SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! LETTERE DAL FRONTE DEL 14/06/13

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1 SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! LETTERE DAL FRONTE DEL 14/06/13 INDICE COBAS Pisa COMUNICATO PER RICCARDO ANTONINI Carlo Soricelli ANCHE I SUPERMERCATI, COME I CAPANNONI INDUSTRIALI SONO A RISCHIO CROLLO IN CASO DI FORTE TERREMOTO? Senzapatria News anarres56@tiscali.it STIAMO REGALANDO PER LA SECONDA VOLTA L ILVA AI RIVA? Senzapatria News anarres56@tiscali.it 31 MAGGIO 2013: TUTTA NISCEMI DICE NO AL MUOS Basta morte sul lavoro bastamortesullavoro@gmail.com IL 12 GIUGNO DEGLI OPERAI ILVA TARANTO Stefano Ghio procomto@libero.it PROCESSO SOLVAY: UDIENZA DEL 12 GIUGNO Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com INTERVISTA A RICCARDO ANTONINI SULLA RIVISTA CORRIERE DEI TRASPORTI Cobas Ravenna cobasravenna@libero.it A PROCESSO I PADRONI CRIMINALI DEL PORTO DI RAVENNA, NON LA RETE CHE LOTTA E DENUNCIA Voci della Memoria info@vocidellamemoria.org UN BELL ARTICOLO DI ALBERTO PRUNETTI SU CARMILLA Da: COBAS Pisa confcobaspisa@alice.it A: Data: 7-giu Ogg: COMUNICATO PER RICCARDO ANTONINI DALLA PARTE DI RICCARDO ANTONINI RIASSUNZIONE IMMEDIATA DI RICCARDO IN FERROVIA Proprio nel momento in cui Commissione investigativa Ministeriale e Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria ammettono che la causa della strage di Viareggio è da attribuire ai picchetti (che hanno forato la cisterna provocando la fuoriuscita di GPL) intimandone la rimozione, chi ne aveva denunciato pubblicamente la pericolosità viene cacciato via dalle ferrovie con la Magistratura che ne asseconda il licenziamento arbitrario E la storia di Riccardo Antonini, delegato sindacale da sempre attivo in difesa della sicurezza nei luoghi di lavoro, licenziato dalle ferrovie per l attività di consulenza svolta a favore delle vittime della strage di Viareggio. Le commissioni di inchiesta avvalorano la ricostruzione dei comitati e dello stesso Riccardo, dimostrano che le denunce dei familiari e dei ferrovieri erano fondate, eppure chi aveva dato fondamento a queste denunce non viene riammesso sul posto di lavoro da cui arbitrariamente è stato cacciato. La sentenza con la quale si nega il reintegro di Riccardo è ingiusta e stride con i primi risultati delle inchieste che appurano le responsabilità di Ferrovie SpA, che ricordano i quasi 40 lavoratori morti in ferrovia solo negli ultimi anni.

2 E palese che verso Riccardo esista un accanimento ingiustificabile, se le denunce di Riccardo sono oggi ritenute giuste dalle commissioni si inchiesta, per quale ragione un Magistrato avvalora la tesi della incompatibilità tra dipendente delle ferrovie e ruolo di consulente per le vittime della strage di Viareggio? Riccardo è non solo un lavoratore che ha svolto fino in fondo il suo ruolo di delegato sindacale ma anche esempio di quella coerenza e di professionalità che Ferrovie SpA dovrebbe valorizzare ammettendo che i picchetti, come le porte killer, sono state causa di infortuni e morti, ammettendo che per anni è stata dimenticata la sicurezza per i lavoratori e passeggeri. I lavoratori e l utenza ferroviaria è grata a Riccardo per il lavoro di consulente svolto in questi anni e ricorda che il suo licenziamento è un atto arbitrario contro cui mobilitarsi senza alcun indugio. COBAS LAVORO PRIVATO PISA E VERSILIA From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com To: Sent: Friday, June 07, :34 AM Subject: ANCHE I SUPERMERCATI, COME I CAPANNONI INDUSTRIALI SONO A RISCHIO CROLLO IN CASO DI FORTE TERREMOTO? Una settimana fa abbiamo denunciato all Espresso, in un articolo di Michele Azzu il pericolo che corrono tutti i lavoratori italiani in caso di terremoto. Il terremoto in Emilia dove ci sono stati decine di capannoni industriali che crollarono come castelli di sabbia, costruiti in Italia nel periodo del boom economico degli anni 60/70/80 e anche oltre, fino alle norme antisismiche del 2005 hanno messo in luce che la maggioranza di questi capannoni sono a rischio crollo, e se un terremoto capita di giorno possono esserci migliaia di vittime. L Osservatorio ha mandato migliaia di mail, alle più alte cariche dello Stato e fino alle Istituzioni locali, a giornali, televisioni. e sindacati. solo la FILLEA, il sindacato degli edili della CGIL sembra aver preso a cuore il problema. Nessun altro ha risposto. Ma purtroppo vogliamo segnalare una situazione che probabilmente é ancora più grave. Tre giorni fa mi trovavo con mia moglie in un negozio di un notissimo supermercato bolognese per un acquisto. Anche questo supermercato costruito qualche decennio fa è prefabbricato, anche se ha una struttura gigantesca, mentre ci facevamo spiegare le caratteristiche dell acquisto, ho dato un occhiata in su. Sono rimasto allibito. Anche in queste costruzioni le travi in cemento armato pesanti decine di tonnellate sono solo appoggiate per circa 30/40 cm su delle colonne e non si vede nessuna struttura in acciaio che li lega assieme. Non si vedono? E i controlli chi li deve fare? Sappiamo benissimo che una delle cause che hanno provocato il crollo dei capannoni industriali è stata proprio questa mancanza. In queste strutture sono frequentate praticamente da tutti i cittadini, a volte sono decine di migliaia le persone che vanno a fare acquisti in un giorno. e se capita un terremoto (molto facile) in un territorio come quello italiano cosa potrà succedere e quanti morti ci sarebbero? Cambio discorso, il giorno 5 giugno i morti per infortuni sul lavoro sono stati 7, ma nessuno sembra preoccuparsene. Carlo Soricelli Curatore dell Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

