebbe fatto la stessa cosa. La storia doveva fare il suo corso. Forse, più che un arrogante disprezzo nei confronti dell Italia, fu il timore che si avverasse l Unità degli Stati italiani che spinse, il 2 agosto 1847, il cancelliere di Stato austriaco principe di Metternich a scrivere, in una nota inviata al conte Dietrichstein, la famosa frase "L Italia è un espressione geografica". Il calcolo politico di Metternich era quello di mantenere divisa la penisola, permettendo all Austria di esercitare la sua influenza sugli stati italiani. Chi è il Metternich di questo inizio secolo? C. R.

6 POLITICA 6 LA VOCE DELL ISOLA Opinioni contrastanti sulla manifestazione promossa dal Teatro Bellini di Catania Danza, danza ancora che la mafia fugge via di VITTORIO SPADA Catania, domenica 7 settembre. Già la sera stessa i canali radio e tv della RAI e Mediaset davano la notizia: a Catania ad un centinaio di giovani è stato impedito dai genitori di partecipare ad una manifestazione antimafia. Lunedì la notizia aveva già fatto il giro del mondo. Non c è dubbio che per combattere la mafia ci vuole anche questo tipo di manifestazioni, non diciamo di no. Ma Dance Attack, la manifestazione antimafia organizzata dal Teatro Massimo Bellini di Catania e svoltasi nella città etnea, ha sortito anche l effetto negativo di dare in pasto all opinione pubblica mondiale la cittadinanza catanese apparsa colpevole di diseducare i propri figli e addirittura di impedire ad un centinaio di loro di partecipare al saggio di danza dell ente lirico etneo presentato sotto il marchio Arte contro Cosa Nostra nella centrale piazza Palestro. Questa lodevole operazione di immagine del sovrintendente del Bellini Antonio Fiumefreddo che è un manifesto d impegno sociale e civile che "dal teatro arriva nella città, tra la gente, in nome della lotta all illegalità", si è però rivelata un boomerang. La notizia della causa della defezione dei giovani ballerini (che è stata data alla stampa proprio da Fiumefreddo) ha fatto felici i grandi media per i quali ogni notizia di mafia proveniente dalla Sicilia fa aumentare le tirature e l ascolto. Come al solito ai piedi del letto dell ammalato si sono affollati i medici soloni che hanno parlato una lingua incomprensibile, e che soprattutto, dopo il consulto, hanno lasciano il malato esattamente nelle condizioni in cui l avevano trovato. In quest ottica ci è sembrato di leggere le reazioni di unanime condanna del mondo politico catanese. Qualche considerazione scontata, osservazioni ovvie e un po di retorica che non guasta mai: e il gioco è fatto. Cosa vuol dire il presidente della Regione Raffaele Lombardo quando dice "La mafia va emarginata e battuta proprio sul piano culturale, costruendo una società moderna, libera da ogni condizionamento"?. È ovvio che "non possiamo condividere e dobbiamo certamente condannare". Restiamo perplessi quando dice che "abbiamo anche il dovere di comprendere le dimensioni e le ragioni di questo malessere, per intervenire con politiche concrete e incisive"?. Ma signor presidente queste cose le sentivamo dire già ai tempi di Falcone e Borsellino. È possibile che voi politici ancora non abbiate capito le ragioni del malessere? Anche il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, in prima fila contro il racket delle estorsioni sembra atterrato in Sicilia con un UFO proveniente da un mondo lontano quando dice "Mi sembra che da una parte ci sia la paura che domina, ma dall'altro un consenso verso la mafia e bisogna interrogarsi su come mai una città come Catania non riesce a guidare un processo di modernizzazione forte della Sicilia ma è piena di contraddizioni sociali". Come se non si sapesse chi e che cosa frena la città di Catania e quali interessi ruotano attorno ai politici corrotti ai comitati d affari e alla delinquenza organizzata, miscela ancora più cancerogena della mafia che ormai è solo un paravento. Al presidente della Provincia regionale di Catania, Giuseppe Castiglione, e al sindaco di Catania, il senatore Raffaele Stancanelli, vorremmo rispettosamente ricordare che "il futuro economico e sociale della Sicilia" è strettamente legato alla "diffusione della cultura della legalità" e che, per Catania, tale cultura nasce nelle scuole cittadine e dell interland. Ma a loro chiediamo: siete mai stai in una scuola media di Librino, del Pigno, di San Cristoforo, di Picanello, oppure al Polivalente di San Giovanni La Punta? Anche (ma non solo) la lotta alla mafia è decisiva per il futuro della nostra isola e anche l'ex sindaco il senatore Enzo Bianco, considera "di fondamentale importanza educare i giovani e la società civile ai valori della legalità e della lotta alla mafia" Ma poi si meraviglia dicendo che è "incredibile, però, constatare che qualcuno non abbia condiviso i valori di questa manifestazione". Al contrario ci dovremmo meravigliare proprio del fatto che ci sia stata una così alta adesione alla manifestazione. In una città dove ormai da anni si respira l aria dell illegalità, dell insicurezza, del disordine e dell improvvisazione politica, della cultura della sopraffazione; una città dove (tralasciando volutamente gli ultimi gravi fatti di cronaca a tutti noti) i marciapiedi del suo salotto buono (corso Sicilia) profumano di urina e vengono giornalmente invasi da bancarelle abusive; i pilastri dei portici sistematicamente imbrattati da manifesti politici, di Per la presunta astensione di 100 ragazzi data in pasto all opinione pubblica mondiale la cittadinanza catanese apparsa colpevole di diseducare i propri figli spettacoli e di offerte commerciali (il tutto nella massima indifferenza delle autorità comunali); una città dove il casco lo indossano solo i rapinatori; dove i vigili urbani li vedi solo in via Etnea (come se la città fosse tutta li); dove ti fanno la multa se ti scade il biglietto sostare, ma delle autovetture posteggiate in divieto di sosta non gliene frega niente a nessuno, e così via. Ma che c entrano questi casi minimali, questi fatti di basso profilo con il volare alto dei valori della legalità e della lotta alla mafia? Beh, se non lo capite fatevelo spiegare da coloro che vivono nelle città italiane dove il rispetto della cosa pubblica e il rispetto delle più elementari regole di civiltà e convivenza vengono inculcate fin da bambini. E non venite a dire che li lo Stato è presente e qui no. Quindi la chiave di volta di tutta questa traballante architettura è la scuola. Signori soloni se non fate in modo che a livello regionale, provinciale e comunale la nostra scuola cambi radicalmente attenzionandola sotto tutti gli aspetti (dalle strutture alla qualità degli insegnati, dai programmi scolastici alla sicurezza interna), potrete continuare a fare finta di essere partecipi, indignati, meravigliati, costernati e quant altro. In attesa delle vostre iniziative politiche concrete, stabili e continuative per far sì che nelle scuole siciliane si insegni seriamente non tanto cos è la mafia ma cos è la mentalità mafiosa proprio per dare corpo a quella cultura della legalità di cui tanto ci riempiamo la bocca. Ritornando alla manifestazione di domenica 7 settembre, per dovere di cronaca, il sovrintendente Fiumefreddo, al quale, a poche ore dall evento, è stato contestato di aver diffuso notizie inesatte, ha dichiarato "Avremmo voluto non rendere di dominio pubblico la decisione di queste famiglie, ma per non rischiare di essere omertosi abbiamo scelto di dare la notizia". Sembra infatti che il motivo per cui la maggior parte dei genitori dei 100 ballerini assenti (su 800 circa) abbia impedito loro di partecipare alla manifestazione non avesse nessuna attinenza con la paura della mafia. L enigma Lenza censore degli alleati e avvocato del governatore Corre voce che Lino Leanza venga ormai considerato l ex segretario regionale del Movimento per l autonomia e che comunque passerà alla storia per essere stato il primo. Nonostante i numerosi sgarbi politici subiti dal leader maximo Raffaele Lombardo, il buon Leanza, però, continua a svolgere diligentemente il compito di avvocato difensore del presente politico e soprattutto del recente passato dell attuale governatore. Non si spiegherebbe altrimenti perché sulle pagine dell edizione catanese di un quotidiano regionale si spinga ad aprire una polemica che non avrebbe motivo di esistere con il presidente della Provincia Giuseppe Castiglione. Leanza contesta nella sostanza i tagli alla spesa, o agli sprechi, attuata proprio da Castiglione che ha ridotto i dipartimenti e, di conseguenza, eliminato le costose poltrone per i dirigenti che, nella recente era Lombardo, erano tanti, in seguito al massiccio ricorso a professionalità esterne, spesso al secondo o terzo incarico contemporaneamente, tutti di provata fede lombardiana. Leanza non ha gradito questa inversione di marcia, quasi vi fosse, come in realtà c è, una rottura con la gestione del leader di Grammichele. Se Castiglione ha preferito valorizzare i dirigenti già in forza all Ente di Palazzo Minoriti, e di conseguenza rimandare al mittente dirigenti di diversa matrice politica, e con altri incarichi già lautamente pagati, non crediamo che ci sia nulla di cui scandalizzarsi. A meno che il paladino Leanza non mostrasse un equilibrio tale che l esercizio della politica non consente, così come non consente tali eroismi, per censurare le sprovvedute uscite del governatore che, appena insediato a Palazzo d Orleans, voleva aumentare a quindici gli assessorati regionali, idea che non ha potuto portare avanti perché poi qualche uomo di buona volontà ha spiegato al presidente della Regione Siciliana che non è operazione tanto facile, visto lo Statuto Speciale che ne regola l ordinamento. Ma, a distanza di poche settimane, l iperattivo governatore, smentendo se stesso, ha pensato bene per tagliare le spese (ma con 15 assessorati non le avrebbe aumentate?) e di mandare a casa una decina di dirigenti generali, i baroni della Regione. Poi, al governatore, forse lo stesso uomo di buona volontà, ha spiegato che poteva sì mandarne a casa qualcuno, ma che avrebbe dovuto continuare a pagarlo a suon di centinaia di migliaia di euro e altri dirigenti di rango inferiore dovevano essere promossi alle funzioni superiori con, conseguente, ci mancherebbe altro, aumento dello stipendio. Insomma, altro che risparmio: sarebbe stato un ulteriore esborso di una montagna di euro. Ennesima retromarcia del governatore decisionista. E Leanza, nel frattempo, taceva, non ritenendo evidentemente che la manovra di austerità del presidente autonomista fosse come quella di Castiglione un inversione di rotta da criticare o una semplice operazione di facciata. Leanza tace, anche perché il suo passaggio all Udc (il partito del Totò governatore condannato a cinque anni) è sempre più imminente, ma al tempo stesso sofferto.

7 LA VOCE DELL ISOLA La contrazione raffredda gli animi e le speranze di molti operatori economici 7 POLITICA Fine estate, primi bilanci turismo al tempo della crisi di ERNESTO GIRLANDO Le stime formulate all inizio della stagione sembrano trovare conferma: l analisi dei risultati e delle tendenze di questo comparto importante dell economia, che contribuisce in misura significativa alla formazione del PIL e allo sviluppo di intere regioni, conferma le previsioni Catania e Palermo fra le mete preferite Le vacanze sono ormai finite ed è tempo di bilanci consuntivi sulla stagione turistica. Il portale Expedia, grazie all'analisi dei dati relativi alle proprie prenotazioni, ha identificato tendenze e mete preferite degli italiani, scoprendo curiosamente ai primi posti della classifica delle destinazioni aeree più gettonate Catania e Palermo, che fanno capolino tra le più classiche New York, Parigi, Londra e Barcellona. Sempre più clienti Expedia, ormai il 30%, scelgono per le loro ferie di agosto una destinazione a lungo raggio. A farla da regina, tra le città, è New York, che con un boom di prenotazioni balza in vetta alla classifica delle mete più prenotate per i voli aerei. Parigi, al secondo posto della classifica e davanti a Londra, Barcellona, Lisbona e Madrid, è la capitale europea preferita di quest'estate. A sorpresa, tra le mete intramontabili che dominano i primi posti della classifica delle destinazioni preferite, si trovano Catania e Palermo a tener alto il nome dell'italia. Le due città rappresentano un importante punto di Fine dell estate, primi bilanci. Le stime formulate all inizio della stagione sembrano trovare conferma. L analisi dei risultati e delle tendenze di un comparto importante dell economia, che contribuisce in misura significativa alla formazione del PIL e allo sviluppo di intere regioni, conferma le previsioni. La contrazione dei flussi turistici, dopo qualche stagione all insegna della crescita, raffredda gli animi e le speranze di molti operatori economici che negli ultimi anni hanno investito fior di milioni nell industria del turismo. Adesso c è aria crisi. Crisi mondiale (si parla di un calo che si aggira intorno al 10% rispetto allo scorso anno); crisi italiana (meno 20%); crisi siciliana (mediamente del 15%). I motivi sono noti. Motivi di carattere macroeconomico e motivazioni legate alle contingenze locali. I soldi a disposizione delle famiglie scarseggiano, il caro carburante che incide sui voli e sugli spostamenti in auto, le difficili condizioni in cui versano non solo gli italiani ma gli europei in genere, il rafforzamento dell euro su altre valute - sul dollaro in primis - che allontana molti turisti dall Europa. E così capitali mondiali del turismo come Venezia, Firenze e Roma vanno in sofferenza e fanno registrare cali di presenze intorno al 15%. Addirittura molti operatori che lavorano con americani e giapponesi accusano perdite del 25% per l effetto dell euro forte che ha fatto invece aumentare sensibilmente i viaggi degli italiani oltre oceano, producendo ulteriore danno alle strutture turistiche nazionali. La situazione siciliana appare pesante, con punte drammatiche, come ad Agrigento, dove si è addirittura scesi del 30% rispetto allo scorso anno. Albergatori, ristoratori e operatori turistici hanno dato vita a un consorzio che elargisce offerte e vantaggi di ogni genere, ma con risultati poco significativi. A Sciacca il turismo termale è fermo. Da Ragusa arrivano notizie poco confortanti. Non è stata certo una stagione che si può definire indimenticabile quella iblea. Benino Pozzallo, male Ispica e Marina di Ragusa dove gli affitti delle case sono saliti alle stelle e la gente ha rinunciato a soggiornare nei luoghi suggestivi del commissario Montalbano. Tuttavia non si può fare a meno di considerare che qui il turismo, da qualche anno, si sta affermando come un comparto vivo dell economia e bisognerà guardare con attenzione, oltre che con ottimismo, al futuro. Ci sono decenni da recuperare a livello di cultura dell accoglienza e occorrerà colmare un gap rispetto ad altre realtà consolidate, naturalmente al momento più gettonate. Taormina è andata giù di un 10% circa. Certamente un calo pesante per la principale località turistica siciliana. Calo netto degli stranieri, in piccola parte compensato da un leggero aumento delle presenze italiane. Fino allo scorso anno se si telefonava negli alberghi a mare la risposta era scontata: Tutto esaurito. Quest anno no. Ciò nonostante Taormina rimane sempre la capitale del turismo isolano con circa un milione di presenze, anche se il calo c è ed è vistoso. Analoghe tendenze si evidenziano in altre tradizionali mete: Cefalù, l arcipelago delle Eolie e le altre isole minori. A stare meno peggio di tutti è Siracusa che limita i danni a un solo meno 2%, grazie agli spettacoli classici, grazie all itinerario del barocco del Val di Noto. Questa flessione siciliana, al di là della crisi congiunturale che è generale, non è frutto del caso e pone, anzi, delle preoccupanti quanto incomprensibili questioni. E difficile infatti comprendere come la Sicilia perda costantemente quote importanti di mercato pur avendo dalla sua parte infinite condizioni favorevoli allo sviluppo del comparto. La crisi dei flussi turistici non è una novità in Sicilia, ma un dato che spesso ricorre, negli anni, a conferma di uno scenario generale segnato dal lassismo, dall abbandono di importanti monumenti, dalle minacce incombenti sul patrimonio archeologico e paesaggistico, dagli scempi dell edilizia selvaggia e abusiva sulle coste favorita dalle mille sanatorie, dalle scelte strategiche sbagliate. Basti pensare alle ricerche petrolifere nel cuore del Val di Noto o all equivoco del cosiddetto antiturismo, il fenomeno voluto e favorito da amministratori locali, ma anche da deputati e governanti regionali, delle seconde e terze case, in buona parte abusive, che hanno danneggiato le basi stesse del turismo esistente e potenziale. E non solo. In un momento in cui la competizione globale del turismo si gioca sul fronte della qualità non è più sufficiente avere prezzi competitivi, non bastano da sole le bellezze, i monumenti e il bel clima, non serve avere l 85% del patrimonio artistico e del territorio intatto. Occorre ancora altro. Occorre offrire accoglienza, servizi e assistenza, avere una rete di trasporti efficiente e veloce, una pubblica amministrazione snella e capace di stimolare le iniziative imprenditoriali, evitare le sovrapposizioni di ruoli e di competenze fra i vari enti e le confusioni legislative. Occorre far tesoro dei fondi comunitari investendo sulla salvaguardia e la riqualificazione delle zone costiere, la tutela delle aree protette e dei centri storici e superare il vecchio problema della stagionalità del movimento turistico per offrire una pluralità dei prodotti dei nostri territori. Occorre investire in formazione. Sembrerebbero, e infatti lo sono, verità semplici e anche banali. Ma esse potrebbero costituire i capisaldi di una nuova politica che ci aiuterebbe a evitare gli errori del passato e del presente e a indirizzare gli sforzi e le risorse nella giusta direzione, per la creazione di un sistema di accoglienza di qualità e al giusto prezzo, ecocompatibile e funzionale in grado di competere con le altre regioni del Mediterraneo. Ma per conquistarsi uno spazio all altezza delle sue potenzialità, il turismo siciliano deve fare i conti con alcune difficili sfide: l inconcludenza e la vocazione allo spreco della macchina burocratica e della politica isolane, l incapacità degli operatori di fare sistema, la concorrenza di altre regioni del Mediterraneo. Ma quest ultima, a ben pensare, potrebbe divenire, a volerlo, cooperazione vantaggiosa per tutti. Tutte note a margine per l assessore Bufardeci e la giunta regionale, chiamati a favorire uno sforzo di innovazione. partenza per le proprie vacanze in Sicilia. Nonostante l'appeal che il clima temperato e la movida spagnola rappresentano, quest'anno c'é stato invece un netto calo delle vendite su destinazioni come Barcellona, Ibiza e Palma, che ha fatto retrocedere un po' la Spagna tra le mete principali degli utenti di Expedia. A salvare la situazione solo Madrid.

