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1 INDICE ITTICO A cura di: Gilberto FORNERIS, Fabrizio MERATI, Massimo PASCALE e Gian Carlo PEROSINO Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia dell Università di Torino. 2 - SIL. Studio Idrobiologico Lombardo. Gaggiano (Milano). 3 - C.R.E.S.T. - Centro Ricerche in Ecologia e Scienze del Territorio (Torino). 1 - INTRODUZIONE pag IL VALORE NATURALISTICO DELLE SPECIE ITTICHE pag DESCRIZIONE DELLE AREE OMOGENEE.... pag CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELLE TIPOLOGIE AMBIENTALI... pag DESCRIZIONE DELLE TIPOLOGIE AMBIENTALI... pag COMUNITÀ ITTICHE DI RIFERIMENTO... pag DETERMINAZIONE DELL INDICE ITTICO... pag CONCLUSIONI: STATO DELLE COMUNITÀ ITTICHE... pag BIBLIOGRAFIA (Autori citati)... pag. 31 AREALI DI DISTRIBUZIONE ORIGINALI DELLE SPECIE ITTICHE AUTOCTONE pagg Torino, dicembre 2006

2 1 - INTRODUZIONE La Direttiva Comunitaria 2000/60/CE, all art. 1, pone, come scopo, la protezione ed il miglioramento degli ecosistemi acquatici e prevede, nell allegato V, l analisi dei corsi d acqua con rilievi dello stato delle cenosi acquatiche ed in particolare dei macroinvertebrati bentonici, della fauna ittica e della flora. Viene riconosciuto che i fiumi devono essere studiati in tutte le loro componenti e, come anticipato dal D.Lgs. 130/1992 (e confermato dal D.Lgs 152/1999 e quindi dal D.Lgs. 152/2006), la fauna ittica è un elemento fondamentale. I corsi d acqua sono sistemi complessi, il cui stato viene descritto con metodi di analisi riguardanti diverse componenti. Per alcune di queste la letteratura prevede sistemi di valutazione che considerano, per esempio, la qualità fisico-chimica della matrice acquosa (LIM) 1, la comunità macrobentonica (IBE) 2, la funzionalità fluviale (IFF) 3, con formulazione di giudizi di qualità basati su cinque classi, dalla prima (la migliore) alla quinta (la peggiore). I risultati ottenibili con tali metodi sono tra loro confrontabili ed insieme contribuiscono ad una descrizione abbastanza completa degli ecosistemi fluviali. Altri metodi concorrono a migliorare le conoscenze. Per esempio Forneris et al. (1990) hanno proposto un sistema di classificazione, con uso delle solite cinque classi, dei livelli di carico (antropico e naturale) dei bacini che alimentano i corsi d acqua, metodo sperimentato nel bacino del Po cuneese (C.R.E.S.T., 1999) ed in quelli principali della Provincia di Torino (2000). Altri sistemi, in fase di studio e perfezionamento, prevedono l analisi delle macrophyte acquatiche o del periphyton. È importante, a questo punto, disporre di sistemi di analisi e valutazione dello stato delle comunità ittiche in grado di fornire risultati confrontabili con quelli ottenibili con altri metodi o almeno di contribuire all insieme delle conoscenze riguardanti i corsi d acqua. La fauna ittica è una componente fondamentale degli ecosistemi fluviali, condizionata dalla qualità delle acque, dal regime idrologico, dalle condizioni morfo-idrauliche degli alvei, e delle fasce fluviali, L analisi delle comunità ittiche può contribuire alla descrizione dello stato dei fiumi, ma sorgono problemi di varia natura, difficilmente risolvibili, come provato dal fatto che, nonostante la particolare attenzione su questo argomento, non esistono ancora metodi collaudati ed affermati per la valutazione dello stato dei corsi d acqua basati sull analisi dell ittiofauna. In Italia, l unico esempio di metodologia sufficientemente articolata ed interessante da approfondire, è quello (ISECI) proposto da Zerunian (2004a, 2005). Il problema essenziale è l individuazione delle connessioni tra lo stato dell ecosistema acquatico e quello della comunità ittica in esso ospitata: ad un elevato numero di specie ittiche sensibili dovrebbe corrispondere un alto indice, ad un basso numero un indice inferiore. Le comunità ittiche subiscono modificazioni, talora eclatanti, in conseguenza dell alterazione degli ambienti acquatici e ciò dovrebbe riflettersi in un basso valore di qualità ambientale; situazione limite è la scomparsa dell ittiofauna a fronte di fenomeni di massiccio inquinamento. L assenza di pesci presupporrebbe, in questo caso, la peggiore classe di qualità. Ma l assenza di pesci non è sempre imputabile ad una situazione ambientale alterata. Sono infatti numerosi gli ambienti privi di ittiofauna anche quando incontaminati. Tali sono molti torrenti alpini, unicamente popolati da trote fario d immissione, nei quali, seppure con acque di ottima qualità, le popolazioni ittiche sono mantenute artificialmente; in tali casi si potrebbe addirittura parlare di inquinamento dovuto ad immissioni estranee al carteggio faunistico locale. In Italia le aree montane costituiscono una porzione rilevante ed una parte consistente del reticolo idrografico è costituito da ambienti caratterizzati, per cause naturali, da comunità povere, rappresentate da un limitato numero di specie, insufficienti ai fini della determinazione della qualità ambientale, se valutata sul parametro della ricchezza specifica. Spesso tali ambienti sono popolati da salmonidi, presenti naturalmente o immessi; i pesci più rappresentativi sono le trote, ma non è detto che queste possano essere utilizzate quali indicatori sensibili, in quanto le loro necessità principali sono legate alla temperatura ed alla ossigenazione delle acque; una volta che esse sono garantite entro limiti accettabili, i salmonidi si rivelano, in molti casi, piuttosto tolleranti. Quali potrebbero essere allora i migliori bioindicatori in questi ambienti, se i salmonidi provengono, nella maggioranza dei casi, da introduzioni operate dall uomo e se il loro ruolo di specie sensibili andrebbe, forse, parzialmente rivisto? Le cosiddette specie di accompagnamento, quali vairone, barbo canino, scazzone,? Ma esse solitamente costituiscono popolazioni ben strutturate in ambienti che si trovano verso valle. Ogni metodo biologico si basa sulla seguente domanda: quale potrebbe essere la composizione di una determinata comunità in condizioni ideali, in assenza di alterazioni? È il cosiddetto bianco o la comunità 1 Sigla che indica il Livello Inquinamento dei Macrodescrittori, introdotto dal D. Lgs 152/99 per il monitoraggio della qualità fisico - chimica delle acque della rete idrografica superficiale. 2 L Indice Biotico Esteso (Ghetti, 1986, 1995 e 1997) è un metodo ampiamente diffuso e collaudato in Italia. 3 L Indice di Funzionalità Fluviale esprime un giudizio sintetico dell ambiente fluviale (AA.vv., 2000) valutato in base alle caratteristiche sia dell alveo sia dell ambiente circostante. 1

