VENDITA DI COSA ALTRUI. CONTRATTO PRELIMINARE DI VEN- DITA

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1 191 ARGOMENTO VENDITA DI COSA ALTRUI. CONTRATTO PRELIMINARE DI VEN- DITA 1. Traccia Tizio, dopo aver preso contatto con Caio, intenzionato ad acquistare un immobile, che crede di Tizio, ma che in realtà appartiene a Sempronio, il quale ha conferito al primo procura a vendere il bene, conviene con Caio medesimo di stipulare un contratto preliminare, ricevendo un acconto e fissando anche la data per la stipula. In quella data, Tizio si presenta dal notaio con la procura di Sempronio. A questo punto, Caio, promissario acquirente, ritenendosi non sufficientemente garantito, con particolare riguardo agli eventuali vizi del bene, dal fatto che il promittente alienante non sia in realtà proprietario dell immobile, non procede alla stipulazione del contratto, e cita in giudizio Tizio chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento, con la condanna dello stesso al risarcimento dei danni. Il Tribunale accoglie la domanda. Tizio, allora, si reca dal legale di sua fiducia allo scopo di chiedergli lumi in ordine alla opportunità di proporre appello. Rediga il candidato un motivato parere sulle possibilità di vittoria di Tizio nel giudizio di impugnazione che lo stesso ha intenzione di intraprendere, soffermandosi sulle problematiche inerenti al contratto preliminare di vendita di cosa altrui. 2. Fattispecie Contratto preliminare di vendita di immobile Promittente alienante fornito di procura ad alienare il bene di proprietà altrui Validità del contratto. 3. Istituti Art c.c. (contratto preliminare) Art c.c. (vendita di cosa altrui) Art c.c. (buona fede del compratore)

2 192 SINGOLI CONTRATTI 4. Giurisprudenza Cass. civ., sez. II, 5 luglio 1990, n Nel caso di vendita di cosa altrui avente effetti meramente obbligatori, l obbligazione del venditore di far acquistare al compratore la proprietà della cosa può essere adempiuta non solo mediante l acquisto della cosa da parte del soggetto obbligato con l effetto legale (art. 1478, secondo comma, c.c.) di far divenire proprietario l acquirente, ma anche con il procurare la stipulazione della vendita direttamente con il terzo proprietario al compratore, inserendo all uopo nel contratto apposita clausola che preveda come obbligatoria la cooperazione del compratore (il quale in mancanza non sarebbe tenuto a prestarla), senza che tale clausola possa ritenersi contraria a norme imperative in materia fiscale (con riguardo all imposta di registro dovuta per ogni trasferimento del bene) operando sul diverso piano dell adempimento dell obbligo del venditore di cosa altrui ed inserendosi in funzione strumentale in uno dei modi di adempimento del suddetto obbligo. Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1999, n Il promissario acquirente di un bene indicato come libero da pesi ed oneri, che al momento della stipula del definitivo ne scopra invece l altruità e l esistenza di ipoteca a garanzia di un mutuo, ha facoltà di chiedere la risoluzione del preliminare, con connesse restituzioni di danaro anticipato e risarcimento del danno, ovvero di accollarsi il mutuo per il pagamento del residuo prezzo, o di sospendere il pagamento, ai sensi dell art c.c.. Ne consegue che, se ciononostante egli accetta di stipulare il contratto definitivo con l effettivo proprietario pagando l intero prezzo pattuito, e successivamente sia costretto, per evitare l evizione, a pagare il creditore ipotecario, a causa dell inadempimento del venditore all obbligo, assuntosi nella compravendita, di liberare l immobile dalla garanzia reale a sue spese, non può agire nei confronti del promittente che nulla abbia garantito al riguardo, come invece nel diverso caso in cui il promissario non ignori, al momento del preliminare, che il bene non è del promittente, dal che deriva sia la possibilità di essere dal medesimo costretto ad accettare il trasferimento del bene direttamente dal terzo proprietario evitando il doppio trasferimento, sia il diritto ad esser garantito, ai sensi dell art. 1476, n. 3 c.c., dall evizione e dai vizi della cosa, essendo il consenso tra terzo proprietario del bene e promissario soltanto determinante dell effetto traslativo della proprietà, mentre gli altri obblighi permangono tra le parti originarie. Cass. civ., sez. II, 24 novembre 2005, n In tema di contratto preliminare di vendita, il promissario acquirente il quale ignori che il bene, all atto del preliminare, appartenga in tutto o in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore fino a tale momento può adempiere all obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, o acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest ultimo a trasferirgliela. Cass. civ., Sez. Un., 18 maggio 2006, n In tema di contratto preliminare di vendita, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l acquisto del promissario direttamente dall effettivo proprietario. Pertanto, il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto

