L Europa di cui abbiamo bisogno Il potere senza responsabilità DI BARBARA SPINELLI

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1 L Europa di cui abbiamo bisogno Il potere senza responsabilità DI BARBARA SPINELLI 1 Quel che vorrei proporvi, per cominciare, è un gioco che a molti esperti pare astruso, o perché superfluo o perché poco serio e fuorviante. È il gioco della storia che si fa con i se: che ha dunque come oggetto non solo il mondo com è stato fatto come ci sta davanti ma come avrebbe potuto essere, se invece di imboccare una strada ne avesse presa un altra. Declinato al presente è più di un gioco: è un esercizio intellettuale che mette il pensiero in movimento, un metodo per guardare all oggi come a una storia che possiamo scrivere in un modo o nell altro, non dipendendo il suo svolgimento da forze impersonali ma dalla persona che ciascuno di noi è. Così per l «Europa di cui abbiamo bisogno», che è il tema affidatomi. L Europa può andare in una direzione oppure un altra, affatto diversa. È tutta piena di questa congiunzione ipotetica il se e nuove e impreviste possono essere le risposte alle domande che ci facciamo: di quale Europa stiamo parlando? Come definire la sua necessità, il suo dover essere? Qual è il patrimonio che si vuol difendere? E soprattutto, da qualche anno: come trasformare la rabbia che sta suscitando prima in bisogno («qualcosa mi manca»-«per ottenere quel che voglio occorre passare di lì»), poi in progetto? Sia detto per inciso: l Europa non sarebbe stata pensata in un certo momento nel mezzo d una guerra, mentre la Germania piegava il continente se qualcuno non avesse cominciato a immaginare un «se» ritenuto improponibile e

2 2 fuorviante dai più. Il metodo, oggi, consiste nel chiedersi come sarebbe il mondo che viviamo, se la crisi che ha lambito l Europa, cinque anni fa, fosse stata affrontata in modo differente. In genere, gli storici guardano con un certo disprezzo a questi esercizi mentali: la storia, dicono, non essendoci contemporanea non si fa con i se. Non esiste la storia virtuale. Non ne sono così sicura, e d altronde l idea di una storia virtuale, cioè caotica, costellata di bivi insospettati, inizia a farsi strada. Niall Ferguson ha scritto assieme ad alcuni autori un libro che ha proprio questo titolo: «Storia Virtuale». Studiare i se della storia è utile, per capire qualcosa di fondamentale. È esistito sempre (esiste sempre), un attimo, un punto di svolta e d incertezza, in cui l alternativa era possibile, in cui gli eventi avrebbero potuto prendere un altra piega: perché la storia è fatta di pieghe, e le pieghe ci interessano quasi più della cronologia, che ci presenta un tessuto già stirato a puntino dai posteri o dai vincitori. Per coloro che vissero quei momenti di ieri la storia era il presente, e capire come lo traversarono, quali altre vie erano aperte a ogni loro passo, è di grande aiuto per noi che stiamo vivendo la storia che sarà scritta domani. Nella Germania prehitleriana si poteva fare una politica antirecessiva, al posto dell austerità applicata dal governo Brüning, e forse Hitler non avrebbe ottenuto nel 33 consensi così spettacolari (il 43,9 per cento. Nel 1928 aveva racimolato appena il 2,6. Nel 1930, quando Brüning divenne cancelliere, aveva raggiunto il 18,3). Oppure: gli americani avrebbero potuto rifiutare accordi con la Mafia siciliana, quando liberarono il nostro paese dal fascismo, e la storia italiana del dopoguerra sarebbe stata diversa: forse non staremmo ancora a parlare

