Osservatorio sulla giustizia civile n. 12. a cura di Maria Concetta Rametta
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1 Osservatorio sulla giustizia civile n. 12 del 31 maggio 2009 a cura di Maria Concetta Rametta 1. Corte di Cassazione, prima sezione civile, n e 7212 del 25 marzo, in materia di responsabilità per danno alla reputazione. - Nella prima delle due pronunce, la Corte di Cassazione, sulla scia di quanto già affermato nella sentenza a sezioni unite resa nel settembre 2008, ha ribadito che, al fine di poter attribuire il risarcimento del danno non patrimoniale, non è sufficiente dimostrare l esistenza della lesione, ma è necessario che la lesione sia grave e non futile. Alla luce di tale principio, con riferimento al tema specifico della controversia concreta relativo al danno da illegittimo protesto di assegno bancario, la corte ha affermato che l illegittimità del protesto è soltanto un indizio dell esistenza del danno e che, pertanto, non è sufficiente per ottenere il risarcimento. Riassumendo in breve i fatti di causa, a seguito della richiesta di risarcimento da parte del soggetto illegittimamente protestato, la banca convenuta, condannata in primo grado, contesta in appello la pronuncia del tribunale, sulla base sia dell assenza sul conto corrente dell attore della provvista necessaria, sia del fatto che l avvenuto protesto non poteva costituire prova del danno sia perché, in ogni caso, anche a volere ammettere l esistenza del diritto al risarcimento, il quantum doveva essere più limitato di quello previsto nella pronuncia, essendoci un concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell art c.c.. I giudici di secondo grado accolgono il gravame, ritenendo che il convincimento del tribunale si era basato sulla errata presunta esistenza di fondi sul conto corrente e, di conseguenza, sulla assunzione della mancata diligenza del funzionario bancario, quando, invece, nulla poteva rimproverarsi alla banca, mancando, per di più, la prova del danno alla reputazione provocato dal protesto. Il soggetto danneggiato ricorre, quindi, in cassazione sostenendo, da un lato, la violazione e la falsa applicazione degli artt e 2059, poichè sia dalle prove per testi nonché da altri
2 elementi presentati in giudizio si poteva facilmente dedurre la sussistenza del danno non patrimoniale subito, e dall altro, muovendo dal fatto che, in ogni caso, alla luce della sentenza della corte costituzionale n. 184/86, il danno non patrimoniale è in re ipsa e non necessita, pertanto, di prova. Il motivo viene ritenuto infondato. Com è noto, infatti, la sentenza or ora citata, è stata superata dalle sentenze gemelle del 2003 della suprema corte, avallate anche dalla corte costituzionale, le quali hanno affermato che al fine di poter risarcire il danno non patrimoniale è necessario che sussistano tutti gli elementi previsti dall art. 2043, dato che quella delineata dall art non costituisce una fattispecie autonoma di danno: è, quindi, necessario che il danneggiato dia la prova del danno subito, della colpa del danneggiante e del nesso di causalità tra la condotta e il danno; inoltre, alla luce dei principi affermati nelle sentenze del settembre 2008, il risarcimento della lesione ad un interesse costituzionalmente garantito, qual è la reputazione, presuppone un danno grave che il danneggiato deve provare, anche con presunzioni semplici, purchè alleghi gli elementi di fatto dai quali poter desumere l entità del danno. - Con la pronuncia successiva (n. 7212) resa nella stessa data, la corte di cassazione ha affrontato la questione del termine di prescrizione del diritto al risarcimento da illegittimo protesto. Nella fattispecie all esame della corte l attore asserisce l illegittimità del protesto, elevato per il mancato pagamento di una cambiale tratta, derivante dal fatto che l emissione del titolo non era stata né accettata né autorizzata. Il tribunale non accoglie la domanda, aderendo al contrario, alle eccezioni presentate dai convenuti, con le quali si deduceva l avvenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sulla base del fatto che il dies a quo decorre dalla data dell evento lesivo, e cioè dalla data di pubblicazione del protesto, trattandosi di fatto illecito istantaneo con effetti permanenti. La sentenza è stata poi confermata dai giudici d appello. Il ricorso per cassazione viene fondato sulla asserita violazione dell art e dell art. 2935, poiché, individuando il dies a quo della prescrizione nella data di pubblicazione del protesto, non era stato tenuto in debito conto il momento della conoscenza del danno.
