CAPITOLO II IL RITO CAMERALE IN CASSAZIONE PER I RICORSI IN MATERIA DI SEQUESTRI
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- Lino Carrara
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1 CAPITOLO II IL RITO CAMERALE IN CASSAZIONE PER I RICORSI IN MATERIA DI SEQUESTRI (Luigi Barone) SOMMARIO: 1. La questione controversa rimessa alle Sezioni unite L'orientamento delle Sezioni unite Serio e Lucchetta La soluzione adottata dalle Sezioni Unite. 1. La questione controversa rimessa alle Sezioni unite. Nell anno di riferimento le Sezioni unite, con sentenza del 17 dicembre 2015, n , Maresca ed altro, Rv , sono intervenute affermando il principio secondo cui il procedimento in camera di consiglio innanzi alla Corte di cassazione avente ad oggetto i ricorsi ex art. 325 cod. proc. pen. in materia di sequestri deve svolgersi nelle forme del rito "non partecipato" previsto dall'art. 611 cod. proc. pen. e non in quelle di cui all'art. 127 cod. proc. pen., come invece sino a quel momento pacificamente ritenuto in sede di legittimità, dopo che le stesse Sezioni unite, nei primi anni di vita del nuovo codice, si erano occupate della questione con le pronunzie 26 aprile 1990, n. 4, Serio, Rv e 6 novembre 1992/93, n. 14, Lucchetta, Rv Per inquadrare i termini della problematica occorre partire dal dato normativo di riferimento in ordine alla tipologia dei riti previsti per il giudizio in sede di legittimità e al regime di impugnabilità dei sequestri. Relativamente al primo aspetto, l art. 611 cod. proc. pen. stabilisce che il procedimento si svolge nelle forme del rito camerale, oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge (ad esempio, per la decisione su una correzione materiale o su questioni pregiudiziali proposte ex art. 3, comma 2, cod. proc. pen.), quando la Corte deve decidere su ogni ricorso contro provvedimenti non emessi nel dibattimento, fatta eccezione per le sentenze pronunciate a norma dell art. 442 cod. proc. pen., all esito di giudizio abbreviato. La procedura camerale è applicabile anche nel caso di ricorso presentato avverso la sentenza di patteggiamento, salvo che questa non sia stata emessa dopo la chiusura del 549
2 dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione, nel qual caso il ricorso va deciso in pubblica udienza. Salvo che sia diversamente stabilito, la Corte, in deroga a quanto previsto dall art. 127, cit., giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie delle altre parti senza intervento dei difensori. In merito al secondo profilo, gli artt. 257 (in materia di sequestro probatorio) e 322 (in materia di sequestro preventivo) cod. proc. pen. riconoscono all imputato (nonché al suo difensore nel caso dell art. 322), alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione di proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell art Fuori dei casi previsti dall art. 322, il pubblico ministero e gli altri soggetti suindicati possono proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero. Analoga previsione non è prevista per il sequestro probatorio, per il quale il codice di rito si limita a disciplinare all art. 263 il procedimento per la restituzione delle cose sequestrate, disponendo al comma 5 che, contro il decreto del pubblico ministero che dispone la restituzione o respinge la relativa richiesta, gli interessati possono proporre opposizione, sulla quale il giudice provvede con ordinanza, a norma dell art. 127, la quale, ritiene la Suprema Corte, pur in assenza di una espressa previsione normativa in tal senso, è ricorribile per cassazione, (Sez. un., 31 gennaio 2008, n. 7946, Eboli, Rv ) e il relativo giudizio si celebra in camera di consiglio con le forme del rito non partecipato (Sez. un., 30 ottobre 2008, n. 9857/2009, Manesi, Rv ). Avverso, invece, le ordinanze emesse ai sensi degli artt. 322 bis e 324 cod. proc. pen., il legislatore ha espressamente previsto, all art. 325 cod. proc. pen., la possibilità di proporre ricorso per cassazione, che la giurisprudenza, ormai consolidata, circoscrive al vizio di violazione di legge, comprendendo in tale nozione sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. Tale principio, enucleato già nel 2004 con una 550