3 3 di patti fra Stato e mafia. E via ipotizzando e usando i se, i forse, i congiuntivi, i condizionali. L Europa com è andata sviluppandosi dal 2008 in poi si presta assai bene a quest esercizio mentale. I modi in cui la crisi viene ormai da anni gestita dai governi in primis, e dalle autorità di Bruxelles che tendono a esprimere le volontà non dell intera area che rappresentano ma dei paesi più forti sono molto singolari: è come se non stessimo facendo la storia, ma vivessimo conficcati dentro una storia predeterminata, già stesi supini nel passato. È questo che rende così insopportabile il mantra che sentiamo ripetere: «Non c è alternativa». È una locuzione adeguata agli eventi quando sono trascorsi, e scritti in un certo modo. Quando si condensano in una narrazione teleologica, finalistica, e tutti i «se» vengono scartati come futili o idealisti. È una delle operazioni mentali più fraudolente che si possano immaginare, quest oggi sequestrato e traslocato nel mondo di ieri: usata per il tempo presente, la formula è quantomeno incongrua. Nulla si può cambiare, neanche lontanamente sono ipotizzabili alternative. E non a caso è così in voga questa parola: Narrazione. La Narrazione è predefinita, l autore può magari tenerci con il fiato sospeso per esempio quando scrive un giallo ma lui sa come andranno a finire le cose, chi è il colpevole e chi il vincitore o l innocente o l eroe. Mentre noi no, queste cose non le sappiamo: per nostra fortuna possiamo prenderci la libertà di sbizzarrirci e questa virtualità è una nostra fortuna. Così la Narrazione della nostra crisi: gli autori del giallo europeo hanno iscritto nella scaletta le cure di austerità, la divisione fra centro (Germania essenzialmente) e periferie sud, anche il disfarsi della

4 4 democrazia e delle costituzioni nazionali, visto come ineluttabile danno collaterale di una stabilità politica eretta a nuovo valore etico incondizionato (questo significa a locuzione «valore assoluto», recentemente impiegata dal Presidente del Consiglio). La frode è questa scaletta, che non solamente è inconfutabile ma ha la pretesa di raggiungere una vetta (l Europa politica padrona di sé) con mezzi rigorosamente inadatti a scalarla. La frode è quest hegeliana certezza che il presunto razionale sia reale, e il presunto reale razionale. La storia non la stiamo fabbricando con le nostre mani, perché già è messa nero su bianco. Viviamo nel passato, non nell oggi dove tutto è ancora possibile e nulla è fatale. D altronde Hegel stesso è tutt altro che perentorio: la civetta di Minerva non si compiace della propria saggezza e della propria razionalità di primo mattino, quando ancora le cose devono farsi. Comincia il suo volo solo al crepuscolo. *** Questo vero e proprio assassinio del possibile è la principale caratteristica dell Europa quale oggi esiste, e si può capire l indignazione che suscita, e anche la rabbia e il rigetto. Chi si arrabbia, chi perde la pazienza e «non ci crede più» gli euroscettici è il nome che hanno avuto per un certo tempo, oggi si parla di populisti sono i soggetti della storia in cui forse c è da sperare. Se non esistessero se non esistesse una crisi che si acuisce non staremmo qui stasera a interrogarci sul bisogno o non bisogno d Europa. La rabbia dei cittadini è un opportunità che ci viene data, come è un opportunità lo spread. La rabbia stessa è spread, non finanziario ma umano: è scarto fra i cittadini e l idea di Europa, fra popoli e istituzioni democratiche, sia nazionali che

5 5 europee. È reazione a un patto sociale violato, a un patrimonio negato. Quando penso a questo tipo di spread, mi torna in mente l Uomo senza Qualità descritto da Musil alla luce crepuscolare di un altra grande idea che stava degenerando: quella dell impero austro-ungarico. Ulrich, l Uomo senza Qualità, definisce se stesso un Möglichkeitsmensch, un uomo della possibilità un possibilitario che non smette d innervosirsi davanti al cosiddetto senso della realtà, della «cose come sono». Vorrei citare il passaggio in questione, perché nell ordine dei verbi toglie il monopolio all indicativo, restituendo dignità ai condizionali, ai congiuntivi, al controfattuale: (Ecco il passo:) Chi è dotato del senso della possibilità non dice ad esempio: «Qui è accaduto, accadrà o deve accadere questo oppure quello», bensì: «Qui potrebbe o dovrebbe accadere un certo evento». E se, di una cosa qualsiasi, gli si spiega che è come è, allora penserà: «Certo, ma potrebbe benissimo essere diversa». Quindi, il senso della possibilità è addirittura definibile come la capacità di pensare a tutto ciò che potrebbe essere, e di non ritenere ciò che è più importante di ciò che non è (...). La vita di questi uomini della possibilità è tessuta, si potrebbe dire, con un filato più sottile, un filato fatto di fumo, immaginazione, fantasticherie e congiuntivi; quando un bambino manifesta una simile tendenza, gliela si fa passare con metodi energici e, davanti a lui, quegli individui vengono definiti visionari, sognatori, codardi e saccenti o criticoni. Chi vuol lodare quei matti, li definisce anche idealisti. **** Ecco, la storia virtuale, fatta di bivi e crocicchi, apre uno spazio a questi criticoni idealisti. Sono un occasione da cogliere, i possibilitari, se