3 tipo, cioè la situazione che andrebbe individuata e descritta quale riferimento per la caratterizzazione della classe di qualità più elevata. Bisogna riconoscere che, per una porzione significativa del reticolo idrografico naturale, caratterizzato da acque fredde ed oligotrofiche, il bianco può anche significare assenza di pesci, altrimenti si corre il rischio di indirizzare la ricerca verso obiettivi impossibili da conseguire. Un indice porta ad un valore numerico che costituisce un giudizio sull ambiente o su una sua componente. Se l obiettivo è la valutazione dello stato di un ecosistema, occorre individuare una scala di sensibilità degli organismi costituenti la comunità bersaglio. Questo sistema funziona bene per i macroinvertebrati, raggruppamento utilizzato per l applicazione dell IBE; ma è possibile procedere in modo analogo anche per l ittiofauna? Su tale problema gli scriventi hanno lavorato fin dal 1995, dopo esperienze maturate nel campo di monitoraggi su scala di bacino e su aree più vaste, ma non è stato possibile redarre un elenco di specie (o di gruppi) ordinate in funzione di una scala di sensibilità. Ogni ipotesi presentava aspetti contraddittori, ogni tentativo di formulare una lista risultava criticabile alla luce dei risultati ottenuti dai campionamenti. Le specie solitamente indicate come sensibili, descritte dalla letteratura come quelle più esigenti (che prediligono acque fresche ed ossigenate ), sono quasi tutte tipiche delle zone di transizione dalle acque a salmonidi a quelle a ciprinidi. A monte emergono i problemi sopra descritti ed a valle cambia la naturale composizione delle comunità ittiche e quelle stesse specie diventano spesso occasionali o comunque non caratterizzanti. Questo aspetto è forse il limite principale per ogni possibile ipotesi di un indice ittico finalizzato a fornire valutazioni quantitative sulla qualità degli ambienti fluviali ed in particolare di tutte le tipologie ambientali, dai torrenti alpini ai corsi di pianura. Non stupisce che, a fronte dell impegno profuso negli decenni intorno agli indici biotici e della necessità ripetutamente manifestata di utilizzare anche i pesci quali bioindicatori, non si sia ancora affermata alcuna metodologia convincente. In sintesi l idea di formulare una lista ordinata in funzione della sensibilità sembra poco praticabile e comporta il forte rischio di percorrere un vicolo cieco. Alla luce dei problemi succitati si è ritenuto di proporre un sistema, denominato Indice Ittico (I.I.), in grado di esprimere una valutazione della qualità naturalistica relativa alla comunità ittica che popola un corso d acqua, senza la pretesa di fornire espressamente indicazioni sulla qualità dell ecosistema fluviale, anche se risultano più o meno evidenti connessioni tra lo stato dell ambiente acquatico e quello delle comunità ittiche. Un alto livello di differenziazione, in termini di ricchezza di specie, con particolare riferimento a quelle rare e/o endemiche e/o che destano preoccupazione per il loro stato di conservazione, comporta grande attenzione per la tutela. Il riscontro di evidenti alterazioni della composizione della fauna ittica, per esempio per scomparsa di una o più specie e/o presenza di forme alloctone, quindi di un basso livello di qualità, comporta l adozione di strategie di recupero, volte a ristabilire migliori condizioni di qualità delle acque e di rinaturalizzazione degli alvei fluviali ed a prevedere forme più corrette di gestione. Ma vi sono situazioni con ittiofauna scarsamente rappresentata (alte zone dei salmonidi) o assente per cause naturali (torrenti montani alimentati direttamente dall ablazione di ghiacciai o corsi d acqua con portate eccessivamente ridotte), per cui risulta una scarsa qualità senza alterazioni ambientali. In questi casi l I.I. esprime una valutazione esclusivamente in termini di valori assoluti della ricchezza naturalistica. In altri casi l indice fornisce anche indicazioni sullo stato ambientale. L I.I. si applica alle acque correnti naturali permanenti, comprese quelle prevalentemente alimentate da sorgenti e risorgive. Sono esclusi le acque stagnanti (laghi, stagni e paludi, naturali ed artificiali) e quelli di transizione (ai limiti tra bacini marini ed aree emerse, quali quelli lagunari, palustri, deltizi, di estuario, ) la cui fauna ittica è costituita anche o solo da specie eurialine migratrici facoltative, lagunari ed estuariali e/o a diversa ecologia intraspecifica. Sono inoltre escluse le porzioni di territorio italiano esterne ai distretti zoogeografici padano-veneto e tosco-laziale, in quanto caratterizzati da comunità ittiche autoctone insufficienti in termini di composizione specifica (fig. 1). In sintesi, l Indice Ittico si basa sui seguenti riferimenti essenziali: 1. limita gli obiettivi a quanto concretamente possibile; la qualificazione naturalistica di una comunità ittica rappresenta comunque un obiettivo importante, utile soprattutto per la tutela e per la gestione; 2. accetta il principio per cui la fauna ittica di molti corsi delle zone alpine superiori e dell alto Appennino non sempre è adatta per fornire indicazioni sulla qualità ambientale in senso lato; 3. accetta il principio per cui i corsi di cui al punto precedente sono, sotto il profilo ittiofaunistico, poco interessanti, in quanto naturalmente popolati da nessuna o da poche specie, le quali formano popolazioni più abbondanti e meglio strutturate verso valle; la presenza di pesci quali le trote esotiche è un fattore indicativo di scarsa qualità faunistica, in quanto definibile come una forma di inquinamento; 4. rinuncia ad enfatizzare la correlazione tra composizione della comunità ittica e qualità ambientale; solo per gli ambienti tipici delle porzioni a valle delle zone a salmonidi (o miste) e per le zone a ciprinidi, l I.I., oltre a fornire un valore relativo alla qualità naturalistica delle comunità ittiche, esprime, seppure con cautela e mediante il confronto con i risultati di altre analisi, valutazioni anche sulla qualità ambientale. 2