3 TRACCIA N definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest ultimo a trasferirgliela. 5. Svolgimento La risposta al quesito proposto richiede l inquadramento dell istituto del contratto preliminare, e la soluzione di alcune questioni inerenti al preliminare di vendita di cosa altrui. Il contratto di cui si tratta non è oggetto di una regolamentazione organica nel codice civile; la sua definizione è desumibile dall art c.c., che detta la disciplina applicabile in caso di inadempimento delle obbligazioni da esso derivanti, prevedendo che la parte non inadempiente, «qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso». Dalla descritta norma, che ne disciplina l aspetto patologico, si può risalire alla struttura del contratto de quo, con il quale le parti assumono l impegno di concludere un altro contratto, definitivo. Per quanto riguarda, in particolare, il contratto preliminare che ha ad oggetto la vendita di cosa altrui, parte della dottrina ne ha, per un certo tempo, messo in discussione l ammissibilità (v. Rubino, La compravendita,intrattato Cicu-Messineo, XXIII, Milano, 1962, 38 ss.; Satta, L esecuzione forzata, in Trattato Vassalli, XV, 1, Torino, 1963, 281), oggi peraltro univocamente riconosciuta. Altro problema è se detto contratto determini l insorgenza, per le parti, dell obbligo di concludere un successivo contratto di vendita di cosa altrui o piuttosto l obbligo di trasferire senz altro la proprietà del bene. La tesi prevalente è ormai nel senso che, in caso di contratto preliminare di vendita di cosa altrui, il definitivo da stipulare sia la vendita produttiva del pieno effetto traslativo. Si veda, al riguardo, la sentenza della Cassazione n del 2001, secondo la quale, nel caso di vendita, definitiva o preliminare, di cosa altrui il venditore o il promittente venditore è obbligato a procurare al compratore o al promissario compratore l acquisto della proprietà della cosa. Tale obbligo, rileva la Corte, può essere adempiuto sia mediante l acquisto della proprietà della cosa da parte di tale soggetto, col successivo trasferimento di essa al compratore o al promissario acquirente, sia mediante la vendita diretta della cosa stessa dal terzo al compratore o promissario acquirente, purché tale trasferimento, anche se il venditore o il promittente venditore non sia intervenuto nel relativo contratto, abbia avuto luogo in conseguenza di una attività svolta dallo stesso venditore o promittente; cioè dei rapporti tra questi e il terzo proprietario del bene e in ragione dell adempimento da parte di quest ultimo degli obblighi assunti nei confronti del venditore o promittente venditore, sia pure con l intervento in sede di stipulazione del contratto definitivo del terzo proprietario della cosa, che manifesti la propria volontà di alienare il bene di sua proprietà direttamente al compratore. In tale ipotesi si realizza, infatti, con l effetto traslativo della cosa, proprio quel risultato che il promissario acquirente intendeva conseguire e che il promittente venditore si era impegnato a fargli ottenere: mentre il consenso manifestato dai promittenti è diretto alla conclusione del contratto definitivo, quello che si forma tra il terzo proprietario ed il compratore determina l effetto traslativo della proprietà della cosa; in ogni caso, il contratto di compravendita intercorre tra gli originari pro-