8 FISCO 8 LA VOCE DELL ISOLA Sarà il Collasso del nostro sistema o il volano per lo sviluppo: la nostra Regione ha saputo e Il federalismo fiscale è una ma la fiscalità di vantaggio di MIRCO ARCANGELI Il ministro Calderoli Il dibattito politico stringe sempre più i tempi per una trasformazione storica del nostro sistema. L obiettivo principale della strategia leghista è diventato ormai lessico popolare, ed i quotidiani non fanno altro che ospitare dibattiti e commenti sul tema del federalismo fiscale. Di pari passo va il dibattito politico dei partiti, delle forze sociali e naturalmente degli organi dello Stato, quali il Governo, il Parlamento, le Regioni Province e Comuni. E così alla proposta di legge della Regione Lombardia, si passa alla prima bozza Calderoni più volte ritoccata e sicuramente ancora in grande movimento, ed al primo schema di disegno di legge. Tutti (i vari territori) cercano di non essere penalizzati dal nuovo sistema di gestione delle risorse e forse tutti cercano di guadagnare dal nuovo sistema federalista. Sembra di assistere al solito balletto della coperta che se si tira da una parte scopre l altra parte, ma del resto occorre trovare un punto di partenza, anche se si spera che poi successivamente eventuali storture possano correggersi. La nostra Regione (intendendo il nostro governo regionale), in questo dibattito decisamente importante, comprendendo la portata storica della svolta, ha saputo esserne partecipe in maniera determinante. E ormai quotidiana la presenza del nostro governatore nel dibattito sul federalismo. Una presenza che intende concretizzare con risultati tangibili i due principi basilari di questa maggioranza: la Sicilia deve poter contare nella piena realizzazione dello Statuto Autonomo regionale; la redistribuzione delle risorse avverrà secondo il principio di territorialità (quanto si produce nel territorio torna in buona parte nello stesso). In questo dibattito non è da sottovalutare la partita delle accise sugli idrocarburi, per le quali non c è dubbio debbano restare nel territorio dove si producono per i motivi suesposti, con in più le ragioni ambientali (tali risorse dovranno essere utilizzate anche per riequilibrare il degrado del territorio conseguente alla gestione delle raffinerie). Al rientro dalle ferie estive Sindaci, Presidenti di Province, Governatori, avranno sicuramente messo in movimento plotoni di addetti, uffici ragioneria, studi professionali, per calcolare di volta in volta per come varia il dibattito sulle modalità del nuovo sistema, quanto si potrà domani disporre rispetto ad oggi, e se ci si guadagnerà o si perderà. La CGIA di Mestre ha diffuso uno studio attraverso il quale i comuni del sud, con l ultima ipotesi, rischierebbero il collasso. Insomma il territorio (intendendo il sistema delle autonomie locali) è in gran fermento e timoroso di perdere risorse. In questo contesto, dove tutto è in movimento una certezza pare chiara, il federalismo fiscale rappresenta un percorso ineludibile, con i quali dovremo sicuramente fare i conti. Per queste ragioni è fondamentale cominciare fin da ora a costruire le basi perché il nuovo sistema delle autonomie locali possa funzionare. Le politiche assistenzialiste tanto privilegiate nel nostro sud dovranno far posto ad interventi di qualificazione e sviluppo. Il parassitismo dovrà essere bandito e sostituito da produttività e motivazione. Occorre cominciare a rimboccarsi le maniche e mettere mano all organizzazione del lavoro, ai programmi di sviluppo, alla gestione delle risorse, secondo il principio del buon padre di famiglia che si potrà spendere per quanto le entrate permettono. Dobbiamo prepararci ora per allora, poiché se non lo faremo, se non metteremo a diverso e idoneo regime le macchine che gestiscono le risorse, nel momento in cui il sistema cambierà, verremo schiacciati dai L obiettivo principale della strategia leghista è diventato ormai lessico popolare, di pari passo va il dibattito politico dei partiti, delle forze sociali e naturalmente degli organi dello Stato problemi, e la situazione già grave ci potrebbe portare realmente al collasso. E allora cominciamo a guardaci dentro, con lo spirito non della ritorsione o della punizione, ma con uno spirito di chi vuole migliorare la situazione, di chi vuole raccogliere la sfida storica di poter finalmente uscire dal giogo di chi ci vuole di volta in volta, colonizzati, succubi, commissariati, e quant altro di peggio possa esprimere l opposto dell autonomia. Il federalismo fiscale è il banco di prova che ci permetterà di dimostrare se siamo veramente capaci di gestirci da soli, oppure se dovremo sempre dipendere da altri. Se riusciamo tutti noi, a metterci entusiasmo in questo dibattito, a caricarlo di valore aggiunto, a pensare positivo, ma soprattutto a pensare al bene della nostra collettività nel suo insieme piuttosto che solo di alcuni, allora avremo fatto una grande rivoluzione, uno sconvolgimento che sarebbe sicuramente in linea con quanto promosso dal nostro grande Canepa. Basta chiedere agli altri, scaricare su altri i problemi, attendere risposte da altri, ora è il momento di guardarci dentro e di cercare di risolverci da soli i problemi. Ognuno deve fare la propria parte, Comuni, Province (finchè ci saranno) e Regione. I Comuni dovranno sempre più essere vicini ai cittadini amministrati, con servizi efficaci ed efficienti, elastici ed idonei al sistema di vita sempre in evoluzione, praticamente in sintonia con le loro esigenze. Le Province dovranno gestire le problematiche di loro competenza in piena armonia con i comuni senza sovrapposizione, costruendo politiche con essi indirizzate. La Regione, nuovo vero grande motore del nuovo sistema, dovrà creare le politiche di indirizzo e di sviluppo ed insieme allo stato centrale, le idonee infrastrutture per un territorio ancora fortemente arretrato. La Regione ha quindi il compito principale di indirizzare le politiche di sviluppo, e per far questo dovrà quanto prima dotarsi di un Piano regionale di sviluppo. Un piano poliennale all interno del quale dovranno trovar posto le varie posizioni economiche da privilegiare e quelle invece da penalizzare, dovranno esserci di conforto i programmi infrastrutturali, e dovrà quindi immaginarsi come sarò lo sviluppo socio economico della nostra regione nei prossimi anni. Una volta disegnato il Piano regionale, naturalmente in un profondo confronto con le forze sociali ed economiche, nonché con il territorio degli amministrati, e quindi una volta definiti gli obiettivi, occorre inserire gli strumenti per stimolare tali indirizzi, per avviare gli investimenti dei privati, e per attirare anche dall esterno investimenti nel nostro territorio. In questo percorso uno degli strumenti oggi più dibattuti è quello rappresentato dalla fiscalità di vantaggio o fiscalità compensativa o fiscalità di sviluppo. Utilizzo quindi della leva fiscale come opportunità e strumento per il raggiungimento dei propri obiettivi di sviluppo.

9 ssere partecipe al dibattito nazionale in maniera determinante 9 FISCO svolta storica per la Sicilia dovrà essere solo strumento Imprenditoria tra nuovo tessuto economico e sistema delle imprese esistenti Nei mesi scorsi dalle colonne di questo giornale abbiamo potuto esaminare come in altri paesi, quali l Irlanda e le Canarie, sia stato in parte funzionale in parte critico, l utilizzo della bassa tassazione quale strumento per politiche di sviluppo. Riprendiamo velocemente l analisi degli interventi dello stato in questi paesi a bassa tassazione solo per capirne i lati positivi e quelli negativi. In entrambi i paesi (Irlanda e Canarie) la bassa tassazione del reddito (5-10%) ha portato capitali esteri all interno degli stessi, alzando gli indici di investimento e di occupazione, nonché quelli del reddito prodotto e della propensione al consumo. In entrambi i casi però con l avvicinarsi della scadenza del periodo di beneficio, si è registrata una tendenza alla fuga degli stessi capitali che anni prima erano arrivati. Questo effetto è maggiormente presente in Irlanda piuttosto che nelle Canarie. La differenza nei due comportamenti imprenditoriali sta nel fatto che nelle Canarie si è riusciti maggiormente a creare un intreccio imprenditoriale tra il nuovo tessuto economico nato dagli interventi, ed il sistema di imprese esistente. Infatti la bassa tassazione, i contributi, la bassa contribuzione hanno permesso di creare nuove imprese. Queste stesse imprese, quando tali benefici finiscono, sono portate a trasferirsi in nuove aree a bassa tassazione, a meno che nel frattempo non si siano legate al sistema economico esistente nel territorio, al punto da rendere non redditizio un ulteriore trasferimento. La leva fiscale per essere uno strumento e non un fine dovrà essere dirottata verso gli obiettivi del piano regionale. Interventi generalizzati potranno si contribuire al rilancio produttivo ma si accompagneranno ad una crescita soltanto effimera, non strutturale. Mentre gli interventi mirati, con obiettivi chiari, potranno portare una crescita accompagnata allo sviluppo del territorio da un punto di vista socio-economico. In Irlanda e nelle Canarie si sono utilizzati diversi strumenti, per impostare un sistema fiscale funzionale allo sviluppo, che sinteticamente si possono così elencare: Irlanda Tutti pagano l imposta sul reddito, con aliquote diversificate a seconda del nucleo familiare e del limite di reddito dal 20 al 41%. L imposta sulle società ha le seguenti aliquote: 12,5%: sul reddito d impresa (trading) commerciale; 25%: sul reddito diverso da quello d impresa. 10%: Alcune società, inserite nell IFSC (International Financial Services Centre), vengono tassate ad un tasso effettivo del 10%. Questo tasso agevolato è in procinto di essere gradualmente eliminato, ma rimane in vigore fino al Una società residente nello Stato è soggetta all imposta sulle società su tutti gli utili realizzati a livello mondiale, non solo su quelli di fonte irlandese. Le società godono di un 20% di credito d imposta per qualificare la spesa di ricerca e sviluppo, per investimenti di almeno euro. Dividendi e altre distribuzioni (tra cui alcuni tipi di interesse) non sono compresi nel calcolo dei profitti commerciali. Dividendi e altre distribuzioni da società residenti irlandesi sono soggette a ritenuta alla fonte, salvo che queste siano liquidati a soci qualificati non residenti che ne sono escluse. I dividendi pagati da società residenti irlandese ad altre società irlandesi residenti non sono soggette ad imposta. La Capital Gains Tax E l imposta del 20% pagata da coloro che realizzano plusvalenze. La Value Added Tax - VAT - IVA è l imposta sul trasferimento di beni e o servizi, che come in Italia colpisce il valore aggiunto agli stessi beni e servizi. Le aliquote sono diversificate, e variano da zero, 4,8%, 10%, 13,5% fino al 21%. La Customs & Excise Imposta doganale che viene riscossa sulle merci importate da Stati non membri dell UE, e accise riscossa su alcune particolari merci. Isole Canarie L aliquota generale applicabile dell imposta sulle società in Spagna è pari al 35%, ridotto al 30% per le piccole e medie imprese. Per gli investitori nelle zone speciali, vi è una riduzione dell Imposta sulle società (l aliquota IRPEG è compresa tra l 1% e il 5%); l esenzione dal pagamento dell imposta sulle trasmissioni patrimoniali e sugli atti giuridici; l esenzione dal pagamento dell IGIC (imposta simile all IVA) relativa a importazioni effettuate dagli enti delle zone speciali (ZEC). I dividendi distribuiti dagli enti ZEC alle società capogruppo, gli interessi e gli altri redditi ricevuti dalle società capogruppo non residenti in Spagna, sono esenti dall imposta sui redditi dei non residenti. Riduzione di alcune imposte locali. Riserva per gli Investimenti nelle Canarie (RIC): Detassazione del reinvestimento degli utili. Esistono poi particolari zone franche per lo più nei porti capitolini, dove si procede allo stoccaggio, trasformazione e distribuzione di merci senza che vengano applicati oneri, tariffe doganali o imposte indirette. Le imprese ubicate nelle zone franche canarie possono usufruire dei benefici offerti dal REF. Come possiamo notare da questa breve sintesi, ma se vogliamo approfondire si rimanda agli articoli scritti sui numeri 10/11 12/13 di questo giornale, gli strumenti fiscali di intervento grosso modo sono sempre molto simili anche se diversi. Infatti innanzitutto abbiamo aliquote di imposta generali molto più basse di quelle nostre ordinarie. Poi abbiamo notevoli agevolazioni in termini di aliquote di imposta sulle società, tassazione dividendi, credito di imposta, detassazione degli utili reinvestiti, e altro, ma condizionando tali agevolazioni ad obiettivi prestabiliti. Si possono incentivare determinati settori industriali o commerciali, o privilegiare l intervento all interno di un area prestabilita (Zone franche) ecc.. Da quanto avvenuto in questi paesi, che per primi si sono avventurati, con grande abilità, nell utilizzo della leva fiscale come strumento per la propria crescita economica, dobbiamo imparare una lezione. E sicuramente giusto e opportuno l utilizzo della leva fiscale per creare crescita economica e sviluppo, ma cerchiamo di non fare né gli errori del passato (la storia economica meridionale della seconda metà del XX secolo è fatta di mero assistenzialismo), né quelli commessi da questi paesi (fiscalmente emergenti). Un errore sarebbe quello di dare incentivi ed agevolazioni a tutti, poiché in questo modo un intervento a pioggia non indirizza uno sviluppo ma crea soltanto una economia di gestione per chi la utilizza. Intervento questo che se resta isolato non crea sicuramente sviluppo ma soltanto un mero abbattimento dei costi. Un altro errore sarebbe quello di incentivare l arrivo di capitali esteri su progetti di sviluppo mirati, senza realizzare una sinergia con il tessuto economico esistente o territoriale, senza cioè permettere che questi nuovi capitali possano incentivare anche una crescita dell intero territorio. Occorre evitare di realizzare poli economici isolati dal contesto territoriale a beneficio invece di una piena integrazione. Bene facciamo quindi a parlare di fiscalità di vantaggio, leva fiscale, ecc. ma ricordiamoci sempre che questi sono strumenti e non fini, e come tali vanno predisposti, gestiti, e somministrati. Non confondiamoli e non facciamoli confondere con gli obiettivi. Per queste ragioni sarebbe opportuno che si avviasse un grande dibattito nella nostra regione, sul come immaginiamo lo sviluppo economico del nostro territorio, quali aree privilegiare, quali settori sostenere, quali programmi infrastrutturali avviare. Dovremmo dedicare idoneo tempo per studiare gli obiettivi di sviluppo che vogliamo raggiungere, e soltanto dopo potremo definire gli strumenti più adeguati perché tali obiettivi siano percorsi dal mondo imprenditoriale. Il potere politico, il governo della regione, ha il compito di indirizzare lo sviluppo, non di gestire in maniera subalterna la politica degli incentivi. Il salto di qualità di questo governo dovrà essere proprio questo, sostituire la politica clientelare della redistribuzione degli incentivi e benefici a favore dei propri collegi elettorali, con la programmazione dello sviluppo economico sociale del territorio, accompagnato da una politica di indirizzo incentivante. Sono passati solo pochi mesi da quando questo nuovo governo regionale è nato, e quasi tutta l attività è stata rivolta al tema del federalismo fiscale, e delle emergenze nella quadratura del bilancio regionale, con particolare attenzione alla sanità. Occorre fin da subito affiancare a queste tematiche comunque importanti, anche temi meno immediati ma che possono determinare un volto nuovo della nostra regione. E necessario aprire immediatamente il dibattito per definire il Piano regionale di sviluppo senza il quale ogni politica di incentivazione sarà pura improvvisazione. Con l augurio che il pragmatismo e decisionismo mostrato da questo governo regionale non sia solo di facciata, ci attendiamo che quanto prima si avvii una riflessione ed un dibattito politico con tutte le forze sociali, economiche e professionali, per realizzare il Piano regionale di sviluppo. Mirco Arcangeli

