Il danno biologico ed il danno morale: Profili giurisprudenziali e criteri di liquidazione (A vv. Maria Cuomo - Giudice di Pace di Ottaviano )

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1 Il danno biologico ed il danno morale: Profili giurisprudenziali e criteri di liquidazione (A vv. Maria Cuomo - Giudice di Pace di Ottaviano ) - Introduzione - Risarcimento del danno biologico - Liquidazione del danno biologico: 1 / 40

2 - Invalidità permanente - Invalidità Temporanea - Legge 24 marzo 2012, n Danno morale Introduzione Fino alla prima metà degli anni Sessanta, il concetto giuridico di danno alla persona aveva un accezione prevalentemente economica. Questo è quanto si evince dal Codice Civile del 1942, nel quale si leggeva che l individuo, in quanto titolare di un patrimonio (valutabile sulla base di un criterio economico-contabile), poteva invocare la tutela giuridica, qualora il predetto patrimonio avesse subito un danno (ex art. 2043), nella forma della perdita subita e/o del mancato guadagno (lucro cessante, ex art. 1223). 2 / 40

3 La normativa contenuta nel Codice del 1942 contemplava anche il risarcimento del danno morale (c.d. pecunia doloris) derivante dal reato (ex artt c.c. e 185 c.p.), purché fosse sussistente un patema d animo o un dolore psicofisico anche senza postumi invalidanti. Il risarcimento, quindi, assurgeva alla funzione di pretium doloris, vale a dire di compensazione pecuniaria del dolore subito. Il risarcimento del danno morale, tuttavia, spettava solo in quanto collegato ad un danno patrimoniale: venivano esclusi da qualunque forma di tutela giuridica, quindi, i soggetti non produttori di reddito (casalinghe, anziani, bambini, disoccupati). In tale sistema normativo è dato di ravvisare un evidente contrasto con quanto disposto dall art. 2 ( La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell uomo ) e dell art. 3 ( Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale ) della Costituzione ed è evidente come fosse del tutto trascurata la violazione dell art. 32 (tutela della salute). È evidente, infatti, che in tema di risarcimento del danno non si dava importanza all essere umano in quanto tale, bensì all homo economicus, con evidente riferimento al legame tra individuo e produttività. Nei primi anni Settanta, qualcosa comincia a cambiare: la dottrina e la Giurisprudenza inaugurano una lunga stagione di pronunce, che incentrano l attenzione sulla tutela della persona in quanto tale, prescindendo dalla sua capacità di produrre reddito. Il primo a pronunciarsi in tal senso fu il Tribunale di Genova che, con la sentenza del 25/05/1974, stabilì che il danno alla persona riguardava sia l ambito professionale, che le attività extralavorative e ricreative, giacché è attraverso queste ultime che l individuo realizzava la propria personalità. 3 / 40

4 Cinque anni più tardi, con la sentenza n. 88 del 26 luglio 1979, la Corte Costituzionale contribuì ulteriormente all affermarsi di questo rinnovato concetto di danno alla persona, sancendo testualmente che la salute è un diritto fondamentale, primario ed assoluto dell individuo, il quale, in virtù del suo carattere privatistico, è direttamente tutelato dalla Costituzione (art. 32) e, nel caso di sua violazione, il soggetto può chiedere ed ottenere il giusto risarcimento, in forza del combinato tra il medesimo articolo costituzionale e l art del codice civile. Nella stessa pronuncia, la Corte precisò che la tutela del bene salute andava estesa anche alle situazioni che comportavano la lesione di interessi non economici. In questa nuova ottica, il risarcimento del danno alla persona ebbe a perdere il suo legame esclusivo con l aspetto reddituale per riferirsi a chiunque avesse subito una lesione da parte di terzi, includendo, pertanto, anche quelle categorie sociali, fino ad allora, escluse. La sentenza n. 88/79 ha il merito di aver valorizzato il disposto dell art. 32 della Costituzione, sebbene essa sembra ricondurre il danno alla salute nell ambito dei danni non patrimoniali, risarcibili solo ai sensi dell art Tuttavia tale sentenza è importante perché ha costituito il precedente di una successiva pronuncia della Corte, considerata pietra miliare nel cammino del danno alla persona verso la sua attuale accezione giuridica e cioè della sentenza della Corte Costituzionale n. 184/86 che, tenuto conto del combinato disposto dell art. 32 Cost. e dell art c.c., affermò chiaramente il diritto alla tutela giuridica del bene salute conferendo al danno biologico lo status di tertium genus rispetto ai danni patrimoniale e morale derivanti dal reato. Il danno biologico (chiamato così per la prima volta proprio in questa sentenza) diventa evento costitutivo della lesione, quindi insito nella lesione : in altre parole, la prova della lesione è, in re ipsa, prova dell esistenza del danno biologico. 4 / 40