3 From: Senzapatria News To: Sent: Sunday, June 09, :59 AM Subject: STIAMO REGALANDO PER LA SECONDA VOLTA L ILVA AI RIVA? Stiamo regalando per la seconda volta l ILVA ai Riva? Come interpretare, diversamente, il decreto appena varato dal governo dei larghi inciuci che ha individuato in Enrico Bondi amministratore delegato dimissionario dell Ilva l uomo giusto a rivestire l incarico di Commissario Straordinario dello stabilimento? Solo pochi giorni fa il medesimo soggetto aveva depositato al tribunale del Riesame di Taranto la richiesta di revoca del sequestro di 8,1 miliardi di euro ordinato il 24 maggio scorso dal GIP Patrizia Todisco su beni, conti e quote societarie di Riva Fire SpA. Possibile viene da chiedersi retoricamente che in Italia solo quest uomo compromesso con l attuale, fallimentare, gestione economica ed ambientale sia in grado di svolgere un compito così delicato? Il nostro si conferma un Paese schizofrenico; a tratti, persino osceno. Un Paese sotto tutela. Incapace di decidere. Asservito, in modo vergognoso, alle consorterie economiche e alle lobby padronali dell acciaio. Altro che riforme, modernità istituzionale, tutela del lavoro nel rispetto ambientale ecc. Pur di salvare i Riva si è fatto ricorso ad una mostruosità giuridica: il commissariamento a tempo. Una formula ibrida che certifica la squallida partigianeria delle nostre istituzioni: un decreto-legge studiato per garantire la continuità della produzione (non è un caso che sia citata per prima), il risanamento ambientale e la salvaguardia dell occupazione sono semplici enunciazioni di principio. Ma è davvero così? E davvero credibile l ipotesi da sempre rilanciata dalla proprietà che sia possibile risanare l ambiente continuando a produrre? E poi, fino a quando i Riva saranno commissariati? Almeno sino a quando l attività dello stabilimento siderurgico non rientri all interno dei parametri, ha comunicato il ministro all Ambiente, Andrea Orlando. Che diavolo di affermazione è mai questa? Cosa significa? Perché il ministro non racconta la verità? Perché non dice che si è voluto confezionare un salvacondotto che consenta alla famiglia Riva di limitare i danni e salvare la pelle? L operazione è sin troppo evidente: un organismo fiduciario gestirà nei prossimi mesi l azienda tentando di applicare le prescrizioni AIA che i Riva hanno disatteso per decenni. Le bonifiche dovranno essere realizzate da un soggetto terzo nominato dal Ministro dell ambiente ovvero un comitato di tre esperti, scelti tra soggetti di comprovata esperienza e competenza in materia di tutela dell ambiente e della salute, che predispone e propone al Ministro, entro 60 giorni dalla nomina, in conformità alle previsioni delle norme comunitarie e delle leggi nazionali e regionali, il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dei lavoratori e della popolazione e di prevenzione del rischio di incidenti rilevanti. Tradotto in italiano questo significa che i Riva torneranno ad essere titolari dell impresa quando lo Stato con i quattrini dei cittadini che pagano le tasse gliel avrà rimessa a nuovo. Ergo: stiamo regalando per la seconda volta lo stabilimento siderurgico a Riva. Prima Prodi con l IRI; adesso Letta con il suo governo dei larghi inciuci. A Taranto contro quest ennesimo baratto lavoro/salute i cittadini e i lavoratori sono già scesi, spontaneamente, in piazza a protestare. Noi saremo al loro fianco. Come sempre. USI-AIT Puglia 5 giugno 2013 From: Senzapatria News anarres56@tiscali.it To: Sent: Sunday, June 09, :59 AM Subject: 31 MAGGIO 2013: TUTTA NISCEMI DICE NO AL MUOS LO SCIOPERO GENERALE: NOI E LORO Editoriale di Sicilia Libertaria Giornale anarchico per la liberazione sociale e l internazionalismo Numero 329 giugno 2013

4 Uno sciopero generale a Niscemi? Un azzardo sicuramente, una scommessa molto rischiosa. Le obiezioni maggiori alla proposta, emersa durante l assemblea regionale dei comitati NO MUOS del 7 aprile, era quella che sarebbe stato difficile smuovere i niscemesi dall apatia e portarli a fare uno cosa che in paese non si faceva da decenni e decenni; nel corso delle discussioni sviluppatesi nei due mesi precedenti, altre obiezioni argomentavano sul rischio spaccatura che lo sciopero (ed il corteo cittadino) avrebbe potuto provocare in città tra aderenti e non aderenti, tramutandosi in una spinta alla violenza verso i non scioperanti che avrebbe allontanato la gente dagli attivisti. All opposto, alcuni insistevano perché lo sciopero non si limitasse alla sola città di Niscemi, ma fosse proclamato a livello regionale, vista l importanza del problema. Tutti argomenti che hanno animato dibattiti lunghi e defatiganti, prima chi si addivenisse ad una soluzione condivisa. Lo sciopero era importante perché avrebbe permesso alla popolazione di poter esprimere la propria avversione al MUOS e alle antenne NRTF in maniera diretta, mettendoci la faccia; lo sciopero sarebbe stato un rischio nella misura in cui non ci si fosse impegnati a fondo per la sua riuscita; oltre all esito finale, avrebbe contato molto il potenziale militante che saremmo riusciti a mettere in campo nei quartieri e nei posti di lavoro. E quando la mattina del 31 maggio vedevamo le fila del corteo ingrossarsi a vista d occhio; vedevamo la gente ai lati delle strade attenderne il passaggio per introdurvisi, vedevamo migliaia di donne, uomini, bambini sfilare convinti, in una città paralizzata, con le saracinesche dei negozi abbassate e i cartelli di adesione alla protesta affissi ovunque; quando sono arrivati i ragazzi della banda musicale a ravvivare la sfilata, e quando infine siamo entrati in piazza Vittorio Emanuele e ci siamo resi conto che almeno cinquemila persone avevano manifestato contro il MUOS e le antenne, nel primo sciopero generale autorganizzato della storia di Niscemi, abbiamo capito che la scommessa l avevamo vinta. E stata una mobilitazione generale che ha rinsaldato i rapporti tra attivisti e popolazione, a partire dai quartieri dove si sono svolti comizi e speakeraggi; dalle riunioni tra i commercianti, o con i contadini e con gli studenti, in cui si sono costruite le basi per la loro adesione. Il comitato delle mamme NO MUOS, assieme all amministrazione comunale, hanno dato un forte contributo, sia pure macchiato dalla paura di pronunciare la parola sciopero, così hanno invitato la popolazione a partecipare alla manifestazione generale. Ma non c è alcun dubbio che la proposta di sciopero ha spiazzato molti costringendoli a non poter tirarsi indietro, perché una cosa è indubbia: il clima era favorevole, e ci sorprende come alcuni non l abbiano colto. La popolazione si attende dagli attivisti indicazioni precise su cosa fare, proposte nelle quali possa entrare direttamente e portare il proprio contributo. E successo da quel fine novembre in cui si è saputo dell arrivo della gru della Comina per montare le torri e le parabole del MUOS: il presidio e i blocchi sono state le proposte operative giuste che hanno permesso a centinaia di niscemesi di andare oltre la mera simpatia alla lotta, coinvolgendosi direttamente. Così per lo sciopero generale del 31 maggio. Che l azzardo potesse funzionare lo avevano capito anche alla questura, tanto è vero che si sono affrettati a prescrivere il divieto di introdurre trattori nel corteo: temevano che quei trattori avrebbero potuto deviare verso la base e fungere da mezzi di sfondamento del movimento; non a caso hanno postato due furgoni di poliziotti dentro il recinto della base della marina militare per tutta la giornata del 31. Certi risultati non si ottengono con le chiacchiere: distribuire diecimila volantini, attacchinare locandine e manifesti, parlare con i commercianti uno ad uno, vincere la timidezza e parlare nei comizi di quartiere, fare le mattinate per volantinare ai contadini che si recano a lavorare, è quanto si è fatto alacremente per due settimane abbondanti, tra compagni di Niscemi e di fuori, mentre anche le mamme e la stessa amministrazione comunale scendevano nei quartieri a fare comizi. Il costituendo comitato artisti NO MUOS ha ricevuto il battesimo di lotta invadendo la città il 30 maggio, vigilia dello sciopero, con spettacoli, performances, proiezioni, esposizioni, concerti, nel corso dei quali centinaia di artisti, da Nicoletta Fiorina a Nino Romeo e Graziana Maniscalco, da Roy Paci a Guglielo Manenti, dal Teatro dell Oppresso a Cesare Basile, a tanti e tanti altri che è complicato elencare, hanno dato prova di un coinvolgimento e di una passione che ha lasciato il segno nella città. Sono queste le cose che danno la dimensione delle straordinarie potenzialità di questa lotta e di questo giovane movimento fatto di donne e uomini di generazioni e sensibilità magari