3 pronuncia a Sezioni unite (Sez. un, 28 gennaio 2004, n. 5876, Bevilacqua, Rv ), è stato ulteriormente sviluppato e chiarito, ancora dalle Sezioni unite (29 maggio 2008, n , Ivanov, Rv ), e successivamente ribadito in numerose pronunce delle sezioni semplici (ex multis, Sez. I, 31 gennaio 2012, n. 6821, Chiesi, Rv ; Sez. V, 25 giugno 2010, n , Angelini, Rv ). Il quadro, così delineato, raffigura, dunque, in ordine alle impugnazioni in materia di sequestro probatorio una disciplina, solo in parte coincidente, a quella dettata per i sequestri preventivi, con una differente tipologia di strumenti a disposizione delle parti e dei soggetti comunque coinvolti dal provvedimento. Il dato singolare è che, con riferimento ai ricorsi avverso i provvedimenti ex art. 263, comma 5, si perviene agevolmente, in assenza di una norma che stabilisca diversamente, alla conclusione secondo cui deve applicarsi il rito camerale "ordinario" ossia quello cartolare ex art. 611, cod. proc. pen.; nell'ipotesi invece dei ricorsi ex art. 325, cod. proc. pen. il dettato normativo da adito ad incertezze interpretative per via del richiamo, soltanto parziale, alle disposizioni dettate dai commi 3 e 4 dell'art. 311 cod. proc. pen. per l'omologo ricorso in materia di misure cautelari personali. Il comma 3 disciplina le modalità di presentazione del ricorso e i successivi adempimenti a carico del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, per cui nessun ausilio fornisce al thema decidendum in discussione. Il comma 4 dispone che i motivi di ricorso devono essere enunciati contestualmente a questo, ferma restando la facoltà di enunciarne di nuovi fino alla discussione. Soltanto il comma 5, che però non viene richiamato dall art. 325, comma 3, cit., stabilisce che la Corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall art Ne consegue che per la materia dei ricorsi avverso le misure cautelari personali, essendo stabilito diversamente, si deroga alla disciplina cartolare prevista dall'art. 611, cit. e si applica il rito camerale partecipato. Il dubbio sorge invece per i ricorsi aventi ad oggetto le decisioni in materia di sequestro, stante il rinvio dell'art. 325, comma 3 cod. proc. pen., alle "disposizioni dell'art. 311 commi 3 e 4 e non anche a quella del comma 5, l'unica norma che richiama espressamente l'art. 127 cod. proc. pen.. 551
4 2. L'orientamento delle Sezioni unite Serio e Lucchetta. Come accennato nel paragrafo che precede, sul tema dibattuto erano intervenute, oltre venti anni fa, le Sezioni unite, che, nei due arresti sopra già indicati, hanno optato per la soluzione esegetica favorevole alla applicazione del rito camerale "partecipato" anche per i ricorsi in materia di misure cautelari reali, ex art. 325 cod. proc. pen.. La ragione, posta a fondamento della soluzione ermeneutica offerta, veniva individuata dalla Corte nel tenore letterale dell'art. 311 comma 4 (richiamato dall'art. 325 comma 3), che, prevedendo una discussione (necessariamente orale) e la possibilità di enunciare motivi nuovi prima del suo inizio, delinea un modulo procedimentale incompatibile con quello dell'art. 611 cod. proc. pen., basato unicamente su atti scritti e che facoltizza le parti a presentare motivi nuovi fino a quindici giorni prima dell'udienza camerale. Per dirlo con le parole della sentenza Serio, ci si trova in presenza di un caso, in cui è diversamente stabilito e risultando inapplicabili le forme del procedimento camerale speciale non possono che essere adottate quelle generali