5 Il danno patrimoniale ed il danno morale, invece, assumono la connotazione di danni-conseguenza, ulteriori rispetto al danno biologico. Appare chiaro, quindi, come la sentenza Dell Andro (dal nome del penalista che ne ha esteso il testo) abbia sdoganato il concetto di danno biologico aprendo la strada ad una diversa definizione del bene salute, nella cui accezione, a partire dal 1986, sono state comprese tutte le funzioni naturali afferenti al soggetto nel suo ambiente e aventi rilevanza biologica, sociale, culturale ed estetica, oltre che economica (Cass. Sez. Lav. n. 7101/90). Sicuramente, quindi, si può dire che con il mutato orientamento giurisprudenziale, con la individuazione della figura del danno biologico", si è avuto il riconoscimento del diritto al risarcimento conseguente alla lesione dell individuo in quanto essere umano e non quale soggetto capace di produrre reddito. Il criterio della produttività lo riscontriamo soltanto nella fase risarcitoria del danno biologico, perché tale elemento, insieme all età e alle condizioni sociali e familiari del danneggiato, costituiscono gli elementi di riferimento permanente del metodo di liquidazione equitativa del danno (Cass., Sez. III, sentenza n. 6873/00). Passando, quindi, alla situazione attuale, al fine di comprendere il concetto di danno biologico bisogna partire dalla premessa che l integrità della persona è bene primario, che deve essere tutelato giuridicamente non solo quando la menomazione abbia compromesso, totalmente o parzialmente, definitivamente o temporaneamente, le capacità del soggetto di attendere alle sue ordinarie occupazioni produttive, ma in tutte le ipotesi in cui la menomazione abbia determinato un depauperamento del valore biologico dell individuo. Per impostare correttamente la problematica connessa al danno biologico è necessario dunque enunciare il postulato secondo il quale alla persona deve essere riconosciuto un valore patrimoniale, indipendentemente dallo svolgimento di un attività lavorativa o produttiva. L uomo in quanto persona deve essere sempre tutelato dall ordinamento giuridico a prescindere dal reddito o dal lucro che possa trarre dall impiego delle sue energie fisiche o intellettive. La lesione di natura biologica è di per sé un quid che intacca l integrità fisica o psichica dell uomo e costituisce quindi un danno che deve essere giuridicamente riparato, allorquando sia la 5 / 40

6 conseguenza di un comportamento doloso o colposo imputabile ad altri. Il diritto di ogni persona alla salute, intesa in senso ampio come integrità fisiopsichica, è riconosciuto e protetto in tutti gli ordinamenti giuridici. Nel nostro ordinamento vanno ricordate le seguenti principali disposizioni: art. 32 della Costistuzione; artt e 2059 del codice civile; artt. 581, 582, 590 del codice penale; le norme sulla tutela del lavoratore contenute nella L. 300/70; la L. 833/78, istitutiva del servizio sanitario nazionale e le successive modifiche. Ripeto che anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 88 del 1979 ebbe ad affermare che il bene della salute risulta direttamente tutelato dall art. 32 della Costituzione non solo nell interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell individuo, sicché si configura come un diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati. Secondo la Corte di Cassazione, così come riportato nella Sentenza 12/05/2006, n "Il danno biologico consiste nelle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica, della lesione psicofisica. In particolare, la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l'applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette "tabelle" (elaborate da alcuni uffici giudiziari), ancorché non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né risultano recepite in norme di diritto, come tali appartenenti alla scienza ufficiale del giudice." Parte della dottrina, invece, premettendo una diversa nozione di danno patrimoniale, ritiene che la salute è un bene valore che fa parte del patrimonio del soggetto e la sua violazione, qualora sia imputabile ad altri a titolo di dolo o di colpa, deve dar luogo al risarcimento del danno il quale, considerato in se stesso, prescindendo dalle sue eventuali ripercussioni psichiche, non può non avere che natura patrimoniale (ALPA). Risarcimento del danno biologico Storicamente al fine del risarcimento del danno biologico si sono succedute diverse posizioni dottrinarie e giurisprudenziali. 6 / 40