5 diverse, ma uniti dalla voglia di andare fino in fondo in una lotta che, pur essendo contro i titani militaristi, è pur sempre uno spicchio di quella lotta secolare tra sfruttati e sfruttatori. Il coordinamento dei comitati NO MUOS aveva chiesto ai sindacati di fornire la copertura ai lavoratori, ma solo la CUB si è resa disponibile e lo ha fatto; i Cobas hanno perso un occasione per dimostrarsi al di sopra delle beghe sia interne che esterne, e si sono arrampicati sugli specchi per giustificare la loro diserzione. Cgil e Cia locali hanno aderito formalmente, a cose fatte, senza indirlo, partecipando al corteo con un gruppetto di iscritti. Il boicottaggio messo in atto nelle scuole, alle quali l Ufficio scolastico provinciale non ha inviato nessuna circolare informativa sullo sciopero, è stato scavalcato dai genitori dei bambini e dai ragazzi del liceo, che hanno disertato in massa le lezioni, permettendo così anche agli insegnanti più sensibili di prendersi un permesso e raggiungere la manifestazione. Niscemi, dunque, raccoglie la sfida del governo italiano, che fa da avvocato d ufficio agli USA e ricorre al TAR contro la revoca colabrodo della Regione siciliana, chiedendo un risarcimento di euro al giorno alla Regione e di dollari al giorno al Comune per i danni subiti dalle relazioni Italia-USA e della aziende impegnate nel progetto del MUOS (leggasi Lockeed). La popolazione che è scesa in piazza risponde anche alla repressione che ha colpito gli attivisti con denunce, multe, perquisizioni, fogli di via, carcere, stringendosi attorno ai suoi ragazzi, che hanno avuto il coraggio di sfidare la marina militare statunitense e i suoi complici annidati nel governo di Roma e in quello di Palermo. Il coordinamento è stato chiaro nell appello: una città devastata dal clientelismo e dal malaffare, dove mancano l acqua, la ferrovia, le strade, i servizi essenziali, il lavoro, mentre si investono miliardi dentro la sughereta per strumenti di guerra e di morte (il 41% delle spese per la base USA è a carico dello Stato italiano), deve collegare la propria condizione con le scelte dei signori della guerra. Questa non è una terra dimenticata, è semmai una terra sotto la massima attenzione dello Stato, che ha deciso di condannarla al degrado per procedere con i suoi progetti militaristi. Il 31 maggio una pagina di storia è stata scritta dal movimento NO MUOS e dalla popolazione. Il libro di questa lotta ha ancora molte pagine bianche da riempire, ma siamo certi che verranno tutte accuratamente compilate. Se non ci faremo male da soli, con settarismi e personalismi, riusciremo a fare veramente male ai signori della guerra e della devastazione. Da: Basta morte sul lavoro bastamortesullavoro@gmail.com A. Data: 12/06/ Ogg.: IL 12 GIUGNO DEGLI OPERAI ILVA TARANTO OGGI SONO 10 ANNI! Il 12 Giugno del 2003 morirono all Ilva di Taranto per il crollo di una gru, assassinati dal profitto di padron Riva, i giovani operai Paolo Franco e Pasquale D Ettorre. Dopo le tanti morti del periodo dell Ilva/Italsider pubblica, Paolo e Pasquale aprirono la tragica stagione delle morti della nuova giovane generazione operaia che è continuata fino ai mesi scorsi con le morti di Claudio, Francesco, Ciro. Una nuova generazione, allora, assunta - come staffetta con i loro padri - da Riva; una nuova generazione che era entrata piegando la testa e che doveva lavorare dicendo sempre sì ai capi. A questi giovani operai i padri non gli trasmisero una memoria di lotta e di ribellione, che pur vi era stata nei decenni passati, ma al massimo le regole su come lavorare bene e in sicurezza. Ma senza ribellione e lotta non si potevano salvare le vite degli operai. Lo capì sulla propria pelle anche il padre di Paolo Franco che aveva riempito la testa del figlio sulle norme di sicurezza, ma non gli aveva insegnato una sola cosa necessaria: la giustezza di fronte a lavori a rischio di dire NO! Ma allora, per l azione dello Slai cobas per il sindacato di classe e di alcuni, pochi, tenaci operai dell Ilva primo tra tutti Cosimo Semeraro, nella tragedia cominciò a spuntare un fiore. Per la prima volta a degli assassinii operai, si rispose a Taranto e poi a livello nazionale non solo con le lacrime e la rabbia impotente ma con l azione per rendere concrete le parole d ordine BASTA MORTI SUL LAVORO - SI LAVORA PER VIVERE NON PER MORIRE!. Per la prima volta i familiari degli operai uccisi, con alcuni operai dell Ilva, cominciarono a organizzarsi. Si costruì a Taranto il Comitato 12 Giugno. Unendo in questo e attorno ad esso

6 anche avvocati, artisti, giuristi, ispettori del lavoro, democratici, compagni e compagne di lotta, ecc. Per la prima volta, grazie ad Attricecontro di Roma, con il toccante spettacolo, costruito insieme ad operai e familiari dell Ilva, Se questo è un operaio - viaggio nell inferno dell Ilva, venne portata sulla scena di teatro la verità della condizione operaia di sfruttamento, di subordinazione ai capi, di oppressione, controllo/ricatto in una fabbrica come l Ilva che sta dietro la morte degli operai - uno spettacolo che ancora oggi dopo anni gira in tante città d Italia. Per la prima volta l Ilva con il suo carico di morti per infortunio, malattia fu portata come uno schiaffo a livello nazionale e anche internazionale, e ruppe il complice silenzio di governi, Stato, mass media, sindacati confederali. Per la prima volta con il costante lavoro dello Slai cobas e del Comitato 12 Giugno, con altre realtà operaie e di familiari di altre città, in particolare gli operai della ThyssenKrupp di Torino, si mise su la Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro - diventata poi Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e territori con l emergere sempre più forte delle micidiali ricadute sulle popolazioni dei territori della logica padronale di profitto contro la vita, la salute, l ambiente. E la Rete ha dato vita alle uniche manifestazioni nazionali (oltre quelle, tante, locali e specifiche che si sono fatte e si fanno), all unità necessaria delle realtà di fabbrica come dei territori, degli operai come dei familiari, dei lavoratori come di esperti, di democratici, avvocati, ecc. - e a Taranto dalla manifestazione del 9 aprile 2009 a quella recente del 22 marzo NOI QUESTO 12 GIUGNO VOGLIAMO RICORDARE E RENDERE VIVO. IL 12 GIUGNO DEGLI OPERAI, E DI TUTTI COLORO CHE VOGLIONO DIRE E FARE: BASTA CON IL PROFITTO DEI PADRONI SULLA VITA DEGLI OPERAI E DELLE MASSE POPOLARI. Questa data, purtroppo, è stata poi di fatto consegnata alle istituzioni, ai preti, arcivescovi, ai rappresentanti delle Forze dell ordine - che per 364 giorni non fanno nulla e sono o complici col loro silenzio, o direttamente responsabili della morti in fabbrica e dopo della mancanza di giustizia. I padroni, come Riva, dovevano già stare in galera, se non ci fossero governi i cui rappresentanti sono arrivati a dire che le morti sul posto di lavoro sono da mettere in conto negli inevitabili costi della produzione, se non ci fosse parte della magistratura (sì, questa di Taranto tanto osannata da alcuni ambientalisti) che nei processi, come quello per Franco e Pasquale, ma come quello per Antonino Mingolla, e tanti altri, negasse palesemente giustizia, limitandosi al massimo a condannare i capetti per pochissimi anni (e in questi casi non abbiamo sentito neanche il Procuratore Sebastio dire qualcosa). Noi abbiamo molto rispetto per Cosimo Semeraro per la sua coerenza, tenacia, determinazione a mantenere, spesso anche da solo, sempre alta la memoria del 12 Giugno. Ma questa data deve tornare prima di tutto agli operai, anche se la situazione non è affatto facile. Nello stesso tempo, noi non pensiamo che per i proletari le morti siano tutte uguali, pur se avvengano in servizio. Vi sono morti più leggere di una piuma - come quelli di chi cade nelle missioni militari all estero al servizio di uno Stato che va solo per difendere gli interessi imperialisti contro le popolazioni di quei paesi - e morti più pesanti di un macigno - come quelle degli operai che producono ricchezza e devono anche donare il loro sangue per questi padroni. NOI QUESTE MORTI OPERAIE VOGLIAMO RICORDARE E RENDERE SEMPRE PIU VIVE PER TRASFORMARLE IN RAGIONI DI LOTTA PER CAMBIARE/ROVESCIARE DA CIMA A FONDO QUESTO SISTEMA CAPITALISTA DI SFRUTTAMENTO E MORTE. Taranto 12/06/13 Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sui territori - nodo di Taranto bastamortesullavoro@gmail.com mailing list bastamortesullavoro@domeus.it blog telefono