4 194 SINGOLI CONTRATTI mittenti, e venditore è pur sempre il promittente della vendita, di modo che su di lui ricadono tutte le obbligazioni connesse a tale sua qualità, come quelle della consegna della cosa, della garanzia per l evizione e della garanzia per i vizi. A tale stregua, data la struttura propria del preliminare di vendita di cosa altrui, il contratto rimane pur sempre un contratto bilaterale tra il promittente venditore ed il promittente acquirente, ed anche se si stabilisce che il contratto definitivo notarile venga stipulato tra il soggetto proprietario ed il promittente acquirente, è sempre il promittente alienante che ha l obbligo di procurare che il proprietario presti il suo consenso in sede di stipula del definitivo. Ne consegue che, se aderisce a detto preliminare di vendita del suo bene effettuato dal promittente alienante, il proprietario effettivo non assume alcun obbligo diretto nei confronti del promittente acquirente, in quanto non è parte del preliminare di vendita di cosa altrui (altrimenti si avrebbe un preliminare di vendita di cosa propria), ma assume un obbligo esclusivamente nei confronti del promittente alienante (o, come più spesso capita, riconosce un preesistente obbligo nei confronti di questi). Pertanto, non essendovi alcuna obbligazione dell effettivo proprietario del bene nei confronti del promissario acquirente di cosa altrui, quest ultimo non può effettuare alcuna diffida ad adempiere ex art c.c. nei confronti del primo, ma esclusivamente nei confronti del promittente alienante. Quest ultimo è quindi legittimato ad esperire i rimedi di legge nei confronti dell effettivo proprietario che, essendosi obbligato in tal senso, non voglia successivamente prestare il proprio consenso. Ciò posto, il problema posto dal quesito in epigrafe riguarda le modalità di adempimento della obbligazione assunta dal promittente venditore di una cosa altrui. In proposito, era insorto nella giurisprudenza di legittimità un contrasto: alla opinione prevalente (v., tra le più recenti, Cass., sentt. n del 2005, n del 2004), secondo la quale la prestazione può essere eseguita, indifferentemente, acquistando il bene e ritrasmettendolo al promissario, oppure facendo in modo che gli sia trasmesso direttamente dal proprietario disponendo l art c.c., dettato con riferimento alla vendita di cosa altrui, ma applicabile per analogia al preliminare, che il venditore è obbligato a procurarne l acquisto al compratore, si era contrapposto un indirizzo minoritario (v. Cass., sentt. n del 1990, n del 1999), secondo il quale l obbligazione di cui si tratta deve essere adempiuta acquistando il bene e ritrasferendolo, in particolare nel caso in cui il promissario non fosse al corrente dell altruità del bene, in quanto l art c.c. dettato per la vendita di cosa altrui, ma applicabile per analogia anche al preliminare abilita il compratore a chiedere la risoluzione del contratto se, quando lo ha concluso, ignorava che il bene non fosse di proprietà del venditore, e se, nel frattempo, il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà. Sul contrasto sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione, che lo hanno composto aderendo all indirizzo prevalente, e, quindi, escludendo la necessità del duplice trapasso. Nell ottica dei Supremi giudici, il contratto preliminare non è più visto come un semplice pactum de contrahendo, ma come un negozio destinato già a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il definitivo: sicché il suo oggetto è non solo un facere, ma anche, e soprattutto, un, sia pur futuro, dare, consistente nella trasmissione della proprietà. Né tale soluzione offre minori garanzie all acquirente, ove si consideri che, come sottolineato anche dalla dottrina, il contratto preliminare continua a rego-

