Assegno divorzile e famiglia di fatto

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1 L ex coniuge titolare di assegno divorzile che instaura una stabile convivenza more uxorio perde l assegno divorzile e non riacquista il diritto se la convivenza viene meno Cass. civ. Sez. I, 3 aprile 2015, n L instaurazione della convivenza more uxorio determina il venir meno del diritto all assegno divorzile. Il diritto in tal caso entra in una situazione di quiescenza Cass. civ. Sez. I, 18 novembre 2013, n Cass. civ. Sez. I, 12 marzo 2012, n Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n Cass. civ. Sez. I, 8 agosto 2003, n Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 1998, n I. Cass. civ. Sez. I, 3 aprile 2015, n Va annullata la sentenza di merito che ha attribuito il diritto all'assegno divorzile all'ex coniuge che abbia cessato la precedente convivenza more uxorio. La famiglia di fatto, espressione di una scelta esistenziale/ libera e consapevole/da parte del coniuge, eventualmente potenziata dalla nascita di figli (ciò che dovrebbe escludere ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l altro coniuge) deve essere necessariamente caratterizzata dalla assunzione piena di un rischio, in relazione alle vicende successive della famiglia di fatto, mettendosi in conto la possibilità di una cessazione del rapporto tra conviventi (ferma restando evidentemente la permanenza di ogni obbligo verso i figli). II. Cass. civ. Sez. I, 18 novembre 2013, n In tema di diritto alla corresponsione dell assegno di divorzio in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il parametro dell adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei coniugi viene meno di fronte alla instaurazione, da parte di questi, di una famiglia, ancorchè di fatto, la quale rescinde, quand anche non definitivamente, ogni connessione con il livello ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, conseguentemente, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile. III. Cass. civ. Sez. I, 12 marzo 2012, n In caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l instaurazione di una famiglia di fatto, quale rapporto stabile e duraturo di convivenza, attuato da uno degli ex coniugi, rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale e, in relazione ad essa, il presupposto per la riconoscibilità, a carico dell altro coniuge, di un assegno divorzile, il diritto al quale entra così in uno stato di quiescenza, potendosene invero riproporre l attualità per l ipotesi di rottura della nuova convivenza tra i familiari di fatto. IV. Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n La costituzione di una famiglia di fatto dopo il divorzio può determinare la sospensione dell assegno. Infatti in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l instaurazione di una famiglia di fatto, quale rapporto stabile e duraturo di convivenza, attuato da uno degli ex coniugi, rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale e, in relazione ad essa, il presupposto per la riconoscibilità, a carico dell altro coniuge, di un assegno divorzile, il diritto al quale entra così in uno stato di quiescenza, potendosene invero riproporre l attualità per l ipotesi di rottura della nuova convivenza tra i familiari di fatto. 1 Lessico di diritto di famiglia

2 V. Cass. civ. Sez. I, 8 agosto 2003, n Ai fini della determinazione dell assegno di divorzio, il cui presupposto è costituito dall inadeguatezza dei mezzi del richiedente, ha rilievo la sopravvenuta convivenza more uxorio, qualora si caratterizzi per i caratteri della stabilità, continuità e regolarità, tanto da venire ad assumere i connotati di una «famiglia di fatto», così da recidere ogni plausibile connessione con il tenore e il modello di vita economici caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, quindi, ogni presupposto per la riconoscibilità dell assegno divorzile. VI. Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 1998, n Può attribuirsi rilevanza alla convivenza instaurata dal coniuge separato, al fine della revoca del provvedimento con cui è stato disposto a suo favore l assegno, sempre che non si tratti di occasionali rapporti, ma di situazione dotata di sufficiente grado di stabilità e certezza. Nel caso in cui alla convivenza more uxorio siano riconnesse conseguenze giuridiche, al fine di distinguere tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, deve tenersi soprattutto conto del carattere di stabilità che conferisce grado di certezza al rapporto di fatto sussistente tra le persone, tale da renderla rilevante sotto il profilo giuridico, sia per quanto concerne la tutela dei figli minori, sia per quanto riguarda i rapporti patrimoniali tra i coniugi separati ed, in particolare, con riferimento alla persistenza delle condizioni per l attribuzione dell assegno di separazione (nella specie, la moglie, a seguito della separazione, aveva ottenuto un assegno di mantenimento a carico del marito che era stato, poi, revocato dal giudice di merito, sul presupposto che la stessa, successivamente alla separazione, aveva intrattenuto una periodica convivenza con altro uomo, a seguito della quale era nato un figlio. La S.C. ha cassato la sentenza impugnata perché il giudice di merito, adeguandosi all enunciato principio, accertasse se la donna ed il suo convivente avessero costituito o meno un affidabile e stabile famiglia di fatto, trascendente la mera esistenza di rapporti sessuali, così da stabilire se questa nuova unione avesse fatto venire meno il presupposto per la percezione dell assegno di mantenimento dal marito). È condivisibile il nuovo orientamento della cassazione? Ci dobbiamo necessariamente interrogare sulla condivisibilità o meno del principio espresso da Cass. civ. Sez. I, 3 aprile 2015, n secondo cui lo stato di quiescenza in cui entra l assegno divorzile in seguito alla instaurazione di una stabile convivenza more uxorio del coniuge beneficiario - non può far rivivere il diritto all assegno ove quella convivenza venga a cessare. Insomma una volta venuto meno l assegno divorzile, esso non potrebbe essere di nuovo attribuito. Con questa sentenza si chiude il cerchio (ma si tratta di verificare se in modo plausibile o meno) dopo le lontane sentenze del 1998 e del 2003 che avevano in sostanza affermato il principio allora ancora quasi rivoluzionario che la convivenza more uxorio, qualora caratterizzata dai caratteri della stabilità, continuità e regolarità, non è altro che una «famiglia di fatto», e recide ogni plausibile connessione con il tenore e il modello di vita economici caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, quindi, ogni presupposto per la riconoscibilità dell assegno divorzile. Successivamente con le altre sentenze sopra massimate la Cassazione aveva affermato che il diritto all assegno entra in una situazione di quiescenza con ciò intendendosi affermare, pertanto, che l eventuale cessazione della convivenza avrebbe potuto far rivivere il diritto all assegno. La più recente decisione del 3 aprile 2015 rimedita questo orientamento in una vicenda in cui il giudice di merito aveva attribuito l assegno divorzile per il periodo successivo alla cessazione della convivenza more uxorio da parte dell ex coniuge beneficiario. I giudici della Cassazione, nell accogliere il ricorso dell ex coniuge onerato dell assegno, affermano che riesaminandosi la questione, sembra assai più coerente affermare che una famiglia di fatto, espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, da parte del coniuge, eventualmente potenziata dalla nascita di figli dovrebbe essere necessariamente caratterizzata dalla assunzione piena di 2 Lessico di diritto di famiglia