6 6 non si vuole che l Europa si spenga. Sono trattati anch essi come bambini, o sognatori, o matti, visto che non accettano le cose così come sono. Abbiamo visto che sono anche chiamati populisti. (Chi contesta grandi opere probabilmente inutili come la TAV riceve nomi ancora peggiori). Vorrei parlare della loro rabbia verso l Europa, del loro filato fatto di immaginazione, fantasticherie e congiuntivi. E dei motivi per cui è sorta questa rabbia. Sempre tenendo in mente che i se sono importanti, che le scalette possono essere ricompilate, che i sentieri che possiamo imboccare sono innumerevoli non uno soltanto e si biforcano di continuo come nel racconto di Borges. C è da augurarsi che lo spread quello economico, ma soprattutto quello umano resti ben inquietante. Che diventi il nostro nodo al fazzoletto: quello che facciamo quando temiamo di dimenticare un appuntamento, una cosa da fare o un pensiero. **** La rabbia dunque. È un movimento vasto ormai, un vento che s insinua in tutti gli interstizi del continente: a nord, a sud, a est, a ovest. Dicono che è a causa sua che l Unione sta sbriciolandosi davanti ai nostri occhi, giorno dopo giorno. Diciamoci piuttosto che è a causa della sicumera deterministica con cui viene raccontata («è come è, non ci sono alternative»), che l Europa sta perdendo la sua stessa ragion d essere, e trasformandosi in un congegno impersonale, un dispositivo tecnico, grazie al quale ventotto Stati simulano un Unione che non ha più nulla di un unità, e soprattutto più nulla di una comunità. Un Europa che vive solo come locuzione verbale, come parola che altri hanno detto, parecchio tempo fa, e che i nuovi venuti gli homines novi

7 7 che sono al comando negli attuali governi impugnano come fosse qualcosa che appartiene loro di diritto, che sta' lì e non può cadere perché la retorica dei vertici e l intorpidimento dei giornali la tengono in piedi, anche se non in vita. Un morto vivente che i governi manipolano a seconda delle loro personali convenienze, di cui possono ininterrottamente compiacersi come se fossero stati loro a ideare l unità europea, e a farla ogni giorno, e a narrarcela fin dalle prime ore del mattino, quando nessuna civetta di Minerva è in vista. Il fatto è che non la stanno né facendo né tantomeno perfezionando, e per questo gli arrabbiati colpiscono con tanta foga il progetto stesso di unificazione: non fosse altro che per fare un po di chiarezza, per smuovere un po l aria. Per dire a se stessi che le civiltà possono perire, e specialmente quella europea. «Ormai lo sappiamo, noi civilizzazioni, che siamo mortali», Paul Valéry l aveva intuito dopo la prima guerra mondiale, ma quella consapevolezza non sfiora le menti dei governanti. Indigna quasi più la menzogna questa propensione a vivere dentro una storia già scritta e contrabbandata per il migliore di mondi possibili delle politiche via via discusse, decise o rinviate a Bruxelles. Mi soffermerei un po rapidamente su queste menzogne, visto che lì sono i cancelli che tengono imprigionati i se e i congiuntivi. Sono innumerevoli, e ne elencherò solo alcune: le cinque che mi paiono più evidenti. Prima menzogna, o se volete primo guai, come nell Apocalisse: L Europa raccontata come unione democratica di popoli. La promessa è palesemente tradita. Un culmine è stato toccato subito dopo le elezioni