4 Fig. 1 - Schema classificativo dei distretti distretti padano - veneto (Dpv) e tosco - laziale (Dtl) per i quali è valido l Indice Ittico (I.I.) e loro suddivisione in aree e sub-aree omogenee (Z) in funzione delle caratteristiche ambientali fisiogeografiche dei reticoli idrografici superficiali naturali e delle comunità ittiche di riferimento. Z1.1 Sub-area di pertinenza alpina occidentale sul versante padano (zone A, S, M e C). Distretto padano - veneto (Dpv) Z1 Area di pertinenza alpina Z2 Area di pertinenza appenninica Z1.2 Z1.3 Z2.1 Z2.2 Sub-area di pertinenza alpina centrale sul versante padano (zone A, S, M e C). Sub-area di pertinenza alpina orientale sul versante Adriatico (zone A, S, M e C). Sub-area di pertinenza appenninica sul versante padano (zone S, M e C). Subarea di pertinenza appenninica sul versante adriatico (zone S, M e C). Distretto tosco - laziale (Dtl) - Z3 (Zone S, M e C.). Sono esclusi gli ambienti ad acque stagnanti (laghi, stagni, paludi, naturali ed artificiali) e quelli di transizione (ai limiti tra bacini marini ed aree emerse, quali quelli lagunari, palustri, deltizi, di estuario, ) la cui fauna ittica è costituita anche o solo da specie eurialine migratrici facoltative, lagunari ed estuariali e/o a diversa ecologia intraspecifica. 3

5 La metodologia descritta nei capitoli successivi fa riferimento alle prime proposte di Forneris et al. (2004, 2005a-b, 2006a) che hanno formulato e collaudato l I.I. nell ambito di diversi studi, tra i quali: Studi e ricerche finalizzate alla definizione di linee di gestione delle risorse idriche dei bacini idrografici... tributari del fiume Po... della Provincia di Torino (2000) e con integrazioni da studi precedenti (Regione Piemonte, 1991; C.R.E.S.T., 1992), con dati relativi a 212 siti di campionamento, distribuiti con criteri morfometrici, rappresentativi delle diverse fasce altimetriche. I campionamenti effettuati con metodi che hanno fornito indici di abbondanza delle varie specie coerenti con quanto richiesto dalla procedura dell I.I. Badino et al. (2002) hanno effettuato una riorganizzazione funzionale del ricco insieme di dati disponibili per la Provincia di Torino; ciò ha permesso una facile e rapida applicazione dell I.I. L alto bacino del Po è stato oggetto di uno studio sulla gestione delle risorse idriche (C.R.E.S.T., 1999), con campionamenti su 41 stazioni e con rilevazione dei dati utili all applicazione dell I.I. La Carta Ittica della Provincia di Alessandria (Forneris, Pascale, 2003 e 2005) ha interessato oltre 100 stazioni; per alcune di esse sono stati rilevati parametri adatti all applicazione dell I.I. Sul torrente Corsaglia, presso S. Michele di Mondovì (Cuneo), in zona mista, nell ambito di un SIA su un impianto di termocombustione (C.R.E.S.T., 2003a), è stata studiata l ittiofauna con criteri adatti all I.I. Sul bacino del Boesio, tributario del lago Maggiore (Varese), sono state individuati 16 siti di campionamento per l analisi delle acque correnti superficiali naturali del reticolo idrografico del territorio della Comunità Montana Valcuvia (C.R.E.S.T., 2003b). I campionamenti sono stati condotti sperimentando l I.I. Per il Progetto speciale 2.5. Azioni per la predisposizione di una normativa riguardante il minimo deflusso vitale negli alvei (Autorità Di Bacino del Fiume Po - Hydrodata, 1999) si sono effettuati campionamenti nel bacino dello Stura di Demonte che hanno fornito dati utili all applicazione dell I.I. Nell ambito del Progetto Interreg IIIA (Aqua), per conto del Parco Regionale del Po - Tratto Torinese, è stato applicato l I.I. negli alti bacini del Pesio e del Gesso (CN), del Chisone (TO) e lungo tutto il corso del Po dal Monviso alla confluenza con la Dora Baltea (Pascale et al., 2005). Su una elevata percentuale delle stazioni di campionamento della Carta Ittica dell Emilia Romagna (2002, 2006 e 2007) si sono resi disponibili dati utili per sperimentare l efficacia dell I.I. L applicazione dell I.I. è stata possibile per le stazioni di campionamento considerate nell ambito della Carta Ittica della Provincia di Massa Carrara (1998), in parte anche nell ambito delle carte ittiche delle Province di Treviso (1994) e di Padova (1995). Tale sperimentazione è in fase di attuazione anche nell ambito della predisposizione della Carta Ittica della Provincia di Lucca (in prep.) Soprattutto merita citare l applicazione dell I.I. sulle 201 stazioni della rete di monitoraggio sul reticolo idrografico piemontese (Piano di Tutela delle Acque ai sensi del D. Lgs 152/99; Regione Piemonte, 2002, 2006). Per quelle stazioni sono disponibili i risultati ottenuti dalle analisi fisico - chimiche (LIM) 1 e biologiche (IBE) 2 rappresentative del biennio 2001/2002 ed utilizzate per la classificazione di qualità dei corpi idrici (approvata con D.G.R del 19/01/2004). Si sono confrontati i dati dell I.I. con quelli relativi agli altri parametri ambientali (Forneris et al., 2006b). Ciò ha consentito, anche alla luce delle esperienze succitate, di effettuare una riformulazione della metodologia con modifiche e integrazioni descritte nei capitoli successivi. Allo scopo di facilitare una migliore comprensione del testo, la tab. 1 riporta l elenco dei simboli utilizzati. 