3 La corte ritiene il motivo di ricorso infondato. L art. 2935, che stabilisce che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, fa riferimento alla possibilità legale di esercizio del diritto, non rilevando gli impedimenti di fatto: per tale motivo, con riferimento al diritto al risarcimento del danno, il dies a quo inizia a decorrere non dal giorno in cui la condotta del terzo ha determinato il danno, ma da quando il danno si è manifestato all esterno, momento che, nel caso in esame, è stato correttamente individuato nella data di pubblicazione del protesto, operazione che, svolgendo una funzione di pubblicità notizia, rende percepibile all esterno il danno. 2. Corte di cassazione, sezione terza civile, n del 7 maggio, in tema di responsabilità dell albergatore. L attore conviene in giudizio i gestori di un villaggio turistico, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto del furto di una pelliccia, avvenuto in camera subito dopo il ritiro di essa dal deposito dell albergo. Il convenuto, sulla base del disposto dell art. 1783, ultimo comma, chiede che il risarcimento venga limitato alla somma di cento volte il valore di locazione della stanza, trattandosi di cose che non erano state a lui consegnate per la custodia. Il tribunale accoglie la domanda dell attore ritenendo sussistente la responsabilità per colpa dell albergatore, poiché essendo stata ritirata la pelliccia, poco prima del furto, dal deposito dell albergo, in vista della partenza il mattino successivo che doveva avvenire in un orario antecedente l apertura del deposito, non essendo stati riscontrati nella stanza segni di effrazione, si doveva dedurre che l introduzione illecita nella camera era avvenuta con un passepartout che era stato mal custodito. La sentenza è stata rivista dai giudici d appello, i quali hanno nuovamente condannato l albergatore, ma sulla base dell art. 1783, ultimo comma, limitando in tal modo il risarcimento dei danni. Il soggetto danneggiato ricorre, pertanto, in cassazione, sostenendo che, mediante i dati sopra descritti, era stata data la prova della colpa dell albergatore, ai sensi dell art bis, la quale non necessariamente deve consistere in azioni o omissioni, ma può anche sussistere qualora, nell organizzazione dell impresa, non siano state adottate delle misure preventive idonee a salvaguardare i beni dei clienti.
4 La suprema corte accoglie il ricorso, sostenendo, sulla base degli elementi di prova raccolti, la sussistenza della colpa dell albergatore ai sensi dell art bis, ritenendo inadeguati i servizi di sorveglianza apprestati dall albergatore, il quale se può porre dei limiti di orario al servizio di deposito dei valori, non può riversare poi il rischio dei fatti pregiudizievoli sui clienti qualora questi si verifichino nelle ore di indisponibilità del servizio e nella contestuale dimostrata assenza di sorveglianza sulle chiavi delle camere: all incompletezza del servizio custodia dei valori, infatti, deve corrispondere un aumento della sorveglianza sulle stanze. La responsabilità per colpa dell albergatore sussiste, pertanto, come sostenuto dalla ricorrente, anche qualora si ravvisino dei difetti, nell organizzazione dell impresa, che espongano a rischio i beni dei clienti, rischio che potrebbe essere evitato mediante la predisposizione di standard più elevati di sicurezza in relazione a rischi facilmente prevedibili ed evitabili. Di conseguenza, la limitazione della quantificazione del risarcimento al valore dell oggetto, prevista dall art bis, sussiste solo nel caso in cui l albergatore dimostri che la prevenzione dell illecito verificatosi avrebbe richiesto la predisposizione di misure dai costi sproporzionati rispetto alla natura ed al livello ed ai prezzi delle prestazioni alberghiere. 3. Corte di Cassazione, terza sezione civile, n del 5 maggio 2009, in tema di responsabilità civile derivante da condotta omissiva e nesso di causalità. Con questa interessantissima sentenza, relativa al disastro di Ustica, la Suprema Corte ha affermato importanti principi su due temi molto dibattuti, relativi ai fatti illeciti omissivi. La controversia prende le mosse da un atto di citazione, presentato da una compagnia aerea, contenente la richiesta di risarcimento dei danni derivati dal disastro di Ustica (consistenti non solo nella distruzione del proprio aereo, ma altresì nella crisi finanziaria che era seguita a tale evento), contro i Ministeri della difesa, dei trasporti e dell Interno, sulla base della constatazione delle loro responsabilità in ordine all omesso controllo e all omessa vigilanza sulle aerovie aperte al traffico ed alla prevenzione degli atti terroristici, essendo stata la tragedia causata dal lancio di un missile o di una bomba. A differenza del tribunale, che decide di accogliere la domanda, la corte d appello ribalta la sentenza ritenendo incerte le cause dell evento ed insussistente a carico dei ministeri l obbligo
