Breve introduzione al racconto del Passaggio del mare. Es 14: cosa dice il testo? Giussano EESS mar 2014 Mercoledì
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- Valeria Papa
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1 Giussano EESS mar 2014 Mercoledì Breve introduzione al racconto del Passaggio del mare - Siamo qui di fronte a quell episodio, che forse più di ogni altro rappresenta l essenza dell Esodo, la sua raffigurazione più plastica e spettacolare: la liberazione degli ebrei in fuga dalla mano degli Egiziani attraverso le acque del mar Rosso un episodio mitico, ben descritto e reso famoso anche dalla cinematografia ( ). Dicevamo appunto episodio mitico ; mitico anche perché in qualche modo collegato ai racconti mitologici di creazione del mondo antico. Il nostro testo infatti presenta un episodio unico, che è stato riconosciuto come segno visibile delle potenza creatrice di Dio quella potenza che si è manifestata in modo singolare all inizio di tutto si è manifestata in modo altrettanto singolare anche in occasione della liberazione degli ebrei dalla guarnigione egiziana. E evidente il rapporto a livello letterario e simbolico fra i miti di creazione dell Antico Vicino Oriente e il nostro racconto là troviamo la lotta fra le forze del caos e il dio creatore, che cerca di portare ordine e vita, dove regnano la confusione e la morte qui troviamo la lotta fra il vento (di Dio) e il mare (simbolo del caos); una lotta che dura tutta la notte fino al mattino, quando finalmente le acque si dividono e si scorge la terra asciutta, come nel mattino della creazione Questi evidenti punti di contatto ci aiutano a individuare meglio il senso del racconto: non un semplice evento di liberazione (degli ebrei), né tantomeno un evento di sterminio (degli egiziani), ma un evento dove la creazione al comando di Dio si trasforma, si rinnova per preservare la vita del popolo eletto evento dove la vita trionfa per opera del Signore della vita. Il passaggio in mezzo alle acque del mare acquista così un altissimo valore simbolico: segna la nascita di Israele come popolo, nell avverarsi della nuova creazione. E c è poi anche un risvolto in negativo dell evento e del suo significato: tutte le potenze umane e cosmiche (esercito egiziano e mare) non possono nulla di fronte al Signore racconto che celebra la signoria assoluta di Dio, come signoria di salvezza e di vita. Es 14: cosa dice il testo? - Contesto di inserimento del nostro brano Gli ebrei si sono allontanati dall Egitto il mattino di Pasqua, al compimento dell ultima, decisiva piaga (la morte dei primogeniti d Egitto). Dio decide in quel momento di non guidare il suo popolo sulla via maestra verso la Palestina (la via del mare, attraverso la Filistea), ma ordina loro di procedere verso il deserto del Sinai (la via delle carovane, verso l Arabia); cammino lungo, difficoltoso, non privo di insidie. E importante che il popolo prenda la via del deserto, perché proprio nel deserto si celebrerà l incontro fra Dio e il popolo alle falde del Sinai, e lì fra i due partner sarà conclusa un alleanza destinata a rimanere per sempre (Osea direbbe il matrimonio ). Al momento gli ebrei non comprendono le ragioni del comando di Dio; le comprenderanno strada facendo Ma il cammino presenta subito una difficoltà imprevista, che sembra gettare un ombra sulla libertà appena conquistata. Dopo aver consentito la loro partenza, il faraone (e i suoi consiglieri insieme con lui)