5 TRACCIA N lare i rapporti tra le parti, con la conseguenza che il promittente alienante resta responsabile con riguardo agli eventuali vizi ed evizione. 6. Conclusione Sulla scorta della recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n del 2006, secondo la quale il promittente venditore di una cosa altrui, anche nel caso di buona fede dell altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l acquisto del promissario direttamente dall effettivo proprietario, il legale interpellato da Tizio dovrà suggerirgli di proporre appello nei confronti della decisione di primo grado, nel quale ha ottime possibilità di vittoria, risultando ingiustificato il rifiuto di Caio di addivenire alla conclusione del contratto definitivo, in quanto Tizio era munito di regolare procura rilasciatagli da Sempronio, che lo abilitava ad effettuare la vendita in suo nome. (di Alessio Sambiagio)

6 107 ARGOMENTO LA DISCIPLINA DEL CONDOMINIO MINIMO 1. Traccia Tizio e Caio sono comproprietari di un edificio in località Mentana. Il primo, dopo avere di propria iniziativa provveduto ad alcune spese per la conservazione del bene comune, ne chiede il rimborso pro quota al secondo. Caio, convinto che, non trattandosi di una spesa urgente, non competa a Tizio il richiesto rimborso, si reca da un avvocato esperto in materia, per chiedergli delucidazioni in ordine alla esattezza, sul piano giuridico, del proprio punto di vista. Esprima il candidato, premesso il richiamo alla nozione di condominio ed alle differenze rispetto alla comunione, un motivato parere sull applicabilità della disciplina del condominio alle ipotesi di c.d. condominio «minimo», con particolare riferimento al regime delle spese sostenute da uno dei due condomini per la conservazione delle cose comuni. 2. Fattispecie Edificio di proprietà comune a due soggetti Spese per la conservazione del bene sostenute di propria iniziativa da uno dei due comproprietari Richiesta di rimborso pro quota all altro. 3. Istituti Artt e ss. c.c. (comunione in generale) Art c.c. (rimborso delle spese nella comunione) Artt e ss. c.c. (condominio negli edifici) Art c.c. (spese sostenute dal condomino) 4. Giurisprudenza Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 1988, n Con riguardo al rimborso delle spese fatte da un condomino, per le cose comuni, nel caso di un edificio in condominio composto da due soli soggetti, non trova applicazione l art c.c., il quale nega il diritto al detto rimborso al condomino in mancanza dell autorizza-

7 108 CONDOMINIO NEGLI EDIFICI zione dell amministratore o dell assemblea (salvo che per le spese urgenti), bensì la disposizione dell art c.c., in tema di comunione onde al comunista che abbia sostenuto delle spese necessarie per la conservazione della cosa comune spetta il rimborso nei confronti degli altri partecipanti alla sola condizione che l amministratore o gli altri partecipanti trascurino di provvedere, e quindi anche nel caso di opposizione del compartecipante, la quale, implicando la volontà di non provvedere ai lavori, soddisfa pienamente alla condizione richiesta dalla legge. Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2001, n Per avere diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la cosa comune, il condomino deve dimostrarne l urgenza, ai sensi dell art c.c., ossia la necessità di eseguirla senza ritardo e, quindi, senza potere avvertire tempestivamente l amministratore o gli altri condomini. Tale accertamento di fatto compete al giudice di merito e detto giudizio è insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato. Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2001, n Nell ipotesi di un condominio costituito da soli due condomini (cosiddetti condomini minimi) non si applica la disciplina dettata dall art c.c., la quale richiede per la regolare costituzione dell assemblea e per la validità delle relative delibere maggioranze qualificate con riferimento al numero dei partecipanti al condominio ed in rapporto al valore dell edificio condominiale; ma, in forza della norma di rinvio contenuta nell art c.c., le deliberazioni di detto condominio, ivi comprese quelle attinenti la nomina dell amministratore, sono soggette alla regolamentazione prevista dagli artt e 1106 c.c., per l amministrazione della comunione in generale, di cui il condominio di edifici costituisce una specie. Cass. civ., sez. II, 22 giugno 2005, n In base all art c.c., la disciplina del Capo II del Titolo VII del terzo libro del codice civile (artt ) è applicabile ad ogni tipo di condominio e, quindi, anche, ai cosiddetti «condomini minimi», e cioè a quelle collettività condominiali composte da due soli partecipanti, in relazione alle quali sono da ritenersi inapplicabili le sole norme procedimentali sul funzionamento dell assemblea condominiale, che resta regolato, dunque, dagli artt. 1104, 1105, 1106 c.c. (Nella specie è stata confermata la sentenza che, con riferimento alla ripartizione delle spese necessarie alla conservazione dell edificio condominiale, aveva ritenuto applicabile la disciplina dettata in materia di condominio, anche se lo stesso era composto da due soli partecipanti). Cass. civ., Sez. Un., 31 gennaio 2006, n La disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all unanimità, quanto, a fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni. 5. Svolgimento La soluzione del quesito proposto richiede una preliminare sottolineatura