3 un rischio, in relazione alle vicende successive della famiglia di fatto, mettendosi in conto la possibilità di una cessazione del rapporto tra conviventi (ferma restando evidentemente la permanenza di ogni obbligo verso i figli). Si legge nella sentenza sembra assai più coerente. ; ma, bisogna chiedersi, è veramente più coerente? La decisione appare, infatti, porsi in aperto contrasto con il principio generale - sul quale inspiegabilmente la motivazione non si sofferma in base al quale l attribuzione o la revoca dell assegno divorzile sono eventi con validità rebus sic stantibus e non possono mai determinare, perciò, una situazione di definitività. L art. 9 della legge sul divorzio (analogamente a quanto prevede in sede di separazione l art. 710 c.p.c.) prevede che qualunque mutamento di circostanze è in grado di offrire elementi di ripensamento sull assegno, potendosi determinare la necessità di una riduzione o di un aumento dell importo e perfino, secondo pacifica giurisprudenza, anche il riconoscimento di un assegno mai in precedenza previsto. È noto che tra coniugi divorziati non può essere azionata nessuna pretesa di carattere alimentare. Allora come farà a soddisfare le proprie esigenze di vita l ex coniuge (beneficiario dell assegno) che non avrebbe più titolo a nessuna prestazione di mantenimento perché non prevista dall attuale regime della convivenza more uxorio privo di regolamentazione giuridica? Quindi finché il legislatore o la giurisprudenza non riconosceranno che anche alla cessazione della convivenza more uxorio possa conseguire un obbligazione alimentare (proprio in ragione di quella solidarietà di tipo matrimoniale che la contraddistingue e che costituisce il comune presupposto di tutte le decisioni in materia di convivenza more uxorio), è difficile condividere l'orientamento nuovo della Cassazione. I Cass. civ. Sez. I, 3 aprile 2015, n Svolgimento del processo Il ricorso depositato in data 11/11/2004, L.E. chiedeva dichiararsi, nei confronti della moglie I.M. G., la cessazione degli effetti civili del matrimonio, con esclusione dell assegno divorzile. Costituitosi il contraddittorio, la I. dichiarava di non opporsi al divorzio, e chiedeva assegno per sé. Il Tribunale di Brindisi, con sentenza non definitiva in data 3/7/2006, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Con sentenza definitiva in data 31/05/2010, poneva a carico del L. assegno divorzile di Euro 1.000,00 mensili a favore della moglie, con decorrenza dal mese successivo alla pubblicazione della sentenza. Proponeva appello la I., chiedendo una decorrenza anteriore dell assegno. Costituitosi il contraddittorio, il L. chiedeva rigettarsi il gravame e, in via di appello incidentale, l esclusione di ogni assegno. La Corte d Appello di Lecce, con sentenza 03/07/2011, in parziale accoglimento dell appello principale, disponeva la decorrenza dell assegno dal mese di ottobre del 2006 (passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio); rigettava l appello incidentale del marito. Ricorre per cassazione il L.. Resiste, con controricorso, la I., che pure deposita memoria per l udienza. Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nonché vizio di motivazione, non avendo tenuto conto la Corte di merito della stabile convivenza, che aveva dato luogo 3 Lessico di diritto di famiglia

4 ad una vera e propria famiglia di fatto, della I. con altro uomo, ciò che dovrebbe escludere la corresponsione di assegno divorzile a carico del coniuge, anche se tale convivenza venisse a cessare. Con il secondo, violazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10, nonché contraddittoria motivazione in ordine alla decorrenza dell assegno divorzile. Afferma il giudice a quo che, una relazione more uxorio rileva ai fini della determinazione dell assegno a carico dell ex coniuge nei limiti in cui tale relazione incida sulla reale e concreta situazione economica della donna, risolvendosi in una condizione e fonte, effettiva e non aleatoria, di reddito. Questa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata, (tra le altre, Cass. n del 2011), ha chiarito che l espressione famiglia di fatto non consiste soltanto nel convivere come coniugi, ma indica prima di tutto una famiglia, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di educazione e istruzione dei figli. In tal senso, si rinviene, seppur indirettamente, nella stessa Carta Costituzionale, una possibile garanzia per la famiglia di fatto, quale formazione sociale in cui si svolge la personalità dell individuo, ai sensi dell art. 2 Cost.. Ove tale convivenza assuma dunque i connotati di stabilità e continuità, e i conviventi elaborino un progetto ed un modello di vita in comune (analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio): come già si diceva, potenziamento reciproco della personalità dei conviventi, e trasmissione di valori educativi ai figli (non si deve dimenticare che obblighi e diritti dei genitori nei confronti dei figli sono assolutamente identici, ai sensi dell art. 30 Cost., in ambito matrimoniale e fuori dal matrimonio, e tale identità di posizione è oggi pienamente ribadita e assicurata dalla recente riforma della filiazione del (OMISSIS)), la mera convivenza si trasforma in una vera e propria famiglia di fatto. A quel punto, il parametro dell adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei partner, non può che venir meno di fronte all esistenza di una vera e propria famiglia, ancorchè di fatto. Si rescinde così ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, con ciò, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile, fondato sulla conservazione di esso, pur dovendosi ribadire che non vi è nè identità, nè analogia tra il nuovo matrimonio del coniuge divorziato, che fa automaticamente cessare il suo diritto all assegno, e la fattispecie in esame che necessita di un accertamento e di una pronuncia giurisdizionale. È consapevole il Collegio, che t anche nell ambito della giurisprudenza sopra indicata ormai nettamente maggioritaria, talora si è affermato (Cass. n del 2011, predetta) che il fenomeno andrebbe spiegato con una sorta di quiescenza del diritto all assegno, che potrebbe riproporsi, in caso di rottura della convivenza tra i familiari di fatto, com è noto effettuabile ad nutum, ed in assenza di una normativa specifica, ancora estranea al nostro ordinamento, che non prevede garanzia alcuna per l ex familiare di fatto, salvo eventuali accordi economici stipulati tra i conviventi stessi. Tuttavia, riesaminandosi la questione, sembra a questo Collegio assai più coerente, rispetto alle premesse sopra indicate, affermare che una famiglia di fatto, espressione di una scelta esistenziale/libera e consapevole/da parte del coniuge, eventualmente potenziata dalla nascita di figli (ciò che dovrebbe escludere ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l altro coniuge) dovrebbe essere necessariamente caratterizzata dalla assunzione piena di un rischio, in relazione alle vicende successive della famiglia di fatto, mettendosi in conto la possibilità di una cessazione del rapporto tra conviventi (ferma restando evidentemente la permanenza di ogni obbligo verso i figli). Va per di più considerata la condizione del coniuge, che si vorrebbe nuovamente obbligato e che, invece, di fronte alla costituzione di una famiglia di fatto tra il proprio coniuge e un altro partner, necessariamente stabile e duratura, confiderebbe, all evidenza, nell esonero definitivo da ogni obbligo. Nella specie, il giudice a quo ritiene pacifica (anche perché già oggetto di esame sia nel corso del giudizio di separazione che del primo grado del presente giudizio di divorzio, la convivenza more uxorio instaurata dalla I. con R.G., da cui erano nati due figli, uno dei quali morto alla nascita. Aggiunge il giudice a quo che la relazione stabile tra I. e R., e dunque anche l apporto economico di questo alla famiglia di fatto, era venuto meno dal gennaio Ma tale circostanza, come si diceva, non potrebbe costituire titolo per ottenere l assegno divorzile. Accolto il primo motivo del ricorso, rimane assorbito il secondo. Va cassata la sentenza impugnata. Può decidersi nel merito, ai sensi dell art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Va rigettata la domanda di assegno divorzile, proposta dalla I.. La novità della questione trattata richiede la compensazione delle spese per tutti i gradi del procedimento. 4 Lessico di diritto di famiglia