7 Da: Stefano Ghio A: Data: 12/06/ Ogg: PROCESSO SOLVAY: UDIENZA DEL 12 GIUGNO L udienza odierna si apre alle ore 9:45 con la produzione, da parte dell avocato Bolognesi della difesa Solvay, di alcuni documenti che dimostrerebbero non corrispondere al vero le affermazioni secondo le quali l azienda avrebbe omesso di comunicare agli enti preposti la scoperta di anomalie nella concentrazione di sostanze tossiche - nello specifico DDT, DDD, DDE, arsenico e antimonio - nelle acque della falda sottostante lo stabilimento di Spinetta Marengo. A seguire viene ascoltato (in regime articolo 210 CPP, come disposto dalla Corte nella scorsa seduta) Pietro Alemanni, insegnante e geologo, collaboratore esterno di Ensr, per il cui conto ha seguito - nell anno i primi contatti con il committente Ausimont, ed in particolare con i dirigenti Capogrosso e Boncoraglio. La collaborazione con l azienda committente continuò fino a quando non emersero dissensi per ciò che concerneva la questione delle discariche: i due signori sopra citati (che erano a conoscenza dello stato reale delle stesse) non le consideravano di alcun interesse per le indagini, e pertanto dovevano essere tenute escluse dalle rilevazioni, mentre lui - che fino a quel momento non vi aveva rilevato la presenza di rifiuti tossico-nocivi - le considerava importanti. Da questo discende la sua convinzione, non detta apertamente ma lasciata intendere, di essere stato ostacolato nello svolgimento del suo lavoro: da questa sua considerazione, deriva il conseguente comportamento di alcuni degli avvocati difensori, che effettuano un controesame molto aggressivo nel tentativo - a giudizio di chi scrive non riuscito - di screditare il teste. A seguito di una pausa di circa venticinque minuti, a partire dalle ore 11:50 viene esaminato il geologo dottor Mario Bobbio, rappresentante della Provincia di Alessandria in seno alla Conferenza dei servizi; egli riferisce - confermando le dichiarazioni dei testimoni ascoltati in precedenza - a riguardo di discariche, alti piezometrici e perdita di acque industriali (per quanto riguarda il periodo successivo al 2004) con conseguente avvelenamento della falda profonda: inoltre precisa di aver avuto rapporti, in qualità di referenti dell azienda (che nel frattempo era passata alla Solvay), con Canti e, più sporadicamente, Carimati. Particolarmente interessante è l asserzione, a precisa domanda di una parte civile, che se i dati di cui la Conferenza dei servizi è venuta in possesso nel ma che riguardano in molti casi rilevazioni antecedenti al fossero stati in possesso della stessa già all inizio delle procedure di bonifica (2001) le stesse sarebbero già abbondantemente concluse, a prescindere dai cambiamenti avvenuti nel tempo nella legislatura che la riguarda. Questa è un ulteriore dimostrazione del comportamento criminale delle aziende che si sono succedute all interno del polo chimico; costoro, pur essendo (almeno dal 2001) a conoscenza dei veri parametri riscontrati nei rilevamenti, li hanno volutamente occultati in modo che chi di dovere non prendesse quei provvedimenti urgenti - quali la messa in sicurezza d urgenza - che avrebbero comportato la sospensione della produzione. Sono le ore 14:15 quando il terzo testimone del giorno - il signor Sergio Aureliano - viene interrogato: questi porta a conoscenza la Corte della sua esperienza come allevatore industriale di vacche da latte, che ha utilizzato l acqua della falda contaminata fino alla chiusura dei pozzi, dai quali pescava per irrigare il foraggio da dare agli animali e l acqua potabile le cui analisi alla ricerca dei veleni non sono iniziati prima del Per ultimo tocca al signor Casimiro Paci, ex dipendente Solvay dal 1966 al 2011: prima con la qualifica di responsabile della produzione e controllo del processo, e successivamente come responsabile dei laboratori; tra questi vi era quello di igiene industriale, che si occupava di analizzare - almeno una volta all anno - tutti i pozzi interni allo stabilimento, senza però preoccuparsi della effettiva potabilità dell acqua. In seguito, messo davanti a quanto dichiarato in sede di S.I.T. - durante le quali aveva ammesso di essere a conoscenza di parametri anomali in relazione alla concentrazione di veleni nelle acque di falda - si limita ad una lunga sequenza di non so, non ricordo, non c ero, non l ho fatto che evidentemente sono volti ad una forma di protezione dell azienda presso la quale attualmente lavora la di lui figlia; arriva persino sulla soglia di disconoscere la sua firma sul verbale di S.I.T. dell 11 febbraio 2009, ma la presidente della Giuria, Sandra Casacci, lo