10 POLITICA 10 LA VOCE DELL ISOLA Vengono messe in moto sempre in estate le manovre politico-militari che tendono a cam Le abili mosse del russo Putin sul ricordano fatti da Guerra Fredda ap di GIUSEPPE PARISI La stragrande maggioranza della gente ignora totalmente, o quasi, quanto è successo e cosa si sta preparando nello scenario immediato e dei prossimi anni Già lo scorso anno, e proprio nel periodo estivo quando, si sa, l opinione pubblica è alquanto distratta da altre cose, prime fra tutte le vacanze, il russo Putin mosse pesantemente alcune pedine nella scacchiera mondiale, facendo sollevare in volo i bombardieri pesanti a lungo raggio che erano stati messi a terra con la fine della guerra fredda. Quest atto, clamoroso diciamo noi, di fare alzare la flotta aerea, obsoleta a dire di qualcuno che intendeva minimizzare l episodio, fu riportato per qualche giorno dalle più note testate giornalistiche nazionali con brevi trafiletti nelle prime pagine, per poi finire all interno e poco dopo nel dimenticatoio. La notizia non aveva interessato molto la gente che già aveva assai da fare nell affrontare il quotidiano che di sorprese, almeno in Italia, ne aveva già tante ogni giorno e di tutto rispetto. Figuriamoci a chi potevano interessare i fatti, per quanto importanti, che fossero della lontana Russia. I giornali, com è noto, per sopravvivere, a leggere certi bilanci, devono battere cassa creando l audience giusto che serva a vendere. Noi invece che di questi assilli non soffriamo, da uomini liberi e da attenti osservatori dei segni dei tempi, annunciammo la scorsa estate e continuiamo a farlo a chiare lettere dalle pagine di questo giornale che quest atto, la cui preparazione logistica e non solo quella ha richiesto tempi non brevi e sforzi non indifferenti anche di natura economica, notificava al mondo intero l inizio del ricollocamento dell ex URSS fra le potenze mondiali di buona memoria. Non si era trattato infatti solamente di un volo dimostrativo con relativa rimessa dei bombardieri negli hangar al termine di un esercitazione qualunque, ma del mantenimento in volo costante h24 per usare un gergo militare, di un poderoso apparato bellico di tutto rilievo che impone un supporto tecnologico non indifferente, compreso l utilizzo e il logorio di materiali e mezzi, con l impiego di personale e tecnici di primissimo piano, cose queste che non s improvvisano dall oggi al domani. L azione di Putin continuò con alcune manovre militari terrestri a fianco della Cina e continua ancora oggi come tutti sappiamo, o almeno dovremmo sapere, con una politica che non lascia dubbio alcuno nelle sue intenzioni, visto ciò che sta accadendo in Georgia e in altre parti del mondo. Fatti questi già avvenuti, o di prossimo prevedibile accadimento, che non fanno certo dormire sonni tranquilli agli Usa e ai suoi alleati. Di tutto questo precipitare di eventi, guarda caso nel periodo estivo e guarda caso a cavallo delle Olimpiadi di Pechino e soprattutto in piena campagna elettorale americana, è regista e abilissimo maestro il nostro Putin, che sta dimostrando di possedere doti politiche di tutto rispetto. Noi stessi che stiamo seguendo con interesse gli eventi, troviamo qualche difficoltà a collocare i pezzi di questo complesso mosaico che sta montando come la panna ogni giorno che passa. Ci stiamo anche accorgendo, e siamo dispiaciuti nel dirlo, che la stragrande maggioranza della gente ignora totalmente, o quasi, quanto è successo e cosa si sta preparando nello scenario mondiale futuro. Su questi accadimenti, a meno di casi rari, i giovani, e non solo loro, hanno idee molto confuse, mostrano totale indifferenza al pari delle famiglie italiane che bombardate da notizie da mille e una notte che ci propinano i massmedia, a partire dalle nostre emittenti televisive, sono più interessate a seguire Miss Italia che questi fatti complicati come ci dice una nostra dotta amica, che ad un nostro sconsolato sfogo risponde: " tanto l ordine delle cose si ripristinerà da solo, com è sempre stato, a prescindere la nostra volontà". Allora perché preoccuparsi?

11 biare gli equilibri che mantengono una pace abbastanza instabile fra le grandi Potenze 11 POLITICA delicato scacchiere mondiale parentemente consegnati alla storia L ex URSS sta cercando di costruire gradualmente un nuovo assetto politico, geografico ed economico? Non è assolutamente nostra abitudine creare allarmismi, ma vorremmo far capire ai nostri lettori che l indifferenza, ignorando quanto sta avvenendo, non evita il sorgere dei problemi, semmai, li aggrava. Si stanno preparando grandi eventi nello scenario mondiale che determineranno inequivocabilmente un nuovo assetto politico, geografico ed economico a cui vorremmo far trovare i nostri lettori quantomeno vigili e preparati. Sia chiaro a tutti: non si pensi che l Italia resti fuori da quest onda lunga in arrivo. Chi pensa questo è lontano dalla logica dei tempi; e anche se, da buoni italiani, siamo abili a battere sulla spalla di qualche importante statista di turno e a stringere la mano a tutti stipulando magari ottimi accordi commerciali e protocolli di tutto rispetto, ciò non ci impedirà di essere immuni da quanto sta per accadere attorno a noi perché nel mondo non esiste più alcun orticello proprio, ma tutto è divenuto un unico immenso villaggio dove ciò che avviene appresso porta ci coinvolge, e non si può più far finta di ignorarlo. È chiaro che su questi argomenti ritorneremo con maggiore dovizia e particolari. Al momento, vista la complessità degli scenari che si profilano all orizzonte, ci limiteremo a inquadrarne qualcuno, almeno per ciò che è maggiormente di nostro interesse, facendo il punto o tentando di farlo sulla situazione attuale. Prima di proseguire citiamo, perché vale la pena davvero leggerlo - concettualmente ne condividiamo il pensiero - un pezzo scritto da Sergio Romano su Panorama (rivista n 35 del 28 agosto scorso, pag. 182). Il nostro valente collega, già nel titolo esordisce: Due pesi e due misure Gli Stati Uniti chiedono il rispetto della sovranità della Georgia ma dimenticano di avere sostenuto l indipendenza del Kossovo. E quanto all uso spropositato della forza. Se da una parte infatti gli Usa hanno fatto orecchie da mercante quando la Serbia ha invocato la propria integrità territoriale sostenendo l indipendenza del Kossovo, dall altra assistiamo all esatto contrario, facendo ben intendere che l Abkhazia e l Ossezia del Sud non hanno il diritto di separarsi dalla Georgia. Fra i tanti fatti di dominio pubblico, pare che lo scorso luglio il segretario di stato Usa, Condolezza Rice, durante una cena privata abbia suggerito a Mikhail Saakashvili di agire con prudenza o, per meglio dire, a non intraprendere una guerra che non avrebbe potuto vincere Invece le cose, come abbiamo visto, sono precipitate forse perché il presidente georgiano si è sentito forte da quanto veniva sbandierato da più parti, e anche dallo stesso Bush L America sarà sempre al vostro fianco. Vladimir Putin, da abile stratega, mentre Bush è a Pechino per le Olimpiadi, invia i carri armati nelle due repubbliche separatiste dell Ossezia e Abkhazia con un disegno preciso e certamente pianificato da tempo, in visione dell evolversi della situazione caucasica di cui era già a conoscenza. Solo gli sprovveduti possono credere infatti che tali eventi possano sorgere da un giorno all altro. Da Vladikavkaz, capitale dell Ossezia del Nord, Putin, come prima aveva normalizzato la Cecenia con il tacito assenso degli Usa e degli altri paesi europei, ora dirige le operazioni facendo ben intendere chi detiene il potere, quello vero, al Cremlino. Si muove senza scrupoli, rapidamente, da esperto conoscitore degli eventi, approfittando di non poche coincidenze critiche in atto negli Usa, investiti da una crisi finanziaria senza precedenti, da un basso profilo di gradimento pubblico di Bush dovuto alla politica estera giudicata da molti fallimentare per la difficile situazione creatasi in Afghanistan e Iraq - non dimentichiamo che la casa Bianca ha dovuto chiedere persino aiuto a Putin per cercare di frenare le ambizioni nucleari iraniane - e, non ultima, la lunga e snervante campagna elettorale americana ancora in atto. Questo modo di mostrare i muscoli con l invio di forti contingenti di truppe, rompe, a dire di molti esperti occidentali, l accerchiamento da cui la Russia si sentiva minacciata, ribadendo nel contempo prioritariamente la propria influenza nel Caucaso, affossando le rivendicazioni territoriali della Georgia e il suo eventuale ingresso nell alleanza atlantica voluta dall amministrazione Bush, già bloccata dall Europa al vertice di Bucarest nell aprile scorso, inviando così un pesante segnale all Ucraina pronta al grande balzo occidentale. A dire degli esperi di analisi geopolitica e militare, le ingerenze Usa, passate e presenti, pesano sul Cremlino che le ha sempre mal sopportate, tanto da far dichiarare recentemente al presidente russo, Dmitri Medvedev, che l accordo di istallazione di sistemi missilistici da parte Usa, siglato con la Polonia e la Repubblica Ceca lo scorso 14 agosto, è un vero e proprio atto di ostilità. A onor di cronaca, ricordiamo alcune di queste ingerenze partendo dagli anni 90, quando furono sostenute le privatizzazioni e furono compiuti ingenti sforzi per far aderire sia alla Ue sia alla Nato gli ex satelliti dell Urss, le rivoluzioni rosa e arancione proprio in Ucraina e Georgia e, dulcis in fundo, si fa per dire, l invio di consiglieri militari a Tblisi capitale della Georgia. Dice Romano nel già citato pezzo Gli Americani non hanno capito che l adesione dell Ucraina e della Georgia alla Nato sarebbe stata considerata a Mosca una intollerabile invasione di campo. Non hanno capito che l installazioni di basi americane in Polonia e Georgia, un disegno preciso e certamente pianificato da tempo, in visione dell evolversi della situazione caucasica nella Repubblica Ceca sarebbe stata percepita in Russia nello stesso modo in cui negli Stati Uniti percepirono l istallazione di missili sovietici a Cuba nel Non hanno capito che Vladimir Putin è popolare nel suo paese proprio perché lo ha sollevato dallo stato di prostrazione internazionale in cui era caduto all epoca di Boris Eltsin. Da un analisi più approfondita, non può sfuggire che la Russia sia divenuta baldanzosa anche perché sostenuta da una forte ripresa economica e commerciale, di cui molto si deve al vice premier Igor Shuvalov che con la sua politica del lavorate con la Russia, avrete prosperità e ricchezza sta dimostrando di saperci fare e non poco. La Russia oggi riceve in cassa enormi risorse valutarie. Non scordiamo infatti la vendita di combustibili e gas ai paesi europei per miliardi di metri cubi all anno e che proprio dalla Georgia passano gli idrocarburi dal bacino del Caspio alle coste del Mediterraneo. La Germania, la Francia e l Italia, tanto per dirne una, si sono mostrate molto più aperte alle ragioni di Vladimir Putin proprio perché Mosca controlla quote ingenti e sempre maggiori di riserve energetiche, tanto che le sanzioni che gli Usa hanno chiesto al vecchio continente a discapito della Russia per condannare il suo atteggiamento spropositato e guerresco sono state da parte dell Ue più parole che fatti reali. Sull argomento shopping energetico che la Russia sta attuando in Europa, tanto per venire a casa nostra avendo ben seguito l argomento, non possiamo non citare il caso della raffineria Isab di Priolo e dell annessa centrale di generazione elettrica dove la società moscovita Lukoil, la seconda compagnia petrolifera del mondo, ha comprato il 49 % delle azioni Erg. Il tutto, lo leggiamo sui giornali specializzati, per la fantasmagorica cifra di 1,34 miliardi di euro, che proprio noccioline non sono. E non è escluso che nei prossimi sei, sette anni sentiremo parlare solo russo alla Isab, nel senso che la Russia acquisterà il restante 51 per cento, divenendo proprietaria assoluta dell intero stabilimento. La famiglia Garrone non poteva sperare in un offerta più generosa. Gli impianti, al limite dell efficienza e da rammodernare, danno oggi un margine di quattro dollari circa per tonnellata di petrolio, contro i dieci, quindici dollari delle analoghe raffinerie americane. La Erg ha cosi trovato liquidità per inserirsi in quello che gli economisti hanno definito il nuovo Eldorado costituito da fonti di energia rinnovabili e termoelettriche. Ma anche alla Lukoil è andata bene, visto che, a monte di tanta generosa offerta, ha avuto i suoi interessi primari pienamente soddisfatti - a dire di qualcuno, e noi con essi, i maggiori - che sono quelli di entrare a pieno titolo nel bacino del Mediterraneo da sempre precluso sia all Urss sia alla Russia di oggi, bacino in cui il libero scambio si aprirà nel La Lukoil che ha raffinerie in Bulgaria, Romania e Ucraina, ora può integrare la Isab di Priolo (Augusta) nella propria catena produttiva, e questo è l acquisto migliore della società russa, quello che le permetterà appunto di mettere una base, certamente non missilistica ma sicuramente e sotto certi versi più potente, trattandosi di un ingerenza economica e commerciale non indifferente in Sicilia, considerata a ragione il ponte d oro per il bacino del Mar Nostrum. Per tornare all argomento primario, avendo un poco divagato sopra un unico filo conduttore, citiamo testualmente parte di una recentissima intervista concessa al Corriere della Sera dall ex segretario di Stato Usa, Holbrooke Che sia chiaro: la crisi georgiana non è su Osezia e Abkhazia, che sono servite solo a farla esplodere. Il punto è il tentativo della Russia di rovesciare il governo di un Paese confinante, per ricreare una sorta di sfera d influenza sul modello dell Unione Sovietica. Devo ricordare che fu Putin a definire il crollo dell Urss la più grande tragedia geostrategica del Ventesimo secolo. Se Mosca dovesse riuscire impunemente a far cadere Saakashvili, il segnale sarebbe devastante per tutti i vicini, specialmente Ucraina e Azerbaijan. Intanto, le Divisioni corazzate Russe sostano in Georgia e già la politica rimanda dal primo al dieci ottobre il loro ritiro, dichiarazioni che a noi convincono poco in quanto, comunque, lo hanno dichiarato a Mosca, le basi militari vi saranno sempre mantenute. Non scordiamo infine che in questi ultimi anni la Russia ha rinsaldato i rapporti con Cuba, allacciato relazioni economiche e commerciali con India, Cina e Paesi Africani - questi ultimi ricchi di materie prime - e firmato contratti con il Venezuela per la vendita di armi, carri armati compresi, sommergibili e aerei da caccia per un valore stimato in 30 miliardi di dollari. Sarà un ritorno alla cosiddetta guerra fredda? A Washinton in molti lo negano ma staranno dicendo il vero? Giuseppe Parisi

