risulta (x) = 1 se x < 0.
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- Leonora Fontana
- 8 anni fa
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1 Questo file si pone come obiettivo quello di mostrarvi come lo studio di una funzione reale di una variabile reale, nella cui espressione compare un qualche valore assoluto, possa essere svolto senza necessariamente aprire il modulo (neanche nel calcolo della derivata della funzione nei punti del suo dominio in cui è derivabile). Partiamo da una semplice osservazione. È ben noto che la funzione f() = è definita in D f = R, continua su tutto il suo dominio, ma derivabile solo in D f \ {0}. Per ogni D f \ {0} risulta { f 1 se > 0, () = 1 se < 0. Il punto 0 = 0 è un punto di non derivabilità per f. Si tratta di un punto angoloso (convinti?). Invece di scrivere la derivata f di f come una funzione definita per casi, si può utilizzare una particolare scrittura compatta. Vale infatti la seguente semplicissima proposizione. Proposizione 1. La funzione f() = ( R) è derivabile in R \ {0} e risulta f () =, R \ {0}. Dimostrazione. Se consideriamo la funzione h() = con R \ {0} (i.e. D h = R \ {0}), la proposizione sarà dimostrata, se proviamo che la funzione f (di cui conosciamo l espressione (quella di poco fa, definita per casi)) è uguale alla funzione h appena definita. Due funzioni sono uguali se hanno lo stesso dominio (e f e g hanno lo stesso dominio (R \ {0})) e se in ogni punto del loro dominio comune assumono lo stesso valore ovvero se R \ {0} risulta f () = h(). Ora, se > 0 allora f () = 1 e h() = = = 1, dato che = (siamo nel caso > 0). = 1, da- Analogamente se < 0 allora f () = 1 e h() = to che = (siamo nel caso < 0). = Dunque f () = h() per ogni R \ {0} e la dimostrazione è conclusa. In definitiva, dovendo studiare la funzione f() =, potreste, per quanto riguarda la parte di derivabilità, affermare che la funzione f è derivabile in 1
2 R \ {0} e la sua derivata, per ogni in questo insieme, vale f () = Non c è stato bisogno di aprire il modulo. Il punto 0 = 0 è un punto di non derivabilità per la f e più precisamente è un punto angoloso (lo si può verificare, studiando i limiti destro e sinistro della f (che in questo caso esistono) per che tende a 0, usando ancora una volta l espressione compatta della derivata). Implementiamo questo ragionamento. Supponiamo di voler studiare una funzione del tipo f() = g() e di volerlo fare senza mai aprire il modulo e considerare la nostra funzione come una funzione definita per casi. Mentre andate avanti nella lettura pensate al semplicissimo caso f() =. In questo caso g() =. Prima di tutto è assolutamente evidente che il dominio della f coincide con il dominio della g (Fermatevi a riflettere: se D g allora ha senso calcolare il valore g() e il suo modulo, uguale, per definizione della f, a f()). Dunque D f. Viceversa se D f allora l espressione f() ha senso e ovviamente anche g() lo ha. Dunque D g. Pertanto D f = D g ). A questo punto, osserviamo che la nostra funzione f() = g() è composizione della funzione f 1 () = g() con la funzione f 2 (y) = y (il dominio della prima funzione f 1 coincide con D g, mentre il dominio di f 2 è dato da tutto R. Nessuno si spaventi che abbia usato la y come variabile indipendente per la funzione f 2 : ho pur sempre ben definito e descritto come agisce questa funzione ed è quello che conta!). Cosa vuol dire che la funzione di partenza f è composizione di f 1 con f 2? Vuol dire che per ogni D f si ha la seguente uguaglianza. f() = f 2 (f 1 ()) (1) cioè che, preso D f, il numero reale f() è uguale al valore della funzione f 2 nel numero reale f 1 (). Osservazione 1. Osservate che, affinchè l uguaglianza funzionale (1) abbia senso (e quindi si possa parlare di composizione delle due funzioni) devono verificarsi le seguenti due condizioni. i) La funzione f assegnata e la funzione interna della composizione f 1 devono avere lo stesso dominio. Per essere uguali, due funzioni devono avere esattamente lo stesso dominio (e solo dopo si controlla che le due funzioni 2