5 di impedirlo. Per ciò che qui interessa, tra i motivi del ricorso in cassazione, rileva la contestazione della sentenza, da un lato, nella parte in cui essa nega la responsabilità dei ministeri, anche nel caso in cui si fosse individuata la causa dell evento nell esplosione di un missile, sulla base dell inesistenza di un obbligo di impedire l evento e, dall altro, nella parte in cui riteneva mancante l allegazione di elementi in grado di dimostrare la conoscenza da parte dei ministeri del comportamento dannoso del terzo. La ricorrente sostiene, infatti, in primo luogo che la legge pone a carico dei convenuti precisi obblighi di controllo per garantire la sicurezza dei voli e che, al fine di affermare la loro responsabilità, non è necessaria la conoscenza del fatto, ma la sua mera conoscibilità (nel caso in esame sussistente in quanto implicitamente contenuta nelle norme che prevedono l obbligo di attivarsi); inoltre, essa sostiene che può affermarsi altresì l esistenza della colpa, dato che l evento prodottosi costituiva una concretizzazione del rischio che al norma tendeva ad evitare. In terzo luogo, la ricorrente lamenta il fatto che i giudici di secondo grado avevano ritenuto inconoscibili ed incerte le cause del disastro fondandosi sulle risultanze del processo penale senza esaminare, invece, gli elementi che erano stati valutati dal tribunale e posti alla base della decisione di accoglimento dell istanza in primo grado. Infine, si contesta la violazione dei principi in tema di nesso causale nell illecito omissivo, elemento ritenuto mancante nella fattispecie dalla corte d appello, sulla base del fatto che esso avrebbe potuto ritenersi sussistente solo se fosse stato possibile affermare la conoscibilità della situazione con largo anticipo rispetto all evento, in modo da poter adottare delle idonee misure preventive ed impeditive. La ricorrente sostiene, inoltre, che la corte d appello avrebbe dovuto accertare, mediante il giudizio controfattuale, che l evento non si sarebbe verificato laddove, constatata la presenza di un aereo non identificato sulla rotta di quello italiano, fosse stata cambiata la rotta di quest ultimo. La corte di cassazione accoglie il ricorso. Con riferimento alla prima censura essa afferma che, data l abrogazione dell art. 3 cpp e delle norme ad esso collegate, le quali prevedevano il principio della prevalenza del processo penale su quello civile, si deve ritenere che tale principio non sussista più nel nostro ordinamento e che i due sistemi siano totalmente autonomi, salve le ipotesi di sospensione del processo civile, previste nell art. 75 cpp.
6 La suprema corte passa, quindi, a sottolineare le differenze dei due sistemi processuali, ricordando che, mentre il processo civile è retto dal principio della disponibilità delle prove, temperato da ipotesi in cui sussiste un potere discrezionale di iniziativa istruttoria, nel processo penale, il quale è retto anch esso dal principio dispositivo grazie alla sostituzione del sistema inquisitorio con il sistema accusatorio, si attribuisce maggiore spazio all iniziativa del giudice. Dall autonomia dei due sistemi deriva non solo il fatto che il giudice civile, al fine di determinare la sussistenza di un fatto di reato, possa avvalersi di tutte le prove previste dal codice di procedura civile, anche se non ammesse nel processo penale (ivi comprese le presunzioni e le c.d. prove legali, in cui la legge deroga al principio del libero convincimento del giudice e che si riscontrano, per es., negli artt. 2700, 2702, 2705 cc), ma da essa deriva anche un diverso standard di certezza probatoria poiché, mentre nel processo penale occorre raggiungere la prova della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, nel processo civile è sufficiente applicare la regole del più probabile che non. Quest ultimo principio, in particolare, ha avuto larga diffusione in tema di nesso di causalità, tant è che anche la corte di giustizia europea ha affermato che, in diritto civile ed in materia soprattutto di responsabilità extracontrattuale omissiva, la causalità non può che fondarsi su logiche probabilistiche, le quali non si ancorano soltanto al coefficiente delle leggi statistiche (c.d. probabilità quantitativa), dovendosi