12 AMBIENTE 12 LA VOCE DELL ISOLA E vero che resta poco meno di mezzo secolo di vita di sopravvivenza? Emergenza pianeta Terra dopo il saccheggio dell uomo di MELINDA MICELI Imutamenti climatici e l emergenza pianeta terra. Stando all ultimo, apocalittico rapporto del WWF, resta poco meno di mezzo secolo di vita di sopravvivenza alla Terra. Saccheggiato dalla voracità dell uomo, privato delle sue risorse naturali, il nostro pianeta finirà di esistere come unica oasi del sistema solare capace di alimentare la vita e si ridurrà a uno sterile ammasso di rocce. A parte le conclusioni, la base del rapporto consiste in un attendibile e minuziosa indagine scientifica sul deterioramento di ecosistemi, risorse e specie viventi rilevato negli ultimi 30 anni. Tre decadi in cui i ritmi di consumo delle società più industrializzate sono cresciuti in modo da diventare insostenibili per le riserve dell umanità; come calcolano gli esperti del WWF oggi per non far morire il pianeta dovremmo avere un impronta ecologica di circa 2, ma si va da 10 degli Usa, a 5 dell Europa occidentale a 2 dell Asia Centrale, fino a 1 dell Africa, mentre l indice complessivo di biodiversità, è passato da 100 a 65. In una recente analisi scientifica del Pentagono vengono forniti dati spaventosi, che però non dovrebbero sorprendere: dal 2010 cambiamenti climatici metteranno a repentaglio la sicurezza dell intero pianeta, l Europa sarà investita dalla fredda corrente del Golfo che trasformerà la In una recente analisi scientifica del Pentagono vengono forniti dati spaventosi, che però non dovrebbero sorprendere: dal 2010 cambiamenti climatici metteranno a repentaglio la sicurezza dell intero pianeta Gran Bretagna in una landa siberiana, l Olanda sarà devastata dalle tempeste e molte città europee verranno sommerse dall innalzamento dei mari; in più diventeranno palesi i conflitti già in corso per accaparrarsi le risorse energetiche e acquifere che verranno a mancare a 1/3 della popolazione mondiale. A questo proposito, gli Stati Uniti hanno messo a punto il sistema HAARP in Alaska, già operativo, in grado di concentrare onde elettromagnetiche in una determinata zona sulla terra riscaldandola e colpendo i centri nervosi di chi è presente. In visione di un conflitto mondiale per le risorse residue, esso rappresenta un arma di distruzione di massa celata perfettamente. Del riscaldamento globale si parla da 40 anni tale che si può benissimo dire che ne siamo diventati compiacenti. Due anni fa, per la prima volta nella storia il Polo Nord si è completamente disciolto. Per la prima volta navi militari e private hanno potuto navigare direttamente sul polo, poiché c'era solo acqua. Di solito, in quell'area c'erano sempre stati almeno tre metri di solido ghiaccio. Alcuni anni fa Greenpeace annunciò che la calotta polare perenne del Polo Nord era arretrata di circa 450 chilometri, ma nessuno ha ascoltato. Ora che le calotte polari si stanno sciogliendo, l'acqua dolce si sta riversando nell'oceano Atlantico, la densità salina sta diminuendo, e la Corrente del Golfo non va più molto a fondo, il che risulta in un rallentamento di questa corrente. La Corrente del Golfo, che gli scienziati chiamano convettore termoalino nord atlantico, è una corrente d'acqua calda proveniente da Sud dell'equatore, che scorre sulla superficie dell'oceano verso nord; quest' acqua calda evita che il Nord America e l'europa Occidentale e Settentrionale si ghiaccino. Con il rallentamento della Corrente del Golfo, il calore non raggiunge più la regione nord atlantica, e i modelli climatici incominceranno a mutare, poiché la loro stabilità dipende da quel calore. Le barriere coralline del mondo stanno morendo a causa del riscaldamento globale, e questo costituisce una seria minaccia per la maggior parte delle isole negli oceani, tra cui quelle del Pacifico. Probabilmente tutti coloro che vivono su un'isola dovranno presto abbandonarla, a causa dell'acqua marina salata che inquinerà le riserve d'acqua dolce. Di sicuro dovranno abbandonarle se il livello degli oceani salirà sensibilmente. E questa è solo la punta dell'iceberg. Se volessimo fare veramente sul serio e metterci a studiare tutte le bizzarrie del clima degli ultimi dieci anni (a partire dal rallentamento della Corrente del Golfo) incominceremmo a renderci conto per davvero dei radicali cambiamenti climatici globali a cui dovremo adattarci se vogliamo che l'umanità continui a vivere sulla Terra. E' troppo tardi secondo le previsioni della maggioranza degli scienziati mondiali per cambiare il corso di ciò che ha già incominciato a succedere. Tutto ciò che possiamo fare ora è prepararci allo shock. Caraibi, uomini e uragani un vero e proprio assedio di ERMANNO FILOSA Non vi è pace per il fascino dei Caraibi. Il bel tempo, il sole amico, il mare tranquillo e benevolo, stupendo azzurro-smeraldo, le aragoste consumate sull arenile, i balli, i canti, le movenze delle ballerine tutte curve, mulatte da sogno, dove sono? Deserto, arenili senza vita. Impara, caro Camillo. È continua l emergenza, e mentre scrivo queste brevi note sono circondato da venti a oltre 120 chilometri orari e acqua che si infila dovunque, da sotto le porte e attraverso le fessure delle finestre, nonostante la mia casa sia protetta da meccanismi anticiclone forti e potenti, oltre che costosi. Meno male che il personale di servizio oggi è venuto a lavorare, altrimenti sarei stato qui con l acqua fino a metà ginocchio nel contarvela bella. Anzi brutta. Da settimane è un vero e proprio assedio. Non si dorme, non si esce da casa, non si va al supermercati, non si vedono gli amici, i parenti. Università e scuole chiuse. Aereoporti chiusi. L ululato degli uragani è assordante, ti senti minacciato in forma permanente, avvilito, a tratti depresso e a disagio. Sperduto. Vorresti volare, essere farfalla, aquila, rondine di mare. Fantasma. Ci si sente sbalestrati. Tutto si fa per telefono, quando funziona, o per chat e internet. Dopo l uragano Gustav che ha lasciato morti e disastri in tutta l area dei Caraibi, con Haiti che conta centinaia di persone scomparse o morte e Cuba completamente devastata come se fosse passata la forza di una vera e propria bomba atomica, adesso siamo in balia di Hanna mentre al largo gia l uragano Ike di forza distruttiva 4 fa sentire il proprio potente ruggito, con venti a oltre 180 chilometri orari. È normale essere colti dallo smarrimento, da una preoccupazione permanente, mentre le immagini tv ci fanno vedere intere popolazioni dei Caraibi in mezzo all acqua, e le loro case invase dai fiumi ingrossati, e gli abitanti più agili appollaiati sui tetti delle loro povere casucce di legno, in attesa di soccorsi e aiuti...se arrivano e quando arriveranno. Soffri. E guardandoti attorno, comprendi con amara coscienza - in forma ansiosa e a volte dolorosa - che non tutti gli uomini sono uguali dinanzi agli uragani. Aspettiamo. Intanto la tempesta tropicale Ike si è rafforzata fino a diventare uragano di forza 4, come dicevo. E dietro sta arrivando Josephine, la decima tempesta tropicale della stagione. Lo stato di emergenza è permanente, per il disastroso passaggio degli uragani che ha causato inondazioni in molte città e incalcolabili danni materiali. Ike fa paura. La tempesta tropicale, che al momento si trova in pieno oceano Atlantico, è diventata un uragano, ed è stato classificato dal National Hurricane Center, il centro nazionale degli uragani (Nhc) di Miami, nella categoria 4 della scala Saffir-Simpson, quindi è considerato "estremamente pericoloso". Sempre secondo il Centro di Miami, Ike potrebbe raggiungere Haiti e la Repubblica Domenicana entro domenica. Ike è il quinto uragano della stagione e sta per approdare nel Mar dei Caraibi, all'altezza delle Antille. Una minaccia che ti toglie il respiro. Gli italiani residenti nei Caraibi mi chiamano e mi chiedono: Ermanno, che facciamo? Che succede, che cosa dici?. Rispondo che siamo nelle mani del destino e delle nostre fortificazioni anti-uragano. Loro sono ansiosi: ci vediamo, rispondo. Si, speriamo presto. Arriva anche Josephine. Non se ne può più. Josephine rimane una tempesta tropicale. ma potrebbe a sua volta trasformarsi in uragano. Anche Josephine, per ora, si trova in mezzo all'atlantico. Ma anche noi siamo qui, in mezzo all atlantico. Intanto la redazione di Italia chiama Italia, mi chiama e mi grida: Fai presto, manda il pezzo. Parlaci degli uragani. Mah!, che cosa si deve fare per essere coerenti con la parola data. Un impegno preso. Ma come ha fatto il nostro Cristoforo Colombo a scoprire l America senza essere travolto dagli uragani? Eppure veleggiava in pieno periodo di stagione dei cicloni e delle tempeste tropicali. Quando si dice il destino benevolo. Destino storico. Sì, proprio l Uomo inviato e protetto dal destino. Da riflettere.