2 - IL VALORE NATURALISTICO DELLE SPECIE ITTICHE La corretta gestione del patrimonio ittico impone i seguenti quesiti: è possibile definire il valore naturalistico di un ecosistema acquatico ed in particolare della componente ittiofauna? A chi appartiene questo bene ambientale e chi lo deve gestire? Nel corso della storia della Terra, il Quaternario, l ultima era geologica iniziata oltre un milione di anni fa, è stato caratterizzato dall avvento dell uomo. Negli ultimi millenni (un milionesimo della storia della Terra) si è affermata l evoluzione culturale, che ha fornito alla specie umana immense capacità di trasformazione dell ambiente, spesso in contrasto con ciò che la Natura ha modellato ed ha lasciato in eredità dopo centinaia di milioni di anni. Se è vero che le trasformazioni operate dall uomo vanno accettate come parte integrante della Natura, è altrettanto vero che gli interventi antropici sono a livelli di intensità tali da non permettere all ambiente di adeguarsi con efficacia. I meccanismi fisicochimici e biologici che consentono all ambiente di rispondere adeguatamente alle trasformazioni sono più lenti rispetto alla velocità ed intensità delle perturbazioni indotte dalle attività umane. Da ciò deriva il concetto fondamentale per cui anche se le modificazioni indotte dalle attività antropiche si possono ritenere accettabili e momenti integranti dell evoluzione del pianeta, è necessario porre limiti ben precisi all opera dell uomo, al fine di evitare il collasso globale. 4

6 Tab. 1 - Schema riassuntivo dei simboli e delle definizioni utili per l applicazione dell Indice Ittico (I.I.). AU Specie autoctona, quando presente nel suo areale di distribuzione originario. AUr Specie AU utile per la determinazione delle comunità ittiche di riferimento. A0 Specie ai margini del suo areale di distribuzione originario, soprattutto nelle situazioni di incertezza; oppure tipica dell area e/o subarea, ma in zona adiacente a quelle più specificatamente adatte a quella stessa specie. AL Specie alloctona, presente fuori dal suo areale di distribuzione originario. AUt Numero totale delle specie autoctone AU rinvenute in un campionamento o potenzialmente presenti in una determinata tipologia ambientale (A, S, M, C) nell ambito di una data area o sub-area (Z). A0t Numero totale delle specie incerte A0 rinvenute in un campionamento o potenzialmente presenti in una determinata tipologia ambientale (A, S, M, C) nell ambito di una data area o sub-area (Z). AUrt Numero totale delle specie autoctone AUr potenzialmente presenti in una determinata tipologia ambientale (A, S, M, C) nell ambito di una data area o sub-area (Z). ALt Numero totale delle specie alloctone rinvenute in un campionamento. At Numero totale delle specie (AU + A0 + AL). AD Valore assegnato alla specie in funzione delle caratteristiche del suo areale di distribuzione originario in Europa e in Italia (AD = 1 3). ST Valore assegnato alla specie in base allo stato nel suo areale di distribuzione originario (ST = 1 3). V Valore intrinseco della specie: V = AD ST (1 9) per le specie AU e V = -1 per tutte le specie AL. Dpv Distretto padano - veneto. Dtl Distretto tosco - laziale. Nell ambito del Distretto padano-veneto (Dpv): area e/o sub-area omogenea sia sotto il profilo delle Z caratteristiche fisiogeografiche, sia in funzione della distribuzione delle popolazioni delle diverse specie ittiche. Il distretto tosco - laziale (Dtl) costituisce una sola area. Z1 Area di pertinenza alpina nel distretto padano - veneto (Dpv). Z1.1 Sub-area di pertinenza alpina occidentale sul versante padano. Z1.2 Sub-area di pertinenza alpina centrale sul versante padano. Z1.3 Sub-area di pertinenza alpina orientale sul versante dell alto Adriatico. Z2 Area di pertinenza appenninica. Z2.1 Sub-area di pertinenza appenninica sul versante padano. Z2.2 Sub-area di pertinenza appenninica sul versante adriatico. Z3 Distretto tosco - laziale (Dtl). Tp Tipologia ambiente (zona ittica). A Tipologia ambientale zona alpina. Unicamente nell area Z1. S M C Ia Ir P I.I. CQ Tipologia ambientale zona salmonicola (in tutte le aree e sub-aree). Tipologia ambientale zona mista (in tutte le aree e sub-aree). Tipologia ambientale zona ciprinicola (in tutte le aree e sub-aree). Indice di abbondanza relativa alla specie rilevata in occasione di un campionamento; valore indicativo del numero di individui catturati (1 4) e della struttura di popolazione a (strutturata), b (destrutturata con assenza di adulti) e c (destrutturata con assenza di giovani). Indice di rappresentatività relativo alla specie rilevata in occasione di un campionamento Ir = 1 per Ia = 1; Ir = 1,5 per Ia = 2/3 con strutture di popolazione b o c ; Ir = 2 per Ia = 2/3 con strutture di popolazione a, e per Ia = 4 (indipendentemente dalla struttura di popolazione). Punteggio relativo alla specie rilevata in occasione di un campionamento; esso vale P = V Ir, positivo (da 1 18) per le specie AU, nullo per le specie A0 e negativo (-1/-2) per le specie AL. Valore dell Indice Ittico: somma dei punteggi (P) relativi alle specie rinvenute in un campionamento. Classe di qualità della comunità ittica campionata in funzione dell I.I. e della composizione della comunità ittica di riferimento caratteristica dell area e sub-area e della tipologia ambientale. Fondamentale è il mantenimento del più elevato grado di biodiversità. Questo tema riguarda la gestione della flora e della fauna in generale e quindi anche dell ittiofauna. L insieme delle azioni dell uomo tende in generale ad abbassare il livello di biodiversità, non solo portando all estinzione di specie direttamente con il prelievo (attività di caccia e pesca male regolamentate), ma anche indirettamente, con la compromissione degli ambienti (inquinamento, eutrofizzazione delle acque) e con le transfaunazioni. 5