dell'art. 127 cod. proc. pen., anche se nell'art. 325 manca il rinvio al comma 5 dell'art La mancanza del rinvio non è però senza conseguenze perché rende inapplicabile in materia di sequestro la prescrizione di decidere il ricorso "entro trenta giorni dalla ricezione degli atti" contenuta nell'art. 311, comma 5. Con la sentenza Lucchetta, i giudici, nell'aderire, oltre che alle conclusioni, anche al percorso argomentativo della Serio, integralmente riproposto, si erano soffermati sulla possibile tesi contraria, fondata sull'omesso richiamo da parte dell'art. 325, comma 3, cit., del comma 5 dell'art. 311, il solo a fare riferimento alle forme previste dall'art. 127 e quindi a legittimare la deroga al rito non partecipato previsto dall'art. 611, per cui il rinvio operato dall'art. 325 al comma 4 dell'art. 311 sarebbe da leggersi soltanto alla parte riguardante la possibilità di enunciare nuovi motivi, non anche a quella relativa alla discussione orale. All'assunto, il Collegio della Lucchetta replicava, ritenendo sufficiente e decisivo considerare che il rinvio al comma 4 dell'art. 311 cod. proc. pen. (che con il suo riferimento alla discussione presuppone, necessariamente, la forma orale del procedimento) ha reso superfluo il richiamo del successivo comma 5 dello stesso articolo. 552
5 3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite. Nella sentenza in commento, la Corte ha ritenuto di rivisitare le argomentazioni sviluppate nelle richiamate pronunce Serio e Lucchetta, non prima, però, di aver rimarcato la piena legittimità della procedura camerale disciplinata dall'art. 611, cit., anche alla luce della normativa convenzionale e costituzionale, dalla quale sembra potersi affermare che il contraddittorio: a) Non annovera, tra le sue componenti fondanti, l'oralità, della quale può, pertanto, anche prescindere; b) si atteggia diversamente a seconda del passaggio o della fase processuale in cui è chiamato ad operare; c) si adatta, in sede di legittimità, al tecnicismo che caratterizza il relativo giudizio ed è garantito in tutti e tre i riti in cui quest'ultimo si articola, la cui differenziazione è determinata, non dall'entità dei beni giuridici toccati dall'applicazione delle norme processuali, ma soltanto dalla scelta discrezionale del legislatore di coniugare il rito allo spessore del valore processuale in gioco. Svolta questa necessaria premessa, i giudici, passando ai contenuti delle disposizioni codicistiche in esame, hanno osservato come la specialità della procedura camerale non partecipata nel giudizio di cassazione e, al contempo, la sua elevazione a regola di giudizio, rispetto all eccezione, costituita dai casi in cui sia "diversamente stabilito", precludano la possibilità di interpretazioni sostanzialmente fondate su deduzioni di natura implicita, quali quelle prospettate nelle sentenze Serio e Lucchetta. In altre parole, si legge testualmente in sentenza, l'art. 325, comma 3, e l'art. 311, commi 3 e 4, in esso richiamato, non stabiliscono alcunché di diverso rispetto a quanto indicato dall'art. 611, atteso che soltanto l'art. 311, comma 5, richiama l'osservanza delle forme previste dall'art. 127 cod. proc. pen.. Si aggiunga che l'art. 311 cod. proc. pen. riguarda il ricorso per cassazione avverso provvedimenti in materia di misure coercitive, sicché la sua complessiva conformazione è chiaramente calibrata con specifico riferimento ad esse ed il richiamo alla "discussione", presente nel comma 4, non può ritenersi determinante ai fini della individuazione del rito, così come non può ritenersi che la sua mera presenza sia significativa di una diversa previsione da parte del legislatore, il quale avrebbe, così, "diversamente stabilito" rispetto all'art