3 assumono gli stessi valori sui punti del dominio comune). Dunque, se si prende una in D f (per cui ha senso calcolare il numero reale f()), si deve poter valutare f 1 in questa ovvero f 1 () deve avere senso (e quindi deve appartenere al dominio di f 1 ). ii) Per ogni D f1 = D f si deve poter valutare la funzione f 2 nel numero reale f 1 () ovvero, al variare di in tutto il dominio di f 1, le immagini f 1 () di tali tramite f 1 devono cadere nel dominio di f 2 (o, come spesso si dice, l insieme immagine del dominio D f1 tramite f 1 (definito come Im(f 1 ) = {f 1 () R : D f1 }) deve essere contenuto in D f2 ). Una volta appurato che le condizioni i)-ii) sono valide, per poter concludere che f è di fatto la composizione di f 1 con f 2, bisogna controllare che l uguaglianza (1) è verificata per ogni D f = D f1. Torniamo alla nostra particolare funzione f() = g(). Abbiamo asserito che tale f è composizione della funzione f 1 () = g() con la funzione f 2 (y) = y. È vero quello che stiamo dicendo? Controlliamo che le condizioni i)-ii) siano verificate. Per quanto riguarda la i), abbiamo già stabilito che D f = D g e dunque D f = D f1. Per quanto riguarda la ii), essa è banalmente vera, dal momento che il dominio di f 2 è tutto R e dunque ha senso valutare f 2 in qualsiasi f 1 () ( D f1 ). Dunque la composizione è sensata. Ma è vera? Cioè, l uguaglianza (1) è soddisfatta per tutte le D f? Verifichiamolo. Prendiamo un arbitraria D f. Calcoliamo f 1 (). Troviamo g() (per definizione di f 1 ). Valutiamo f 2 nel numero reale g(). Come opera la f 2? Prende un numero reale qualsiasi e gli associa il suo valore assoluto. Quanto vale dunque f 2 nel numero reale f 1 () = g() (ovvero a quanto è uguale il numero reale f 2 (f 1 ()))? Semplicemente g() che è esattamente il valore f() della f in. Dunque f() = f 2 (f 1 ()) D f, la (1) è verificata per ogni D f e possiamo trattare la nostra f di partenza come composizione della f 1 con la f 2, le cui espressioni sono a noi note. Vi ricordo l importantissimo teorema sulle proprietà di regolarità (continuità e derivabilità) delle funzioni composte. Teorema 1 (Continuità e derivabilità delle funzioni composte). Sia f la composizione di una funzione f 1 con un altra funzione f 2 i.e. si ha f() = f 2 (f 1 ()) D f. 1) Se f 1 è continua in 0 D f1 = D f e f 2 è continua in f 1 ( 0 ) allora la 3
4 funzione f è continua in 0. 2) Se f 1 è derivabile in 0 D f1 = D f e f 2 è derivabile in f 1 ( 0 ) allora la funzione f è derivabile in 0 e risulta f ( 0 ) = f 2(f 1 ( 0 )) f 1( 0 ). Torniamo alla nostra generica funzione della forma f() = g() e trattiamola a tutti gli effetti come una funzione composta (tenete ben in mente chi è f 1 e chi è f 2 ). Chiediamoci in quali punti del suo dominio D f la funzione f risulta essere continua? Per ogni 0 D f la funzione f 1 è continua in 0 se g (che definisce la f 1 ) è continua in 0, mentre f 2 è continua in qualsiasi f 1 ( 0 ) visto che la funzione modulo è continua sul suo dominio). Ma allora per la 1) del Teorema 1, la nostra f sarà continua in quei punti del suo dominio in cui la funzione g (argomento del modulo nell espressione della f) è continua. Chiediamoci in quali punti del suo dominio la funzione f risulta essere derivabile e quanto vale in questi punti la sua derivata? Vogliamo (lo avrete intuito) ricorrere al punto 2) del Teorema 1. Un punto 0 D f sarà di derivabilità per la f se f 1 è derivabile in 0 e dunque se g lo è (visto che f 1 () = g()), ma non solo. La funzione f 2 deve essere derivabile in f 1 ( 0 ). La funzione f 2 è nel nostro caso la funzione modulo che non è derivabile solamente in y 0 = 0. Dunque se f 1 ( 0 ) = g( 0 ) = 0, la funzione f 2 non sarà derivabile in f 1 ( 0 ) e, in ultima analisi, la funzione f non lo sarà nel punto 0. Ne deduciamo che 0 D f è un punto di derivabilità della f se è un punto di derivabilità della f 1 = g e se f 1 ( 0 ) = g( 0 ) è diverso da 0. Se 0 è un punto di derivabilità della f, allora f ( 0 ) = g( 0) g( 0 ) g ( 0 ). Stiamo infatti ricorrendo alla formula di derivazione contenuta nel Teorema 1. La derivata di f 2 (y) = y è data (quando esiste) da f 2 (y) = y y (lo abbiamo visto nella prima parte del file). Valutando f 2 in f 1( 0 ), si ottiene esattamente g( 0) g( 0 ). Dobbiamo quindi moltiplicare quest espressione per f 1 ( 0) = g ( 0 ). Riassumendo (ed è questa estrema sintesi che dovete avere in mente quando fate gli esercizi), se avete a che fare con una funzione f() = g(), questa avrà come dominio il dominio della g (argomento del modulo), sarà continua 4