8 blocca in tempo evitandogli una sicura incriminazione per falsa testimonianza, reticenza e oltraggio alla Corte. Alle ore 15:00 la Corte sospende definitivamente la seduta, rinviandola a lunedì diciassette giugno. Alessandria, 12 giugno 2013 Stefano Ghio - Rete sicurezza Alessandria/Genova Da: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com A. Data: 13/06/ Ogg: INTERVISTA A RICCARDO ANTONINI SULLA RIVISTA CORRIERE DEI TRASPORTI A seguire l intervista a Riccardo Antonini pubblicata sul Corriere dei Trasporti. L intervista e altri articoli sulla strage di Viareggio sono stati pubblicati ieri sulla rivista (da pagina 12 a pagina 18). La copertina è dedicata alla strage: Il picchetto del disonore. Ovviamente, titolo, foto, resoconti, ecc. sono scelti e decisi da Daniele Caporale, il giornalista che ha contattato ed intervistato Riccardo. Il numero completo della rivista è consultabile/scaricabile all indirizzo: Corriere dei Trasporti numero 22 3 Giugno 2013 INCROCI / IL PUNTO DI RICCARDO ANTONINI 38 MORTI E UN PROBLEMA CHE NON ESISTE SIGNOR ANTONINI, LEI OLTRE CHE UN (EX) DIPENDENTE DI FERROVIE DELLO STATO È ANCHE UN VIAREGGINO. CHE RICORDO HA DI QUELLA NOTTE? Io sono stato un addetto alla manutenzione delle ferrovie dal marzo del 1978 fino a al 7 novembre 2011, giorno nel quale sono stato licenziato. Quella sera ero a casa e a mezzanotte, quindi pochi minuti dopo l incidente, venni a sapere di quanto era avvenuto. La prima cosa che ho pensato, come dipendente delle Ferrovie, è stata di recarmi in stazione, per vedere se c era bisogno di qualcosa, però visto quello che stava accadendo potevo fare davvero ben poco. Stavano intervenendo i vigili del fuoco, che cercavano prima di tutto di salvare chi era rimasto intrappolato nelle proprie abitazioni. Le persone che uscivano, a parte i primi morti, erano fortemente ustionate. I pompieri tentavano di spegnere le fiamme che erano altissime, anche decine di metri. Stetti li fino alle 2 di notte, poi l indomani tornai al lavoro alle 7:30 e vidi l immane disastro. Mi recai fino in Via Ponchielli dove constatai uno scenario inimmaginabile. EPPURE SONO IN TANTI A DIRE CHE QUELLA DI VIAREGGIO E UNA TRAGEDIA CHE POTEVA ESSERE EVITATA. Sono state dette molte cose su quella notte, ma il primo a definirla una strage annunciata fu l allora segretario della Cgil e oggi del PD, Guglielmo Epifani, mentre l allora Procuratore della Repubblica di Firenze (oggi in pensione), Beniamino Deidda, parlò di precise responsabilità. Un anno dopo, nell aprile del 2010, anche il direttore dell Associazione nazionale per la sicurezza ferroviaria (Ansf), l ingegner Alberto Chiovelli, confermò che si trattava di una strage che poteva essere evitata. Ma noi ferrovieri lo sapevamo già da quel triste 29 giugno. Non dimentichiamo che nelle settimane prima ci furono due incidenti analoghi con treni che trasportavano merci pericolose: uno il 6 giugno, a Pisa San Rossore, e un altro il 22 giugno a Baiano, in provincia di Prato, che per fortuna non fecero morti. Fu come se i treni avessero un anima e ci stessero annunciando qualcosa di grosso in arrivo.

9 QUINDI COSA SI SAREBBE POTUTO FARE PER EVITARLA? Innanzi tutto evitare di tagliare i fondi necessari a garantire la sicurezza. Negli anni è stata attuata una politica di smantellamento, o perlomeno di forte penalizzazione, sul tema della sicurezza. Se si tagliano decine di migliaia di posti di lavoro, se si sopprimono le verifiche, i presidi e i controlli è ovvio che la sicurezza viene fortemente danneggiata, quindi possiamo dire che i processi di ristrutturazione sono i genitori di questa strage e di tantissimi altri incidenti avvenuti in Ferrovie in questi anni, come quelli relativi alle porte killer che hanno mietuto vittime anche tra i viaggiatori. L ingegner Moretti non fa che ripetere che il problema sicurezza nelle Ferrovie Italiane non esiste, ma i 38 morti che si contano dal 2007 ad oggi, tra ferrovieri e lavoratori delle ditte di appalto, ci dicono quanto il problema sia invece vivo. Pochi giorni dopo la strage, insieme ai famigliari delle vittime, io e altri ferrovieri abbiamo istituito l Assemblea 29 giugno, il cui scopo è non far dimenticare la strage di Viareggio, ma soprattutto che ne vengano accertate le responsabilità. Abbiamo fatto precise richieste per evitare che ciò che è accaduto non si ripeta, come la riduzione della velocità dei treni che trasportano materiale pericoloso nei centri abitati e nelle stazioni e sa cosa abbiamo ottenuto? Che solo a Viareggio quei treni circolano a 50 km/h, mentre nel resto d Italia sono liberi di correre fino a 100 km/h. E una cosa ridicola, alla quale non crede nessuno quando la si racconta. Moretti, dal canto suo, continua a dire che gli si chiedono cose che in altri Paesi non sono previste (riferendosi anche a raccomandazioni dell Ansf e della Commissione investigativa ferroviaria del ministero dei Trasporti, che in parte hanno ripreso anche le nostre), misure che se adottate avrebbero evitato le 33 vittime di Viareggio che, è giusto ricordarlo, non erano né viaggiatori, né lavoratori ferroviari, ma persone che stavano dormendo nei propri letti. Il punto grave qual è? Che vengono continuamente avanzate proposte, ma poi succede come all inaugurazione del Frecciarossa dedicato a Mennea alla Breda di Pistoia, quando a Moretti è stata rivolta una domanda sul processo di Viareggio (il giorno prima era cominciata l udienza preliminare) e lui ha dichiarato che in questo momento non esiste un problema di sicurezza. Peccato che il giorno dopo un locomotore ha preso fuoco a Signa, in provincia di Firenze, con 450 passeggeri a bordo del treno, che per fortuna non era in galleria. A cosa si può addebitare un fatto del genere se non alla mancanza di manutenzione? Pensi che in una delle ultime udienze, l avvocato dei lavoratori per la sicurezza delle ferrovie (Gabriele Dalle Luche, ndr), che si sono costituiti parte civile, ha allegato una relazione della Corte dei Conti che documenta come le risorse destinate alle tecnologie per la sicurezza da parte di RFI sono passate dagli 86 milioni del 2006 ai soli 16 milioni del 2009, anno della strage. A PROPOSITO DEL PROCESSO: LEI COME SI E TROVATO A FARNE PARTE IN PRIMA PERSONA? Ero già noto a Viareggio per alcune battaglie che, con altri colleghi, si erano portate avanti per esempio sull amianto o sui pesticidi erogati in ferrovia. Il 7 marzo 2011 vengo quindi indicato dall avvocato di un familiare che mi chiede esplicitamente se ero disposto a fare il CTP (Consulente Tecnico di Parte). Questo non è mai andato giù a Fs che ha sempre cercato di fermare questa mia attività, pena il licenziamento che alla fine poi è arrivato. La motivazione ufficiale sarebbero la mie presunte offese al signor Moretti a Genova il 9 settembre del 2011, durante la festa del PD alla quale lui era ospite. In realtà ci sono dei precedenti, infatti già a luglio dello stesso anno mi fu intimato dall azienda di cessare immediatamente la mia attività di Consulente di parte dei famigliari e nel sindacato Filt-Cgil al quale appartengo. Un intimidazione che non arrivò a caso viste le due aspre discussioni che ebbi con l avvocato di Moretti in due occasioni proprio sulle cause della strage di Viareggio. Il primo luglio mi arrivò poi la diffida perché, dicevano, mi trovavo in conflitto d interessi. Pensi che il 14 settembre 2009, a due mesi e mezzo dalla strage di Viareggio, in una riunione alla Regione Toscana, in presenza dell allora presidente Martini e di altre autorità, Moretti dichiarò pubblicamente che prima o poi mi avrebbe licenziato e non solo me, ma anche tutti quei ferrovieri che si occupano di sicurezza in ferrovia. C E DA DIRE CHE L ACCUSA DI CONFLITTO D INTERESSI E QUANTOMENO PARADOSSALE DA PARTE DI CHI CHIAMA IN CAUSA, PER UNO STUDIO SULLE MOTIVAZIONI DELLA STRAGE, UNA PERSONA CHE STA SUL LIBRO PAGA DI RFI.