7 Rispetto agli spostamenti di fauna è emblematico il caso della trota marmorata. In tutte le zone originariamente popolate da Salmo [trutta] marmoratus, è notevole la presenza di incroci con trota fario (Salmo [trutta] trutta), risultato di massicce immissioni di fario, con grave minaccia per la sopravvivenza della marmorata, endemica del settore padanoveneto. Le trote costituiscono popolazioni che, per il parziale isolamento geografico dovuto alla barriera delle Alpi, hanno sviluppato, nel corso del Quaternario recente e quindi senza aver avuto il tempo di raggiungere una vera e propria speciazione, forme differenziabili anche morfologicamente, come risposte adattative alle diverse condizioni ambientali caratteristiche di porzioni di territorio più o meno estese. Nel bacino del Po si è evoluta e differenziata, come salmonide tipico, la trota marmorata. Un tempo ogni vallata alpina ospitava popolazioni con caratteristiche leggermente diverse da quelle di vallate adiacenti; oggi questo è ancora parzialmente evidenziabile analizzando il patrimonio genetico di trote provenienti da aree alpine diverse; d altra parte ogni bacino presenta caratteristiche naturali proprie e ben distinguibili. Lo spostamento di individui da una zona all altra e l immissione di materiale ittico di allevamento di origine molto varia, ha determinato un mescolamento dei caratteri delle diverse popolazioni, provocando un appiattimento della variabilità di forme, con estinzione di quelle originarie e loro sostituzione con forme intermedie. Ogni specie ha quindi un intrinseco valore naturalistico, in quanto rappresenta la storia di una porzione del territorio e della sua evoluzione nel tempo. Questo valore può essere quantificato, come proposto in tab. 2. Esso non tiene conto di criteri economici o di utilità di tipo antropico ed è tanto più elevato quanto maggiore è il grado di conservazione della popolazione secondo i seguenti criteri: 1. relazione con gli altri elementi ambientali; 2. consistenza numerica degli individui costituenti il gruppo; 3. autoctonia/status endemico (valore storico-culturale); 4. distribuzione geografica. Il valore naturalistico della trota marmorata è elevato: è un pesce adatto ai torrenti alpini, le attuali popolazioni sono meno rappresentate nei fiumi rispetto al passato, è un animale autoctono ed è un endemismo del settore padano-veneto. Al contrario, il valore del persico sole è nullo: non è in equilibrio con l ambiente, è infestante e tende all espansione ai danni di altre specie, è esotico e distribuito (artificialmente) su un ampio territorio. Il valore naturalistico è arricchito dal valore culturale di una determinata specie vegetale o animale, di un minerale o di un ambiente. Una qualunque specie, come la trota marmorata o il ghiozzo padano, è il risultato di una evoluzione durata almeno alcune decine di migliaia di anni, ma che ha, alle sue radici, una storia di milioni ed anche di centinaia di milioni di anni, se pensiamo che le forme attuali derivano tutte da quelle più primitive del Precambriano. È frutto di una storia incredibile ed affascinante, che ha coinvolto l intero pianeta, in una successione di fasi anche catastrofiche e che ha visto, come protagonisti, non solo i viventi, ma anche il mondo fisico, con i cambiamenti climatici di vasta scala, la formazione dei continenti, ecc... Un qualunque vivente è una meravigliosa macchina biologica perfezionata nel corso di una lunghissima storia di tentativi e di adattamenti ad una Natura in continua trasformazione. Quel vivente è ciò che la Natura ci ha lasciato in eredità e quindi rappresenta un valore storico di estrema importanza. Ma quel valore ha significato solo se vengono conservati i caratteri che quell essere ha acquisito durante l evoluzione. Una popolazione di una determinata specie ittica, essa ha valore naturalistico soltanto sa ha conservato i caratteri primitivi, il cui insieme è stato determinato dalla Natura e non dall uomo. Ogni vivente che ha conservato i caratteri originari rappresenta un monumento della storia naturale e, da un punto di vista culturale, la sua eliminazione o trasformazione è paragonabile alla distruzione di un monumento architettonico della storia umana. Ciò non significa che l uomo non possa intervenire sui caratteri di alcune specie per fini agricoli o zootecnici, ma ciò riguarda fattori di tipo economico, non pertinenti con la conservazione del patrimonio naturale. Una gestione basata su criteri naturalistici, storicamente e culturalmente accettabili, non può prescindere dai principi sopra enunciati. La Reggia Sabauda di Venaria Reale, in Provincia di Torino, è oggetto del più grande intervento di recupero funzionale d Europa; si potrebbe verniciare tutta la struttura di viola catarinfrangente; essa risulterebbe maggiormente visibile e attirerebbe più turisti. La Mole Antonelliana di Torino è un monumento vecchio; si potrebbe sostituirlo con una imitazione della Torre Eifel (il monumento parigino è molto più famoso), oppure sostituire il Duomo di Firenze con una cattedrale gotica. Sono idee talmente assurde che è già assurdo proporle come esempi di massima stupidità. Tali monumenti sono la memoria tangibile della storia umana; rappresentano le nostre radici; la loro conservazione è espressione culturale di una civiltà. Ma perché sostituire una comunità vivente con altre, solo per soddisfare le aspirazioni di una limitata categoria di persone appartenenti, ad esempio, al mondo della pesca? Una comunità ittica non ha forse lo stesso valore storico-culturale di un monumento? Non rappresenta la memoria tangibile della storia di un territorio? Non dovrebbe essere difesa e tutelata per il fatto che esiste e si è affermata in milioni di anni di evoluzione? 6