7 Secondo una prima impostazione, allorquando si doveva accertare l entità del danno patrimoniale subito da una persona che svolgeva attività lavorativa retribuita, doveva essere applicato il criterio fondato sul reddito del danneggiato. Non si riteneva che tale criterio fosse in contrasto con l art. 3 della Costituzione perché, se è vero che ai sensi dell art. 36 della medesima Carta Costituzionale, la retribuzione era commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, non poteva permanere alcun dubbio in ordine al fatto che il danno, incidente su attività lavorative diverse e su redditi diversi, dovesse essere risarcito in modo diverso. Si osservò che il criterio di valutazione basato sul guadagno da solo non era sufficiente ai fini della liquidazione del danno dovendosi valutare anche la percentuale di invalidità provocata. Nell ipotesi in cui il danneggiato non godeva di reddito lavorativo si parlava di reddito figurato che, per la casalinga si calcolava in base alla sua collaborazione nella famiglia, per il disoccupato in base alla prospettive di lavoro, per il bambino in base al costo della sua educazione e del suo allevamento. In questa ipotesi, però, si propose di applicare per analogia l art. 4 legge 27 febbraio 1977 n. 39, secondo il quale i criteri di liquidazione del danno alla persona erano due: il primo, fondato sulla capitalizzazione del reddito di lavoro; il secondo, valevole quando il soggetto non aveva reddito, imponeva di porre a fondamento del calcolo, un reddito comunque non inferiore a tre volte l ammontare annuo della pensione sociale. Questa impostazione fu criticata perché, se il diritto alla salute doveva essere considerato come voce autonoma, al di là delle conseguenze che la violazione aveva prodotto sull attitudine ad esprimere reddito, non si poteva ammettere che una medesima lesione portasse a somme risarcitorie assai distanti tra loro proprio per effetto dell eccessivo (se non unico) rilievo del reddito percepito. Si trattava, in effetti, di un criterio destinato a riprodurre in sede di risarcimento quelle disuguaglianze economico-sociali che è l art. 3 della Costituzione intendeva rimuovere Avverso la soluzione differenziata per reddito effettivo o presumibile del danneggiato, si è formata la giurisprudenza genovese, con le sentenze degli anni Con tali pronunce, nell attuare un criterio egualitario per età e per sesso, è stata utilizzata la nozione di reddito nazionale pro capite. Si è affermato che il danno alla salute in sé considerato doveva essere valutato e quindi liquidato in termini esattamente uguali per tutte le persone, salvo a tener conto delle rispettive età, e a tal fine si era indicata la possibilità di far riferimento al reddito medio nazionale, l ultimo ufficialmente noto al momento in cui si doveva operare la liquidazione. 7 / 40

8 Sotto la spinta di proposte dottrinarie, diversa è stata la strada intrapresa dalla giurisprudenza toscana che, ribadendo ora la necessità di risarcire la menomazione in quanto tale ora l autonomia concettuale del danno alla salute, ha sottolineato l opportunità di una liquidazione equitativa. Questa indubbiamente aveva il vantaggio della flessibilità e del maggior adeguamento alle esigenze e circostanze della fattispecie concreta, ma aveva bisogno di essere precisata. Invero la liquidazione equitativa non poteva consistere in un operazione arbitraria, ma in una valutazione discrezionale, che tenesse conto delle particolarità esistenziali della persona, cioè di quelle esigenze connaturate alla sua personalità ed attinenti quindi al suo libero sviluppo ( ad esempio, maggiore sarà il danno alle orecchie per un musicista). In tal modo la liquidazione del danno è stata fortemente individualizzata, personalizzata, senza però far riferimento, almeno in via principale, al reddito di lavoro. Tuttavia il ricorso all equità ha determinato ingiustificate disparità di trattamento, a seconda dei principi adottati da ciascun singolo giudice, tanto è vero che si sono avute liquidazioni diverse anche in relazione a casi analoghi (RODOTA ). Per ovviare a tale inconveniente la giurisprudenza di merito milanese elaborò e diffuse delle tabelle di calcolo, frutto di un operazione di ricerca compiuta da presidenti e giudici di varie sezioni interessate. Queste tabelle sono nate dal confronto tra i vari criteri elaborati dai giudici di tribunale che si sono occupati della materia del danno alla persona con l intento di affermare criteri uniformi di liquidazione per superare le diversità dei parametri usati presso vari uffici e per eliminare le conseguenti incertezze tra gli operatori e le possibili disparità di trattamento. Il tema del risarcimento del danno è stato ed è in continua evoluzione. Si può dire ormai raggiunto il convincimento in base al quale, in caso di lesione alla persona il risarcimento del danno va liquidato prendendo in considerazione innanzitutto il danno biologico in senso stretto, inteso come menomazione della integrità psicofisica, in sé considerata, prescindendo dagli ulteriori riflessi economici, da valutare nel rispetto del principio di uguaglianza, in quanto il bene salute è riconosciuto dalla Costituzione a tutti gli individui in misura eguale (artt. 2 e 3). Data l importanza di raggiungere criteri univoci che potessero garantire il rispetto dei principi costituzionali riportati negli articoli 2 e 3, anche i legislatore è intervenuto in materia, ed 8 / 40