6 Da ciò la Corte ne trae conseguenza che l'assenza di un richiamo anche dell'art. 311, comma 5, da parte dell'art. 325, non è affatto irrilevante, venendo a mancare quella espressa previsione di un diverso rito camerale che l'art. 611 chiaramente richiede nell'individuare i casi in cui non si procede nella forma non partecipata. Considerando, dunque, l'art. 311, cit., nel suo complesso, perde rilievo anche la ulteriore osservazione, presente nella sentenza Serio, secondo la quale il mancato richiamo al comma 5, produce comunque concrete conseguenze, rendendo inapplicabile, in tema di sequestri, l'obbligo di decidere il ricorso entro trenta giorni dalla ricezione degli atti. Tale ultima affermazione, significativamente oggetto di critica nei commenti alla decisione, mostra una evidente debolezza argomentativa, forzando la lettera della legge in un tortuoso percorso, seguendo il quale si sarebbe inteso perseguire il medesimo risultato che si sarebbe potuto ottenere attraverso il semplice richiamo dell'art. 311, comma 5, ovvero disciplinandosi del tutto autonomamente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di sequestro, senza alcun richiamo ad altre disposizioni. Una lettura organica dell'art. 311 c.p.p., induce, dunque, la Corte a condividere le osservazioni svolte nell'ordinanza di rimessione, laddove si osserva che la prevista possibilità di presentazione di motivi nuovi fino all'udienza può essere compresa solo se correlata alla necessità di fissare l'udienza medesima nei trenta giorni dalla ricezione degli atti, come disposto dal comma 5, considerando che i tempi ristretti giustificano la possibilità di introdurre argomenti nuovi a sostegno dei motivi già proposti e la conseguente deroga dell'art. 127, comma 2, cod. proc. pen.. Nel valutare, dunque, l'ambito di operatività dell'art. 325, comma 3, in relazione all'art. 311, commi 3 e 4, non può prescindersi dal considerare che quest'ultimo articolo è strutturato in relazione alle misure cautelari personali e che soltanto il comma 5 dell articolo medesimo contiene un richiamo espresso all'art. 127, cit. c.p.p., e considerandone i contenuti, che lo saldano perfettamente ai commi precedenti, può pervenirsi ad una interpretazione coerente, giungendo così alla conclusione, secondo la quale il richiamo, operato dall'art. 325, comma 3, dell'art. 311, comma 4, va riferito esclusivamente all'obbligo di enunciazione contestuale dei motivi di ricorso; precisazione a ben vedere per nulla superflua, essendo giustificata dalla necessità di affermare 554
7 esplicitamente che la presentazione di una dichiarazione di impugnazione autonoma rispetto ai motivi, consentita nella fase del merito nella materia qui considerata, non è consentita nel giudizio di cassazione. Preme, infine, al Collegio escludere il rischio che la nuova esegesi seguita possa provocare contraccolpi sulla celere definizione dei processi; ciò sia perché il maggior termine di trenta giorni di cui all'art. 610, comma 5, cod. proc. pen., rispetto a quello stabilito dall'art. 127, cit., può essere comunque ridotto a richiesta delle parti, secondo quanto disposto dall'art. 169 disp. att. cod. proc. pen., sia perché l'acquisizione della requisitoria scritta del procuratore generale non è presupposto necessario ai fini della fissazione della data dell'udienza e della trattazione del ricorso ex art. 611 (Rv ). Sulla base delle premesse argomentative svolte, le Sezioni unite, mutando il proprio tradizionale orientamento ermeneutico, sono così approdate al principio, già anticipato nel paragrafo introduttivo, secondo cui il procedimento in camera di consiglio innanzi alla Corte di cassazione avente ad oggetto i ricorsi ex art. 325 cod. proc. pen. in materia di sequestri deve svolgersi nelle forme del rito "non partecipato" previsto dall'art. 611 cod. proc. pen. e non in quelle di cui all'art. 127 cod. proc. pen. (Rv ). 555
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
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