2 improvvisamente si ricrede: Che cosa abbiamo fatto, lasciando che Israele si sottraesse al nostro servizio? Non è solo una questione di manodopera a basso costo troppo grande per lui l umiliazione di essere stato sconfitto da un Dio di schiavi; proprio lui, Dio in terra. Ma proprio la scelta un po singolare del popolo di prendere la strada verso il deserto potrebbe rappresentare per lui l occasione propizia per riscattarsi, per mettere la parola fine su questa vicenda a dir poco umiliante. Da qui la decisione di mettersi in marcia con una guarnigione di soldati, approfittando del fatto che gli ebrei al momento sono accampati di fronte al mare; insomma, sono in trappola almeno all apparenza. E il momento nel quale la superbia di faraone ha modo di esprimersi al massimo livello. E nello stesso tempo il momento nel quale Israele ha occasione di decidersi pro o contro Dio: affidarsi con coraggio alla sua provvidenza o consegnarsi nelle mani dell Egitto al culmine della disperazione. Di chi ti fidi davvero, Israele? Sembra essere questa la domanda che aleggia sull intera vicenda. - Mi limito a evidenziare qualche contenuto del brano, che mi pare decisivo il testo ci mostra l atto del credere nelle sue possibilità, ma anche nelle sue difficoltà. * La lamentazione incredula fossimo morti in Egitto! Israele è nel mezzo: fra gli Egiziani e il mare. Qui grida verso Dio, e protesta nei confronti di Mosè. Questo grido è un po come il punto centrale del nostro brano, perché rappresenta la prima grande crisi di fede che Israele affronta nel cammino del deserto; una crisi nata dalla contraddizione fra ciò che il popolo ha vissuto e il nuovo grande pericolo, che gli si affaccia davanti e per il quale non sembra esserci soluzione. E qui sorge la grande domanda: che senso ha tutto questo?. La memoria di quanto Dio ha operato durante l ultima fase della permanenza in Egitto sembra essersi già esaurita; e Israele solleva verso Dio un grido che non è preghiera, ma protesta. Paradossalmente la memoria dell Egitto, con tutte le sue fatiche e i suoi drammi, sembra più rassicurante della libertà e dei suoi rischi. Israele percepisce la difficoltà oggettiva che è inscritta nella natura stessa dell uomo di consegnare la propria vita nelle mani di qualcun altro. E questa la tentazione che blocca (autonomia, autoreferenzialità), e che rende all apparenza impossibile lo slancio della fede. Ma alla lamentazione vi è risposta, nella forma della rassicurazione, dell invito alla fiducia da parte di Dio Non abbiate paura! L oracolo di salvezza invita a non temere, ad essere forti; annuncia una vittoria sicura, che ha Dio per protagonista e verso la quale bisogna essere fiduciosi perché essere fiduciosi (avere fede) è possibile oltre che auspicabile. Nella fede e non a prescindere da essa il popolo riconoscerà che la salvezza non può mai essere una conquista, ma un dono verso il quale è necessario disporsi in atteggiamento di accoglienza altrimenti non potrà mai essere goduto. * Il rischio della fede Il Signore disse a Mosè: Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Dio si rivolge a Mosè, rimproverandolo a causa del grido del popolo contro di lui (Mosè come capro espiatorio!), e lo invita a riprendere il cammino; gli richiede insomma un obbedienza di fede
3 anticipata (come Abramo) accettare la sfida, riprendere il cammino solo così Israele insieme con lui vedrà la salvezza di Dio. L ordine a Mosè è accompagnato dall annuncio: quel mare, che rappresenta al momento un ostacolo invalicabile, offrirà un passaggio inatteso; diverrà da luogo di morte (mare come simbolo della morte) luogo di salvezza (almeno per gli ebrei) ma per godere di questa salvezza, sarà necessario affrontare il rischio; il rischio della fede. Gli Israeliti entrarono nel mare all asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Entrando nel mare, camminando in mezzo a due muraglie di acqua, che così come si sono formate così potrebbero anche sfaldarsi, Israele accetta quel rischio che è intrinseco alla fede; sfida e supera con l aiuto di Dio e la potenza del suo atto di affidamento addirittura la stessa paura di morire. La fede è rischiosa; ma il rischio può essere corso nel momento in cui si sa su cosa (o meglio: su chi) ci si può appoggiare. La vita è costruita sulla fiducia, e la fiducia è comunque sempre rischiosa (ogni amicizia, ogni relazione d amore è in qualche modo una sfida ). La maggiore età dell uomo non consiste semplicemente nel