8 Tab. 2 - Lista delle specie ittiche autoctone (AU) dei distretti padano-veneto (Dpv) e tosco-laziale (Dtl) quando presenti nei loro areali di distribuzione originari. Le specie stenoaline dulcicole ed eurialine migratrici obbligate non comprese in questa lista sono considerate alloctone (AL). Valore intrinseco delle specie (V = AD ST). Fattori AD (estensione dell areale originario di distribuzione) ed ST (stato della specie). Sistematica secondo Gandolfi et al. (1991) e Zerunian (2002, 2004b). Ordine Famiglia Genere specie sottospecie Nome volgare AD ST V Acipenser naccarii Storione cobice Acipenseriformes Acipenseridae Acipenser sturio Storione comune Huso huso Storione ladano Anguilliformes Anguillidae Anguilla anguilla Anguilla Clupeiformes Clupeidae Alosa fallax Agone/cheppia/alosa Alburnus alburnus alborella Alborella Barbus meridionalis caninus Barbo canino Barbus plebejus Barbo Chondrostoma genei Lasca Chondrostoma soetta Savetta Gobio gobio Gobione Cyprinidae Leuciscus cephalus Cavedano Leuciscus souffia muticellus Vairone Cypriniformes Phoxinus phoxinus Sanguinerola Rutilus erythrophthalmus Triotto Rutilus pigus Pigo Rutilus rubilio Rovella Scardinius erythrophthalmus Scardola Tinca tinca Tinca Cobitidae Cobitis taenia bilineata Cobite Sabanejewia larvata Cobite mascherato Balitoridae Barbatula barbatula Cobite barbatello Gadiformes Gadidae Lota lota Bottatrice Gasterosteiformes Gasterosteidae Gasterosteus aculeatus Spinarello Blenniidae Salaria fluviatilis Cagnetta Gobius nigricans Ghiozzo di ruscello Gobiidae Knipowitschia punctatissima Panzarolo Padogobius martensii Ghiozzo padano Percidae Perca fluviatilis Persico reale Perciformes Esocidae Esox lucius Luccio Salmo carpio Carpione del Garda Salmonidae Salmo fibreni Carpione del Fibreno Salmo [trutta] macrostigma Trota macrostigma Salmo [trutta] marmoratus Trota marmorata Thymallidae Thymallus thymallus Temolo Scorpaeniformes Cottidae Cottus gobio Scazzone In attesa di indagini di approfondimento, si ritiene (Zerunian, 2002, 2004b) di non considerare specie valide il Barbus tyberinus (barbo tiberino) ed il Leuciscus lucumonis (cavedano etrusco). Si nutrono dubbi circa l autoctonia del pigo, bottatrice e persico reale (Bianco, 1987, 1996). L unico salmonide sicuramente endemico nel Dpv è la trota marmorata, mentre risultano forti dubbi (Piccinini et al., 2004; Betti, 2006) per Salvelinus alpinus (salmerino alpino); l unico salmonide endemico nel Dtl è la trota macrostigma; Salmo [trutta] fario (trota fario) è specie esotica per l Italia (Forneris et al., 2005a-b, 2006a; Pascale, 1999; Nonni Marzano et al., 2003). Come appare assurda la distruzione o la modifica di un monumento, altrettanto deprecabile dovrebbe essere l alterazione degli aspetti più caratteristici della Natura, espressione della storia geobiologica della Terra. Sarebbe assurdo, per esempio, l introduzione delle giraffe, alte, snelle e colorate, nelle risaie vercellesi, allo scopo di migliorare la monotonia di quel paesaggio o, ai fini venatori, di gazzelle nella pianura veneta. La gestione dei beni architettonici, ambientali e naturali dovrebbe privilegiare gli elementi tipici del territorio, cioè quelli autoctoni. In alcuni settori vi è maggiore attenzione ai temi della tutela delle tipicità. Se veramente si introducessero le giraffe nelle risaie vercellesi, tutti se ne accorgerebbero ed esprimerebbero un giudizio negativo. Se invece si introducessero in uno stagno alcuni pesci rossi, provenienti da un acquario domestico, 7

9 l evento sarebbe ignorato, con un effetto simile a quello dell introduzione di giraffe, probabilmente peggiore. L introduzione di pesci esotici è un atto molto frequente, non solo da parte di chi vuole liberarsi di animali conservati in cattività, ma anche di chi si occupa della gestione alieutica dell ittiofauna. Le considerazioni sopra espresse impongono la necessità di individuare criteri di assegnazione di valori naturalitici intrinseci alle specie ittiche autoctone (tab. 2), presenti nei loro areali di distribuzione originari. In particolare si prevede l assegnazione a ciascuna specie di un valore che deriva dal prodotto di due fattori: Fattore AD - areale di distribuzione della specie (tab. 3); esso è tanto più elevato quanto meno esteso è l areale; le alterazioni ambientali riducono la consistenza delle popolazioni in aree ridotte con gravi rischi di estinzione; la loro tutela è strategica ai fini del mantenimento della biodiversità. I valori AD attribuiti alle singole specie (cfr. carte in appendice) sono ottenuti sulla base di quanto indicato da diversi Autori 4 Fattore ST - stato della specie (tab. 3); considera la consistenza delle popolazioni delle specie nei loro areali di distribuzioni originari. Tab. 3 - Descrizioni dei fattori AD (Areale di Distribuzione originario della specie) ed ST (Stato della Specie nel suo areale di distrbuzione originario). AD = 1 AD = 2 AD = 3 ST = 1 ST = 2 ST = 3 Ampia distribuzione in tutta o gran parte dell Europa. Porzione ristretta dell Europa e/o fascia mediterranea e/o tutta o buona parte della penisola italiana. Fascia mediterranea e/o tutta o buona parte della penisola italiana, ma con popolazioni frammentate ed incerte e/o tributari dell alto Adriatico (bacino del Po in epoche glaciali). Buona consistenza delle popolazioni. Non si segnalano decrementi significativi. Non sono necessarie particolari misure di cautela. Rischio nullo o basso. Buona consistenza delle popolazioni in alcune porzioni degli areali di distribuzione originari. Si segnalano decrementi. Necessaria una certa attenzione per la tutela. Rischio moderato. Forte decremento delle popolazioni in tutti o quasi gli areali di distribuzione originari. Presenze sporadiche e/o occasionali. Necessità di misure di tutela straordinarie. Forte rischio. Per ogni specie autoctona (AU) si ottiene quindi un valore intrinseco (V) dato dal prodotto dei precedenti fattori (V = AD ST). Le succitate tabb. 2 e 4 riportano i valori (V) per le singole specie ittiche. Per quelle alloctone (AL), presenti fuori dei loro areali di distribuzione originari, il valore è negativo (V = -1). Per le specie rispetto alle quali si nutrono dubbi (A0), in quanto ai margini dei loro areali di distribuzione originari, soprattutto nelle situazioni di incertezza, oppure caratteristiche dell ambito geografico in esame, ma in tipologie ambientali (zone ittiche) adiacenti a quelle più specificatamente adatte, vale V = 0. 