verificare se nel caso concreto tale elemento, alla luce di tutti i dati raccolti, viene confermato (c.d. probabilità logica). Pertanto, in presenza di più ricostruzioni sul fatto, tra di loro incompatibili, ma tutte supportate da elementi di prova, occorre fare leva su quella che tra di esse riceve un maggiore riscontro probatorio secondo il criterio della probabilità prevalente. Con riferimento, poi, alla censura del ricorrente in ordine alla violazione dei principi ricostruttivi del nesso di causalità, la suprema corte osserva, in via preliminare, che il mancato accoglimento in sede civile della tradizione penalistica su tale tema, è emerso nella ricostruzione della responsabilità extracontrattuale basata non tanto sul fatto illecito, quanto sul danno ingiusto, sulla base della considerazione secondo la quale mentre in sede penale ciò che si imputa è il fatto di reato, in sede civile ciò che si imputa è il danno. Tuttavia, occorre comunque considerare che un fatto è pur sempre necessario affinchè si possa parlare di responsabilità, giacché l imputazione del danno presuppone che si sia realizzata una delle fattispecie descritte dagli artt e segg. del codice civile, le quali, appunto, descrivono un nesso tra un fatto ed un danno.
7 Il danno rileva, pertanto, sotto due diversi profili: come evento lesivo, retto in tal caso dalla causalità materiale, e come l insieme dei danni risarcibili, retto dalla causalità giuridica. Da tale distinzione si è affermata l idea secondo la quale la ricostruzione del nesso di causalità, in sede civile, passa attraverso due momenti: infatti, mentre la ricostruzione del fatto, che ha determinato il danno, viene realizzata mediante l applicazione delle regole penalistiche, la determinazione dei danni risarcibili viene operata alla luce del principio stabilito dall art In particolare, secondo quanto più volte affermato dalla giurisprudenza civile, per determinare la causalità materiale si applica il criterio della condicio sine qua non, temperato dal principio della causalità efficiente, ex art. 41 c.p., secondo comma, in base al quale l evento va attribuito all autore della condotta solo se questa risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause; inoltre, secondo il principio della causalità adeguata, è necessario, nelle serie causali così determinate, dare rilievo solo a quelle non appaiano inverosimili al momento in cui si è prodotto l evento. Poiché nella fattispecie concreta all esame della corte si discute di una responsabilità derivante da una condotta omissiva colposa, si afferma che, al fine di poter imputare la responsabilità, l evento prodottosi deve essere una concretizzazione dell evento preso di mira dalla norma cautelare: infatti, dato che l omissione di un comportamento rileva solo se esso è imposto da una norma giuridica specifica oppure se, in relazione alla posizione del soggetto, gravino in capo a lui obblighi di prevenzione dell evento, l accertamento della sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla valutazione della materialità fattuale, ma postula la preventiva individuazione dell obbligo di tenere la condotta omessa, individuazione che è preliminare rispetto all apprezzamento della condotta omissiva. È vero che, nell ambito degli illeciti omissivi, la causalità non è naturalistica perché manca uno dei poli del nesso causale, ma essa è comunque accertabile mediante un giudizio controfattuale ipotetico, dovendosi verificare se, qualora si fosse tenuta la condotta omessa, l evento non si sarebbe verificato. La corte d appello ha, pertanto, correttamente statuito che al fine di poter affermare la responsabilità dei ministeri è dapprima necessario individuare la fonte dell obbligo di impedire l evento, fonte che in tal caso non può essere individuata nel principio generico del neminem laedere; tuttavia, i giudici di secondo grado hanno errato nel ritenere insussistente la responsabilità nel caso in esame, dato che varie norme rendono i convenuti garanti della sicurezza dei cieli. Pertanto, accertata l esistenza dell obbligo di impedire l evento, evento che concretizza uno dei rischi che le norme tendono ad evitare, non è necessario, come ha