13 LA VOCE DELL ISOLA Viaggio attorno alle antiche opere di fortificazione del capoluogo etneo Le antiche e inadeguate cortine 13 BENI AMBIENTALI salvarono Catania dal disastro di CORRADO RUBINO Siamo ormai al terzo appuntamento con i nostri racconti che ci hanno condotto e ci condurranno ancora lungo itinerari cittadini alla riscoperta delle opere di fortificazione realizzate durante la millenaria vita di Catania. Nei precedenti articoli abbiamo scritto delle fortificazioni dell epoca classica (senza avventurarci in leggende senza fondamento storico); abbiamo scritto del compito di fortezza che ebbe, in epoca normanna, l Ecclesia munita del vescovo-feudatario, rappresentante del potere non solo ecclesiastico, e dell altro simbolo del potere, quello imperiale di epoca sveva, che fu il Castrum Regium voluto da Federico II di Svevia e realizzato dal suo architetto Riccardo da Lentini. Ma, oltre a questi punti focali dell organizzazione della difesa del territorio, come si sviluppava la cerchia muraria medievale attorno alla città? Catania aveva delle mura a protezione dell abitato fin dall epoca classica? E perché di queste ultime non si è conservato quasi nulla? Come abbiamo già detto, per l epoca greca, Tucidide ci conferma (episodio di Alcibiade), che nel 415 a.c. Catania era una città cinta da mura e del resto non si può pensare ad una città siciliota non protetta da mura almeno fino alla conquista romana. Le mura erano, oltre che necessarie opere di difesa, un elemento fondamentale della vita e dell identità della comunità che viveva al loro interno: erano sinonimo di sicurezza, di orgoglio cittadino, di limite giuridico ed anche economico se si pensa che attraverso le porte, aperte nelle mura, l autorità locale riscuoteva i dazii sulle merci. Quando una città veniva conquistata spesso le sue mura di difesa venivano abbattute: era questo un gesto che segnava la definitiva sottomissione al nemico e la perdita di tutte le prerogative d indipendenza. Catania però ebbe sorte peggiore quando nel 476 a.c. fu conquistata da Ierone I, tiranno di Siracusa: la sua popolazione calcidese fu deportata a Lentini (anch essa sottomessa al tiranno dinomenide) e al suo posto furono insediati, secondo lo storiografo Diodoro, 5000 dori siracusani ed altrettanti dori peloponnesiaci e il suo nome fu mutato da Katane ad Aitna. Fu una vera e propria rifondazione della città. Ma non c è notizia della distruzione delle mura e inoltre alla morte del tiranno tutto tornò come prima. Dopo quindici anni dalla deportazione i catanesi si ripresero la loro città libera da tirannidi. Dopo la parentesi della spedizione ateniese contro Siracusa, che vide Naxos alleata di Atene, e Katana usata come base logistica dai greci invasori d oltremare, un altro tiranno siracusano, Dionisio, assalì nel 403 a.c. le libere città calcidesi per consumare l immancabile vendetta. Naxos subì l atterramento delle mura e delle torri, e per la seconda volta gli abitanti di Katane e Naxos furono deportati: ma questa volta furono venduti come schiavi e non fecero più ritorno alle loro città che vennero occupate dai mercenari di Dionisio. Col tempo, comunque, l abitato di Naxos fu lentamente abbandonato e quindi i moderni scavi archeologici (condotti dall archeologa Maria Costanza Lentini) hanno permesso di rimettere in luce gran parte del tracciato delle mura; mentre le mura di Leontinoi subirono un rafforzamento da parte del tiranno siracusano che aveva ripopolato la città con i profughi causati dalla guerra del 409 contro gli invasori cartaginesi. Anche in questo caso i moderni scavi archeologici hanno riportato alla luce una importante parte delle mura di difesa di Leontinoi che solo in parte sono state interessate dall urbanizzazione successiva del suo territorio. Catania invece, grazie alla sua favorevole posizione agro-commerciale, continuò a vivere e ad espandersi sullo stesso luogo soprattutto a partire dal periodo augusteo. È probabile quindi che le vicende urbanistiche successive all epoca greca abbiano contribuito in maniera determinante a far sparire la quasi totalità del tracciato delle cerchia muraria greca che comunque doveva principalmente racchiudere pressappoco l area della collina di Montevergine e la sottostante foce del fiume Amenanos. La mancanza di notizie (anche indirette) che facciano riferimento alla Tucidide ci conferma (episodio di Alcibiade), che nel 415 a.c. Catania era una città cinta da mura e del resto non si può pensare ad una città siciliota non protetta da mura almeno fino alla conquista romana cerchia muraria della città ci potrebbe far pensare che, dopo la conquista romana e la conseguente provincializzazione della Sicilia da parte del Senato romano, vengano meno le cosiddette esigenze belliche che giustificano la manutenzione di una cerchia muraria di cui, da un lato non se ne avverte più l esigenza e dall altro non racchiude più (in alcuni versanti) neanche tutta la città. A tale proposito lo studioso Lorenzo Bolano (della cui opera su Catania, scritta alla fine del 500, ci restano solo frammenti) cita, parlando delle antiche mura, una Porta di mezzo che era già stata distrutta ai suoi tempi e che dava il nome ad un antico quartiere. Anche se verso la seconda metà del 5 secolo d.c. Catania, come tutta la Sicilia, venne sconvolta da incursioni barbariche, non si hanno più notizie delle mura urbiche fino al 6 secolo d.c. cioè fino all epoca di Teodorico, il quale con un editto concede licenza ai catanesi di servirsi dei materiali caduti dalla sommità del vetusto anfiteatro per la ricostruzione di quelle parti delle mura esterne non più esistenti. Ma è proprio questa notizia, di una espressa esigenza dei catanesi di restaurare le mura, la prova evidentemente che la città avesse già una cerchia muraria anche se in pessime condizioni. Sarà stata, quindi, l assenza di un completo ed efficiente sistema di difesa murata che, cinquant anni prima, aveva indotto lo storiografo greco Procopio di Cesarea a testimoniare che allo scoppio della guerra gotica (456 d.c.) il generale bizantino Belisario si insediò a una città sprovvista di mura. Le cronache dei secoli successivi accennano ad attacchi alla città e a resistenze dei catanesi contro gli assalitori di turno: arabi, normanni, svevi, angioini e aragonesi. Questi ultimi (da Resti di una torre lungo le antiche mura aragonesi Federico d Aragona il Semplice in poi) soggiornarono molto a Catania scegliendo il Castello Ursino come residenza, ed anche se non esistono documenti che attestino la costruzione di una cerchia muraria aragonese è tradizione accettare che i tratti più antichi della cinquecentesca cerchia muraria di Catania siano di quel periodo. In realtà questi tratti di cortina, che presentano l antica tecnica fortificatoria del semplice muro di cinta intervallato da torri quadrate prominenti, potrebbero benissimo essere di epoca normanna (se non addirittura di epoche ancora più antiche) poi successivamente aver subito interventi in epoca aragonese. La forte probabilità che i tratti turriti siano di epoca normanna deriva dalla considerazione (Maria Giuffrè) che «tale continuità di interessi sembra in ogni caso da legare, per una città priva di porto, alla prerogativa di sede vescovile la cui importanza era stata sottolineata già in età normanna dalla costruzione della chiesa-cattedrale con ruolo di fortezza». Il racconto che accompagna la nostra passeggiata avrà come protagonista proprio questa parte più antica e meno conosciuta della cerchia muraria, o meglio quel che ne resta, e che era preesistente alle innovazioni tecniche dei baluardi e bastioni progettati dall ingegnere militare Ferramolino, realizzati tra il 1541 e il 1557, e che sostituirono le vecchie mura solo nei punti più esposti ma soprattutto a est sul fronte mare dove la minaccia era maggiore, e di cui parleremo nel prossimo e ultimo appuntamento. Per la nostra ricostruzione (che non è certamente di fantasia) ci serviremo in particolare dei lavori di tre ingegneri militari al servizio del re di Spagna: il primo lavoro è la pianta di Catania eseguita da Tiburzio Spannocchi nel L Arco di San Benedetto 1578, che è finora la più antica rappresentazione ortogonale del perimetro della città; il secondo è la pianta di Camillo Camilliani disegnata nel 1584, e il terzo è il disegno di Francesco Negro eseguito intorno al Un anonimo rapporto degli anni descrive così la città: «È circondata la città tutta di mura, gran parte antiche et inuguali, con infiniti angoli, et molti torri quadri anco alla antica». In effetti la città, fino alla prima metà del 500, risulta essere racchiusa da una cortina composta da un tortuoso susseguirsi di muri e torri per la maggior parte quadrate, e dalla quale si entrava e si usciva attraverso delle porte che nella maggior parte sono rimaste le stesse anche dopo. In alcuni tratti però questa cerchia era in realtà formata dal succedersi ininterrotto di case costruite sulle mura o addirittura al posto delle mura: le case-mura, che erano presenti soprattutto nel tratti del versante est. Nei punti più sensibili, poi, erano state costruite torri all esterno della cerchia muraria, a meno di un tiro di balestra, allo scopo di rafforzare le difese e migliorare gli avvistamenti. La tortuosità dei tratti antichi delle mura è stato in effetti un rompicapo per gli studiosi moderni, fino a quando non è saltata fuori una bella veduta panoramica dal lato sud della città di Tiburzio Spannocchi che chiarisce il motivo di questa eccessiva tortuosità dell andamento delle mura che guardavano verso Lentini e la piana. Il disegno mostra che le mura (normanno-aragonesi), seguivano in realtà il bordo di un terrazzamento naturale del terreno e pertanto dovevano sfruttare il dislivello naturale per risultare più alte viste dall esterno; quindi, dal lato meridionale ed occidentale della città, il recinto non cingeva tutto ciò che era costruito ma, escludendo moltissime case, chiese, conventi e torri isolate (tutte di antichissima costruzione), includeva solo le costruzioni che sorgevano all interno del terrazzamento. Nel tratto fronte mare le mura seguivano il limite della spiaggia e quindi solo nel tratto orientale e in quello settentrionale doveva effettivamente racchiudere tutto l abitato con le cosiddette case-mura descritte dal Locadello, un altro ingegnere militare. Il dislivello non esiste più perché fu colmato dall eruzione del 1669, e Catania si salvò dal disastro proprio grazie a quel dislivello e alle mura medievali del versante ovest che, anche se non più utili alla difesa dai nemici, la difese dalla lava facendola incanalare verso il mare. Infine una piccola curiosità: un ricordo di quel dislivello del terreno si può riconoscere nel nome popolare dato alla nuova «strada della Vittoria» (via del Plebiscito) che, aperta sopra le lave dopo il 1670, i catanesi continuavano a chiamare «strada del vaddazzu», cioè del vallone, riferendosi evidentemente all antico toponimo della zona. Il nome vaddazzu fu nel secolo 19 corretto e italianizzato in Gallazzo, come compare nella carta di Sebastiano Ittar del 1832 che riporta: «Strada del Gallazzo e propriamente della Vittoria».