10 La cosa sfociò persino in una denuncia di falso da parte dei famigliari delle vittime e l allora Procuratore generale Deidda disse che era sconcertante che l ingegner Licciardello (perito del Gip che aveva attività di programma in un azienda di RFI prima e dopo l incidente probatorio, ndr) al momento della nomina, non avesse dichiarato che riceveva contributi per la sua attività lavorativa da Reti Ferroviarie Italiane, che è una delle società prima indagate e poi imputate per la strage e, tra l altro, direttamente interessata alla questione del picchetto. GIA, VENIAMO AL DIBATTITO SULLE CAUSE DELL INCIDENTE. PERCHÉ TANTA OSTILITÀ VERSO IL PICCHETTO? RFI ha sempre portato avanti la tesi della piegata a zampa di lepre come dire è una cosa insostituibile e quindi non possiamo farci niente, il picchetto invece è un elemento sostituibile. In altri Paesi non è più in ferro, invece in Italia su linee come la Direttissima Firenze-Roma è stato addirittura eliminato. La Procura di Lucca ha sempre sostenuto la tesi del picchetto. Io sono un tecnico che ha lavorato per 33 anni sul binario e ho parlato con, tecnici e addetti alla manutenzione molto più esperti e preparati del sottoscritto avevo la mia idea, ma volevo altri pareri -, hanno sempre sostenuto che si possa considerare verosimile che sia stato il picchetto - o qualcos altro visto che in quello scenario c era di tutto e di più - a provocare lo squarcio, mentre erano tutti sicuri al 100% che non si trattasse della piegata a zampa di lepre. E fantascientifico sostenere che sia stata la piegata a zampa di lepre, perché non può avere forato una cisterna in quel modo e in quelle condizioni. E una cosa inverosimile. From: Cobas Ravenna cobasravenna@libero.it To: Sent: Thursday, June 13, :07 PM Subject: A PROCESSO I PADRONI CRIMINALI DEL PORTO DI RAVENNA, NON LA RETE CHE LOTTA E DENUNCIA TRASFORMIAMO IL PROCESSO PER L OCCUPAZIONE DELL AGENZIA DELLA MORTE, INTEMPO, NEL PROCESSO AI PADRONI ASSASSINI DEL PORTO DI RAVENNA! L 11 novembre il nodo di Ravenna della Rete per la sicurezza sul lavoro e sul territorio andrà a processo per l occupazione dell agenzia interinale Intempo al Porto di Ravenna, dopo avere presentato opposizione al decreto di condanna. L agenzia della morte continua a lavorare, mentre chi la contesta viene criminalizzato. Non accettiamo che chi denuncia e lotta per la sicurezza nei luoghi di lavoro venga processato mentre nulla si è fatto al Porto per mettere in sicurezza i lavoratori che continuano a morire o a subire infortuni. Non accettiamo di venire processati per danneggiamento, violenza privata, invasione di terreni o edifici e concorso di reato quando i veri criminali continuano a fare i loro sporchi profitti al Porto. Chi sono i criminali al Porto di Ravenna? Il 1 settembre muore sul lavoro Luca Vertullo. Ancora un omicidio per mano padronale nel luogo dove ancora non si è spenta, e mai potrà spegnersi, la rabbia per i 13 lavoratori, morti come topi nella stiva della Mecnavi, il 13 marzo del D allora niente è cambiato, anzi, questa ennesima morte annunciata toglie il velo che nascondeva il sistema di sfruttamento al Porto di Ravenna, costituito da un blocco di potere di padroni e confederali, quest ultimi trasformatesi in nuovi caporali, che hanno garantito i profitti alla Compagnia Portuale, al consorzio di aziende dove partecipa anche l amministrazione comunale, ai padroni delle banchine ed agli armatori. Tutta gente che avrebbe dovuto essere in galera ma che, invece, ha avuto il coraggio di andare pure al funerale del giovane operaio e spendere ipocrite parole. Tutti costoro hanno fatto i profitti con la precarietà dei giovani operai (con l agenzia interinale Intempo gestita dalla stessa CGIL, presente a Ravenna, Genova, Livorno, Cagliari), esposti più di tutti al rischio-sicurezza, al terrorismo psicologico e al ricatto padronale, senza diritti e senza formazione. Quel giorno in cui è morto Luca poteva verificarsi una strage con un numero elevato di vittime operaie. Fu evitata solo per miracolo. 9 giovani operai somministrati dall agenzia Interinale Intempo con un contratto di due giornate garantite alla settimana per essere impiegati nello sbarco/imbarco dei traghetti, sentiti come testimoni, hanno detto di non essere stati adeguatamente formati ed informati dei compiti loro affidati e dei pericoli conseguenti.

11 Per non permettere che passi il silenzio su quella morte e per non permettere l impunità ai padroni assassini che da lì a poco sarebbero stati processati, abbiamo occupato l agenzia interinale proprio il 13 marzo. E stata un iniziativa niente affatto violenta, anche se l hanno voluta presentare come tale i padroni del Porto attraverso la stampa asservita. E stata un azione giusta necessaria perché la lotta contro gli omicidi bianchi si deve fare seriamente e sappiamo molto bene che è difficile fare sentire la propria voce e attirare l attenzione dell opinione pubblica, dei mezzi d informazione, delle istituzioni. La vita degli operai, degli immigrati, degli sfruttati in questa società non conta nulla, ed è il rovesciamento di questa realtà ciò a cui puntiamo con la nostra attività. Dopo la strage della Mecnavi, migliaia di giovani sfilarono per Ravenna portando per le strade uno striscione con su scritto MAI PIU. Una parola d ordine che era un grido di rabbia e al tempo stesso un impegno morale e civile, rimasto però inascoltato. Dai Tribunali non viene la giustizia e il processo per la morte di Vertullo lo dimostra. I famigliari sono lasciati soli. La nostra occupazione dell agenzia Interinale Intempo al Porto di Ravenna è stata la continuità di quel moto civile di indignazione ed impegno. Questo processo sarà il processo a tutto il sistema di sfruttamento al Porto di Ravenna. Come Rete per la sicurezza e salute nei luoghi di lavoro e nel territorio rivendichiamo la chiusura della famigerata agenzia della morte, Intempo, e l apertura, invece, di una postazione fissa dell ispettorato del lavoro. Le vite dei lavoratori valgono di più dei profitti dei padroni! Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sui territori - nodo di Ravenna tel. 339/ bastamortesullavoro@gmail.com. Richiedici il dossier Intempo mailinglist: bastamortesullavoro@domeus.it blog: dal Corriere di Ravenna del 13 giugno UNA TRAGEDIA DA NON DIMENTICARE Ci sono ancora i caporali dei tempi della Mecnavi Le vittime, i parenti e i protagonisti di 26 anni fa raccontati in un libro Lo scrittore Ferracuti: Ho la sensazione che questa storia sia stata parecchio rimossa RAVENNA La tragedia della Mecnavi continua a inviare messaggi e ammonimenti. Ventisei anni fa al porto di Ravenna nella stiva della nave gasiera Elisabetta Montanari morirono 13 persone. Partendo da quei giorni, il giornalista e scrittore Angelo Ferracuti firma il libro d inchiesta, pubblicato da Einaudi, Il costo della vita. L autore sarà presente domani, alle 18.30, al bagno Fandango di Marina di Ravenna dove racconterà l essenza di un libro che parla anche e molto dell Italia e del lavoro di oggi. Lo scrittore ripercorre la più grande tragedia sul lavoro in Italia dal dopoguerra, indagando nelle storie dei tredici operai deceduti e di queste vite interrotte. Decide di andare sul luogo della tragedia e di parlare con i protagonisti: i vigili del fuoco che estrassero i cadaveri, i medici del 118, gli infermieri, gli operai sopravvissuti, i famigliari delle vittime, i sindacalisti, gli imprenditori, il cardinale Ersilio Tonini. Ferracuti ascolta e raccoglie le voci di chi quel 13 marzo c era, ne attraversa i ricordi, il dolore, la rabbia. Ferracuti indaga da tempo sul mondo del lavoro e sulle morti bianche: Ne scrivo - sottolinea l autore - perché sono storie poco conosciute o raccontate male. Il reportage va oltre al fatto di cronaca e permette di scavare in profondità. La vicenda della Mecnavi ha tutti i contorni della grande tragedia, e colpisce ancora di più perché si è consumata in una realtà estremamente civile e organizzata, dove mai ti saresti aspettato che accadesse. Siamo di fronte a una storia emblematica della condizione del lavoro in Italia. Il fatto, accaduto nel 1987, è attuale. Con i morti dell Elisabetta Montanari inizia uno scontro di civiltà sul lavoro che porta fino ad oggi. Ferracuti parla di precarizzazione e di mancanza di lavoro: Elementi che possiamo già trovare allora, nella squadra di picchettini nel porto di Ravenna. Il caporalato c era allora come oggi; nel corso delle interviste mi è stato detto che i caporali presenti ai tempi della Mecnavi sono