8 sostenuto la corte d appello, che sussista la conoscenza dell esistenza del pericolo (cioé, nel caso de quo, della presenza di aerei pericolosi), in quanto il giudizio di prevedibilità ed evitabilità, che giustifica l attribuzione a titolo di responsabilità colposa, è già implicitamente contenuto nella norma che prevede l obbligo di attivarsi. 4. Corte di Cassazione, terza sezione civile, n dell 11 maggio 2009, in tema di diritto a nascere sani e soggettività giuridica del nascituro. La fattispecie concreta all esame della corte di cassazione riguarda la richiesta di risarcimento dei danni subiti dai genitori e da un bambino nato con gravi malformazioni, causate dalle cure prescritte alla madre, malformazioni non diagnosticate durante il periodo della gravidanza. In primo ed in secondo grado viene affermata la responsabilità dei medici per omessa informazione sui possibili rischi del farmaco e viene attribuito il risarcimento non solo ai genitori, ma anche al bambino. Il ricorrente contesta tali punti ritenendo che, anche a voler affermare che vi sia stata una violazione del dovere informativo, tuttavia ciò ha comportato solo la mancata possibilità di scelta in ordine all assunzione o meno del farmaco da parte dei genitori, dovendosi escludere, quindi, qualsiasi diritto risarcitorio del figlio, rispetto alle malformazioni del quale manca il nesso di causalità con la condotta dei medici, che hanno correttamente adempiuto il loro obbligo di curare. La corte suprema respinge tali argomentazioni concordando con la corte d appello in ordine al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno subito dal nascituro. A differenza, infatti, dell ipotesi in cui le malformazioni sono già innate nel bambino, ma non diagnosticate dai medici durante le visite e nella quale, secondo la giurisprudenza oramai consolidata, il diritto al risarcimento va attribuito soltanto alla madre che non ha potuto scegliere di interrompere la gravidanza, escludendosi, quindi, la sussistenza di un diritto al risarcimento per il bambino (non potendosi ravvisare un suo diritto a non nascere se non sano), nel caso in esame, invece, muovendo dal riconoscimento della soggettività giuridica del nascituro con riferimento ai diritti personalissimi quali quello all integrità psico-fisica, la corte afferma l esistenza del suo diritto al risarcimento del danno. Dal principio ormai consolidato secondo il quale non c è alcuna coincidenza tra la capacità giuridica e la soggettività giuridica, la quale è più amia della prima, e tra la persona ed il
9 soggetto di diritto, essendo tale anche un ente non riconosciuto, la corte conclude affermando che il concepito è dotato di una propria soggettività che gli consente di essere titolare dei diritti attinenti alla sua personalità, riconosciuti sia da disposizioni normative nazionali (si pensi alla legge 40/04 e alla legge 194/78) sia da fonti di rilievo internazionale, come ad esempio la dichiarazione dei diritti dell uomo, diritti che, però, potranno essere tutelati in giudizio solo a seguito della nascita del bambino. Alla luce di tali considerazioni, la corte conclude affermando la responsabilità dei medici, da un lato, nei confronti dei genitori per l inadempimento dell obbligo di renderli edotti sulle conseguenze della terapia prescritta e, dall altro, nei confronti del bambino per le malformazioni arrecate dal farmaco. 5. Corte di cassazione, seconda sezione civile, n , del 5 maggio, in tema di donazione di cosa altrui. La controversia prende le mosse da un azione di rivendicazione proposta da un soggetto, che ha ricevuto un terreno per via ereditaria, contro la persona che possiede tale bene e che contesta l azione giudiziaria proponendo domanda riconvenzionale, avente ad oggetto il riconoscimento dell avvenuta usucapione. In totale antitesi tra di loro, mentre il tribunale accoglie la domanda riconvenzionale, i giudici di secondo grado accolgono, invece, la domanda di rivendicazione e di restituzione del bene proposta dall attore. La corte d appello, infatti, ravvisa un errore nella sentenza del tribunale, nella parte in cui ha ritenuto titolo idoneo per l usucapione l atto di donazione del bene da parte della madre del soggetto convenuto, negozio che, nel caso concreto, riguardava un bene altrui ed era, pertanto, affetto da nullità. Per ciò che qui rileva, la ricorrente contesta innanzi alla corte di legittimità, la nullità dell atto di disposizione sostenendo che si deve distinguere tra la donazione di cosa futura e la donazione di cosa altrui nella quale, qualora sussiste la buona fede delle parti, non può affermarsi la nullità del negozio, ma soltanto la sua inefficacia, finché non sia trascorso il tempo necessario ad usucapire ai sensi dell art