14 BENI AMBIENTALI 14 LA VOCE DELL ISOLA Agli inizi del 500 i concetti di difesa delle mura della città cambiarono totalmente Visibili le opere Aragonesi che proteggevano Catania di CORRADO RUBINO Iniziamo la nostra passeggiata virtuale dal lato che anticamente era fronte mare dove però oggi i baluardi e i bastioni cinquecenteschi hanno sostituito le vecchie muraglie preesistenti: per intenderci lungo il tratto che va da Castello Ursino, lungo la chiesa-fortezza di Sant Agata e oltre, fino al bastione di San Giuliano (l attuale Collegio Cutelli). Quando l ingegnere militare Spannocchi disegnò la cerchia muraria di Catania i nuovi bastioni progettati dal Ferramolino erano già stati realizzati e quindi non sappiano esattamente come proseguivano le antiche mura, ma dai nomi delle contrade e da alcuni atti pubblici del 400 e della prima metà del 500 apprendiamo diverse notizie. Sotto il castello si svolgeva l attività di concia del cuoio. La contrada delle conzarie si trovava extra moenia subtus Castru Ursini, vicino un antica porta chiamata della consaria o dei currulaturi che erano coloro i quali rifinivano le pelli di cuoio lavorate dai conciatori. Subito dopo, andando verso i ruderi delle terme romane dette poi dell Indirizzo, si incontrava prima il macello dei giudei, poi la contrada del macello inferiore (detto anche magno), e andando oltre quella del malcocinato (cioè la pescheria) che era dove oggi c è la chiesa della Madonna dell Indirizzo. Poco distante, fra le mura ed il mare, vi era l abbiviratura di la conzaria o l abbiviratura magna della città, chiamata poi yamma cita (gammazita). In questa zona della spiaggia erano diversi i canali d acqua che sfociavano in mare, e che poi vennero imbrigliati e sistemati in saje, fontane o lavatoi. In realtà si trattava delle acque del fiume Amenano (da sempre a carattere torrentizio e in gran parte dell anno sotterraneo) che alla foce si apriva faticosamente in tanti rivoli. Oltre si arrivava alla dogana vecchia (piazzetta Pardo) davanti alla porta dei Canali. Le mura medievali probabilmente proteggevano il fianco meridionale della Cattedrale che guardava il mare e che elevandosi, ancora integra nella sua volumetria originaria, oltre le mura stesse, con i propri camminamenti merlati (dei quali ancora esiste qualche resto), dominava l antico Porto saracino (villa Pacini e il posteggio di piazza Borsellino). Ma la Cattedrale non assolveva già più alla funzione di ecclesia munita che i normanni le avevano attribuito. Invece l alta torre campanaria, eretta dal vescovo Simone del Pozzo nel 1388, faceva parte del sistema di torri costiere di avvistamento volute la Ferdinando il Cattolico lungo tutto lo sviluppo delle coste siciliane. Nel porto di Catania vi erano due approdi: uno era il molo Caricatore, di fronte alla porta delle Concerie, destinato all esportazione delle granaglie, e nei cui pressi vie era un magazzino; l altro era lo Scaricatore che si trovava più ad ovest, davanti alla porta del Porticello e prossimo alla dogana nuova. Fuori le mura, sulla scogliera, sorgeva l antica chiesetta del Salvatore e lì vicino faceva buona guardia una torre concessa nel 1478 al nobile Perruccio Gioeni. Altre torri si ergevano nel quartiere della civita, e i proprietari erano sottoposti a vincoli in caso di crisi. Poco prima degli scogli del Salvatore (alla fine di via Dusmet) il muro rigirava verso settentrione, (lungo l attuale via Porta di ferro) e poco più in la si apriva una porta di fronte al convento di San Francesco di Paola. Le muraglie, costituite da case-mura, si allungavano sino all area dove oggi sorge il Collegio Cutelli passando vicino al monastero di S. Giuliano che aveva la sua Nelle immagini, disegni delle mura sud di Catania Recenti scavi archeologici lungo le fondamenta della chiesa del Carcere di Sant Agata hanno confermato la forma del recinto medievale, disegnato dagli ingegneri militari, che racchiudeva dal lato nord questo luogo di culto facciata nell attuale via San Gaetano. Oggi, addentrandosi fino in fondo nel piccolo vicolo della sfera (via Landolina), è ancora visibile un breve tratto delle casemura che, dopo la metà del 500, furono collegate al nuovo bastione di San Giuliano. Andando verso piazza Scammacca il tracciato di questa cortina di muraglie si congiungeva, nei pressi dell attuale chiesa di Sant Orsola, alla posterla Ioenio. Le posterle erano piccole aperture secondarie che si praticavano nelle mura di cinta lontane dalle porte principali; vere e proprie scorciatoie per oltrepassare la cortina. Dalla posterla Ioenio si andava verso la chiesa di Maria SS. Annunciata dei Padri Carmelitani che era la prima tappa che Sant Agata faceva durante l annuale giro attorno alla città. Il convento, confinante con il piano di Grottabianca (piazza Carlo Alberto), venne innalzato nel sito attuale sulle rovine della chiesa, che, secondo la tradizione, San Leone II, vescovo di Catania, aveva edificato in onore di S. Lucia. Altra tradizione vuole che il fercolo di Sant Agata vi si recasse perché in essa vi era il luogo della sua prima sepoltura. La teoria dei muri e delle torri continuava attraversando via A. di Sangiuliano, via Recalcaccia, via Montesano (zona sulla quale iniziarono poi i lavori di costruzione del bastione di San Michele che invece rimarrà incompleto). Qui, presso le mura, vi era una torre detta di San Michele che, fu concessa in perpetuo al magnifico Giovan Girolamo de Asmari barone di Bonvicino e ai suoi eredi. Come si vede era prassi normale vendere torri, appartenenti al patrimonio civico, a privati di rango allo scopo di incassare i proventi della loro vendita e scaricare l amministrazione pubblica dalle spese di manutenzione. La cortina, piegando in direzione dei resti dell Anfiteatro si congiungeva alla porta di Aci che, secondo le piante disegnate dagli ingegneri militari che hanno rilevato la cerchia muraria di Catania prima e dopo la colata lavica del 1669, è da collocarsi in via Neve (piccola stradina parallela a via Etnea) a metà della quale sono ancora visibili i resti della chiesa di S. Carlo Borromeo (rimasta illesa dal terremoto). La porta di Aci, detta anche Stesicorea, era una delle porte più trafficate, attraverso la quale le merci andavano e venivano dai casali dell Etna e i viaggiatori, in lettiga o a cavallo, andavano e venivano da Aci Castello, da Taormina e dalla val Demone. Un altra piccola curiosità: la porta di Aci non esiste più, ma ce n è rimasta una raffigurazione (forse l unica) che possiamo osservare nel secondo pannello di destra del coro ligneo della Cattedrale. Questo pannello fu realizzato dallo scultore del coro su disegno di Tiburzio Spannocchi che conosceva bene com era fatta. I resti dell anfiteatro restavano fuori dalla cerchia muraria che sfruttava la parte meridionale del suo ellisse annoverato tra i più grandi del mondo romano. Restavano fuori anche numerose vestigia delle necropoli classiche e fu, forse, la grande presenza di marmo che favorì la presenza in questa zona di diverse carcare e fornaci per lavorare la calcina. Fuori da questa porta della città si svolgevano, nel 400, gare di tiro con la balestra. Il premio ai vincitori consisteva in una tazz a di fino argento con incise le armi della città a lu fondu, insequestrabili da privati e da pubblici ufficiali. Ogni tazza veniva messa in palio in un torneo che durava sei domeniche (una domenica sì ed una no) a c ominciare dal la seconda domenica di quaresima: d istanza cento passi, e non si cominciava se non si erano iscritti almeno 12 giocatori ogni domenica. Dalla porta di Aci le muraglie, volgendo verso ovest e sfruttando, come abbiamo detto, la parte sud dei resti dell anfiteatro romano (via del Colosseo, villa Cerami), salivano fino alla chiesa di Sant Agata la Vetere e alla chiesetta di S. Pietro, fabbricata sopra il carcere di Sant Agata. Recenti scavi archeologici lungo le fondamenta della chiesa hanno confermato la forma del recinto medievale, disegnato dagli ingegneri militari, che racchiudeva dal lato nord questo luogo di culto probabilmente non incluso, in tempi più remoti, nella cerchia muraria. Fuori da questo tratto di mura restavano: l ospizio dei Padri Benedettini, che venivano da S. Nicolò l Arena (al posto di palazzo della Borsa); la strada della Concordia fora di la città che conduceva alla lontana selva di Santa Maria di Gesù; la chiesa di Sant Antonio, che era costruita sopra il colombario di Sant Euplio. Un po più distante, verso nord restava fuori dalle mura anche la chiesa di Santa Maria la Grande dei Padri Domenicani che, prima di esserne cacciati definitivamente dal re Martino il giovane, avevano il loro convento vicino al Castello Ursino (dove è ora la chiesa di S. Sebastiano). Nei pressi della chiesa di Sant Agata la Vetere vi era la porta del re cosiddetta perché si dice aperta da Federico II di Svevia, e fuori dalla quale, si diceva, c era il sepolcro del legislatore Caronda. Entrando dalla porta del re, lungo l attuale via Santa Maddalena all altezza dell Istituto Pio IX, si innalzava la massiccia torre di don Lorenzo Gioeni, che dalla sommità della collina di Montevergine sovrastava la città. Dal disegno di Spannocchi la torre (di cui non resta traccia) sembra avere avuto un impianto quadrato con muri a scarpa. Le cronache erudite attribuiscono il dongione all età sveva con scopi chiaramente difensivi eretto nel luogo più eminente della città, e poi infine fu adattato a residenza. Dopo la porta del re le mura continuavano (se possono vedere i resti all interno della chiesa della Purità e del cortile della scuola media Manzoni), sempre con la sequenza muro-torre, fino alla contrada Torre del Vescovo dove oggi si vedere un importante tratto di mura medievali con le sue due torri e ancora esistono resti in via Albergo e oltre, in via Botte dell acqua, dietro l attuale liceo Spedalieri. Queste antiche torri che si susseguivano lungo tutto il perimetro delle mura avevano la base quadrata di circa 5 metri per lato (2 canne e mezzo per lato). Ci piace precisare che l individuazione della torre, donata nel 1370, al vescovo catanese Antonio de Vulpone, vescovo di Milevi, con una delle torri della cerchia muraria (quella che ha perfino l indicazione turistica a fianco), non risulta essere corretta. La torre di Vulpone (non più esistente) era sì in quella zona, ma distante dalle mura, come punto di difesa avanzata, e dava pertanto il nome alla contrada. In questa zona, poco distante fuori le mura, vi era anche la contrada della Gurna di Anicito (o Nicito). Il laghetto (gurna), non doveva essere molto grande e comunque forse più visibile d inverno, con l ingrossamento della acque dell Amenano, anziché nella bella stagione quando si prosciugava. Le mura proseguivano verso la contrada dell Arcora, dove c era una posterla con lo stesso nome. Era chiamata così, perché il quel punto fuori dalle mura, erano ancora ben visibili le 38 arcate che rimanevano dell acquedotto romano di Marcello, che nel medioevo erano chiamate Arcura. Le mura rivolgendosi ora verso sud passavano non lontano dalla chiesa di San Giovanni lu Palummaru il cui campanile faceva a gara in altezza con il campanile della Cattedrale. Nel lato che guardava verso Siracusa, la cerchia muraria seguiva, come abbiamo già detto il bordo di un terrazzamento naturale fino ad un altra importante porta della città che era quella della Decima (Dazio). La porta della Decima era ricavata nel corpo di una torre che era attaccata alla parete nord della chiesa di San Giuseppe tanto che il suo campanile era stato costruito sulla torre stessa. La porta era chiamata così perché c erano i magazzini della Decima appartenenti al Vescovo. Vi era anche un incaricato del Comune per «scrivirvi li frumenti ki intranu a la porta di la dekima e per custodiri la porta». Nella veduta disegnata da Spannocchi si notano, fuori dalla porta della Decima, i ruderi del Circo o Ippodromo di età romana (di cui scrive anche Lorenzo Bolano). Questi ruderi, nel 500, dovevano essere ancora ben visibili se Spannocchi riesce a darne compiuta forma nella pianta della città e ne mostra in prospettiva le alte mura esterne con fornici e le cavee interne: tanto visibili che davano anche il nome di «muro rotto» a tutta la contrada. Al muro rotto si apprendeva l uso di maneggiare i cavalli. Anche da questo lato rimanevano fuori dalle mura antiche chiese e conventi, opifici per la lavorazione della creta, un trappeto e poi vi era la strada delle ruote che andava verso il mare, dove i maestri cordai effettuano la cordatura delle funi per mezzo di ruote che servivano ad intrecciarne i singoli fili. Da qui in poi si passava sotto le alte e potenti mura del Castello Ursino; ma ancora per poco. Già verso la metà del 400 le fonderie dei grandi regni europei cominciarono a produrre i primi rudimentali affusti di pezzi di artiglieria che poi, agli inizi del 500, vennero prodotti in bronzo e sparavano proiettili non più di pietra ma di ferro. Anche le navi cominciarono ad essere armate con cannoncini e colubrine e quindi i concetti di difesa statica delle mura delle città cambiarono totalmente. Le alte mura che circondavano le città medievali, intervallate da ancor più alte torri, non rispondevano più alle esigenze difensive e quindi si comincio a riprogettare, in tutto il regno di Spagna, nuovi baluardi e nuovi bastioni di cui però parleremo nel prossimo numero.

15 LA VOCE DELL ISOLA La Royal Bank of Canada sta allertando tutti i propri clienti 15 ECONOMIA Carte di credito a rischio occhio alle nuove truffe di MANUELA RUSSO * Una delle più importanti banche del Canada (più precisamente la Royal Bank of Canada) sta allertando tutti i propri clienti circa una nuova truffa ai danni di possessori di carte di credito (VISA, Mastercard, etc.) che si sta allargando a tutto il continente americano ed è molto prevedibile che prestissimo raggiungerà l Europa... OCCHIO, RAGAZZI! La truffa si sta diffondendo dal Canada con velocità impressionante. In particolare si tratta di un modo piuttosto furbo per truffare i possessori di carte di credito, poiché questi malviventi hanno già i numeri di serie della carte e quindi NON VI CHIE- DONO IL NUMERO DI SERIE DEL- LA VOSTRA. Questo avvertimento potrà essere molto utile in quanto una volta capito come funziona la truffa sarete preparati e protetti dal pericolo. Funziona cosí. La persona vi chiamerà al telefono dicendo: Buongiorno, mi chiamo (nome e cognome) e La sto chiamando dall ufficio antifrodi della VISA (oppure Mastercard, American Express, ecc.). La mia matricola di funzionario VISA è la Le telefono perché la Sua carta è stata segnalata dal nostro sistema di sicurezza per aver fatto un acquisto insolito e io sono qui per verificare insieme a lei se si tratta di qualcosa di illegale oppure no. Guardi, si tratta della sua carta di credito VISA emessa dalla Banca...(vi dirà il nome della vostra banca). Lei ha per caso acquistato recentemente dei biglietti aerei (o qualsiasi altra cosa) per dollari (oppure euro) da una società via Internet che ha sede in...? Mentre voi risponderete di no, il falso funzionario continuerà dicendo: Guardi, Le spiego brevemente, si tratta di una società che stiamo tenendo d occhio poiché effettua degli addebiti tra 297 e 497 dollari (euro) per volta e restando sotto i 500 dollari non è facilmente controllabile, dato il gran numero di transazioni che effettua ogni giorno in tutto il mondo. Ad ogni modo, se lei mi conferma di non aver effettuato con la sua carta nessun acquisto Internet per biglietti aerei di questo importo, con il suo aiuto abbiamo potuto appurare che si tratta di un tentativo di frode e così questa somma In particolare si tratta di un modo piuttosto furbo per truffare i possessori di carte di credito, poiché questi malviventi hanno già i numeri di serie della carte e quindi non vi chiedono il numero di serie della vostra carta Lei la vedrà addebitata sull estratto conto del mese ma le verrà contemporaneamente eseguito lo storno per lo stesso importo non dovuto, così alla fine il saldo sarà pari. L estratto conto verrà inviato come al solito al suo indirizzo che ci risulta essere via..., è corretto? risponderà, abbia cura di dargli il codice di questa pratica che è il... (vi darà un numero a sei cifre) così che potrà rispondere a tutte le sue domande. Ha annotato il codice della pratica? Vuole che glielo ripeta? A questo punto inizia la parte IM- PORTANTE della truffa. Il falso funzionario vi dirà: Un ultima cosa ancora. Avrei bisogno di verificare se lei è davvero in possesso della sua carta: ce l ha in mano in questo momento? Ok, allora dia uno sguardo ai numeri che trova sul retro: se guarda bene vedrà due numeri, uno di quattro cifre che è una parte del numero di serie della carta e l altro di tre cifre (Codice di Sicurezza) che dimostra che Lei è in possesso della carta. Queste ultime tre cifre sono quelle che vengono normalmente utilizzate per gli acquisti via Internet, poiché sono la prova che Lei possiede fisicamente la carta. Me li può leggere per favore? Una volta che glieli avrete letti, lui dirà: Ok, codice corretto. Avevo solo bisogno della prova che la carta non fosse stata persa o rubata e che ne eravate ancora fisicamente in possesso. Ha qualche altra domanda da farmi? Dopo che voi avete risposto di no, lui risponderà: Molto bene, La ringrazio della collaborazione. In ogni caso non esiti a contattarci per qualsiasi necessità: buongiorno. E metterà giù il telefono. Da parte vostra vi sentirete sollevati... hanno tentato di truffarvi, ma il solerte servizio antifrodi della VISA vi ha salvati in tempo. In fondo non gli avete detto quasi niente di importante e lui non vi ha mai chiesto il numero della carta... INVECE HA GIA INCASSATO I VOSTRI SOLDI! Già, perché gli avete letto i tre numeri del codice di sicurezza e CER- TAMENTE li ha già usati per addebitare la vostra carta. Infatti quello che i truffatori vogliono è proprio il codice di sicurezza a tre cifre sul retro della carta: gli altri dati se li erano già procurati, compreso il titolare, la data di emissione, di scadenza, il numero di serie della carta e persino il vostro indirizzo... Mancava solo il codice di sicurezza! Se vi dovessero chiamare con le modalità appena descritte, non date nessun riferimento e ditegli che chiamerete direttamente la VISA (oppure Mastercard, ecc.) per la verifica della conversazione: le società che emettono le carte di credito NON VI CHIE- DERANNO MAI DEI CODICI: LO- RO LI CONOSCONO PRIMA DI VOI!!! Per favore, diffondete queste informazioni ai vostri familiari ed amici. E voi direte ovviamente di sì... Allora lui/lei continuerà dicendo: Ok, a questo punto apro una pratica interna antifrode. Se lei avesse qualsiasi domanda o chiarimento da chiederci, chiami il nostro numero verde e chieda dell ufficio antifrodi Internet: quando un mio collega le * Banca d Italia Servizio Informazioni Sistema Creditizio Largo Guido Carli, Vermicino - Frascati (Roma) tel fax Mailto: manuela.russo@bancaditalia.it

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17 Oggi quando si parla di pirati la nostra fantasia viaggia subito verso il Mar dei Caraibi, verso le Antille, lungo la rotta dei galeoni carichi d oro e d argento dove le gesta dei bucanieri e dei filibustieri hanno ispirato e ispirano fiumi di letteratura e film di avventure Pirati e corsari nel Mediterraneo di CORRADO RUBINO La brutta stagione era passata e il tempo del primo raccolto era già arrivato. Nei campi, quelli vicino al mare, la gente del villaggio, di buona mattina, stava già lavorando china sulla terra per strapparle il frutto di quello che avevano seminato. L anno prima il raccolto non era stato un granché. Ma non solo era stata una brutta annata a Punta Secca ma anche in tutta la contea di Modica e il conte Manfredi Chiaramonte aveva dovuto aprire i granai e contenere le spese. La giornata era tranquilla limpida e una leggera brezza di ponente aveva portato via le poche nuvole mattutine. Il sole già alto riscaldava l aria ancora frizzante e così anche i bambini approfittando della vicinanza del mare erano usciti per giocare sulla sabbia della piccola rada e a bagnarsi in mare i piedi nudi. Dai campi si poteva vedere il villaggio e in lontananza le case di Santa Croce. Pietro, il campiere, stava poco distante, su una duna di sabbia, fermo sul suo cavallo arabo che gli era stato regalato dal conte in persona in cambio della sua fedeltà durante uno scontro con i Ventimiglia. Pietro detto mano di ferro, per via del guanto rinforzato con placche metalliche che calzava solo nella mano destra, prima di fare il campiere dei Chiaramonte, era stato un uomo d armi ed era sopravvissuto a molte battaglie non solo grazie alla buona sorte. Viso scavato dal tempo, cervello fino, occhi neri e profondi aveva la vista di un falco e l intuito di una volpe. Quella mattina si guardava attorno in continuazione; era il suo mestiere quello di controllare tutto e tutti, ma quella mattina in particolare era nervoso e il suo cavallo lo stesso. Era un uomo legato alla terra, odiava il mare e faceva fatica pure a guardarlo. Quella distesa d acqua sempre in movimento lo innervosiva; nascondeva pericoli. I pescatori erano uomini che non capiva; per lui erano braccia tolte ai campi; lui poteva fare a meno anche del pescato e poi c era quell odore di sentina, di pesce marcio che lo faceva vomitare. Sentiva quell odore a miglia di distanza. Dopo aver dato un occhiata ai bambini che giocavano ai piedi della duna, di colpo alzò le testa verso il mare, come se avesse sentito quell odore infernale. Vide sull orizzonte le vele di due sciabecchi venire verso la rada da occidente a favore di vento. Rimase immobile e aguzzò la vista per qualche secondo. Poi sibilò: Vergine Maria! sunnu pirati maliditti pirati. Pochi istanti gli bastarono per essere certo di cosa stavano vedendo i suoi occhi: ebbe uno scatto. Pietro affondò gli speroni nei fianchi del cavallo e si lanciò lungo la spiaggia gridando: all armi li saracini li saracini all armi li saracini alla marina via, via tutti! Il terrore si dipinse improvvisamente sui volti dei contadini. I bambini corsero via dalla spiaggia e tutti, abbandonati i campi, corsero verso il villaggio. La sola vista delle navi pirata già terrorizzava gli abitanti di villaggi e città. Se non avessero fatto in tempo ad allontanarsi il loro destino sarebbe stato segnato. Questa è una scena, che pur essendo di nostra fantasia, rispecchia quanto accadeva spesso lungo le coste del Mediterraneo fino ai primi del 19 secolo.