12 ancora in circolazione. Ho avvertito il fatto che il caporalato è una presenza ancora molto forte. Ho l impressione che il fenomeno sia poco controllato. Ferracuti entra nella vita dei tredici operai. Raccoglie i racconti di alcuni familiari. Si reca a Il Cairo dove parla con i parenti del lavoratore egiziano deceduto Mohamed Mosad: Ho scoperto di come fossero a conoscenza di pochi elementi sulle dinamiche dell incidente. Avevano ricevuto informazioni incomplete e molto vaghe. Lo scrittore parla anche di Ravenna: Ho la sensazione che questa storia sia stata parecchio rimossa: in parte lo capisco perché una vicenda brutta, finita male. Non mi ritrovo nelle commemorazioni che si celebrano ogni anno; spesso questo esercizio della memoria, come avviene a Ravenna ma anche a Bologna, ottiene l effetto di cancellare meglio. Si dovrebbe fare altro. A me piacerebbe molto andare nelle scuole a raccontare questo libro perché ci parla di tante cose che sarebbe importante che anche le giovani generazioni apprendessero. Da: Voci della Memoria info@vocidellamemoria.org A: Data: 14/06/ Ogg: UN BELL ARTICOLO DI ALBERTO PRUNETTI SU CARMILLA Apparire su Carmilla, visto chi ci scrive abitualmente e i contenuti in esso riportati, sarebbe già di per sè per Voci della Memoria motivo d'orgoglio, se poi l'articolo riportato è così bello ed emozionante, beh, non possiamo che condividerlo con tutte le persone che ci vogliono bene. L'articolo di battute era apparso sul Manifesto dell'8 giugno (non poco spazio per un giornale nazionale), qua ci sono tutte le battute dell'autore e sicuramente rende di più, con buona pace di qualche volpe dalle nostre parti che non aveva compreso la statura etica e professionale di Prunetti, lasciatecelo dire. Leggetelo, ne vale la pena, è la nostra Storia. Associazione Voci della Memoria Sito: Su Facebook: APPELLO ETERNIT. UN REPORTAGE TRA TORINO E CASALE MONFERRATO. Pubblicato il 14 giugno 2013 di Alberto Prunetti Questa pubblicata su Carmilla è la versione originale di un articolo che è stato pubblicato su Il Manifesto in forma ridotta lo scorso sabato 8 giugno. Martedì 4 giugno. Sono in un angolo di piazza Castello, davanti alla sede dell Associazione dei familiari delle vittime dell amianto, a Casale Monferrato. Cammino con Luca di Voci della memoria, attivista del movimento, nipote di un lavoratore Eternit morto per l asbestosi: Mio nonno era uno duro, non si fermava mai nonostante la tosse, dice, leggeva la Gazzetta dello Sport, che teneva nascosta dentro l Unità, per non sembrare uno che sprecava il tempo. Provo a immaginare un involto rosa dentro al giornale del Partito, ridiamo fino a quando ci taglia la strada un pensionato in bicicletta con un fascio di volantini che annunciano la convocazione di un assemblea pubblica per fare il punto sulla vertenza nei locali dell ex-dopolavoro Eternit, perché loro lo chiamano ancora così, senza giri di parole, il circolo ricreativo comunale. Il vecchio operaio ha una vocina flebile, è minuto, pedala stando in piedi, senza sedersi sul seggiolino. Come sto? Meglio, dicono che si è un po ridotto... Il pronome indica quello a un tempo chiamavano il mal di Casale e che oggi è ormai conosciuto col termine più scientifico di mesotelioma. Qui te ne parlano con naturalezza, senza drammi. Non è neanche compostezza, è il fatto che la scorza di questi piemontesi è coriacea: gente che non fa storie e lotta fino all ultimo respiro, a testa alta e con un sorriso sul volto. Com è andata ieri? Scuote la testa, no, non c era il mio nome. È anche lui uno dei tanti che sono rimasti fuori dalla sentenza. La morte del belga De Cartier, oppure la riduzione del periodo di responsabilità dello svizzero Schmidheiny, li