8 8 politiche in Italia, nel febbraio 2013, quando in una conferenza stampa a Francoforte Mario Draghi si è presentato davanti a una platea di giornalisti, e ha spiegato perché non c era motivo di turbarsi: «I mercati capiscono che viviamo in democrazia. Siamo 17 paesi, e ognuno ha almeno due tornate politiche elettorali, nazionali e regionali, il che fa 34 votazioni nel giro di 3-4 anni (già l enumerazione ha qualcosa di diabolico, sembra un elenco di dannazioni, di flagelli)». Poi ha proseguito: «Penso che questa sia democrazia, a tutti noi molto cara. Quel che i mercati sanno, e per questo sono meno impressionati di voi giornalisti (per ragioni che non mi sono chiare gli inviati e corrispondenti ridono, in sala stampa) è che le misure di aggiustamento finanziario sono già attive in Italia. E continueranno a operare con il pilota automatico». Come non arrabbiarsi e non sbalordirsi, quando qualcuno alla lavagna ti disegna un mondo che ai massimi vertici ha i mercati il problema è non perturbare loro, con mosse a sorpresa o rivoluzioni e te lo descrive come unico mondo reale, nessun altro mondo è congetturabile perché quello che vien proiettato sugli schermi procede indipendentemente dalla volontà dei popoli; la sua necessaria odissea è determinata dal pilota automatico, quasi fosse l astrale nave dei folli lanciata nello spazio da Stanley Kubrick. Il mondo è come è, a dispetto delle cogitazioni e dei dubbi dell Uomo senza Qualità. Come quelle persone che ti assestano una bastonata e poi si scusano: «Sai, sono fatto così». È strano e imprevedibile il vento dell indignazione, perché non ha un unica direzione. Soffia da destra, da sinistra e parecchio anche dal centro, dai cosiddetti moderati: l estremismo del centro ha una lunga storia

9 9 in Europa, ieri fu la stoffa del fascismo. Quale che sia la parte da cui soffia, però, chiede invariabilmente una cosa: l alternativa. E non stupisce che il nuovo partito antieuropeo dei tedeschi si chiami proprio così: Alternativa per la Germania. È vento di disillusione e anche di rancorosa repulsione, assale gli animi di chi aveva enormemente creduto nell Europa ma poi s è ritratto, ritenendola un giovanile peccato di irrealismo; e anche le menti più fredde di chi aveva sempre detto che l unificazione degli europei era un imbroglio, una temibile trappola, e in fondo non s indigna sino in fondo perché dall inizio aveva diffidato, e ogni volta che nell Unione si costruisce qualcosa di nuovo inorridisce. C è di tutto, nel cosiddetto euroscetticismo: la speranza in un altra Europa, unita sul serio e di conseguenza congegnata in altro modo, ma anche l illusione di riscovare nelle ceneri il tizzone defunto, e però sbrilluccicante, dei vecchi Stati sovrani perduti o di chissà quale monolitica identità dei singoli popoli: identità e popolo dèmos che crudelmente mancherebbero all Europa. E ancora: c è lo scetticismo filosofico autentico, quello antico, che fa tesoro dell attitudine a ragionare appoggiandosi sulla più scrupolosa osservazione della realtà, e non apre alcun credito all apparenza ma va snidando i segreti del divenire storico (il vero scettico non è pregiudizialmente avversario dell unità europea: è avversario sottile di uno Stato nazione che si finge sovrano e non lo è più). E in contemporanea c è lo scetticismo contraffatto, impigrito, blasé, di chi sull orlo del vulcano non danza ma l espressione è di Jürgen Habermas, applicata alla Germania di Angela Merkel si limita a sonnecchiare, e neanche ha sentore del vulcano presso cui se ne sta

10 10 appisolato, e solo ogni tanto si sveglia di soprassalto e urla il suo urlo. C è lo sdegno di una generazione cui era stata assicurata un Unione solidale, aperta alle diversità e al molteplice, e d improvviso arriva un governante e dice che «purtroppo esiste una generazione perduta». Che al massimo «si possono limitare i danni» e sperare di «non crearne altre, di generazioni perdute» (cito da un intervista di Mario Monti a Settemagazine del 27 luglio 2012); e c è la terribile, malmostosa nostalgia del recinto che si chiude, della nazione etnica che in nome dell identità respinge il forestiero e se può non esita a ucciderlo nelle acque del Mediterraneo. La crisi che traversiamo, la capiremo solo il giorno in cui riusciremo a distinguere tra loro rabbie così differenti, e però guarderemo in faccia, a occhi aperti, la domanda di alternativa che ha fatto scoppiare sia le une che le altre. Ormai sappiamo perché tanti lo dicono, anche quelli che prima non lo dicevano che la crisi dell ultimo quinquennio in Europa è dovuta a un difetto di costruzione della moneta unica, quando fu introdotta alla fine degli anni Novanta. La moneta doveva nascere in parallelo con l unione politica ed economica, ma poi non si volle quel parallelismo. Per alcuni doveva essere lo strumento di una nuova Res Publica postnazionale, e ha finito con l incarnare Europa dei banchieri, dei tecnici: un Europa per forza di cose mutila, incapace di configurare con efficacia una sovranità superiore a quella già gravemente compromessa degli Stati nazione, pronta a intervenire lì dove gli Stati da soli non riescono più a condurre politiche serie e a mantenere le promesse che fanno. Infatti nessun potere monetario sovranazionale come quello esercitato dalla Bce può costituirsi, e tantomeno traversare