5 P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito, rigetta la domanda di assegno divorzile; compensa le spese tra le parti per tutti i gradi del procedimento. Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2015 II Cass. civ. Sez. I, 18 novembre 2013, n Svolgimento del processo Il Tribunale di Reggio Calabria, pronunciato con sentenza non definitiva il divorzio tra i coniugi C.S.F., ricorrente, e G.M.A., sposatisi il (OMISSIS), con successiva sentenza definitiva n. 290/07 del 2 marzo 2007 imponeva al primo di contribuire al mantenimento dei due figli minori della coppia, nati l uno nel (OMISSIS) e l altra nel (OMISSIS), con il pagamento sia dell importo mensile di complessivi Euro 1.600,00 annualmente rivalutabili, e sia del 50% delle loro spese straordinarie; rigettava invece la domanda della G. di assegno di divorzio; dichiarava inammissibile ogni ulteriore domanda; confermava nel resto le condizioni della separazione personale omologata con decreto del , compensando interamente le spese processuali. Con sentenza del la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla G., le attribuiva l assegno divorzile di Euro 200,00 mensili, annualmente rivalutabili, e poneva a carico del C. i 2/3 delle spese straordinarie inerenti ai figli, confermando nel resto la sentenza appellata e compensando tra le parti le spese del grado. La Corte territoriale, premesso anche che all esito dell udienza presidenziale fissata per la comparizione dei coniugi, udienza in cui la G. non era comparsa ed il C. aveva insistito per l accoglimento del suo ricorso, il Presidente del tribunale aveva stabilito in via provvisoria che il ricorrente versasse alla moglie Euro 1.400,00, di cui Euro 800,00 per la stessa, ed Euro 300,00 per ciascun figlio, osservava e riteneva in merito all impugnato diniego di assegno divorzile che: infondato era il primo motivo dell appello della G., con cui la stessa aveva sostenuto che detto diniego era affetto dal vizio di ultra o extrapetizione, in quanto implicante la revoca dell assegno divorzile già concordato in sede separatizia, revoca non tempestivamente richiesta dalla controparte, che aveva solo instato affinchè fosse determinata la quota di spettanza di ciascun beneficiario in rapporto all importo unitario stabilito in quella sede per il mantenimento sia della moglie che dei figli. L impugnata statuizione si correlava infatti alla domanda di assegno divorzile proposta dalla G. con la comparsa di costituzione e risposta nel primo grado del presente giudizio e d altra parte, stante anche la diversità dell assegno separatizio di mantenimento rispetto a quello di divorzio, questo non avrebbe potuto esserle riconosciuto in sede di separazione consensuale; fondato, invece, era il secondo motivo dell appello, con cui la G., assumendo pure di avere dimostrato il suo stato di disoccupata, aveva censurato il diniego di assegno divorzile sotto il diverso profilo dell erronea valutazione delle risultanze probatorie inerenti al miglioramento delle sue condizioni economiche per effetto della provata convivenza more uxorio con altro uomo, con il quale aveva anche generato un figlio. Il diritto all assegno divorzile non poteva, infatti, essere automaticamente negato in ragione di tale convivenza, che però poteva influire sulla misura dell assegno se migliorativa delle condizioni economiche dell avente diritto. Tuttavia il C., gravato del relativo onere, non aveva fornito la prova del mutamento in melius delle condizioni economiche della G., sicchè doveva esserle attribuito l assegno in questione da quantificare in Euro 200,00 mensili, considerando anche la differenza di capacità reddituale e patrimoniale esistente tra le parti ed il fatto che lei aveva ammesso di avere ricevuto continui contributi economici dal suo convivente, senza i quali non avrebbe potuto mantenersi. Avverso questa sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, il terzo dei quali implicante questione di legittimità costituzionale, e notificato il alla G., che ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale fondato su un motivo. Il C. ha anche depositato memoria. Motivi della decisione A sostegno del ricorso principale il C. denunzia: 5 Lessico di diritto di famiglia

6 2. Falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, (nella formulazione vigente) in relazione all art c.c.. Formula il seguente quesito se avrebbe potuto la C.A. di Reggio Calabria affermare il diritto della G. all assegno divorzile onerando il C. della prova del mutamento in melius delle condizioni economiche dell avente diritto a seguito di un contributo al suo mantenimento ad opera del convivente, omettendo invece del tutto di accertare previamente la insussistenza di mezzi adeguati in capo alla G. e la ricorrenza delle ragioni oggettive che impedivano alla stessa di procurarseli, gravando la G. medesima dell onere della relativa allegazione e dimostrazione. 3. Questione di legittimità costituzionale della L. n. 8 del 1970, art. 5, comma 10, (nella formulazione vigente) in relazione agli artt. 2, 3 e 29 Cost. nella parte in cui non subordina la perdita dell assegno di divorzio da parte del coniuge beneficiano che contrae nuove nozze alla condizione che con il nuovo matrimonio abbia acquistato mezzi adeguati e ciò in relazione all irragionevole disparità di trattamento che il principio applicato dai giudici d appello introdurrebbe tra il coniuge divorziato che contrae un nuovo matrimonio e quello che invece instaura una convivenza more uxorio. Con il ricorso incidentale la G. deduce Violazione e falsa applicazione dell art. 112 c.p.p. (c), artt. 166 e 183 c.p.c.. Sostiene che la Corte d Appello ha erroneamente affermato che il Tribunale non era incorso nel vizio di ultrapetizione ed ha errato altrettanto nell affermare che questo motivo redatto e sollevato davanti alla stessa Corte era destituito di fondamento. Formula il seguente quesito se il Giudice di merito possa pronunciarsi su una domanda (quella di revoca dell assegno divorzile), senza che alcuna istanza in tal senso sia stata proposta nell atto introduttivo del giudizio, o nel termine immediatamente, successivo concesso, o se piuttosto incorra nel vizio di ultrapetizione il giudice che pronunci senza che una domanda in tal senso sia stata avanzata (contraddicendo il disposto di cui all art. 112 c.p.c., che impone la corrispondenza tra chiesto e pronunciato).. Il secondo motivo del ricorso principale del C. è, invece, fondato nei sensi in prosieguo precisati; al relativo accoglimento segue anche l assorbimento del primo motivo nonché l irrilevanza della questione di costituzionalità involta dal terzo motivo del medesimo ricorso. In questa sede di legittimità è stato anche di recente reiteratamente ed argomentatamente ribadito (cfr Cass. n del 2011; n del 2012) il risalente principio (cfr tra le altre, Cass. nn e del 2003; nn e 4765 del 2002) secondo cui in tema di diritto alla corresponsione dell assegno di divorzio in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il parametro dell adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei coniugi viene meno di fronte alla instaurazione, da parte di questi, di una famiglia, ancorché di fatto, la quale rescinde, quand anche non definitivamente, ogni connessione con il livello ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, conseguentemente, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile. A questo condiviso orientamento, al quale va data continuità, risulta essersi attenuto anche il giudice di primo grado sul presupposto, rimasto incontroverso, dei connotati di stabilità e continuità assunti dalla convivenza instaurata dalla G. con altro uomo, con il quale ha anche generato un figlio. Conclusivamente si deve accogliere il secondo motivo del ricorso principale, con conseguente assorbimento del primo motivo ed irrilevanza della prospettata questione di costituzionalità, dichiarare inammissibile l unico motivo del ricorso incidentale, quindi cassare l impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, respingere, con decisione di merito assunta ai sensi dell art. 384 c.p.c., la domanda di assegno divorzile proposta dalla G.. Giusti motivi, desunti anche dalla natura delle controversia, giustificano l integrale compensazione delle spese dell intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il primo motivo del medesimo ricorso ed inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta la domanda di assegno divorzile proposta dalla G.. Compensa le spese dell intero giudizio. Depositato in Cancelleria il 18 novembre Lessico di diritto di famiglia