sapersi fidare di qualcuno (il bambino si fida dei genitori, ma in modo ancora istintivo), ma nel conoscere e nello scegliere in maniera sapienza, in chi riporre la propria fiducia. Sal 20: Chi si fida dei carri e chi dei cavalli noi siamo forti nel nome del Signore nostro Dio. Quelli si piegano e cadono, ma noi restiamo in piedi e siamo saldi. * Vedere per credere Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui. La fede ha bisogno di segni; segni nei quali si annuncia e si media la presenza del Signore. L evento, riconosciuto come segno, apre così alla fede. Senza segno, insomma, non è possibile credere. Israele sperimenta la propria liberazione, vede all opera la mano potente di Dio, riconosce nello spalancarsi delle acque un segno del suo amore e crede. Israele ha visto, e quindi ha creduto. Uscendo dal mare Israele nasce allora non solo come popolo, ma come popolo di credenti; pronto quindi a testimoniare la grandezza di Dio, riconosciuta e sperimentata, anche ad extra. Il privilegio di potere vedere all opera il Signore e la sua grazia non è mai dunque un privilegio fine a se stesso, ma è un dono in vista di un servizio da rendere, di una testimonianza da offrire. Ed è interessante che la prima forma di testimonianza, che Israele consegna al mondo dopo aver visto il segno e averlo riconosciuto come tale, è un canto; il grande canto di liberazione del cap. 15: Voglio cantare in onore del Signore perché ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere. Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato. E il mio Dio e lo voglio lodare, è il Dio di mio padre e lo voglio esaltare! E la stessa dinamica che interessa anche i discepoli di Gesù. La loro fede nasce dalla visione dei segni di Gesù (cf scelta giovannea di non usare mai la parola miracolo ); il primo dei quali è il segno di Cana. Proprio in quella sede il resoconto dell evento da parte dell evangelista si chiude con questa osservazione: Questo, a Cana di Galilea, fu l inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria (come Dio nell episodio del passaggio del mare) e i suoi discepoli credettero
4 in lui (come gli Israeliti sulle rive del mare dopo la liberazione). Cosa dice il testo a noi? - Partiamo da una domanda radicale: ma chi ce lo fa fare di credere in qualcosa (o in qualcuno)?; quale vantaggio concreto ne ricaviamo dall essere gente di fede?; vale davvero la pena oggi continuare a definirci e ad essere credenti? La cultura nella quale siamo immersi ci lancia ogni giorno senza troppi complimenti questa sfida, e ogni giorni siamo chiamati ad accoglierla questa sfida. Non è possibile far finta che non sia così; non è possibile chiuderci nella cittadella dorata delle nostre sane tradizioni, senza renderci conto che da molte parti questa nostra scelta di vita è messa in discussione (per non dire derisa) e questa messa in discussione non ci può lasciare semplicemente indifferenti. Siamo in un contesto che da questo punto di vista diversamente dal passato non ci aiuta di certo ad essere gente di fede, anzi ma non è detto cerchiamo di vedere la cosa in positivo che porsi ogni tanto anche domande così radicali, accogliendo le provocazioni del nostro tempo, non possa far bene al nostro cammino di discepoli. Anche Gesù dal suo punto di vista ha chiesto di quando in quando ai suoi discepoli dei salti di qualità ; ha invitato i suoi fratelli a riprendere in mano la loro fede ancora in formazione per farla maturare, magari con qualche shock salutare (cf annunci della Passione ). Come dicevamo la prima sera, la lettura e la meditazione della Parola dovrebbe tendenzialmente sempre configurarsi come un confronto di esperienze : la nostra esperienza di fede a confronto con le esperienze di fede, che la Parola ci offre come esempi da contemplare e da imitare. E questo che rende possibile un avanzamento serio del nostro cammino di fede; è in questa direzione che la Parola fa crescere e rende solida la nostra fede ( Una fede