11 11 burrasche, se non ha di fronte a sé, come interlocutore cui deve rispondere, un potere politico egualmente sovranazionale, che armonizzi le proprie scelte economiche con quelle della Banca centrale, e induca anche la Banca centrale a armonizzarsi con le scelte del potere esecutivo. Né può costituirsi, in democrazia, se non è sorretto quindi controllato, giudicato da un Parlamento che rappresenti non la preponderanza di questo o quel paese, ma l insieme dei popoli dotati della moneta unica. L Europa viene descritta come unione democratica di popoli. Non lo è ancora, e l urgenza del momento è pensarla e reinventarla come tale. Non può esserlo, fino a quando gli Stati si comportano come sovrani assoluti (per questo restano avvinghiati al diritto di veto e all unanimità nelle principali decisioni, cosa che perfino la Chiesa ha abbandonato, visto che dal bastano due terzi dei grandi elettori perché lo Spirito Santo «parli» e elegga i nuovi Papi). E vorrei aggiungere una cosa: non può essere un unione democratica, fintantoché le nostre Costituzioni continuano a essere male interpretate, considerate nella sola dimensione nazionale. Nelle costituzioni democratiche non è scritto che lo Statonazione è sovrano. Pienamente sovrani sono i cittadini, il che vuol dire che ciascuno di essi, avendo non una ma più identità, deve contare ai vari livelli in cui il potere si esercita: comunale, nazionale, europeo, forse domani mondiale. La democrazia nazionale è non meno gravemente compromessa degli Stati-nazione, e per gli stessi motivi: il costo della non-europa è alto anche qui, oltre che nell economia, e ha come conseguenza la divisione tra Parlamenti che con le loro decisioni pesano, e Parlamenti che non pesano. Per questo va ripensata e riorganizzata

12 12 come democrazia postnazionale, cosmopolìta. È la ragione per cui le elezioni europee del maggio prossimo sono importanti come quelle nazionali e al tempo stesso diverse da loro, checché dicano e facciano i governi e soprattutto i partiti che faranno, c è da scommetterci, campagne esclusivamente nazionali. Sono importanti proprio perché il Parlamento europeo non ha ottenuto, nel Trattato di Lisbona, i poteri che dovrebbero spettargli. Perché questi poteri dovrà conquistarseli lui, nessuno glieli regalerà. Non si tratta solo di creare un Europa che tenga conto delle domande e delle rabbie dei cittadini: questa sarebbe democrazia octroyée, ottenuta per gentile concessione del sovrano. I cittadini, arrabbiati e non, devono darsi una nuova costituzione che permetta loro di legiferare in Europa, di censurare i governi che sbagliano ricette, di scegliere il Presidente della Commissione e i ministri-commissari che si occuperanno di finanze o di energia, di emigrazione, di asilo o di diritti civili. Devono anche poter dire la loro sulle troike, che controllano i conti dei paesi deficitari. Altrimenti avere una moneta unica con un unica Banca centrale è come avere una Corte che vigili sulla carta costitutiva della nazione, ma la nazione non c è né lo Stato con cui la Corte entra in dialettica. *** La seconda menzogna (o secondo guai) è legata a quella che ho chiamato narrazione fraudolenta della storia e dice in sostanza questo: se le cose funzionano male, è perché troppi poteri sono concentrati a Bruxelles, dove regnano maestà anonime e lontane dai bisogni dei cittadini. Tali poteri vanno quindi rimpatriati: lo dice anche la