7 III Cass. civ. Sez. I, 12 marzo 2012, n Svolgimento del processo 1 - Con sentenza in data 18 marzo/13 aprile 2006 il Tribunale di Macerata pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da C.G. e S.C., alla quale venivano affidate le figlie minori N. e T., con l obbligo per il padre di contribuire al loro mantenimento, versando la somma di Euro 600,00 mensili alla madre, la cui domanda di ottenere un assegno in proprio favore veniva rigettata Avverso tale decisione proponeva appello la S., deducendo che non erano state opportunamente valutate le circostanze inerenti alla propria condizione di casalinga, impossibilitata a procurarsi un lavoro sia per la mancanza di opportunità in tal senso sia per le proprie precarie condizioni di salute, ed aggiungendo, quanto alla sua convivenza more uxorio con altro uomo, che la stessa non elideva lo squilibrio economico fra la propria posizione economica e quella del C La Corte di appello di Ancona, con la decisione indicata in epigrafe, confermava la sentenza di primo grado, rilevando che - avuto riguardo alla consolidata ed ormai decennale convivenza della S. con altro uomo, dal quale aveva anche avuto un figlio - la stessa godesse di apporti tali da non modificare il tenore di vita mantenuto, sempre in condizione di casalinga, durante la convivenza con il C Avverso tale decisione propone ricorso la S., deducendo un motivo. Resiste con controricorso il C.. Motivi della decisione 2 - Con unico motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, in relazione all art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si sostiene, richiamati i principi in tema di attribuzione e determinazione dell assegno divorzile, e formulandosi, al riguardo, idoneo quesito di diritto, che la mera situazione di convivenza con altra persona non determina, di per sè, il venir meno del diritto all assegno divorzile, dovendosi pur sempre tener conto delle condizioni economiche degli ex coniugi, e dell incidenza economica, da dimostrarsi da parte dell onerato, del permanere della convivenza con altra persona, valutata in relazione alle circostanze che la caratterizzano Il ricorso è fondato. La Corte di appello, nel confermare il rigetto della domanda della S., dopo aver correttamente richiamato il presupposto inerente all inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, ha osservato che non pare dubitabile, da un lato, che una convivenza more uxorio determina una disponibilità economica della S. a carico dell attuale convivente, mentre non risulta in alcun modo che il tenore di vita sia diverso rispetto a quello matrimoniale La giurisprudenza di questa Corte (Cass., 25 novembre 2010 n ) afferma che la convivenza del coniuge con altre persona, avente carattere occasionale o temporaneo, non incide di per sé direttamente ed in astratto sull assegno di mantenimento. Più recentemente (Cass. 11 agosto 2011, n ), si è sostenuto che, in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la sperequazione dei mezzi del coniuge economicamente più debole a fronte delle disponibilità economiche dell altro, che avevano caratterizzato il tenore di vita della coppia in costanza di matrimonio, non giustifica la corresponsione di un assegno divorzile a carico del primo, ove questi instauri una convivenza con altra persona che assuma i connotati di stabilità e continuità, trasformandosi in una vera e propria famiglia di fatto. Si è precisato che in detta ipotesi il diritto all assegno viene a trovarsi in una fase di quiescenza, potendosi riproporre in caso di rottura della convivenza La nozione di famiglia di fatto, richiede, tuttavia, al fine di considerare rescissa - sia pure temporaneamente - ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, conseguentemente, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile, che i conviventi elaborino un progetto ed un modello di vita in comune (analogo a quello che, di regola, caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio). Si richiede, pertanto, un arricchimento e un potenziamento reciproco della personalità dei conviventi, la trasmissione di valori educativi ai figli, per altro ormai quasi del tutto assimilati a quelli legittimi. In definitiva, in base al richiamato orientamento di questa Corte, non è sufficiente l instaurazione di un rapporto di mera convivenza, essendo necessario, per il fine che qui interessa, che la stessa assuma i caratteri di una vera e propria famiglia di fatto. Ed invero nel caso esaminato nella citata decisione n del 2011, oltre ad essersi instaurato, come nella specie, un rapporto stabile di convivenza fra la parte che richiedeva l assegno nei confronti dell ex coniuge e un altro uomo, si era accertato che quest ultimo aveva dato un apporto notevole al menage familiare, mettendo a disposizione per la convivenza un abitazione, essendo per altro, in un breve lasso di tempo, nati due figli. 7 Lessico di diritto di famiglia