18 SPECIALE 18 LA VOCE DELL ISOLA Cattivi, violenti, allegri, sbruffoni o gentiluomini, erano in realtà feroci briganti che percorrendo Ancora oggi è tempo di pirati continua a rimanere legata all di CORRADO RUBINO Oggi quando si parla di pirati la nostra fantasia viaggia subito verso il Mar dei Caraibi, verso le Antille, lungo la rotta dei galeoni carichi d oro e d argento dove le gesta dei bucanieri e dei filibustieri hanno ispirato e ispirano fiumi di letteratura e film di avventure. Errol Flynn (per gli over 50) e il giovane Johnny Deep sono solo un esempio tra i molti attori che hanno dato vita a questa figura romantica del pirata o del corsaro. Bandane, visi scavati dal sole e dalla salsedine, la benda nera su un occhio, il Jolly Roger sempre a caccia di tesori: lo stereotipo è questo. Cattivi, violenti, allegri, sbruffoni o gentiluomini i pirati erano in realtà feroci briganti che percorrendo il mare, in lungo e in largo con proprie navi, depredavano altre navi o i villaggi lungo le coste per impadronirsi di tutto quello che capitava loro a tiro a fini esclusivamente personali e per i quali la vita umana valeva meno di niente. Ma anche questa, per così dire attività di auto sostentamento nasce nel Mediterraneo. La pirateria fu esercitata nel nostro mare fin da tempi remoti; è legata quindi al mare stesso, nata con i primi naviganti. Lo storico greco Tucidide (I, 4 seg.) ci dà notizie sulla pirateria che veniva praticata nell antichità già prima del suo tempo. Quando gli antichi abitanti delle località costiere della Grecia e delle isole cominciarono ad avere frequenti scambi commerciali per mare con i barbari mediorientali, cominciarono anche a rapinare i commercianti più ricchi. Le imbarcazioni pirata erano guidate dai capi tribù che, oltre ad arricchirsi essi stessi, rubavano per dare sostegno ai più deboli del loro popolo. Senza tanti scrupoli aggredivano popolazioni indifese sparse nei villaggi a poca distanza dal mare. Ed è per questo che le città più antiche lungo le coste dell Egeo erano poste a una certa distanza dal mare. Ma la cosa in se, scrive Tucidide, non era ancora considerata vergognosa; anzi, recava onore e notorietà. Tucidide stesso è testimone che, ancora ai suoi tempi (nel 5 sec. a.c.), alcune popolazioni del continente greco si vantavano di fare pirateria e gli uomini mantenevano il costume di andare in giro sempre armati così come si faceva nei millenni precedenti. Ancora lo storico greco racconta che Minosse, il mitico re di Creta, fu il primo a costruire una flotta con la quale dominò l Egeo, e fece i primi tentativi di liberarlo dai pirati Cari e Fenici, agevolando il trasporto dei tributi a Creta. A quel tempo (19-15 sec. a.c.) nel Mediterraneo orientale, gli abitanti delle coste meridionali dell Anatolia e della Fenicia erano già audaci pirati; le loro scorrerie sono ricordate dai monumenti egiziani. Ancora prima, il poema di Omero ci fa sapere che i prìncipi greci non disdegnavano affatto di fare pirateria, e l esercito greco sotto Troia si mantenne specialmente con i frutti della pirateria. Documenti assiri dell 8 e 7 secolo ricordano pirati greci che si spingevano fino alla Siria. Torre di avvistamento contro i pirati Oggi essere pirati è tornato di moda; ci si vanta di essere pirati perché fa ancora comodo l immagine romantica e tenebrosa del personaggio. In effetti non c è proprio nulla di romantico nel ladrocinio, nella ruberia, nel plagio, nella pirateria di alcuni commercianti, di certi impresari; nella pirateria di un editore o di uno scrittore. Nel 7 secolo, le città industriali e commerciali greche crearono flotte da guerra a protezione del commercio marittimo: per prima Corinto (Tucid., I, 13). Ciò frenò, ma non distrusse, la pirateria, che, come vedremo, sarà esercitata in grande stile. È difficile, nel mondo antico, distinguere la pirateria, nel senso moderno, dalla guerra di corsa, dalla rappresaglia, dalla stessa guerra marittima: essa era alle volte anche una forma violenta di protezione del proprio commercio in taluni mari. I turbamenti prodotti dall avanzata dei Persiani verso l Egeo, diedero nuovi stimoli alla pirateria. Nella seconda metà del 6 secolo Policrate, tiranno dell isola greca di Samo (la più orientale delle isole Sporadi), che governò dal 540 al 522 a.c., pensò di sostenere il suo potere esercitando la pirateria e mantenendo nell Egeo una flotta che giunse a contare sino a quaranta triremi per le sue sortite. Riuscì, negli anni successivi alla conquista persiana della Ionia, a creare un impero marittimo nelle isole Cicladi; ma, pur essendo un tiranno illuminato, non seppe guadagnarsi la simpatia ne dell aristocrazia locale, ne degli stessi persiani che lo ritennero un alleato poco affidabile e pericoloso. Riuscì a respingere un attacco di spartani e corinzî a Samo, ma non riuscì a sfuggire ai persiani: questi ultimi, non fidandosi di lui, finirono per liberarsene per mano del governatore persiano Oreste (il satrapo di Lidia) che lo attirò in un tranello e lo fece giustiziare come traditore del re di Persia e ne fece crocifiggere il cadavere. Gli avvenimenti dei quaranta anni successivi nell Egeo non diedero molto spazio alla pirateria ed una certa tranquillità sul mare fu portata dalla costituzione nel 478 della lega Delio-attica capeggiata da Atene e dal dominio incontrastato della flotta ateniese che assicurò la libertà dei mari greci, distruggendo fra l altro alcuni pericolosi nidi di pirati nel nord dell Egeo. Ma con la guerra del Peloponneso la pirateria risorse assieme alla guerra di corsa, che, con brevi periodi di decrescenza, continuarono per tutto il 4 secolo. Alessandro Magno ordinò energiche azioni contro i pirati, però, con le guerre scatenate sotto i suoi successori, i pirati ebbero nuova linfa costituendo flotte regolari mercenarie al servizio dei principi contendenti, e soltanto quando i Tolomei e specialmente l isola di Rodi (centro del commercio marittimo del 3 e 2 secolo), acquistarono il dominio del mare si pensò a liberarlo dai pirati che, nel Mediterraneo orientale, continuavano ad avere le loro basi in Cilicia, a Creta e nell Etolia. Nel Mediterraneo occidentale, furono abili pirati gli Illirici, i Liguri e specialmente gli Etruschi (Tirreni), che si spingevano fin nei mari greci. I Greci, specialmente i Siracusani, sostennero dure lotte per contenere i pirati etruschi nel Tirreno e per batterli poi nel loro stesso mare. Dal 4 secolo a. C. la difesa delle coste italiane fu assunta da Roma con le sue colonie e le navi degli alleati; e nel 229 una flotta romana dovette entrare nell Adriatico per combattere i pirati illirici, che avevano sempre reso malsicuro quel mare, nonostante le misure di Atene e di Siracusa. Tuttavia la repressione della pirateria nell Adriatico richiese quasi due secoli, sino alla guerra condotta sulle sue rive settentrionali da Augusto nel 35-4 a.c. Gli Illiri occupavano gran parte del versante adriatico della penisola balcanica (Albania, Montenegro, Bosnia, Croazia, Istria), ma per i Romani il regno dei pirati Illirici era pressappoco l odierna Albania. Si era costituito nel 3 secolo a.c., e dal 231 aveva a capo la regina Teuta. I ripetuti assalti compiuti dai pirati illirici ai danni dei commercianti italici e delle città adriatiche, indussero il Senato romano ad inviare due ambasciatori presso la regina Teuta per chiedere conto di tale situazione. Non solo la regina non diede nessuna spiegazione ma ordinò di attentare alla vita di uno dei due ambasciatori. A Roma non si perse tempo a far scoppiare la prima guerra illirica nel 229 che nel giro di un anno si concluse con l inevitabile sottomissione di Teuta e la stipula di un trattato che impose agli illirici il passaggio dei loro possedimenti sotto il dominio di Roma e di non navigare con più di due navi a sud di Lisso (Alessio - attuale Lezhë): in pratica dal confine settentrionale dell Albania in giù. Ma le navi dei pirati illirici continuarono a terrorizzare l Adriatico anche dopo che nel 168 i Romani occuparono tutta l Illiria e la Dalmazia. Questi pirati saranno definitivamente sconfitti soltanto al tempo di Augusto. In Oriente, la decadenza o la scomparsa delle flotte elleniche in seguito alle grandi guerre coi Romani, e soprattutto con la caduta di Rodi, dopo la terza guerra macedonica, la pirateria divenne, nei secoli 2 e 1, un fenomeno gravissimo in proporzioni mai raggiunte prima, sulle coste meridionali dell Asia Minore. Dalla metà del 2 secolo le coste fra l Anatolia e la Siria (Cilicia Aspra) offrivano eccellenti basi per le operazioni dei famosi pirati cilici. Anche i cretesi ripresero le loro antiche abitudini piratesche. I Romani, che all inizio della loro presenza nel Mediterraneo non avevano flotta permanente, poco o nulla fecero per affrontare il male; anzi i pirati adempivano a un importante funzione economica, come fornitori di masse di schiavi. Mitridate, re del Ponto, entrando nell 88 in guerra con Roma, chiamò a sé da ogni parte i pirati, che divennero suoi preziosi alleati e parte essenziale delle sue forze di mare, e quando poi nel 74 scoppiò la terza guerra mitridatica e si ristabilì l alleanza fra il re del Ponto e i pirati, quelli furono gli anni del massimo sviluppo della pirateria, alla quale si davano tutti i fuorusciti e le vittime dei sconvolgimenti politici del tempo. Organizzati in forti squadre, che comprendevano non più solo piccoli vascelli, ma anche triremi, al comando di strate-