13 13 Germania, congedandosi dall europeismo che ha coltivato per decenni dopo la guerra, e lo dicono raffinati esperti geopolitici secondo cui l ordine globale è fatto dagli Stati nazione, e questo è il mondo come è. Non lo è in realtà; gli Stati nazione non sono affatto in grado di imporre l ordine con le proprie mani. Lo si è visto nella crisi siriana del settembre scorso: gli Stati Uniti non impongono alcunché di edificante, se non costruiscono una politica che abbia qualche coerenza assieme alla Russia, la Cina o, nell area critica del Medio Oriente, all Iran. L ordine globale è allora sulle divine e crudeli ginocchia dei mercati o del pilota automatico o della Storia? Nemmeno: l idea delle divine ginocchia permette alla politica e agli Stati di non assumersi le loro personali responsabilità. E su chi scaricarle con maggior profitto, se non sulla forza delle cose? Al banco degli imputati non andrà nessuno, e l Europa potrà continuare a vivacchiare frantumata in tanti staterelli, rinviando l ora in cui unendosi potrà contribuire da protagonista non subalterna a un ordine mondiale conflittuale sì, ma non impazzito. Abbiamo già constatato come non ci sia praticamente nessuno, ai vertici dei 28 Stati o delle istituzioni europee, che non faccia la sua giusta diagnosi sui vizi congeniti dell euro. Ma la maggior parte di costoro usa giri di frasi e si ferma a metà strada, pur di non dire che se manca l unione politica la colpa è stata ed è interamente loro: dei vertici politici che denunciano la malattia come se essa non avesse nulla a che vedere con quello che essi fanno o non fanno. Come se vizi e malattie nascessero per colpa di fantomatiche burocrazie con sede a Bruxelles, di un immaginario Superstato europeo che se non ci fosse, chissà come voleremmo alti e liberi e arbitri del nostro destino.

14 14 Eppure non erano mancate, fin dagli esordi, le voci profetiche: «Questa moneta è senza Stato!», denunciò allarmato uno dei suoi principali artefici, Tommaso Padoa-Schioppa, già nel : «Per la Bce la vera insidia non sarà la poca indipendenza, ma la troppa solitudine, l operare quasi nel vuoto». I governanti odierni fanno finta di applaudire, ma quella denuncia viene edulcorata, dimenticata, fasciata di nebbia. Nessuno pone la questione della necessaria statualità europea: quella che in parte esiste già per come sono costruite e per come legiferano le sue istituzioni, per la competenza esclusiva che l Unione possiede in alcuni campi decisivi (moneta, concorrenza, commercio estero) ma che è da istituire ex novo e democratizzare, senza aggiungervi qua e là una pezza, se si vuol evitare che le eruzioni del vulcano ci sommergano. Il dito va insomma puntato sui veri responsabili dei mali presenti, e questo costa fatica grande e per questo fa così comodo prendersela con i populisti troppo arrabbiati o impazienti, o anche con gli eurocrati troppo poco «legati al territorio», come usa dire. Non sono i tecnici i colpevoli della costruzione sbagliata dell euro né i banchieri centrali, così spesso sotto accusa. Non è colpevole nemmeno la troika, che con tanta ottusità politica controlla i bilanci degli Stati deficitari decidendo al posto dei Parlamenti la natura dei tagli alla spesa pubblica, il funzionamento del mercato del lavoro, la riduzione del Welfare State, l estensione dello spazio pubblico e addirittura (a Atene) la sopravvivenza o meno della televisione pubblica o di grandi università ma che agisce per conto di altri.

15 15 I veri colpevoli di ottusità sono i governi degli Stati membri, che con tutte le loro energie mostrano di volere quest Unione emiplegica, questo venir meno della sua legittimazione democratica, questa crisi europea infine, politica e solo in subordine finanziaria, che dal 2008 impoverisce e umilia i popoli appesantiti dal debito con terapie dogmatiche non tanto rigorose, quanto nefaste, inique, e per di più fallimentari. Terapie che gli Stati stessi hanno deciso, o attivamente o subendole passivamente, mettendo l unione politica alla fine del percorso e rendendo il percorso infinitamente più costoso, economicamente e umanamente. La troika è un loro manovale (ed eventuale capro espiatorio). All erosione dell Europa si è risposto e si risponde con più erosione; alla divisione fra i suoi popoli con più divisione e meno comunità. Ai difetti originari dell Euro la sopravvivenza dei nazionalismi; la preservazione delle fasulle sovranità dei singoli Stati, che il Trattato di Lisbona garantisce e rafforza; l applicazione del liberum veto (non dimentichiamo che nel 700 la Polonia morì spartita fra le tre Aquile Nere che erano Prussia, Russia e Austria a causa di un Parlamento bloccato in permanenza dal liberum veto): a tutti questi difetti si è replicato intensificando ancor più gli stessi difetti e storture. Chi andrebbe trascinato in giudizio, se ci fosse una corte che separa i colpevoli autentici da quelli pretestuosi, sono gli Stati nazione, che non vogliono ammettere la natura completamente illusoria del loro potere. Sono i Consigli dei ministri, che in un Unione degna di questo nome dovrebbero pesare di meno, non di più. Secondo lo scrittore austriaco Robert Menasse dovrebbero essere addirittura aboliti, viste le