incapace di ascolto è una fede incapace di maturare! ). Ora, anche il testo di questa sera non fa di certo eccezione da questo punto di vista e ci aiuta, guardando all esperienza concreta di Israele, a rispondere alla domanda da cui siamo partiti, a ritrovare qualche motivazione sostanziale per continuare a custodire gelosamente la nostra fede come un tesoro prezioso (non come una reliquia d altri tempi). Proviamo per un momento a pensare alla particolare situazione di Israele di fronte al mare occasione di smarrimento, momento di dubbio, sorgente generosa di domande ma anche tempo fecondo per fare chiarezza, e prendere una decisione. Chissà quante volte anche noi ci siamo ritrovati (e ci ritroviamo ancora) di fronte al mare del nostro dubbio, della nostra delusione, della nostra incomprensione e ci siamo chiesti: ma chi ce lo fa fare?; perché continuare a mettere la nostra vita nelle mani di qualcuno che non ho abbiamo mai visto?; perché ostinarsi a pensare (o a sperare) che il cielo non sia vuoto?; chi vive a prescindere dalla fede non ha forse le spalle più leggere delle nostre (niente grandi domande, niente obblighi, niente scrupoli )? Eppure qui provo un po a lavorare di fantasia, ma non troppo Israele di fronte al mare in burrasca e con l esercito egiziano alle spalle deve aver ripensato per un attimo alla propria esperienza, deve aver provato per un momento a fare silenzio nel proprio cuore e in quel preciso istante deve aver percepito una presenza, semplicemente una
5 presenza tanto discreta, quanto reale; una presenza percepita in maniera misteriosa, capace di dargli una serenità profonda e di fargli compiere il grande passo. Forse anche noi anzi, certamente anche noi, se siamo qui anche stasera abbiamo in qualche occasione sperimentato questa stessa sensazione: abbiamo riconosciuto questa presenza, abbiamo capito (o meglio intuito) di non essere soli e abbiamo goduto della serenità che viene da questa scoperta. Il nostro cammino di fede potrà essere incerto e scalcinato quanto si vuole, ma in qualche occasione ci saremo pur resi conto che dietro tutto questo apparato(!) c è qualcosa di serio, per cui vale la pena di rischiare, di giocarci la vita. Per quanto nascosta, c è una verità grande in tutto questo; una verità capace di dare senso, e di infondere una serenità (e una gioia) introvabili altrove. E il nostro istinto spirituale (simile all istinto fisico) a dirci che: Sì! Forse qualcosa c è e questo qualcosa è meraviglioso!. Certamente, anche noi sentiamo la paura, siamo frenati dal dubbio, siamo appesantiti dalla logica del mondo ma siamo comunque qui, a cercare quella verità che possa aiutarci a fare della nostra vita un capolavoro (GPII). Dalla domanda sul senso della vita all intuizione spirituale che un senso è possibile; anzi che è bello... Allora i momenti di riflessione e di preghiera che passiamo insieme, a confronto con la Parola, diventano momenti di grazia, occasione di chiarificazione di questa vaga intuizione. La Parola giunge a noi come dono, che non ci abbandona alle nostre domande e alle nostre angosce, ma che ci aiuta a intuire la presenza di un senso e a trovare il coraggio di camminare in una direzione precisa, una volta percepita questa presenza. Quale immagine di Dio il testo ci comunica, accompagnando la nostra preghiera? - Di fronte alle nostre domande, alle nostre paure, alle nostre lentezze il Dio dell Esodo ha solo una cosa da dire: Non abbiate paura! Dio conosce il cuore dell uomo anzi, lo conosce meglio dell uomo stesso; e al cuore dell uomo troppo spesso gravato da pesi insopportabili, Dio porta consolazione nel dubbio, e pace nella paura. Gv 14,27: Vi lascio la pace la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore, e non abbiate timore. Beh, dite quel che volete, ma fa piacere avere sulla testa un Dio così che conosce le nostre fatiche, e che alle nostre fatiche intende dare risposte non giudizi!
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