8 2.4 - Del resto, questa Corte aveva da tempo affermato che, ove la convivenza more uxorio si caratterizzi per i connotati della stabilità, continuità e regolarità, tanto da venire ad assumere i connotati della c.d. famiglia di fatto, connotata, in quanto tale, dalla libera e stabile condivisione di valori e modelli di vita (per ciò stesso anche economici), il parametro di valutazione dell adeguatezza dei mezzi economici a disposizione dell ex coniuge non possa che registrare una tale evoluzione, recidendo - finché duri tale convivenza e ferma rimanendo, in questa fase la perdurante rilevanza del solo eventuale stato di bisogno in sè, ove non compensato all interno della convivenza - ogni plausibile connessione con il tenore ed il modello di vita economici caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, e - con ciò stesso - ogni presupposto per la riconoscibilità dell assegno divorzile fondato sulla conservazione di esso (Cass., 8 agosto 2003, n ) La decisione impugnata, nel momento in cui ha escluso il diritto all assegno della S. - prescindendo dalla verifica dell adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita tenuto durante il matrimonio (salva l ovvia considerazione che la predetta, in entrambi i casi, ha svolto il ruolo di casalinga) - ha affermato che la convivenza, ancorché duratura, determinasse una disponibilità economica, senza che, tuttavia, risultasse in qualche modo l esistenza di un modello di vita, avente i caratteri, come sopra delineati, della famiglia di fatto, anche con riferimento alla consistenza e alla continuità degli apporti di natura economica del convivente, che, lungi dall essere ben individuati, sono stati meramente presunti. In accoglimento del ricorso la decisione impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di appello di Ancona che, in diversa composizione, applicherà i principi enunciati, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza. Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2012 IV Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n Svolgimento del processo Con ricorso ritualmente notificato, F.F. chiedeva dichiararsi, nei confronti della moglie L.P., la cessazione degli effetti civili del matrimonio, con esclusione dell assegno divorzile. Costituitosi il contraddittorio, la L. dichiarava di non opporsi al divorzio, e chiedeva assegno per sé. Il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Con sentenza definitiva del 30 settembre - 6 ottobre 2005, rigettava la domanda di assegno della L., stante la stabile convivenza more uxorio di questa con altro uomo. Proponeva appello avverso tale sentenza la L., ribadendo la richiesta di assegno per sè. Costituitosi il contraddittorio, il F. chiedeva rigettarsi l appello. La corte d Appello di Roma, con sentenza 12 giugno - 20 giugno 2007, in parziale riforma dell impugnata sentenza, disponeva in favore della L. assegno mensile per l importo di Euro 250,00. Ricorre per cassazione il F., sulla base di tre motivi. Resiste, con controricorso, la L.. Il ricorrente ha presentato memoria per l udienza. Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, nonché vizio di motivazione in ordine alla stabile convivenza della L. con altro uomo, ciò che dovrebbe escludere la corresponsione di assegno divorzile a carico dell ex coniuge. Per una migliore intelligenza della problematica sollevata, va considerato che una convivenza stabile e duratura, con o senza figli, tra un uomo e una donna, che si comportano come se fossero marito e moglie, è stata volta a volta definita con espressioni diverse, quali concubinato, con- 8 Lessico di diritto di famiglia

9 vivenza more uxorio, famiglia di fatto, la prima connotata negativamente, la seconda di valore neutro e la terza positivamente connotata. Si può addirittura ipotizzare una sorta di passaggio, almeno in parte anche in successione temporale, dall uso di un espressione all altra, che si accompagna ad un corrispondente mutamento nel costume sociale. La prima fase è anche l unica che trova (o, meglio, trovava) un preciso riscontro normativo: il concubinato (una sorta di adulterio continuato) costituiva reato, nonché causa di separazione per colpa. La convivenza tra uomo e donna, come se fossero coniugi, rilevava soltanto come forma di sanzione - e condizione necessaria era ovviamente che uno dei conviventi fosse sposato - al fine di maggior difesa della famiglia legittima. La fase del concubinato volgeva al termine, dopo una nota sentenza della Corte Costituzionale (Corte Cost. n 167/1969) che cancellò tale ipotesi di reato. In una diversa fase, nella quale l espressione convivenza more uxorio andava gradualmente sostituendo quella di concubinato, prevaleva una sorta di agnosticismo dell ordinamento nei confronti del fenomeno, derivante dalla mancata regolamentazione normativa di esso, e, con riferimento ai principii costituzionali, dall art. 29 Cost., che soltanto riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, disposizione ritenuta confermativa del disinteresse dell ordinamento verso altri tipi di organizzazione familiare. In una fase successiva, che si può collocare temporalmente alle soglie e successivamente alla riforma generale del diritto di famiglia, l espressione famiglia di fatto comincia ad essere sempre più frequentemente accolta. Essa non indica soltanto il convivere come coniugi, ma individua una vera e propria famiglia, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di educazione e istruzione della prole. In tal senso, si rinviene, seppur indirettamente, nella stessa Carta Costituzionale, una possibile garanzia per la famiglia di fatto, quale formazione sociale in cui si svolge la personalità dell individuo, ai sensi dell art. 2 Cost. La riforma del diritto di famiglia del 1975, pur non contenendo alcun riferimento esplicito alla famiglia di fatto, viene ad accelerare tale evoluzione di idee: nella rinnovata normativa emerge un diverso modello familiare, aperto e comunitario, una sicura valutazione dell elemento affettivo, rispetto ai vincoli formali e coercitivi, l eliminazione di gran parte delle discriminazioni della filiazione naturale rispetto a quella legittima. E talora si ritiene attribuita rilevanza giuridica alla famiglia di fatto, in presenza di figli, con riferimento all art. 317 bis c.c., ove si precisa che i genitori naturali, se conviventi, esercitano congiuntamente la potestà. Nella specie, la Corte d Appello accerta l instaurazione di un rapporto stabile di convivenza della L. con altro uomo: questi ha dato un apporto notevole al menage familiare, mettendo a disposizione per la convivenza un abitazione di (OMISSIS), proprietà di una s.r.l. di cui egli detiene il 99% delle quote, la coppia ha avuto due figli, in un breve lasso di tempo ( ); durante la convivenza matrimoniale non erano nati figli. Presume la Corte di merito che gli impegni connessi alla maternità ed all accudimento dei bambini, ancora in tenera età, abbiano impedito il collocamento nel mondo del lavoro della L. ; Ritiene peraltro che, benché la volontarietà di alcune scelte di vita della L. (l instaurazione della convivenza, la nascita dei figli, etc.), non possa farsi ricadere sul coniuge, tuttavia la sperequazione dei mezzi di questa di fronte alle disponibilità economiche del F. - che già caratterizzavano il tenore di vita durante la convivenza matrimoniale - giustifichi la corresponsione di un assegno divorzile a carico dell ex coniuge. l argomentazione del Giudice a quo è palesemente erronea. È vero che giurisprudenza consolidata di questa Corte (tra le altre, da ultimo, Cass. n 23968/2010) afferma che la mera convivenza del coniuge con altra persona non incide di per sè direttamente sull assegno di mantenimento. E tuttavia, ove tale convivenza assuma i connotati di stabilità e continuità, e i conviventi elaborino un progetto ed un modello di vita in comune (analogo a quello che; di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio: come già si diceva, arricchimento e potenziamento reciproco della personalità dei conviventi, e trasmissione di valori educativi ai figli (non si deve dimenticare che obblighi e diritti dei genitori nei confronti dei figli sono assolutamente identici, ai sensi dell art. 30 Cost. e art. 261 c.c., in ambito matrimoniale e fuori dal matrimonio), la mera convivenza si trasforma in una vera e propria famiglia di fatto (al riguardo, Cass., n. 4761/1993). A quel punto il parametro dell adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei partner non può che venir meno di fronte: all esistenza di una famiglia, ancorché di fatto. Si rescinde così ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, con ciò, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile, fondato sulla conservazione di esso (Cass n ). È evidente peraltro che non vi è né identità, né analogia tra il nuovo matrimonio del coniuge divorziato, che fa automaticamente cessare il suo diritto all assegno, e la fattispecie in esame, che necessita di un accertamento e di una pronuncia giurisdizionale. Come talora questa Corte 9 Lessico di diritto di famiglia