9 oggi, la definizione del dnano biologico è contenuta nel codice delle assicurazioni, decreto legislativo del 7 settembre 2005 n. 209, laddove agli articoli 138 e 139 si legge che per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito. Liquidazione del danno biologico Nel concreto il danno biologico viene liquidato con riferimento a due voci: 1. La invalidità temporanea che consiste nel numero di giorni necessari per la guarigione e per il ritorno alla normale attività. Si ricorda che la Corte di Cassazione, con la sentenza 15385/2010, confermando un precedente orientamento, si è pronunciata per l'esclusione della liquidazione della invalidità temporanea a seguito di un sinistro, se nel frattempo il danneggiato ha regolarmente percepito le retribuzioni. «..questa Corte Suprema ha affermato, nulla compete a titolo di risarcimento del danno da invalidità totale temporanea al lavoratore che - rimasto infortunato per fatto illecito del terzo - abbia continuato a percepire durante il periodo di invalidità l intera retribuzione dal proprio datore di lavoro, dato che, sotto questo specifico profilo, nessuna diminuzione si è prodotta nella sfera patrimoniale dell infortunato, salva restando la prova, a carico del lavoratore, di avere subito altri pregiudizi economici (Cass. 11 ottobre 1995 n , 15 aprile 1993 n. 4475, 10 ottobre 1988 n ed altre)». 2. La invalidità permanente che viene, ormai, liquidata con riferimento, appunto, al "danno biologico", uguale per ogni cittadino, da determinarsi con riferimento a requisiti consistenti nella età della danneggiata e nel grado di invalidità permanente (cd. pun ti ). La confluenza in un ipotetico diagramma dei detti requisiti determina l'importo dovuto. Il danno biologico si riferisce non solo ai danni fisici, ma anche ai danni psichici. Tali danni psichici, ad esempio, sono valutati nella ipotesi di decesso di una persona e della influenza che tale 9 / 40

10 decesso abbia avuto nella psiche dei familiari. L art. 138 del codice delle assicurazioni espressamente dispone: Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle attività produttive, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica: a) delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti; b) del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso. 2. La tabella unica nazionale è redatta secondo i seguenti principi e criteri: a) agli effetti della tabella per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito; b) la tabella dei valori economici si fonda sul sistema a punto variabile in funzione dell età e del grado di invalidità; c) il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all aumento percentuale assegnato ai postumi; d) il valore economico del punto è funzione decrescente dell età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all interesse legale; e) il danno biologico temporaneo inferiore al cento per cento è determinato in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno. 3. Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, l ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. 4. Gli importi stabiliti nella tabella unica nazionale sono aggiornati annualmente, con decreto del Ministro delle attività produttive, in misura corrispondente alla variazione dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertata dall'istat. L art. 139 dello stesso codice nella sua originaria formulazione recitava : 1. Il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è effettuato secondo i criteri e le misure seguenti: a) a titolo di danno biologico permanente, è liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è calcolato in base all'applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L'importo così determinato si riduce con il crescere dell'età del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per ogni anno di età a partire dall'undicesimo anno di età. Il valore del 10 / 40

11 primo punto è pari ad euro seicentosettantaquattro virgola settantotto; (1) b) a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo di euro trentanove virgola trentasette (1) per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno. 2. Agli effetti di cui al comma 1 per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito. 3. L'ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1 può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. 4. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle attività produttive, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra uno e nove punti di invalidità. 5. Gli importi indicati nel comma 1 sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro delle attività produttive, in misura corrispondente alla variazione dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertata dall'istat. 6. Ai fini del calcolo dell importo di cui al comma 1, lettera a), per un punto percentuale di invalidità pari a 1 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,0, per un punto percentuale di invalidità pari a 2 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,1, per un punto percentuale di invalidità pari a 3 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,2, per un punto percentuale di invalidità pari a 4 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,3, per un punto percentuale di invalidità pari a 5 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,5, per un punto percentuale di invalidità pari a 6 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,7, per un punto percentuale di 11 / 40