13 hanno lasciati senza una riparazione economica. Ma io ero uno di quelli che aveva provato con lo stress. Ovvero che è uno di quegli ex lavoratori che avevano provato a entrare nel processo Eternit, non ammalati, sostenendo di aver sofferto un danno psicologico per la paura di ammalarsi, per ogni dolore alla schiena provato al risveglio, per l ansia di fare le lastre a ogni colpo di tosse. Il test per lui è fallito: non è stato riconosciuto il suo disagio. Peccato, perché intanto si è ammalato anche lui, davvero, a dimostrazione che quel disagio non era un rischio statistico ma un danno reale. È una delle prove delle luci e delle ombre della sentenza d appello eternit. Eppure non si lamenta e ci regala un sorriso, quando arrivano alcuni membri dell Andeva, l associazione francese di familiari e vittime dell amianto. Chiedono dov è la conferenza stampa, io do qualche indicazione in un francese approssimativo, lui salta sui pedali e fa segno di seguirlo, poi si infila nel mercato coi volantini che gli escono di tasca quasi impennando la ruota anteriore, con i francesi che arrancano per seguirlo. Questa è una scena che le telecamere che lo scorso 3 giugno hanno occupato l aula 1 del tribunale di Torino si sono perse. Tante storie minute, volti anonimi che sostengono i locomotori della resistenza casalese: la signora Romana, con i suoi occhi azzurri, di cui un giornale si inventa un preteso malore (quando l unico malore è quello che ho io nel momento in cui lei mi stringe le mani con un implacabile forza carsica e non me le lascia fino a quando non ha finito il suo discorso); poi Nicola Pondrano, l uomo che per primo ha sfidato l Eternit incollando i fogli mortuari dei dipendenti sui muri dello stabilimento; infine Bruno Pesce, che muove le mani come in un film muto di Ejzeinstejn tagliando lo spazio davanti a sé con mani e occhi magnetici. Le telecamere raccontano il processo, ma non riescono a raccontare lo sbigottimento dei primi due minuti, quando il presidente Alberto Oggè ripete continuamente assolve e il fatto non sussiste. I pugni si stringono, qualcuno mormora, ci si guarda sbigottiti. Poi arriva la parola colpevole, 18 anni ( più del primo grado, dice qualcuno), e poi soprattutto una parola importantissima con dolo ). Infine una lista di nomi, lunghissima, eterna, come il danno provocato a Casale. Prima nomi di vivi, segnati dalla perdita dei familiari. Poi i nomi dei morti. Un genocidio. Mi colpisce un uomo che scandisce ogni nome con un martello immaginario che simula di impugnare, percuotendo l aria. Intanto fuori comincia la macchina delle interviste, che Pesce e Pondrano gestiscono con abilità strategica, da sindacalisti di valore, quali sono. Ascolto Pondrano, e mi rendo conto che alcune cose vanno bene, altre non tornano. Vado da Pesce, e realizzo che sta già iniziando la mobilitazione per sistemare anche quelle cose che non vanno. La lotta continua: c è da far pagare i padroni, non sarà facile, ora che importanti organi di diritto pubblico come l Inps e l Inail sono fuori. Ci vorranno traduzioni giurate, soldi, c è un sistema svizzero che è fatto proprio per non farli pagare, i padroni. Con arroganza sembrano dire: venite a prenderveli, questi soldi, se siete capaci. Verranno. Sono sicuro. Quelli di Casale arriveranno in Svizzera, arriveranno anche in Costarica, dove lo svizzero risiede spesso, ma arriveranno. Camminano da decenni e non si sono mai fermati in questa battaglia. Ormai la seduta è tolta, la gente esce, i giornalisti continuano a intervistare, la Romana parla, si appoggia col braccio e racconta la sua rabbia. Basta, ripartiamo, è un caos, la gente cerca i capi-pulman, i capi-pulman cercano gli autisti... è l allegra brigata dell Afeva, donchisciottesca ma anche efficace. Hanno l impatto simbolico delle Madres de Plaza de Mayo, ma in quei volti c è anche la forza dei vitigni del Monferrato. C è la gioia di vivere che dà la lotta, che ti restituisce l orgoglio e il sorriso anche in mezzo alle tragedie. Non ci sono troppe lacrime tra i casalesi, qualche momento di commozione che dura un secondo, ampiamente giustificato, poi si ride, ci si sbraccia. Nel pulman girano volantini di gite di pensionati, si accumulano i ricordi lavorativi. Un signore dichiara con entusiasmo di aver rinunciato a una carriera ecclesiastica immensa per fare il ferroviere. Adesso è in pensione ma si ricorda degli anni di formazione in seminario, dove ha fatto in laboratorio anche falegnameria. Tenoni, mortase, incastri. Più che mobili facevamo bare, e vorrebbe prendermi le misure, ma io mi nego. Cominciano le risate. E la cultura popolare: queste donne hanno fatto le mondine da giovani; questi uomini hanno lavorato nel peggior cementificio, quello in cui il cemento era mescolato con l amianto. Eppure si ride, perché si è orgogliosi della propria lotta. Sfiliamo un pulman uno dopo l altro, sembra Convoy di Peckinpah, abbandoniamo i capannoni industriali di Torino ormai abbandonati l immagine della crisi, con i vetri rotti e l amianto usurato ci infiliamo in una striscia d asfalto circondata dall acqua delle risaie che riflette il cielo. Quella era una centrale nucleare, mi dicono, là ci sono le scorie radioattive. Quello è un cementificio, è pieno d amianto, guarda. Adesso ti facciamo vedere la raffineria. Eccola, la raffineria Maura, o quel che ne rimane: non c è niente, hanno smantellato tutto, ci sono solo bidoni di veleni abbandonati e un divieto d ingresso. E qui che ha lavorato

14 mio padre nove mesi prima che nascessi io, nel Con la crisi del petrolifero, l hanno chiusa negli anni ottanta. La Maura sta a Coniolo, a cinque minuti da Casale. Attraversiamo il Po, siamo arrivati. Troviamo a Casale tante bandiere tese dalle finestre: il tricolore con sovrimpresso la scritta Eternit Giustizia. Davanti all Afeva, ci disperdiamo per darci appuntamento per la cena. Di corsa perché i tempi stringono. In albergo incontro un membro della associazione di vittime francesi. Ha un nome italiano e la coincidenza vuole che suo nonno fosse un minatore di Gavorrano: uno delle mie parti, la Maremma della pirite e del ferro. Mi racconta che il nonno i fascisti l avevano purgato con l olio di ricino e poi pestato. Era un antifascista ma le ragioni del suo esilio erano più sentimentali. La nonna era bella, mi spiega, e i fascisti le si avvicinavano troppo. Annuisco. Lui continua: Il nonno allora prese uno squadrista e gli staccò un pezzo d orecchio con un morso. Ovviamente dovette scappare in Francia. Ridiamo. La sera continua con i gruppi che si dividono in tante tavolate. Scorrono i vini del Monferrato, le risate si alternano ai ricordi più tristi. Immagini di ristoratori che mai hanno lavorato all eternit, emigrati magari dal meridione, che poi sono mancati, come si dice spesso con un eufemismo diffuso da queste parti, per il solito male. Anche i comignoli dei forni a legna erano in eternit, mi dicono. Anche a me vengono a galla ricordi di bombole d ossigeno e respiri affannosi. Poi basta, torna l umore, si riempiono i bicchieri, domani c è la conferenza stampa e venerdì l assemblea pubblica. La mattina, fuori dall albergo, il mondo sembra piccolo: ci sono i francesi dell Andeva, tra cui spicca un vecchio operaio con le gote rubizze e i baffoni; i belgi, gli spagnoli dell Avida, un rappresentante dei lavoratori dell amianto dell America Latina. L internazionale della resistenza contro il minerale assassino, contro chi ha incassato i dividendi della polvere, del sudore, della tosse e della morte. Il passo successivo è un documento congiunto letto durante la conferenza stampa. Si comincia a fare il punto della situazione. Pondrano dà alcune cifre e riesce a rivestirle della forza della vita. Sono statistiche piene d amarezza. Ora bisogna andare avanti, evitare guerre tra poveri, rilanciare: serviva la condanna penale perché pagare non è un problema per chi è ricco; serviva la sanzione pecuniaria perché i soldi vadano nelle bonifiche, nella ricerca, nelle indennizzazioni. Partirà l Eternit bis e forse un processo civile. Ricominciano le interviste, le mani si cercano, ci si saluta, si parte. Ma poi il gruppo si ricompone, un ultima pizza dal pizzaiolo solidale. Il pizzaiolo è uno giovane, arrivato come tanti dal meridione, ha aperto una pizzeria a Casale, non ha mai visto l Eternit in funzione eppure il lunedì, quando la pizzeria è chiusa, è andato a presenziare a tutte le udienze del processo. Ogni lunedì. È questa la forza dei cittadini di Casale. Mangiamo, la signora Romana è proprio davanti a me. Manda i saluti a mia mamma, si rimpallano i saluti da due settimane, da quando sono venuto pochi giorni fa a Casale, a presentare Amianto, una storia operaia, spiegando che quello era quasi un ritorno, perché i miei genitori a Casale ci si erano trasferiti nei primi anni Settanta per alcuni mesi, quando mia madre era rimasta incinta di me. Intanto si confabula in tante lingue. Si commenta la dichiarazione incredibile dell avvocato dello svizzero. Dopo questa sentenza gli imprenditori stranieri non investiranno più in Italia. Penso: meno male. Perché se un idea d impresa produce un genocidio, un disastro ambientale che perseguiterà per generazioni gli abitanti di un posto... meglio così. Pensieri che non tardano a essere condivisi, prima del caffè. Ci si risaluta ma solo per darsi un nuovo appuntamento. Finalmente svolto e mi avvio verso l auto. Mentre mi allontano continuo a sentire l eco di Bruno Pesce che organizza un assemblea parlando dentro al telefonino in vivavoce. Parto col rammarico di non aver stretto la mano del pizzaiolo solidale che ci ha dato da mangiare. A quell ora Casale è vuota. Intravedo solo un uomo in bicicletta, con un mazzo di volantini che escono dalla tasca: spinge sui pedali in piedi e ogni tanto dà un colpo di tosse.

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