10 ha precisato (al riguardo, tra le altre, Cass. n. 3503/1998), si tratta, in sostanza, di quiescenza del diritto all assegno, che potrebbe riproporsi, in caso di rottura della convivenza tra i familiari di fatto, com è noto effettuabile ad nutum, ed in assenza di una normativa specifica, estranea al nostro ordinamento, che non prevede garanzia alcuna per l ex familiare di fatto (salvo eventuali accordi economici stipulati tra i conviventi stessi). Va pertanto accolto il primo motivo di ricorso, assorbente rispetto agli altri, attinenti alla quantificazione dell assegno e al regime delle spese processuali cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d Appello di Roma, in diversa composizione, che esaminerà il merito della causa, attenendosi ai principii suindicati e pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d Appello di Roma in diversa composizione, che pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio di legittimità. Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2011 V Cass. civ. Sez. I, 8 agosto 2003, n Svolgimento del processo Con sent. n. 198/99 del 26/1-5/3/99 il Tribunale di Como, nel dichiarare la cessazione degli affetti civili del matrimonio fra F. A. e B. R., determinava in L mensili rivalutabili secondo Istat il contributo dovuto dal padre a titolo di mantenimento dei due figli maggiorenni e conviventi con la madre, ad attribuiva alla donna un assegno divorzile di L mensili anch esso rivalutabile secondo Istat. Avverso detta sentenza proponeva appello il F. sia in ordine alla misura al contributo al mantenimento dei figli (che egli chiedeva fissarsi nell importo di L mensili sia in ordine all avvenuto riconoscimento di un diritto all assegno divorzile pur in difetto dei presupposti di fatto e di diritto. Resisteva la B. Interveniva altresì il P. G. il quale chiedeva la determinazione dell assegno divorzile in misura non superiore a L mensili. La Corte d Appello accoglieva solo parzialmente il gravame, statuendo che nessun assegno divorzile spettasse alla B. Al riguardo la Corte territoriale osservava: a) non essere oggetto di contestazione il fatto che, in sede di separazione personale, nessun assegno periodico fosse stato statuito a favore della B.; b) come da ciò potesse ragionevolmente presumersi che, a quel tempo, la medesima dovesse essere ben consapevole della propria indipendenza economica e della possibilità di fare fronte con le sue personali risorse alle sue necessità; c) come, se fosse vero che una simile originaria pattuizione non impedisse che, in sede di divorzio, venissero avanzate pretese da chi in precedenza non era titolare dell assegno di separazione, ciò non esimesse dal sottolineare come, in un simile contesto, l onere probatorio - già ricadente di per sé sulla parte richiedente - si presentasse, in qualche misura, ancora più gravoso, configurandosi una sorta di presunzione di autonomia reddituale della B.; d) come, al riguardo, la donna non fosse, in corso di causa, riuscita a provare, con la dovuta compiutezza, di essersi prodigata - pur essendo di età non avanzata, e libera da impegni domestici - a far tempo dalla separazione, per il reperimento di una qualche attività lavorativa; e) ciò si rendesse tanto più rilevante una volta che, laddove la innovativa formulazione di cui all art. 5 della legge n. 898 del 1970, non si limita a presupporre che l istante non possieda mezzi personali adeguati a soddisfare le proprie esigenze di sostentamento, ma esige - altresì - che il richiedente, per ragioni obiettive, non sia in grado di procurarseli, la B. si era limitata a provare di non svolgere attività lavorativa, e non aveva comprovato affatto di trovarsi, per qualsivoglia ragione, nell impossibilità di reperire un occupazione confacente alla propria condizione personale, culturale e sociale. 10 Lessico di diritto di famiglia

11 Sottolineava aggiuntivamente la Corte di Appello come: a) non potesse essere posto in contestazione che la donna, immediatamente dopo la sottoscrizione del verbale di separazione nella primavera del 1992, avesse iniziato una convivenza con un altro uomo, recandosi a vivere preso l attuale, comune, abitazione; b) nessun dubbio potesse pertanto profilarsi in merito al carattere serio, duraturo ed esclusivo di tale ultimo rapporto affettivo, dal momento che, da allora, la convivenza non aveva registrato interruzioni, e dal momento che, dalle prove orali esperite, era emerso come l attuale compagno della donna provvedesse economicamente alle sue essenziali necessità; c) come - al riguardo - sia la madre della B., escussa in qualità di teste, sia la stessa donna nel corso dell interrogatorio formale avessero espressamente riconosciuto (con apprezzabile onestà) che il convivente forniva alla B. regolari contribuzioni economiche nell ambito del loro stabile rapporto di coppia, al che doveva presumersi che essi avessero instaurato e dato corso ad una relazione del tutto aderente agli schemi familiari; d) come, se sia vero che la convivenza moro uxorio non dà origine tra i conviventi ad alcuna obbligazione suscettibile di tutela e di esecuzione forzata (di tal che essa non offre garanzia alcuna di fronte ad un eventuale inadempimento del soggetto in precedenza solito alla spontanea corresponsione di somma), sia tuttavia pacifico che, al fine del riconoscimento dell assegno divorzile, non possa prescindersi dagli aiuti e dalle erogazioni che l ex coniuge istante riceva da un terzo, qualora tali sovvenzioni presentino carattere di continuità, regolarità e sicurezza); e) come, nel caso in esame non solo la B. avesse dato conto dell esistenza di tali volontarie prestazioni, ma nulla avesse allegato in ordine ad un eventuale discontinuità degli aiuti, di tal che dovesse concludersi nel senso che il convivente - lavoratore in proprio quale titolare di una ditta di carrelli elevatori - fosse in grado di continuare a contribuire alle di lei essenziali esigenze di vita e neppure avesse mai adombrato di volersi in futuro sottrarre a tale obbligazione naturale nei di lei confronti ormai da lungo tempo assunta; f) come, alla luce di tutta una tale serie di fattori, da un lato, neppure potesse procedersi al raffronto tra il tenore di vita goduto dalla B. in costanza di convivenza coniugale e quello garantitole dall attuale compagno, posto che la relativa indagine investiva spazi personalissimi e scelte esistenziali i cui affetti non potevano riverberarsi sugli aspetti accessori della pronuncia di divorzio, e - dall altro - nessun rilievo dirimente ai fini in discussione potesse assumere il fatto che l appellata avesse proceduto all alienazione a terzi (ed in particolare alla madre) di taluni beni personali di un corto prestigio già a suo tempo ricevuti in dono dal marito; e ciò in quanto non poteva affermarsi con certezza che a ciò alla si fosse determinata proprio perché spinta da impellente necessità. Ricorre per cassazione la B. sulla base di due motivi assistiti da memoria. Resisto il F. con controricorso assistito anch esso da memoria. Motivi della decisione I due motivi, siccome intimamente connessi fra di loro, possono essere trattati unitariamente. Con il primo di essi, la ricorrente, nell invocare vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, deduce che: a) la circostanza (data in sentenza per pacificamente ammessa da essa B. in sede di interrogatorio formale, e dalla madre in sede di deposizione testimoniale) relativa alla supposta regolarità ed adeguatezza delle contribuzioni economiche a lei provenienti dal suo convivente, non sarebbe - in realtà - affatto emersa in sede istruttoria; b) più in particolare, essa ricorrente avrebbe semplicemente riconosciuto di avere instaurato, successivamente alla separazione, una convivenza con un altro uomo, ma nulla avrebbe invece affermato in ordine alla asserita regolarità delle contribuzioni economiche di quest ultimo; c) l assenza di qualsivoglia dichiarazione del genere da parte di essa B. e della madre, nonché l assenza di una qualsiasi prova in ordine alla circostanza in oggetto, inficerebbero la stessa validità logico giuridica dell intera motivazione; d) vi fossero - a suo dire - tutta una serie di elementi agli atti i quali avrebbero dovuto indurre la Corte d Appello ad escludere la regolarità delle contribuzioni economiche in questione; e) più in particolare, dalle dichiarazioni rese da sua madre, fosso dato di desumere che il sig. F. non fosse affatto regolare nella corresponsione degli aiuti economici, posto che essa B. aveva più volte chiesto a sua madre (che poi lo aveva - a suo dire - confermato in sede di deposizione testimoniale) le somme necessarie alla sua sussistenza. 11 Lessico di diritto di famiglia