12 invalidità pari a 7 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,9, per un punto percentuale di invalidità pari a 8 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 2,1, per un punto percentuale di invalidità pari a 9 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 2,3. Con l evidente intento di intervenire ai fini della contrazione dei costi dei sinistri con lievi danni alla persona, il Parlamento ha approvato due emendamenti che incideranno in modo radicale sul sistema di risarcimento del danno alla persona. Con la Legge 24 marzo 2012, n. 27, infatti, in sede di conversione del D.L. 1 del 24 gennaio 2012 sono state apportate due aggiunte alla normativa vigente in tema di danno alla persona, In particolare nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale (GU n. 71 del Suppl. Ordinario n. 53) si legge che all art. 32 del decreto legge dopo il comma tre sono stati aggiunti i seguenti periodi di testo identificati come 3 ter e 3 quater: 3-ter. Al comma 2 dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: "In ogni caso, le lesioni di lieve entità', che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente" ; 12 / 40

13 3-quater. Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all'articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e' risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione. Le due disposizioni, collocate in contesti disciplinari separati, non appaiono ben coordinate fra loro e sono poco chiare, alla luce di una apparente contraddizione terminologica. risultando pienamente giustificate le critiche svolte parte di taluni che hanno vanamente osservato: Al riguardo si ritiene opportuno un chiarimento della portata delle disposizioni, considerando che le due norme presentano un campo di applicazione comune, ma sembrano contenere profili contradditori. Infatti, mentre il comma 3-ter esclude il risarcimento del danno biologico permanente nel caso in cui le lesioni non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, il comma 3-quater ammette il risarcimento (senza specificare se a titolo di danno biologico permanente o temporaneo) qualora vi sia un riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l esistenza della lesione. È evidente l intento di vincolare il risarcimento del danno biologico permanente previsto dalla tabella ministeriale emanata in ossequio all articolo 139 del codice delle assicurazioni, alle sole ipotesi in cui la lesione sia stata riscontrata in referti di diagnostica per immagini, negando valenza alla prassi di semplificazione della valutazione legata esclusivamente al riscontro delle sintomatologie soggettive. Le semplici dichiarazioni della vittima di sinistro stradale che lamenti sintomi dolorosi non riscontrabili obiettivamente in una patologia clinica non porteranno alla liquidazione del danno biologico tabellare di legge. 13 / 40

14 Non credo che la legge possa essere disattesa e diversamente interpretata. Semmai diviene difficile comprendere il raccordo tra il nuovo comma 2 dell articolo 139 del codice delle assicurazioni e il comma 3-quater dell articolo 32 del Dl 1/2012 come convertito dalla legge 27/2012 che, diversamente dal comma precedente, dispone che il danno alla persona da microlesione è risarcito solo «a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l esistenza di una lesione». Nella prima disposizione, dunque, il danno biologico è risarcito solo in presenza di un accertamento clinico strumentale obiettivo, mentre nella seconda il medico legale (figura non contemplata dal precedente comma) può valutare strumentalmente ma anche visivamente la sussistenza della lesione. Va detto che le norme in materia di micro permanenti introdotte in sede di conversione di decreto legge siccome estranee all oggetto dello stesso decreto appaiono inserite, in violazione del contenuto dell art. 77 Cost. ( del resto la Corte costituzionale con la sentenza 22/2012 del 13/02/2012, nel verificare «se risultava evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d urgenza di provvedere»e la «evidente estraneità» della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui essa era inserita (sentenza n. 171 del 2007; in conformità, sentenza n. 128 del 2008) ha effettivamente ritenuto di accogliere il ricorso proposto da alcune Regioni dichiarando l illegittimità costituzionale dell articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito in legge, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile. Sul punto va detto che la urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare. Da quanto detto si trae la conclusione che la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o 14 / 40

15 teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità. Ai sensi del secondo comma dell art. 77 Cost., i presupposti per l esercizio senza delega della potestà legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo. L inserimento di norme eterogenee all oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno. La scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale. L art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) là dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti a questa Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento. Secondo la Corte i cosiddetti decreti milleproroghe, che, con cadenza ormai annuale, vengono convertiti in legge dalle Camere, sebbene attengano ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti pur attinenti ad oggetti e materie diversi che richiedono interventi regolatori di natura temporale. Del tutto estranea a tali interventi è la disciplina a regime di materie o settori di materie, rispetto alle quali non può valere il medesimo presupposto della necessità temporale e che possono quindi essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa, di cui all art. 71 Cost. Ove le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo, profili autonomi di necessità e urgenza, le stesse ben potrebbero essere contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati. Risulta invece in contrasto con l art. 77 Cost. la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei. La necessaria omogeneità del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessità e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione. Il principio della sostanziale omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione di un decreto-legge è pienamente recepito dall art. 96-bis, 15 / 40