16 16 catastrofi che hanno provocato. A ciò si aggiunga l inutile serie di vertici di capi di Stato e di governo, che si riuniscono sempre più frequenti e pomposi, sempre più inani, spacciando per oro l Europa che essi stessi, summit dopo summit, corrodono e riducono a vile metallo. Sono loro a decidere chi sta nella troika, e come debba operare, e i memorandum che essa presenta ai governi. Sono loro che le chiedono di farsi portavoce ed esecutrice di quanto deciso nei Consigli ministeriali o negli incontri fra gli Stati più importanti. È vero, la troika è composta di organi sovranazionali o internazionali (oltre alla Commissione e alla Banca centrale europea il Fondo Monetario, che in un Europa dotata di statualità compiuta non occuperebbe questo spazio esorbitante e forse non sarebbe semplicemente presente). I triunviri sono responsabili verso i Consigli dei ministri e i capi di Stato o di governo, cui è riservata l ultima e decisiva parola. I Parlamenti, nazionali o europei che siano, non hanno in ogni caso voce in capitolo (fa eccezione il Parlamento della potenza egemone la Germania così come la sua Corte costituzionale e la sua Banca centrale. Ma è eccezione che conferma la regola, e meriterebbe un ampio discorso a parte). **** La terza menzogna la conosciamo bene, ed è conseguenza logica dei primi due guai. È la cantilena che udiamo ogni giorno «L Europa lo vuole», «L Europa ce lo chiede» e rimbambisce a tal punto che suscita stizze sempre più estese. L autorità divina che ossessivamente viene invocata è pura invenzione, dietro la quale stanno rintanati Stati e Staterelli che vogliono passare indenni attraverso la bufera, che vogliono esercitare un potere senza responsabilità, e ben volentieri

17 17 affidano quest ultima agli organi dell Unione, o peggio al pilota automatico che agirebbe motu proprio, come una macchina celibe che non ha bisogno di mischiarsi con le volontà umane per operare e incidere sulle vite dei cittadini. Il modello Merkiavelli descritto da Ulrich Beck è nato così: l Europa sovranazionale che ancora esiste viene prima denigrata (le si affibbiano nomi spregiativi come eurocrazia, Superstato, etc.) poi depotenziata, infine aggirata da un moltiplicarsi di comitati speciali designati dai Consigli dei ministri: è la cosiddetta comitologia, escogitata per svuotare quella che Robert Menasse chiama l»amministrazione giuseppina» dell Unione, non dissimile dalla buona amministrazione multinazionale e tollerante che vide la luce nell impero austro-ungarico ai tempi di Giuseppe II d Asburgo. Risultato di quest escamotage: ai comandi non c è affatto l eurocrazia, né una volontà che possieda il titolo e la facoltà di sintetizzare le volontà di ventotto nazioni e popoli. C è lo Stato-nazione più poderoso economicamente. Quando si dice «lo vuole l Europa», è la Germania che vuole: che senza ammetterlo pensa, parla, dispone al posto di ciascun abitante europeo, separando i santi dai peccatori (la parola tedesca Schuld significa ambedue le cose: debito e colpa. Economia, ortodossia morale, legge di mercato (o meglio non-legge) sono mescolate perversamente le une con le altre). Anche il modello Merkiavelli è tuttavia finzione e vanità, se lo guardiamo da vicino. L idea di restituire il potere perduto agli Stati sovrani si ammanta di pragmatismo, si pretende realista, pospone continuamente la soluzione federale giudicandola troppo utopica. Non lo sospetta, o finge di non sospettarlo, ma l unica utopia è proprio questa