12 Con il secondo motivo, la ricorrente, nel dedurre, invece, violazione, falsa applicazione dell art c.c. in relazione all art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta: a) l erroneità dell assunto fatto proprio dalla corte di Appello, secondo il quale incombesse su di essa B. la prova della mancata fruizione di regolari ed adeguate erogazioni da parte del convivente, invece che sul F. quella relativa alla prova della sussistenza di tali erogazioni costituenti, in quanto tali, fattore estintivo del diritto all assegno divorzile fatto valere da essa ricorrente; b) il ben diverso ad ingiustificato - a suo dire - rigore manifestato nei confronti di essa B. nel momento in cui la Corte territoriale ha ritenuto che essa non avesse comprovato l impossibilità di reperire un attività di lavoro: atteggiamento - questo della Corte - tanto più inadeguato a dire della ricorrente, ove si valuti - da un lato - l età di essa B. (quasi cinquantenne), notoriamente poco propizia agli sbocchi lavorativi, e - dall altro - la obiettiva difficoltà di un tal tipo di prova negativa. I due motivi, si rivelano del tutto inaccoglibili, siccome del tutto inidonei a contrastare la effettiva ratio decidendi della decisione impugnata la quale riposa nella concomitante valutazione dei seguenti due fattori: a) mancata prova dell impossibilità obiettiva della B. di procurarsi mezzi economici personali attraverso il reperimento di un occupazione confacente alla propria condizione, personale, culturale e sociale; b) concomitante esistenza di una situazione di convivenza more uxorio della B., protraentesi, con carattere di serietà, stabilità, e durevolezza, fin dalla primavera del 1992 immediatamente dopo la sottoscrizione del verbale di separazione; convivenza caratterizzata da regolari contribuzioni economiche nell ambito di una relazione aderente agli schemi di un rapporto di tipo familiare, ad implicante perciò scelte esistenziali tali da rendere assorbito ogni profilo relativo alla stessa comparazione fra i tenori di vita. Orbene, le conclusioni tratte dalla Corte d Appello di Milano si rendono, in punto di diritto sostanzialmente condivisibili. Va sottolineato infatti - da un lato - come incomba effettivamente sull ex coniuge richiedente, l onere della prova dell impossibilità obiettiva di procurarsi mezzi adeguati. D altro lato, premesso come il comma 6 dell art. 5 della L. n. 898 del 1970 non definisca ulteriormente il concetto di quella adeguatezza dei mezzi, in difetto della quale, e nel concorso dell ulteriore requisito dell impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, scattano i presupposti della spettanza dell assegno divorzile e come pertanto debba ritenersi come i parametri di valutazione di questa adeguatezza siano stati lasciati volutamente suscettibili di differenziata considerazione in ragione della variegata evoluzione delle scelte esistenziali di ciascuno degli ex coniugi nella fase post divorzile), va sottolineato come sia venuta lentamente e progressivamente emergendo nella stessa giurisprudenza di questa Suprema Corte (vedi, da ultime Cass. 4158/89; 4761/93; Cass. 5024/97; Cass. 3503/98), la conclusione per cui, allorché la convivenza more uxorio, si caratterizzi per i connotati della stabilità, continuità e regolarità, tanto da venire ad assumere i connotati della cosiddetta famiglia di fatto caratterizzata, in quanto tale, dalla libera e stabile condivisione di valori e modelli di vita (perciò stesso anche economici), il parametro di valutazione dell adeguatezza dei mezzi economici a disposizione dell ex coniuge non possa che registrare una tale evoluzione, recidendo - finché duri tale convivenza e ferma rimanendo, in questa fase la perdurante rilevanza del solo eventuale stato di bisogno in sé, ove non compensato all interno della convivenza - ogni plausibile connessione con il tenore ad il modello di vita economici caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, e - con ciò stesso - ogni presupposto per la riconoscibilità dell assegno divorzile fondato sulla conservazione di esso. Sotto un tal punto di vista, la Corte d Appello - con valutazione di fatto che si rende insindacabile in questa sede, posto che espressa con percorso motivazionale che si rivela di per sé immune da vizi logico giuridici - ha ricostruito proprio l esistenza della caratteristiche di un tal tipo di convivenza fra la B. ed il suo nuovo compagno, rinvenendo gli estremi di una stabilità - appunto - anche di ordine economico; e tali conclusioni tratte dalla corte territoriale non si rendono di certo superabili in ragione della mera contrapposizione, alle valutazioni del materiale istruttorio compiute dalla Corte territoriale, di una versione meramente alternativa tesa a provocare un inammissibile - per questa Corte di legittimità - sindacato di fatto. Quanto poi alla dedotta circostanza secondo cui, di contro a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, né essa B. né la di lei madre avrebbero mai fatto affermazioni concernenti la regolarità delle elargizioni economiche offerte dal convivente more uxorio, un tal tipo di deduzione, nei limiti in cui non ha a tradursi in mora ad inammissibile contrapposizione di opposta interpretazione delle dichiarazioni rese rispettivamente in sede di interrogatorio formale ed in sede di deposizione testimoniale, assurge al più al ruolo di evocazione di mero vizio revocatorio da far valere ai sensi dell art. 395 c.p.c. Ricorrono tuttavia giusta ragioni per un integrale compensazione della spese di questa fase di giudizio fra la parti. 12 Lessico di diritto di famiglia