10 La suprema corte ritiene fondato il motivo di ricorso, il quale investe in particolare due questioni: la sorte della donazione di cosa altrui e l idoneità della donazione di cosa altrui a costituire titolo idoneo per l usucapione. Con riferimento al primo problema la giurisprudenza è divisa tra due orientamenti. Secondo un primo indirizzo, mentre la donazione di un bene inesistente nel patrimonio del donante è nulla, la donazione di cosa altrui non genera alcun obbligo in capo al proprietario del bene, poiché dall art. 771, che pone il divieto della donazione del bene futuro deriva anche il divieto di donare una cosa non propria. Secondo un diverso orientamento, invece, la donazione di cosa altrui non è nulla, ma inefficace, dato che l art. 771, che è una norma eccezionale e non può essere estesa analogicamente, fa riferimento solo ai beni futuri. La sentenza in oggetto decide di aderire al primo indirizzo ritenendo che, seppur la nullità della donazione di cosa altrui non sia prevista da nessuna norma, tuttavia essa deriva dalla disciplina complessiva della donazione e cioè, in primo luogo dalla definizione stessa del negozio, contenuta nell art. 769, che prevede lo spoglio immediato di un diritto del donante ( di un suo diritto ), ed, inoltre, dal confronto tra la disciplina della donazione e quella della vendita, dal quale si evince che, mentre quest ultima rende possibili gli atti aventi ad oggetto beni altrui, nella prima il divieto delle liberalità di beni futuri può estendersi anche ai beni altrui, poiché ad entrambe è sottesa l esigenza di frenare gli atti di prodigalità e limitarli ai beni presenti nel patrimonio del donante. Tuttavia, tali considerazioni non escludono la possibilità per il terzo in buona fede di acquisire il bene per usucapione, poichè la nullità del negozio dispositivo non deriva da vizi strutturali dell atto, ma, come detto, da ragioni relative alla funzione del negozio. L usucapione, infatti,è possibile tutte le volte in cui vi sia la buona fede ed un titolo idoneo, il quale sussiste qualora l effetto traslativo sia precluso soltanto dalla mancanza di legittimazione dell alienante. Da questo punto di vista la cassazione accoglie quanto statuito da un suo precedente che, pur aderendo al secondo dei due indirizzi prima menzionati, è pervenuto alla conclusione secondo la quale la donazione di beni altrui può fungere da titolo idoneo all usucapione quando sussiste la buona fede della parti, consistente nell ignoranza di ledere l altrui diritto, poiché il titolo deve essere idoneo a trasferire il diritto non in concreto, ma in astratto, circostanza che
11 si ravvisa quando esso avrebbe avuto il suo effetto traslativo immediato, se il donante fosse stato proprietario del bene. 6. Corte di cassazione,terza sezione civile, n del 3 aprile 2009, in tema di intestazione fiduciaria del conto corrente e responsabilità del fiduciario del danno cagionato al terzo dall effettivo titolare. La sentenza in esame tratta due problematiche interessanti: l utilizzo nel processo civile dei documenti delle indagini preliminari relative al processo penale e la responsabilità dell intestatario fiduciario di un conto corrente per il danno causato al terzo dal suo effettivo titolare. Il procedimento penale, che aveva avuto ad oggetto la predisposizione, all interno dell impresa di cui erano dipendenti alcuni degli imputati, di pratiche di acquisti per prestazioni mai ottenute, seguite da pagamenti correlati a documenti contabili falsi e accreditati sui conti di tali soggetti, si era concluso con la condanna, mediante sentenza emessa a seguito di patteggiamento, per truffa e calunnia, a seguito della quale l impresa chiede ed ottiene dal tribunale civile e dai giudici di secondo grado, sulla base delle acquisizioni del processo penale, il risarcimento dei danni. I ricorrenti contestano dinanzi alla corte di legittimità la violazione del principio del contraddittorio, derivante dall utilizzo, da parte del tribunale, di atti delle indagini preliminari al cui espletamento essi non avevano partecipato, dato che, com è noto, la fase procedimentale del processo penale è caratterizzata dalla segretezza e dalla attenuazione del principio di parità delle parti che trova, invece, la sua piena esplicazione nel dibattimento, durante il quale le prove si formano nel pieno contraddittorio tra le parti e dinnanzi al giudice. La suprema corte rigetta tali argomentazioni affermando che, secondo la consolidata giurisprudenza, il giudice civile può usare le risultanze delle indagini preliminari e le prove raccolte in un diverso giudizio se sono sufficienti a fondare il suo convincimento e le sue motivazioni non sono sindacabili qualora abbia valutato tali dati, che presi singolarmente costituiscono dei semplici indizi, insieme a tutte le altre risultanze istruttorie.