16 comma 7, del regolamento della Camera dei deputati, che dispone: «Il Presidente dichiara 32 inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge». Si deve ritenere che l esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all oggetto e alle finalità del testo originario non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario. Per quanto detto, considerato che, anche le modifiche apportate al codice delle assicurazione sono del tutto estranee alla materia e alle finalità del decreto legge, modestamente ritengo che esse sono costituzionalmente illegittime, per violazione dell art. 77, secondo comma, Cost. Per quanto mi è dato di sapere, è stata sollevata la questione di illegittimità costituzionale della norma ma non saprei dire tra quanto la Corte potrebbe essere chiamata a decidere. In ogni caso, sostanzialmente, le modifiche introdotte dal legislatore sono state annunciate come interventi volti a non pagare più i colpi di frusta al dichiarato scopo, quindi, di consentire alle imprese assicurative risparmi ipoteticamente finalizzati alla riduzione dei premi assicurativi. Devo dire, conformemente a quanto sostenuto da altri avvocati e magistrati che hanno commentato queste nuove disposizioni che nel sistema giuridico italiano, dove vige il principio del chi rompe paga (art codice civile), se chi rompe è il proprietario di un veicolo assicurato per la responsabilità civile (l art codice civile recita : Nell assicurazione della responsabilità civile l assicuratore e obbligato a tenere indenne l assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto (2952). Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi (2767). L assicuratore ha facoltà, previa comunicazione all assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l indennità dovuta, ed e obbligato al pagamento diretto se l assicurato lo richiede. Le spese sostenute per resistere all azione del danneggiato contro l assicurato sono a carico dell assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, 16 / 40

17 nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse. L assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in causa l assicuratore (1932; Cod. Proc. Civ. 196) e se chi rompe ed è obbligato a risarcire i danni, ha anche l obbligo di assicurare (art. 122 cod. ass.) il proprio veicolo, chi viene danneggiato da quel veicolo assicurato ha il diritto - che nessuno può negare, anche in forza della normativa comunitaria - di farsi risarcire ( e non già indennizzare) direttamente dall assicuratore, esercitando se del caso l azione diretta (art. 144 cod. ass.) nei confronti della compagnia del civile responsabile. L obbligo di stipulare la garanzia RC auto non è stato inserito nel nostro ordinamento quale aiuto allo stato ma è stato introdotto per garantire i danneggiati e le vittime della strada atteso che, solo con un sistema di RC obbligatoria, i danneggiati hanno la garanzia di ottenere sempre e comunque un risarcimento che, diversamente, non sarebbe loro garantito, soprattutto nell ipotesi in cui il responsabile del sinistro stradale sia un soggetto non solvibile. Per questo, considerato che solo per i danni conseguenti ai sinistri automobilistici è prevista questa limitazione nel risarcimento, tale limitazione non può ritenersi legittima perché il risarcimento dei soggetti lesi a causa della circolazione stradale non possono ottenere un risarcimento che abbia natura ed entità differente rispetto a ogni altro risarcimento per fatto illecito. Non sono quindi giustificabili le pressioni e le pretese delle società di assicurazione volte ad ottenere una normativa più favorevole che, di fatto comprima il diritto dei danneggiati ad ottenere un risarcimento del danno alla persona nella stessa misura degli altri danneggiati tutelati dai generali criteri della responsabilità civile, dal momento che anche la garanzia rc auto prevista dall art.122 del codice delle assicurazioni rientra tra le quelle disciplinate all art del codice civile e che, come tale, non ammette franchigie o limitazioni di sorta. Ricordo che la polizza rc auto, per disposizione codicistica, garantisce l assicurato responsabile di quanto questi in conseguenza del fatto del quale è responsabile deve pagare al terzo danneggiato. Tornando, quindi, alle norme sopra richiamate ritengo che il legislatore, ovvero colui che, materialmente ha predisposto il testo divenuto legge, ha fatto un pessimo lavoro: anche se si era prefissato l obiettivo di non risarcire più i postumi permanenti da distrazione del rachide cervicale, peraltro, come detto solo nel caso di incidente automobilistico, ha lasciato 17 / 40