19 il mare, in lungo e in largo con proprie navi, depredavano altre navi o i villaggi lungo le coste 19 SPECIALE ma la nostra fantasia e immagini della filibusteria gòi imbarcati su navi lussuosamente ornate, i pirati assaltavano e ponevano regolari assedi alle città, spargendo dappertutto il terrore e arrestando i commerci. Essi si spinsero nel Mediterraneo occidentale, dove giunsero sino a distruggere a Ostia una flotta consolare, a interrompere il transito sulla via Appia, a rapire personaggi importanti; due pretori con i loro littori furono catturati ed è nota l avventura del giovane Giulio Cesare che fu fatto prigioniero dai pirati poco prima dell arrivo in Fenicia. Il suo comportamento in tale circostanza fu temerario a riprova del grande fascino che Cesare esercitava sulla gente. Incitò i suoi sequestratori a chiedere per lui un maggiore riscatto, li ammaliò con la sua oratoria, li trattò da ignoranti quando non apprezzavano i versi che lui stesso componeva. I pirati si divertivano e si convinsero che era un innocuo personaggio da cui potevano ricavare molto denaro. Ma lo avevano sottovalutato. Appena libero, Cesare, pagò altri avventurieri lungo la costa mediorientale e con il loro aiuto riuscì a sorprendere i pirati e farli crocifiggere. L approvvigionamento di Roma e le comunicazioni erano quindi gravemente danneggiati. Solo con Pompeo Magno, le cose cambiarono in modo radicale. Nominato console, si premurò di aumentare la propria potenza personale cercando di ingraziarsi il popolo facendo modificare le leggi silliane e imbarcandosi, nel 67, nella lotta contro i pirati che continuavano a depredare le navi commerciali recando una grave danno all economia di Roma. Fece approvare dai rappresentanti del popolo romano la legge Gabinia, che assegnava, ad un Console appositamente scelto, l imperio proconsolare del Mediterraneo e sulle coste per tre anni, mettendogli a disposizione 15 legati senatorî, 500 navi, 20 legioni e 5000 cavalieri. Ovviamente il Console prescelto fu lui e i risultati non si fecero attendere. Divise il mare in 13 zone e con una sistematica azione di polizia, in tre mesi, Pompeo riuscì a ridurre i pirati all impotenza e a liberare il mare dalla loro minaccia. Fu un operazione che suscitò ovunque grande ammirazione: si pensi che nel porto internazionale di Delo, nell Egeo, si costituì quello noi oggi chiameremmo un fan-club di ammiratori di Pompeo. Il figlio di Pompeo Magno, Sesto Pompeo, che si era visto uccidere il padre davanti agli occhi sulla nave che lo stava portando in Egitto, a soli trent anni era già generale comandante di una flotta e lui stesso abile marinaio. Quando fu inserito nelle liste di proscrizione (cioè dichiarato fuorilegge) dal 2 triunvirato (Ottaviano, Marco Antonio e Lepido) rispose da marinaio fuorilegge, cioè da pirata. Affiancato da abili marinai (ex pirati che il padre aveva liberato dalla schiavitù), occupò la Sicilia e tenne sotto il suo controllo la Sardegna e la Corsica. Dalla Sicilia con vere e proprie azioni di pirateria saccheggiava le coste italiane e attaccava le navi mercantili provenienti dall Africa. Per l ultima volta, gli avanzi dei pirati debellati da Pompeo Magno si raccolsero sotto le insegne di Sesto Pompeo in Sicilia. Ma Agrippa, ammiraglio di Ottaviano, pose fine alla sua carriera nella battaglia navale di Nàuloco (nei pressi di Messina) nell agosto del 36 a.c. L impero costituì le due flotte di Ravenna e di Miseno, che, coadiuvate da squadre ausiliarie in Cirenaica, Egitto e Siria, provvidero a esercitare funzioni di polizia marittima. Per quasi due secoli i mari del Mediterraneo rimasero liberi dai pirati; la pirateria era confinata quasi esclusivamente nel Mar Rosso e nel Ponto Eusino. Ma nei primi anni del 3 secolo d.c., la pirateria ricomparve, segno della prossima decadenza dell impero e ben prestò le scorrerie marittime dei Sarmati e dei Goti, che, salpando dalle coste settentrionali del Mar Nero, infestarono tutto il Mediterraneo orientale, preannunziarono le invasioni barbariche. Nel medioevo la pirateria ebbe naturalmente un nuovo periodo di fioritura. Come già nell antichità, così anche nel medioevo popolazioni intere dedite alla pirateria si organizzano in forme rudimentali statali: è il caso per i Narentani, eredi dei pirati illirici annidati sulla costa orientale dell Adriatico, che costituirono il primo duro ostacolo incontrato dalla nascente potenza di Venezia. Vedetta difensiva Ma, nel Mediterraneo, il maggiore nucleo di rifornimento dei pirati è costituito, dall 8 secolo in poi, dagli Arabi, per i quali è impossibile distinguere azioni di conquista preordinata da semplici scorrerie di pirati barbareschi. Poi, stabilitosi il dominio turco nel Mediterraneo orientale, la vita piratesca viene stabilmente ed efficacemente organizzata in quegli stati barbareschi che costituiscono, fino al 19 secolo, sia pure con sempre minore intensità, un pericolo per il commercio marittimo nel Mediterraneo. Fenomeno in parte differente dalla pirateria fu la guerra di corsa, diffusasi nel Mediterraneo a partire dai secoli 12 e 13. Il corsaro era colui che pur non facendo parte di un esercito o di una marina militare nondimeno comandava un bastimento armato (autorizzato con lettere di marca, patenti del suo governo), e correva il mare contro i nemici del suo paese, in tempo di guerra, assumendosene i rischi a fronte del diritto a impossessarsi del bottino. Al contrario i pirati erano solo briganti del mare, fuorilegge e assassini che non inalberavano bandiere o se lo facevano era un tranello. Non rispettavano ne tregue ne trattati e durante le guerre spesso di trasformavano in mercenari. Il fenomeno della pirateria in realtà non è mai stato debellato del tutto. Pensate che tuttora, nel diritto italiano, e non solo, la pirateria è prevista. Pirateria marittima: Deve intendersi per pirateria qualsiasi atto illegittimo di violenza o impossessamento commesso in alto mare, a scopo di rapina, dall equipaggio di una nave a danno di un altra.. È punita nell articolo 1135 del Codice di navigazione e la pena è la reclusione da 10 a 20 anni per il comandante; per gli altri componenti dell equipaggio la pena è diminuita in misura non eccedente un terzo. Per favorire la repressione della pirateria, il diritto internazionale, in deroga al principio generale secondo il quale gli stati devono, in tempo di pace, astenersi dal compiere in alto mare atti coercitivi su navi straniere, attribuisce agli stati stessi il potere di sottoporre a visita qualsiasi nave sospetta di pirateria, e di catturarla e di punire i colpevoli. Non solo non è stata debellata del tutto la pirateria del mare, ma sono ormai in netto aumento tutti i tipi di pirateria supportati dai moderni sistemi di commercio e di gestione finanziaria. I mari su cui navigano le galere di pirati non sono più fatti di onde d acqua salata, ma di onde elettromagnetiche, di segnali digitali, di reti informatiche satellitari e così via. Oggetto del desiderio: le idee, i diritti d autore, la produzione artistica, i laboratori di ricerca, i mercati internazionali e così via. Oggi essere pirati è tornato di moda; ci si vanta di essere pirati perché fa ancora comodo l immagine romantica e tenebrosa del personaggio. In effetti non c è proprio nulla di romantico nel ladrocinio, nella ruberia, nel plagio, nella pirateria di alcuni commercianti, di certi impresari; nella pirateria di un editore o di uno scrittore.

20 SPECIALE 20 LA VOCE DELL ISOLA Il mondo e la vita dei pirati barabareschi nel 500 e nel 600 L antico Mar Mediterraneo un palcoscenico di terrore di CORRADO RUBINO La Barberia, o come la chiamavano gli arabi al-maghrib (Maghreb), era quella parte dell Africa settentrionale che andava dai confini occidentali dell Egitto alle coste dell Atlantico (Tripolitania, Tunisia, Algeria, e Marocco) e la cui costa offriva ottime basi alla pirateria saracena. Il fenomeno della pirateria saracena ebbe inizio nel 7 secolo, concludendosi all incirca nel primo scorcio del 19 secolo. Ad esempio, dai documenti trovati nel 1977 al Cairo, risulta che gli attacchi dei pirati sulle coste siciliane, partendo dall Egitto, non subirono mai un blocco vero e proprio. Gli stati barbareschi furono piegati solo dalla stabile occupazione europea dell Algeria nel 1830 e del Marocco nel Dopo la conquista di Costantinopoli, nel 1453, da parte dei sultani ottomani, e dopo la caduta di Rodi nel 1522, il Mediterraneo venne attraversato dalle navi dei corsari ottomani. A nulla valse la vittoria di Carlo V a Tunisi nel 1535 poiché, nel , gli ottomani conquistarono le isole veneziane dell Egeo. Come a poco servì la vittoria di Lepanto del 1571 perché lo stesso anno Cipro cadde in mano turca e poco dopo anche nella Barberia si stabilì l autorità dell impero ottomano. Quella che prima era una attività di pirateria rivolta soprattutto alla rapina e alla razzia, nella prima metà del 16 secolo, si trasformò in una attività più organizzata favorita dalla costituzione, al posto delle dinastie regnanti, di città stato (Algeri, Tunisi, Tripoli) la cui principale fonte di vita era costituita proprio dall esercizio della guerra marittima di corsa incentivata e alimentata dall impero ottomano. I corsari barbareschi agivano di sorpresa, attaccando navi mercantili e militari, villaggi e città costiere. I prigionieri venivano venduti come schiavi nei numerosi mercati arabi del mediterraneo. Il periodo dell anno più esposto agli attacchi era compreso tra aprile e ottobre, quando le condizioni del mare erano più favorevoli. Nella parlata popolare entrò in uso l esclamazione mamma li Turchi che in realtà era il grido di terrore che si udiva nei villaggi costieri quando si scorgevano le navi pirata. Il terrore dei pirati era talmente radicato lungo le coste del mediterraneo che le mamme per far addormentare i bambini cantavano le nenia dell uomo nero. Nelle chiese si pregava il Signore affinché si venisse liberati dalla peste e dai pirati. Gli ex voto per essere scampati ai pirati erano sempre più frequenti. Gli uomini che fondarono la potenza delle città corsare di Algeri e Tunisi furono dapprima dei pascià turchi e nominalmente dipendenti da Costantinopoli. Poi furono sostituiti da capi militari locali affiancati da consigli di governo e dalla potente corporazione dei capitani di navi corsare (i Rais). Ma turchi restarono sempre i giannizzeri (una speciale milizia che costituiva uno degli elementi distintivi del potere ottomano negli stati barbareschi) che assieme ai capi corsari erano in realtà i veri detentori del potere. La guerra di corsa condotta dai barbareschi, benché agli occidentali apparisse un fenomeno di pura pirateria, si spiega con la concezione giuridico-religiosa mussulmana del gih?d o guerra santa, che giustifica anzi glorifica il perenne stato di guerra e il saccheggio contro gli infedeli. L attività dei corsari musulmani si affiancava quindi al conflitto generale esistente tra i due blocchi: l Islam da una parte, la Cristianità dall altra. A fondare il nuovo stato di Algeri furono i due fratelli Ar?? ad-d?n e Khair ad-d?n (detti Barbarossa), famosi corsari entrati nella leggenda. Ma anche molti altri nomi entrarono nella leggenda come quello di Ul?? Al? (detto Luccialì). Assieme ai Turchi, le città del Maghreb accolsero i Moriscos (gli Arabi cacciati dalla Spagna), che, con le loro cognizioni tecniche e lo spirito di vendetta che li animava, contribuirono all ulteriore sviluppo dell attività corsara. L apporto maggiore, tuttavia, provenne dalle terre degli stessi infedeli e dalle nazioni dell Europa cristiana. Molti schiavi catturati dai corsari, abbandonavano la fede cristiana e, divenuti musulmani, si davano alla pirateria. La storia dei corsari barbareschi fu, pertanto, in buona parte, la storia dei rinnegati europei che a volte arrivarono ad occupare posti di primo piano. Lo scopo principale della guerra corsara era la cattura degli equipaggi e dei passeggeri delle navi cristiane, nonché delle popolazioni dei centri e delle zone costiere; il destino di questi sfortunati era quello di diventare schiavi nelle città barbaresche e in molti casi di finire ai remi delle imbarcazioni corsare. Il ritorno alla libertà era legato al pagamento di un riscatto da parte dei cristiani. Le trattative per la libertà venivano condotte, più o meno disinteressatamente, da religiosi, rappresentanti consolari, agenti commerciali, ebrei e altri. Merce altrettanto preziosa era costituita dal carico delle navi: armi, attrezzature di bordo e spesso la cattura dell intera nave. Nel 500 la nave regina del Mediterraneo, utilizzata sia dalle flotte cristiane che musulmane, era la galea o galera. Questa nave, erede delle liburne romane, era veloce e leggera grazie al suo scafo piuttosto allungato (poteva arrivare fino a 50 metri), e stretto (circa L'attività dei corsari musulmani si affiancava al conflitto generale esistente tra i due blocchi: l Islam da una parte, la Cristianità dall'altra 5-6 metri); le murate erano basse rispetto alla linea di galleggiamento ed era dotata di un unico ordine di rematori (25-30 remi per lato), stretti l uno accanto all altro in due file parallele. Per i lunghi percorsi si utilizzava una attrezzatura velica, che durante i combattimenti veniva smontata, costituita da due alberi con vele latine. Le galee tatticamente formavano il fulcro dello schieramento; manovravano con grandissima abilità in combattimento con i soli remi, per disporsi ad attaccare il nemico in linea di fronte. Elemento fondamentale per questa tattica delle galee era lo sperone (erede del rostro romano), che sporgeva, a pelo d acqua, qualche metro dalla prua e, costruito tutto in bronzo massiccio, squarciava i fianchi delle navi nemiche e, al contempo, le immobilizzava in modo da consentire l arrembaggio. Più grandi e munite di ponte di coperta, castello e cassero erano le galeazze; così mentre i rematori restavano sotto il ponte di coperta, quest ultimo restava libero per le artiglierie poste lungo le due murate. Attrezzate con tre alberi a vele latine, erano la massima espressione di questo tipo di nave e considerate le più potenti fra le navi delle Marine militari mediterranee. Le principali doti delle galee si individuavano nell agilità di manovra e nell apprezzabile velocità che poteva essere raggiunta con i rematori sotto pieno sforzo. Le stesse doti le troviamo ancor più accentuate nelle galeotte, navi più piccole e più leggere rispetto alle galee e pertanto più veloci e sfuggenti. Altro tipo di imbarcazione utilizzata dai Barbareschi era il veliero vero e proprio, come le feluche e gli sciabecchi, il cui movimento era affidato quasi esclusivamente alle vele. Il vantaggio di queste nave stava nel fatto di avere velocità di crociera ben maggiori rispetto alle navi a remi e avere maggiori dimensioni allo scafo. Le feluche erano lunghe non più di venti metri, più larghe delle galee, dotate di diverse vele e di otto o dodici remi; gli sciabecchi avevano lo scafo grosso, una buona tenuta del mare ed erano armati di numerosi cannoni. Le navi barbaresche generalmente non avevano nomi propri, a differenza di quelle cristiane, ma erano distinte dal nome del Rais. Non avevano strutture superflue o vistose decorazioni. L unico lusso che i barbareschi si concedevano sulle navi era costituito dalle bandiere che venivano confezionate con stoffe preziose e pregiati ricami. Le navi cristiane, a differenza delle barbaresche, tendevano, non solo a sollevare le murate sul livello del mare, ma anche ad appesantirsi con potenti pezzi di artiglieria e strutture decorative. Le imbarcazioni barbaresche stavano in mare soprattutto nella buona stagione e generalmente non più di cinquanta giorni, infatti le provviste di bordo erano calcolate per quel periodo. Durante la navigazione accostavano a riva solo per rifornirsi di acqua dolce. Ciascun corsaro che saliva a bordo aveva in dotazione: un moschetto, una scimitarra ed un coltellaccio di sua proprietà; inoltre poteva portare con sé un po di viveri ed una coperta e nient altro. La vita di bordo era alquanto dura. Il Rais aveva il comando assoluto su tutti, anche sui giannizzeri turchi. Una volta catturata la preda, si procedeva alla spartizione. Le regole della spartizione erano ferree; il bottino o il suo ricavato veniva diviso (tolto un quinto per le spese di mantenimento dell imbarcazione) secondo percentuali che variavano a seconda del rango, dal Rais all ultimo marinaio. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i bottini non erano ricchi. Solo raramente si aveva la ventura di realizzare dei colpi eccezionali come quello che capitò nel 1635 al Rais algerino detto il grande Moro, il quale catturò un galeone napoletano carico di grano, diecimila paia di calze di seta, venti casse di filo d oro, centosettantasei cannoni, diecimila palle di cannone e centotrenta schiavi; oppure il colpo fortunato che capitò nel 1656 all algerino Hamida Ben Negro che, impadronitosi della galera spagnola Sant Agata, vi trovò ottocentomila reali in contanti, i ricchi bagagli del marchese Serra, ucciso nella battaglia, e un gran numero di gentiluomini che, prima fatti schiavi, furono in seguito riscattati. Ai barbareschi si opposero sin dall inizio, altrettanto audaci corsari europei, che non si limitavano ad azioni di difesa, ma svolgevano essi stessi un intensa attività a danno delle coste e delle navi dei paesi dell Islam. I più autorevoli rappresentanti cristiani della guerra di corsa furono i Cavalieri di Malta e i Cavalieri di Santo Stefano che, pur guadagnandosi il riconoscimento dei loro meriti quali difensori della cristianità, in definitiva non facevano altro che adottare gli stessi metodi della guerra di corsa dei loro avversari. Tra gli islamici i più celebri corsari, probabilmente, furono Dragùt e il rinnegato Uccialì. Personaggi di spicco che diedero vita ad una vera e propria guerriglia costiera nel Mediterraneo a bordo delle loro navi.

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