12 Nella specie, il motivo viene ritenuto infondato anche perché dato che gli elementi presi in considerazione dal giudice sono costituiti dalle stesse dichiarazioni dei ricorrenti, e non di soggetti terzi, non può dirsi violato in alcun modo il principio del contraddittorio; inoltre, occorre tener conto del fatto che si tratta di dati che hanno poi portato al patteggiamento tra le parti, alla luce dei principi giurisprudenziali per i quali la sentenza emessa ai sensi dell art. 444 cpp costituisce un ammissione di responsabilità ed è pertanto un importante elemento di prova per il giudice, tant è che nel caso in cui egli voglia disconoscerne l utilità deve motivarne le ragioni. Per ciò che concerne la seconda problematica, uno dei ricorrenti contesta la sentenza di secondo grado nella parte in cui l ha condannata al risarcimento per mancata vigilanza sul conto corrente che aveva aperto a suo nome, sollecitata dal genero, marito della dipendente dell impresa e co-autore dei fatti, ma sul quale aveva sempre operato l imputato, sostenendo che secondo la legge italiana il fiduciante non risponde dei fatti illeciti commessi dal fiduciario, salvo che ne sia a conoscenza. La corte rigetta il motivo di ricorso, ritenendo che la figura dell intestazione fiduciaria di conto corrente non rileva nel caso in esame, nel quale manca assolutamente la ricorrenza di tale negozio. Infatti, secondo la definizione elaborata ed accolta unanimemente, il negozio fiduciario è costituito dalla stipulazione di due negozi, uno esterno, che ha efficacia nei confronti dei terzi ed un altro interno, avente però effetti soltanto obbligatori, con il quale il fiduciario si obbliga ad amministrare i beni o le somme nel modo indicato dal fiduciante e a ritrasferirle a lui o ad un terzo da lui indicato. Nel caso in esame, invece, non c era stata l intestazione del conto con l intesa che le somme venissero amministrate in un certo modo e poi ritrasferite al fiduciante, ma il conto era stato intestato alla ricorrente e non al genero, al quale era affidata solo la gestione: pertanto, nel caso in esame se vi fosse stato davvero un negozio fiduciario, sarebbe accaduto il contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, potendo ravvisarsi nel genero il soggetto fiduciante ed in lei la fiduciaria! In ogni caso, sottolinea la cassazione, anche a volersi affermare che un pactum fiduciae sussisteva nel caso in esame (con l inversione delle posizioni prima detta), proprio l assunzione della titolarità del conto da parte della ricorrente non la esentava dal dover vigilare sulla sua gestione in modo che essa non oltrepassasse il motivo comune che aveva dato luogo all accordo (nel caso concreto, il fatto che dato che il genero era un commerciante, aveva
13 bisogno di tale operazione per la sua attività), e si svolgesse nell ambito della liceità e del principio dell alterum non laedere. Da tali affermazioni consegue che laddove il fiduciante commetta un illecito nella gestione del conto, esorbitando dai limiti dell accordo, l omesso controllo ed il disinteresse nei confronti della gestione del conto da parte del fiduciario, qui ammesso dalla stessa ricorrente, costituisce una condotta colpevole, che è causa del danno arrecato a terzi e che determina l obbligo di risarcire il danno ai sensi dell art In conclusione, il principio di diritto affermato è il seguente: qualora un soggetto acconsenta su richiesta di un altro ad intestarsi un conto corrente in via fiduciaria, cioè con l intesa che le somme sono di pertinenza dell altro soggetto e che costui avrà la gestione del conto, il quale verrà usato per l attività lecita del fiduciante, il fiduciario, dato che nei confronti dei terzi appare come il titolare del conto, è obbligato ad esercitare un concreta vigilanza sul rispetto da parte del soggetto della finalizzazione del conto all attività, conformemente agli accordi presi. Ne consegue che qualora l intestatario ometta di esercitare tale controllo, disinteressandosi della gestione, e l altro usi il conto per commettere fatti illeciti a danno dei terzi, l intestatario risponde del danno a titolo di responsabilità colposa ai sensi dell art
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