5 in quei punti del dominio in cui g è continua, è sarà derivabile in quei punti del dominio in cui la g `derivabile e che non annullano la g (argomento del modulo) stessa. In tali punti la derivata di f varrà f () = g() g() g (). Esempio 1. Sia data la funzione f() =. Discutere le proprietà di regolarità della f sul suo dominio, senza mai aprire il modulo. La funzione f appartiene alla classe delle funzioni esaminate. Infatti f() = g() con g() =. Il dominio di f (coincidente con il dominio di g) è tutto R. La funzione f è continua in tutto R (dato che la g lo è) ed è derivabile in R \ {0} perchè la g è sì derivabile in tutto R, ma 0 = 0 annulla la g. In ogni R \ {0} la derivata di f vale f () = g() g() g () =. Il punto 0 = 0 è un punto angoloso (già verificato e anche senza aprire il modulo). Esercizio 1. Studiare la regolarità delle seguenti funzioni sui rispettivi domini, senza mai aprire il modulo. f 1 () = , log( + 1) + 2 f 2 () =. Sugg.: per la f 2, attenti a non fare confusione. Questa funzione presenta sì una parte di tipo g() ma anche altre parti. Quando studiate la continuità e la derivabilità della f sul dominio, per la parte di tipo g() le informazioni sono ricavabili dalla trattazione precedente, mentre per le parti rimanenti si usano argomenti classici di regolarità delle funzioni elementari, di somme e rapporti di funzioni continue e derivabili. Esercizio 2. Rispondete ai seguenti quesiti o risolvete i mini problemi teorico-pratici che seguono. 1) Sia data la funzione f() = con variabile in [1, 5) (cioè D f = [1, 5), restrizione del dominio naturale (R) di questa funzione) e sia data la funzione g() = con variabile in [1, 5] (i.e. D g = [1, 5]). Queste due funzioni sono uguali? Notate che a volte sarò io a dirvi dove voglio che siano definite le funzioni, prendendo non necessariamente il dominio naturale delle stesse, ma un suo 5
6 qualche sottoinsieme. 2) Si può comporre la funzione f 1 () = 2 (con D f1 =(, 0)) con la funzione f 2 (y) = y (con y nel suo dominio naturale D f2 = [0, + ))? In caso affermativo scrivere l espressione della composizione. In caso negativo spiegare perchè non lo si possa fare. 3) Spiegare perchè non si possa comporre la funzione f 1 () = 2 1 (con D f1 = (0, + )) con la funzione f 2 (y) = log y (con il suo dominio naturale D f2 = (0, + )). Fornire un esempio di come debba essere preso il dominio della f 1 perchè questa composizione abbia senso (possibilmente fornire l esempio ottimale, cioè trovare il più grande sottoinsieme di R che, usato come dominio della f 1, rende sensata la composizione di f 1 con f 2 ). 4) Spiegare perchè le seguenti due funzioni sono delle composizioni di altre funzioni. Determinare le funzioni che compongono le funzioni assegnate, convincersi che le funzioni composte sono continue e derivabili sui rispettivi domini e calcolare la derivata delle funzioni assegnate, usando con rigore (e non per automatismo) la formula di derivazione per le funzioni composte, contenuta nel Teorema 1. f 1 () = e sin, f 2 () = log 2 ( 3 + 1). Osservate che la f 2 è composizione di ben tre funzioni, o, in altre parole, di due funzioni, di cui una è a sua volta una funzione composta. Mi raccomando, quando andate a calcolare la derivata della f 2, dovete comunque riuscire a usare la formula di derivazione (una delle due funzioni da derivare sarà a sua volta una funzione composta e, per calcolarne la derivata, dovrete usare la stessa formula di derivazione. In soldoni, la userete due volte). 5) Provate a dedurre una formula di derivazione per una funzione che è composizione di n (n N, n > 2) funzioni. 6
f(x) = 1 x. Il dominio di questa funzione è il sottoinsieme proprio di R dato da
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