5 Tab. 4 - Eelenco delle 36 specie ittiche autoctone (AU) italiane della tab. 2 ordinate secondo i loro valori intrinseci V. V = 9 5 specie Storione cobice, cobite mascherato, panzarolo, carpioni del Garda e del Fibreno V = 6 8 specie Storione ladano, barbo canino, lasca, savetta, pigo, rovella, ghiozzo di ruscello e trota marmorata. V = 4 6 specie Agone/cheppia/alosa, vairone, cobite, spinarello, cagnetta e trota macrostigma. V = 3 5 specie Storione comune, alborella, triotto, ghiozzo padano e temolo. V = 2 7 specie Anguilla, barbo, sanguinerola, cobite barbatello, bottatrice, luccio e scazzone. V = 1 5 specie Gobione, cavedano, scardola, tinca e persico reale. 3 - DESCRIZIONE DELLE AREE OMOGENEE Il territorio italiano centro - settentrionale è suddiviso in distretti (Bianco, 1987, 1996), aree e sub-aree omogenee sulla base di criteri fisiogeografici e zoogeografici, secondo lo schema illustrato in fig. 1. Nel seguito vengono descritte le principali caratteristiche ambientali di tali aree e le ragioni che hanno portato alla loro identificazione. 4 Bruno, 1987; Delmastro, 1982; Forneris, 1989; Forneris et al., 1990; Gandolfi et al., 1991; Grimaldi, 1980; Grimaldi, Manzoni, 1990; Ladiges, Vogt, 1965; Mariani, 1988; Mariani, Bianchi, 1991; Muus, Dahlström, 1970; Tortonese, 1970, 1975; Vostradovsky, 1975; Zerunian, 2002, 2004b. 5 Per esempio la scardola rinvenuta in un torrente classificabile come zona ittica a salmonidi. 8

10 Dpv (Distretto padano - veneto). Territorio costituito dai tributari dell alto e medio Adriatico; in Italia dal Po fino all Isonzo (compresi Adige, Brenta, Piave, Tagliamento,...), estrema porzione occidentale della Slovenia e la penisola istriana per l alto Adriatico; in Italia dal Reno al Vomano (compresi Savio, Marecchia, Metauro, Esino, Musone, Potenza, Tronto,...) e in Croazia verso Sud fino al Krka sul medio Adriatico. Comprende l intero bacino del Po nella fase di massima regressione marina in periodo glaciale (Colantoni et al., 1984), esteso fino al margine della fossa meso-adriatica (con limite meridionale costituito dal Vomano sulla sponda italiana e dal Krka su quella croata) secondo quanto risultato dallo studio di De Marchi (in Dal Piaz, 1967) delle isobate dell alto e medio Adriatico con il quale si è ricostruito il corso dei fiumi sull antica pianura padana 6. Z1 (area di pertinenza alpina) - Fiume Po dalle origini fino alla sezione di confluenza con il Panaro (delta escluso), tributari di sinistra, tributari di destra dalle origini alla sezione di confluenza con il Ricchiardo (escluso). Fiume Tanaro a monte della sezione di confluenza con il Ridone (escluso) presso Alba (CN), suoi tributari di sinistra a monte di detta confluenza e suoi tributari di destra dalle origini al bacino del Rea (compreso). Intero reticolo idrografico del triveneto. La maggior parte dei bacini presentano, sulle testate, fasce altimetriche superiori al limite climatico dello zero termico medio annuo, talora anche superiori al limite climatico delle nevi persistenti, con conseguenti presenze di isole glaciali. Regimi pluviometrici con massimi nelle stagioni intermedie (primavera ed autunno) e quasi sempre con minimo principale invernale e secondario estivo; afflussi meteorici medi annui generalmente crescenti verso Est. La tipologia di regime idrologico prevalente è il nivopluviale, ma sono frequenti anche i regimi pluviali verso la pianura; nelle testate dei bacini più elevati risultano regimi nivoglaciali, talora verso valle fino alla pianura (es. Dora Baltea e Adige). La portata specifica di magra normale è superiore a 2 l/s/km 2, anche molto più elevata, fino a superare 10 l/s/km 2. Z1.1 (sub-area di pertinenza alpina occidentale sul versante padano). Fiume Po dalle origini fino alla sezione di confluenza con lo Scrivia, tributari di destra dalle origini a monte della sezione di confluenza con il Ricchiardo (escluso). Fiume Tanaro a monte della sezione di confluenza con il Ridone (escluso) presso Alba (CN), suoi tributari di sinistra a monte di detta confluenza e suoi tributari di destra dalle origini al bacino del Rea (compreso). Regimi pluviometrici con massimi nelle stagioni intermedie, in buona parte con quello primaverile prevalente su quello autunnale o più o meno equivalenti nelle aree montane più elevate nella porzione occidentale, in Valle d Aosta e nel medio e alto bacino del Sesia; minimo invernale decisamente inferiore a quello secondario estivo. Z1.2 (sub-area di pertinenza alpina centrale sul versante padano). Fiume Po dalla sezione di confluenza con lo Scrivia a quella di confluenza con il Panaro e tutti i bacini tributari di sinistra, prevalentemente in territorio lombardo. Regimi pluviometrici con massimi nelle stagioni intermedie, più o meno equivalenti o leggermente superiore quello autunnale. Nelle aree montane più elevate risulta una certa influenza del regime continentale, tipico dell Europa centrale e con massimi di precipitazioni in estate; pertanto i regimi idrometrici, soprattutto quelli alimentati da bacini che si estendono più a Nord, presentano minimi secondari estivi leggermenti più cospicui. Fascia pedemontana maggiormente estesa rispetto alle sub-aree adiacenti, con passaggi più graduali tra le zone ittiche. Presenza significativa, nella transizione tra fascia pedemontana e pianura, dei più importanti laghi terminali Sud-alpini (Maggiore, Como, Garda, ), capaci di esercitare un evidente volano idrologico dei principali fiumi della Lombardia (Ticino, Adda, Oglio, Mincio, ). Importante è la presenza di ambienti di risorgiva 7. 