8 TRACCIA N della nozione di condominio e degli aspetti peculiari di tale figura rispetto all istituto della comunione in generale. L espressione «condominio» designa il diritto soggettivo di natura reale (la proprietà comune) concernente le parti dell edificio di uso comune e, ad un tempo, l organizzazione del gruppo dei condomini, composta essenzialmente dalle figure dell assemblea e dell amministratore: organizzazione finalizzata alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi. La specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici la tipicità, che distingue l istituto dalla comunione di proprietà in generale e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio). Le norme dettate dagli artt e 1139 c.c. si applicano all edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà. L art c.c. elenca a titolo esemplificativo talune cose, impianti e servizi di uso comune, stabilisce che «sono oggetto di proprietà comune... in genere tutte le parti dell edificio necessarie per l uso comune» (n. 1); i locali destinati «per simili servizi in comune» (n. 2); le opere, le istallazioni, i manufatti «di qualunque genere che servono all uso o al godimento comune». Secondo l interpretazione consolidata, ai fini della attribuzione del diritto di condominio la norma conferisce rilevanza al collegamento tra le parti comuni e le unità immobiliari in proprietà solitaria: collegamento che può essere materiale o funzionale (tra le tante: Cass., sent. n del 2000). Il regime del condominio negli edifici si instaura per legge nel fabbricato non appena i piani o le porzioni di piano del fabbricato vengono ad appartenere a soggetti differenti. Da quanto fin qui chiarito emergono le ragioni della differente disciplina del condominio rispetto alla comunione in generale, che risiedono essenzialmente nella diversa utilità dei beni, che formano oggetto dell uno e dell altra: rispettivamente, l utilità strumentale e l utilità finale. Le parti comuni sono considerate beni strumentali al godimento dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva; cose in comunione costituiscono beni autonomi, suscettibili di utilità fine a sé stessa e come tali sono considerate. A tale diversa utilità si deve il maggior rigore della disciplina in tema di condominio negli edifici rispetto alla comunione quanto al rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da uno dei proprietari. Con riguardo al condominio, l art c.c. riconosce il diritto al rimborso soltanto per le spese urgenti; mentre, quanto alla comunione, l art c.c. dispone che il rimborso è subordinato alla mera trascuranza degli altri condomini. Va chiarito, al riguardo, che il concetto di urgenza, individua la stretta necessità, immediata ed impellente. Secondo la giurisprudenza, va considerata urgente la spesa che deve essere eseguita senza ritardo (Cass., sent. n del 2001); ovvero la spesa, la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo, secondo il criterio del buon padre di famiglia (Cass., sent. n del 1980). Trascuranza, invece, significa negligenza, trascuratezza, omessa cura. Relativamente alle spese necessarie per la conservazione delle cose comuni, l art c.c. riconduce il diritto al rimborso alla semplice inattività (Cass., sent. n del 2001).