13 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra la parti la spese. Depositata in cancelleria l 8 agosto VI Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 1998, n Svolgimento del processo C. G. e P. A. D. contrassero matrimonio in C. il 10 settembre Pochi anni dopo, in data 7 aprile 1987, a seguito degli insanabili contrasti verificatisi, i coniugi si separarono consensualmente. All atto della separazione si stabilì un assegno di L rivalutabili, a favore della moglie, finché non avesse ottenuto uno stabile lavoro. Successivamente il marito chiese la revoca del provvedimento relativamente all assegno a seguito dell inizio della convivenza more uxorio della G. Il Tribunale di Napoli, con provvedimento del 18 novembre 1994, accolse il ricorso, revocando l assegno. La G. ha presentato reclamo alla Corte d Appello, che ha ritenuto di tener fermo il provvedimento di primo grado, nonostante la donna, pur senza escludere di aver avuto una convivenza con il padre del figlio S., nato nel novembre 1992, avesse dedotto che i rapporti tra i due si erano interrotti. Avverso quest ultimo provvedimento ricorre per Cassazione la G. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il P. A. D. Motivi della decisione Con il secondo motivo, la ricorrente si duole che la Corte d Appello abbia ritenuto, con motivazione insufficiente e contraddittoria, che tra la G. ed il F. sussistesse una stabile convivenza, tale da giustificare la sospensione dell assegno di separazione. Il motivo è fondato. Occorre premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sent. 5 giugno 1997 n. 5024), la prestazione di assistenza di tipo coniugale da parte di convivente more uxorio, quando di fatto esclude, oppure riduce lo stato di bisogno del coniuge separato o divorziato, spiega rilievo sulla sussistenza del diritto all assegno di mantenimento e sulla sua quantificazione. Deve trattarsi, tuttavia, di una convivenza caratterizzata da inequivocità, serenità e stabilità, da non confondere con i meri rapporti sessuali, che possono anche dar luogo alla nascita di figli naturali, come appunto nel caso di specie. In proposito, il costume prima e la stessa giurisprudenza poi - che non può non essere influenzata dal primo - sono passati da una considerazione del tutto negativa, qualificando come concubinato qualunque convivenza al di fuori del matrimonio ( les concubins se passent de la loi, la loi se désintéresse d eux ), ad una fase neutra, in cui per contraddistinguere i caratteri di stabilità e di durevolezza - ad instar della famiglia legittima - ma non di certezza, la giurisprudenza adottò l espressione convivenza more uxorio, una cohabitation sans mariage (il leading case è Trib. Napoli, 26 gennaio 1979). La rilevanza della convivenza more uxorio come di tutte le realtà insopprimibili non viene negata, e tuttavia non si dispiega uniformemente, in quanto, da un lato, si nega l equiparazione della famiglia di fatto alla famiglia legittima, per gli aspetti vantaggiosi o favorevoli; dall altro, si riscontra una tendenza opposta, per quanto attiene agli aspetti svantaggiosi o negativi. Anche i giudici delle leggi, dopo un primo periodo di netta chiusura verso la famiglia non fondata sul matrimonio, non affermano più che la convivenza more uxorio è un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilità o di certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri che nascono soltanto dal matrimonio. Cosicché, in tema di proroga legale del contratto di locazione, la sentenza n. 404 del 7 aprile 1988, ha dichiarato l illegittimità costituzionale del comma 1 dell art. 6 della legge 392 del 1978, nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio. Negli stessi sensi si è attestata la giurisprudenza di legittimità (sent. 17 giugno 1995 n. 6910). Questa fase tende oggi ad essere sostituita da un altra, contraddistinta dalla c.d. famiglia di fatto, che ha soppiantato la convivenza more uxorio, e ancor di più il concubinato, in sintonia con 13 Lessico di diritto di famiglia

14 l attuale costume, caratterizzato da un insieme di valori di stretta solidarietà, di spessore più ampio di quelli di cui era portatrice la mera convivenza come coniugi, e che possono quindi trovare rilievo solo in una famiglia, anche se di fatto. Il quid pluris che conferisce carattere di affidabilità e stabilità alla famiglia di fatto è la sussistenza di un rapporto di coppia fondato, non su investiture esterne, bensì su un consenso che si rinnova continuamente e rappresenta il fondamento e il limite del rapporto stesso. La diffusione del fenomeno della famiglia di fatto pone l esigenza di rivalutare il matrimoniorapporto, da tenere ben distinto dal matrimonio-atto, in funzione della rilevanza di un autonoma formazione sociale che si sviluppa anche in assenza di un momento iniziale di spessore istituzionale. Il mutato atteggiamento nei confronti della convivenza stabile scaturisce da una pluralità di esigenze: quella di tutelare il rapporto di coppia e di regolamentare i connessi profili patrimoniali, e quella, del tutto diversa, ma ancor più pressante, della tutela dei figli nati fuori dal matrimonio. Peraltro, lo stesso legislatore mostra di voler recepire tali esigenze, laddove, con il recente testo unificato presentato dalla XII Commissione in materia di procreazione assistita, all art. 5 equipara espressamente, ai fini dei requisiti soggettivi, le coppie di adulti maggiorenni coniugati a quelle stabilmente legate da convivenza. Di fronte all eventualità che siano riconnesse giuridiche conseguenze alla convivenza more uxorio, si pone pertanto il problema di individuare un discrimen dotato di un sufficiente grado di certezza, tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto. E tra i criteri distintivi non può non ricomprendersi, primo fra tutti, quel carattere di stabilità che solo può conferire un sufficiente grado di certezza alla vicenda fattuale, tale da renderla rilevante sotto il profilo giuridico, sia per quanto concerne la tutela dei figli minori, che per quanto riguarda i rapporti patrimoniali tra i coniugi separati, e segnatamente con riferimento alla persistenza delle condizioni per l attribuzione dell assegno di separazione. Alla stregua di queste considerazioni, non può considerarsi dotato di stabilità un rapporto contrastato e controverso, come quello che vede una delle parti procedere a denunzia-querela nei confronti dell altra, e conseguentemente interrompere la convivenza di fatto, andando a vivere nella casa materna, come si evince dalla motivazione della decisione impugnata. Un ulteriore elemento di incertezza in ordine alla stabilità è certamente dato dalle pubblicazioni matrimoniali che il preteso convivente more uxorio ha richiesto all ufficiale di stato civile, ai sensi dell art. 93 c.c., in vista del matrimonio con tale Isabella Petra. È certamente vero come sottolineano i giudici della Corte territoriale che tale matrimonio non si è però celebrato, ma da questo fatto - comprovato dalla certificazione esibita del mancato verificarsi di queste ulteriori nozze - se è possibile dedurre l insicurezza dei rapporti tra il preteso convivente e l eventuale futura moglie, non è certo possibile inferire la stabilità di un attuale famiglia di fatto con un partner distratto e non convinto della sua scelta, perché più propenso a future nozze con questa o con altra donna. I giudici di rinvio dovranno accertare se sussista o no una stabile ed affidabile famiglia di fatto, che supera e trascende i singoli rapporti sessuali tra i partners, la cui sussistenza non può fondarsi sulla semplice nascita di un figlio naturale riconosciuto da entrambi i genitori. P.Q.M. La Corte rigetta il primo, accoglie il secondo motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al mezzo accolto, e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte d Appello di Napoli. Depositata in cancelleria il 4 aprile Lessico di diritto di famiglia

Istanza di interpello assegni corrisposti al coniuge in conseguenza di separazione legale art. 10, comma 1, lett. c) del Tuir.

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