18 immutata la definizione di danno biologico del primo comma del 139 del codice delle assicurazioni per cui tale danno resta ancora definito come la lesione temporanea o permanente all integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito ed in quanto tale va risarcito. Si tratta di una definizione che ha avuto capacità espansiva ben oltre il settore della rc auto come definitivamente consacrato dalla Cassazione a Sezioni Unite nelle note sentenze di S.Martino cioè nelle sentenze, intervenute nel mese di Novembre dell anno 2008 che hanno limitato la liquidazione del danno non patrimoniale. Poiché dunque non è mutata la definizione di danno biologico rimane sempre compito del medico legale accertare la eventuale esistenza di un danno permanente e/o temporaneo quale esito di una lesione alla integrità psicofisica di un soggetto. Non è stata introdotta nessuna norma tale da costringere la medicina legale ad utilizzare criteri difformi rispetto a quelli validati dalla comunità scientifica: resta ovviamente conforme alla norma procedere con il consueto accertamento valutativo. Diversamente da quanto preteso dalle società assicuratrici, ritengo che siccome le disposizioni dell art. 139 non siano dirette ai medici, gli stessi medici debbano valutare i postumi soggettivi secondo i vigenti barhemes ministeriali ex dpr 2003 richiamando la valutazione ivi prevista (<2%) chiarendo se tale valutazione sia suscettibile o meno di accertamento clinico strumentale obiettivo. Risarcimento del danno morale. Il danno morale soggettivo è la più antica voce di danno non patrimoniale derivante dalla tradizione romanistica, ed è la voce di più facile individuazione ricomprendente il c.d. pretium doloris, inteso come transeunte turbamento dello stato d animo della vittima e, in casi specifici, anche il danno conseguente alla perdita di dignità della persona in fattispecie particolarmente gravi quali la violenza carnale, il genocidio, etc. (Nell attuale assetto ordinamentale assume 18 / 40

19 posizione preminente la Costituzione, che, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, con la conseguenza che il "danno non patrimoniale", di cui all'art cod. civ., non può più essere identificato (secondo la tradizionale, restrittiva lettura dell'art stesso, in relazione all'art. 185 cod. pen.) soltanto con il danno morale soggettivo, costituito dalla sofferenza contingente e dal turbamento dell'animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato, ma va inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica, - Cass. civ., , n , in Resp. civ. prev., 2004, 233, con nota di SCARPELLO-). Il danno morale va distinto dal danno esistenziale: il primo attiene alla sfera interna personale del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva, mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all ambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell estrinsecazione della propria personalità che viene impoverita o lesa. Occorre, nell ambito della distinzione delle varie voci di danno non patrimoniale, evitare il c.d. accorpamento delle voci di danno all interno di uno di essi, in quanto genera confusione concettuale sul contenuto delle singole voci e costituisce un rimedio confuso e ontologicamente scorretto alla possibile duplicazione delle voci di danno, contribuendo, anzi, ad accrescere tale incertezza, dovendosi distinguere le singole voci di danno, individuandone il contenuto e liquidando le compromissioni areddittuali per ciascuna posta risarcitoria, avendo presente il danno complessivo subito dalla vittima, senza ricorrere ad automatici meccanismi semplificativi. Solamente per le lesioni di modesta entità (c.d. micropermanenti) si ritiene possibile una unitaria liquidazione del danno non patrimoniale che tenga complessivamente conto di tutte le ripercussioni areddittuali subite dal danneggiato. Va segnalato un contrasto tra la seconda e la terza sezione della Corte di Cassazione, in ordine la riconoscimento del danno morale in quanto ancora si richiede, da parte della seconda sezione, l accertamento da parte del giudice civile dell accertamento del fatto reato,anche se autonomo rispetto a quello del giudice penale (Ritengono i giudici della Seconda sezione che il giudicato di assoluzione è idoneo a produrre effetti preclusivi - quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso - nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo, specifico e concreto accertamento circa l'insussistenza del fatto o l'impossibilità di attribuire questo all'imputato, non quindi quando è solo escluso l'elemento soggettivo. L'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata "perché il fatto non costituisce reato" non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 cod. proc. pen., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio, e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del processo penale, Cass. civ., , n ; cfr anche Cass. civ., , n ) mentre la terza sezione afferma, con orientamento consolidato che il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art / 40