9 110 CONDOMINIO NEGLI EDIFICI Ciò posto, la questione sulla quale il legale interpellato è chiamato a pronunciare il suo parere è quella se, nel caso di edificio in condominio composto da due soli partecipanti (il cosiddetto «condominio minimo»), il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino sia regolato dalla norma di cui all art c.c., che riconosce il diritto al rimborso soltanto per le spese urgenti; ovvero se, in considerazione della peculiarità della situazione di fatto e di diritto configurata dalla presenza di due soli proprietari, e dalla susseguente inapplicabilità del principio di maggioranza, la fattispecie venga ad essere regolata dalla norma dettata dall art c.c. per la comunione in generale, secondo cui il rimborso è subordinato alla mera trascuranza degli altri condomini. La questione, oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità, avendo la sentenza n del 1988 ritenuto l applicabilità, nella ipotesi in esame, dell art c.c., altre, quella dell art c.c. (v. Cass., sentenze n del 1993, n del 1997), è, oggi, risolta da un intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, che, con la recente sentenza 31 gennaio 2006, n. 2046, hanno stabilito che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all unanimità, quanto, a fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni. Hanno rilevato i Supremi giudici che nessuna norma prevede che le disposizioni dettate per il condominio negli edifici non si applichino al «condominio minimo». Le due sole norme concernenti il numero dei partecipanti riguardano la nomina dell amministratore ed il regolamento di condominio: l art c.c. fissa l obbligatorietà della nomina dell amministratore quando i condomini sono più di quattro; l art c.c. prevede che il regolamento di condominio debba essere approvato dall assemblea quando il numero dei condomini è superiore a dieci. Pertanto, se nell edificio almeno due piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse, il condominio sussiste sulla base della relazione di accessorietà tra cose proprie e comuni e, per conseguenza, indipendentemente dal numero dei partecipanti trovano applicazione le norme specificamente previste per il condominio negli edifici. La citata sentenza si fa carico della contestazione, operata da più parti, dell applicabilità di talune delle norme di organizzazione (artt. 1120, 1121, 1129, 1130, 1131, 1132, 1133, 1135, 1136, 1137, 1138 c.c.), specialmente di quelle riguardanti il funzionamento del collegio sulla base del principio di maggioranza. Ciò sulla base dell asserita inapplicabilità del metodo collegiale e del principio maggioritario in presenza di due soli condomini; ma ritiene non esatta l affermazione che l impossibilità di impiegare il principio maggioritario renda inapplicabili ai condomini minimi le norme procedimentali sul funzionamento dell assemblea e determini automaticamente il ricorso alle norme sulla comunione in generale. La disposizione dell art c.c., rilevano le Sezioni Unite, è applicabile anche al condominio composto da due soli partecipanti: peraltro, se non si raggiunge l unanimità e non si decide, poiché la maggioranza non può formarsi in concreto,

10 TRACCIA N diventa necessario ricorrere all autorità giudiziaria, siccome previsto ai sensi del combinato disposto degli artt e 1139 c.c. L ipotesi del condominio minimo è del tutto simile ad altre, nelle quali la maggioranza in concreto non si forma. Si pensi al caso del condominio composto da più partecipanti, in cui gli schieramenti opposti si equivalgono e non si determinano maggioranza e minoranza. A fortiori non sussistono ostacoli all applicazione anche al condominio minimo delle norme concernenti la situazione soggettiva (artt. 1117, 1118, 1119, 1122, 1123, 1124, 1135, 1136, 1137, 1138 c.c.). Quindi, nulla impedisce che nel caso delle spese anticipate da un condomino trovi applicazione l art c.c. 6. Conclusione Alla luce del dictum della recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n del 2006, deve ritenersi che, nel caso di edificio in condominio composto da due soli condomini, il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino viene ad essere regolato dalla norma stabilita dall art c.c., da cui il diritto al rimborso è riconosciuto soltanto per le spese urgenti, e, cioè, soltanto per le spese impellenti, che devono essere eseguite senza ritardo e la cui erogazione non può essere differita senza danno. E dunque, solo se le spese sostenute ad iniziativa di Tizio posseggono tali caratteristiche, egli potrà ottenere da Caio il rimborso pro quota delle stesse. (di Alessio Sambiagio)

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