18 18 restituzione di prerogative e di poteri agli Stati sovrani: è il secondo trasloco che viene operato, dopo il trasloco del nostro vissuto dal tempo presente a quello passato. Non si torna così facilmente al XVII secolo e alla Pace di Westphalia quando i capi delle nazioni europee opposero a una guerra lunga trent anni, e alla vecchia autorità sovranazionale della Chiesa, il marchingegno degli Stati-nazione assolutamente sovrani in casa propria. Col passare dei secoli quel marchingegno ha distrutto l Europa. Era fondato sull equilibrio altamente instabile tra potenze rivali (la cosiddetta balance of power: l obiettivo era di evitare il predominio di una singola potenza controbilanciandola con una o più potenze alleate egualmente volitive e forti). L equilibrio fra le potenze si è infranto nella prima parte del XX secolo, nella guerra di trent anni iniziata nel 1914 e finita nel 1945 con l esaurirsi della centralità storica del vecchio continente. *** Nell agosto-settembre del 2013 abbiamo avuto l ennesima conferma di questo esaurirsi: in Medio Oriente come davanti alla degenerazione delle primavere arabe, in Egitto come in Siria, contano le potenze dotate di mezzi e stature sufficienti Stati Uniti, Russia, Cina non l ammasso confuso e spezzettato che si chiama Europa. La menzogna di Westphalia (il quarto guai) è mortifera. Anche queste potenze d altronde contano fino a un certo punto, come si è visto nella crisi siriana. In realtà sono Stati che ancora vivono nell illusione sovranista. Che neppure hanno tentato la via europea del dopoguerra, né hanno il presentimento che le civilizzazioni periscono se

19 19 si presumono onnipotenti. Resta il fatto che pur restando prigionieri del dogma westphaliano dello Stato interamente sovrano, la loro ambizione e la loro efficacia sono facilitate non poco dalla dimensione geografica e demografica. Le minuscole nazioni europee tutte, Germania compresa non sono al loro confronto che pulviscolo insignificante, e impotente. Potrebbero accampare la democrazia postnazionale e cosmopolìta che seppero immaginare nel dopoguerra, ma è un invenzione che disconoscono o tengono in spregio. Il modello Merkiavelli è finzione e vanità perché chi domina a tutti gli effetti l Unione non è a ben vedere la Germania, o la Francia. (Né tantomeno la Gran Bretagna: è menzogna anche l idea che l Inghilterra sia il problema dell unificazione. Il problema sono la Germania e la Francia). Nelle grandi scelte strategiche l Europa è a rimorchio della potenza egemone dell Occidente (gli Stati Uniti), anche se potenza in declino e non più affidabile, costretta come tutti noi a sottostare ai mercati o al pilota automatico, che di volta in volta viene attivato nella funzione di unico anello di congiunzione tra mercati e politica. Non è una prospettiva tranquillizzante, quando gli Stati dell Unione fanno propria o subiscono della dottrina economica tedesca (che ciascuno faccia con massima diligenza i propri «compiti a casa»: solo dopo verranno se verranno la cooperazione, la solidarietà, gli eurobond, l aumento del bilancio comune, la statualità federale compiuta) e dopo essersi accontentati o aver subito, contemplano stupiti lo sconquasso che hanno provocato e si mettono a inveire contro gli indignati, a gridare al flagello populista che incombe.

20 20 **** I quattro guai che abbiamo elencato (falsa unione democratica dei popoli; falsa promessa di rimpatriare i poteri sovranazionali europei; irresponsabile potere degli Stati-nazione; menzogna di Westphalia) sfociano nella quinta menzogna, tra le più insidiose: quella che concerne la rabbia dei popoli europei, in prima linea di quelli immiseriti dalla crisi in Grecia, Italia o Spagna ma anche di quelli impauriti all idea di pagare per gli altri come in Germania, Austria o Olanda. È una menzogna che abbiamo già menzionato: consiste nell inveire contro il nemico designato che sarebbero i populismi antieuropei delusi o disgustati dall Unione. Vorrei qui ricordare, a titolo di esempio, quanto disse Mario Monti nel settembre del 2012, in una riunione del workshop Ambrosetti a Cernobbio, rendendo esplicito il turbamento che più l affliggeva: non l impotenza dei singoli Stati o delle autorità di Bruxelles, ma l assalto di partiti e movimenti popolari contro le terapie recessive imposte ai paesi debitori dunque peccatori dalle autorità di Bruxelles e dalla Germania che su di esse fa leva. Citiamo testualmente le parole che il Premier rivolse in quell occasione al presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, perché mi sembrano emblematiche: «C è il rischio che mentre la costruzione europea si perfeziona, le difficoltà dell Eurozona facciano emergere grandi, crescenti e pericolosi fenomeni di rigetto nelle opinioni pubbliche dei vari Paesi, con tendenze all antagonismo e a populismi che mirano alla disgregazione». E ha proseguito: «La contrapposizione tra Paesi del Nord e del Sud dell Europa fa riemergere vecchi stereotipi e vecchie tensioni. È paradossale e triste che mentre si sperava di completare l integrazione

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