20 cod. pen. e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, ben evidenziandosi che il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale (Cass. civ., , n ; Cass. civ., , n Cass. civ., , n ). L orientamento della seconda sezione ritiene che il giudicato penale di assoluzione ( perché il fatto non costituisce reato ), non necessariamente preclude l azione civile di richiesta di danno morale nei confronti di chi era imputato di reato colposo (nella fattispecie omicidio) spettando al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio, e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del processo penale, ritenendosi, implicitamente, necessario, l accertamento, sia pure in via autonoma, da parte del giudice civile dei profili di illiceità del fatto, idonei alla imputazione di responsabilità civile, in quanto l assoluzione perché il fatto non costituisce reato non esclude che possa configurare illecito civile. Il decreto di impromuovibilità dell'azione penale (adottato ai sensi dell'art. 408 e segg. cod. proc. pen.) non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice civile, stante il principio dell'indipendenza delle azioni penale e civile introdotto con la riforma del rito penale, poiché, a differenza della sentenza, la quale presuppone un processo, il provvedimento di archiviazione ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di alcun genere, né ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata, Cass. civ., , n ) Effettuata tale valutazione, ove si tratti di interesse costituzionalmente garantito, si ritiene che nessun altra valutazione debba effettuare il giudice di merito ai fini della risarcibilità del danno morale. Mentre la terza sezione della Corte di Cassazione è orientata in tal senso, la seconda sezione, pur ritenendo che la risarcibilità del danno non patrimoniale non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, ritiene, tuttavia che occorra pur sempre che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come tale e sia, pertanto, idoneo a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale; sicché, ai fini del risarcimento di detto danno, l'inesistenza di una pronunzia del giudice penale non costituisce impedimento all'accertamento da parte del giudice civile della 20 / 40

21 sussistenza degli elementi costitutivi del reato (Cass. civ., , n ). Tale impostazione, pur ritenendo superato l orientamento giurisprudenziale in base al quale il giudicato penale di assoluzione neutralizza ogni azione civile di richiesta di danno morale nei confronti di chi era imputato di omicidio colposo sposta dal giudice penale al giudice civile l accertamento degli elementi costitutivi del reato, asseritamene ancora necessari per il riconoscimento del danno morale e del danno non patrimoniale in genere. Tale orientamento riecheggia il precedente emerso dal trittico di sentenze della Suprema Corte (n del 12 maggio 2003) che riconoscono il danno non patrimoniale anche in caso di colpa civilisticamente presunta, se il fatto, ove la colpa sia provata, possa qualificarsi, anche in astratto, come reato (Alla risarcibilità del danno non patrimoniale "ex" artt cod. civ. e 185 cod. pen. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa, come nel caso di cui all'art cod. civ., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato, Cass. civ., , n con nota di NAVARRETTA, Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente, in Foro it., 2003, I, 2274; per il commento alle sentenze della Cassazione, n e n , affermanti il medesimo principio, si citano per la prima, ex plurimis, ZIVIZ, E poi non rimase nessuno, in Questa Rivista, 2003,703 e per la seconda, PONZANELLI, Danno non patrimoniale: responsabilità presunta e nuova posizione del giudice civile, in Danno resp., 2003, 713). Ritengono i giudici di Piazza Cavour che, se la colpa fosse sussistente, il fatto integrerebbe il reato ed il danno non patrimoniale sarebbe dunque risarcibile e, quindi la non superata presunzione di colpa altro non significa che essa agli effetti civili sussiste, sicché il fatto senz'altro corrisponde anche in tale ipotesi alla fattispecie astratta di reato (Vengono qui in considerazione, evidentemente, soltanto gli effetti civili della condotta dell'autore del danno e non anche le conseguenze penali, ovviamente connesse all'effettivo positivo accertamento della colpa, essendo sconosciuto al sistema penale il meccanismo, esclusivamente proprio del diritto civile, di una presunzione legale circa la sussistenza di un elemento del fatto (tra l'altro collegata all'inversione dell'onere della prova, inconcepibile al di fuori del sistema civile). Ma proprio per la insopprimibile diversità degli ambiti, sembra del tutto improprio frustrare gli scopi di una disposizione, qual è l'art. 2059, che non mira a punire il responsabile ma a consentire il risarcimento del danneggiato dal fatto illecito anche se leso in interessi non economici, operandone un'interpretazione del tutto antinomica rispetto all'esigenza alla quale il sistema in cui è inserita palesemente si ispira: quella, appunto, di rendere possibile il risarcimento del danno anche se la prova della colpa sia raggiunta grazie ad una presunzione legale (artt c.c.). Del resto la presunzione, legale o non che sia, in altro non si risolve che nella prova del fatto ignoto. Dunque, se il fatto ignoto da provare è l'elemento soggettivo dell'illecito, in esito al ricorso alla presunzione quell'elemento è provato. E se, nella ricorrenza dell'elemento soggettivo, il fatto costituisce reato, risulta provato il reato. Certo solo sul piano delle conseguenze civili; ma su tale piano sarebbe arbitraria la diversificazione, quanto agli effetti della prova, delle modalità attraverso le quali essa è raggiunta, Cass. civ., , n. 21 / 40

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