6 L ultima glaciazione (Wurm) fu meno estesa delle precedenti del quaternario anni fa, prima della fase di ritiro dei ghiacci, il livello marino era oltre 100 m più basso, la pianura Padana estesa più a Sud, probabilmente fino all attuale Ancona; i fiumi del versante adriatico dell Appennino erano affluenti del Po. In quella fase di regressione dei mari l attuale fiume Potenza (circa 20 km a Sud di Ancona) era probabilmente l ultimo importante affluente a monte della foce del Po nell antico Adriatico. Con l ablazione dei ghiacci la linea di costa si spostò verso Nord e anni fa il Marecchia confluiva nel Reno e questo ancora nel Po; solo poco più di anni fa circa si stabilizzò la linea di costa sull Adriatico, più o meno nella situazione attuale. Le glaciazioni precedenti furono più estese, con livello marino più basso. Sull Adriatico il reticolo idrografico del Po arrivava a comprendere il Vomano. Sardegna, Corsica e Italia erano unite da ponti di terra emersa; ciò potrebbe spiegare, in parte, la diffusione della trota macrostigma sulle maggiori isole del Mediterraneo centrale e sul versante tirrenico dell Appennino. 7 Fuoriuscite di acqua dalla superficie del terreno o risorgive acquifere naturali nei terreni alluvionali o in altri substrati permeabili. Alcuni corsi d acqua e canali hanno regime idrologico prevalentemente alimentato da risorgive; sono ambienti solitamente caratterizzati da condizioni idriche e termiche relativamente costanti o decisamente meno variabili rispetto ai fiumi e canali veri e propri. 9

11 Z1.3 (sub-area di pertinenza alpina orientale sul versante adriatico). Bacini ad oriente del Mincio (Garda), fino all Isonzo (compreso), tributari dell alto Adriatico (a Nord del delta del Po). Regimi pluviometrici con massimi nelle stagioni intermedie, ma con quello autunnale prevalente; il minimo principale si verifica nell inverno, ma meno pronunciato rispetto a quanto accade per le porzioni centrale e occidentale della Z1; anche il minimo estivo è caratterizzato da precipitazioni più abbondanti per l influenza del regime continentale tipico dell Europa centro-orientale. Gli spartiacque delle testate dei principali bacini si sviluppano su fasce altimetriche meno elevate, ma i limiti climatici altimetrici sono leggermente inferiori per l influenza, soprattutto nella stagione fredda, dei flussi d aria aventi origine dall anticilone euro-siberiano. Presenza rilevante di litotipi calcarei nella cerchia alpina e pedemontana; pertanto buona parte dei regimi idrologici, seppure classificabili nei tipi caratteristici della Z1, sono influenzati dalla circolazione sotterranea carsica. Di una certa importanza è infine la presenza di risorgive, seppure in misura minore rispetto alla Z1.2. Z2 (area di pertinenza appennica). Tributari di destra del fiume Po a valle della sezione di confluenza con il Ricchiardo (incluso) fino alla confluenza con il bacino del Panaro (incluso). Fiume Tanaro a valle della sezione di confluenza con il Ridone (incluso) presso Alba (CN), suoi tributari di sinistra a valle di detta confluenza e suoi tributari di destra a valle del bacino del Rea (escluso). Dal bacino del Reno (tributario dell Adriatico a Sud del Po) compresi i suoi affluenti di destra (Idice, Sillaro, Santerno, Senio,...) verso Sud fino a quello del Vomano (compreso) nella porzione meridionale della Provincia di Teramo (Marche). Z2.1 (area di pertinenza appenninica sul versante padano). Tributari di destra del fiume Po a valle della sezione di confluenza con il Ricchiardo (incluso) fino alla confluenza con il bacino del Panaro (incluso). Fiume Tanaro a valle della sezione di confluenza con il Ridone (incluso) presso Alba (CN), suoi tributari di sinistra a valle di detta confluenza e suoi tributari di destra a valle del bacino del Rea (escluso). Bacino del Reno (tributario dell alto Adriatico a Sud del Po) compresi i suoi affluenti di destra (Idice, Sillaro, Santerno, Senio,...). Lo spartiacque appenninico tosco-emiliano segna il confine che separa la Z2 a Nord dal distretto tosco - laziale a Sud. Gli apici allineati su tale spartiacque presentano altitudini decrescenti verso Est, da quote superiori a m a valori intorno ai m s.l.m. Regimi pluviometrici con massimi nelle stagioni intermedie, più o meno equivalenti o con leggera prevalenza primaverile o autunnale; minimo estivo ridotto rispetto a quello secondario invernale (al contrario di quanto accade in Z1). I regimi idrologici sono tipicamente di tipo pluviale. La coincidenza tra i minimi pluviometrici principali con i massimi dei regimi termici determina portate di magra estiva piuttosto pronunciate, con valori specifici inferiori a 2 l/s/km 2 e, seppure raramente, anche inferiori a 1,5 l/s/km 2. Nelle testate dei bacini principali, presso i culmini dello spartiacque appenninico, possono risultare regimi idrologici nivopluviali (o di transizione con il pluviale), con portate di magra (quasi sempre estive, raramente anche invernali) significativamente superiori, ma con valori specifici che non superano i 5 l/s/km 2. I regimi idrologici presentano una variabilità (rapporto tra i valori medi mensili massimo e minimo dei deflussi) più spiccata rispetto a quella in Z1. I litotipi di origine sedimentaria sono ben rappresentati; ciò comporta, in occasione di precipitazioni intense, un più facile intorbidimento delle acque (trasporto solido pelitico) rispetto a quanto accade in Z1 (dominata da più estese formazioni cristalline, prevalentemente metamorfiche). Z2.2 (area di pertinenza appenninica sul versante adriatico). Tributari del medio Adriatico, a Sud del Reno, dal bacino del Lamone (compreso) a quello del Vomano (compreso) nella porzione meridionale della Provincia di Teramo (Marche). Dtl/Z3 (Distretto tosco - laziale). Tributari dell alto e medio Tirreno, dal bacino del Magra a quello del Tevere. Comprende gli importanti bacini dell Arno e del Tevere, mentre su nutrono dubbi circa l appartenenza a questo distretto del bacino del Magra nel levante ligure (Bianco, 1987) La aree Z2.2 e Z3 sono entrambe alimentate dai rilievi dell Appennino e conviene descriverle parallelamente per meglio mettere in evidenza differenze ed analogie, anche rispetto al Sud Italia, facendo naturalmente riferimento ai principali fattori edafici considerati per le precedenti aree. Mentre il bacino del Magra (Vara) presenta un altitudine massima di oltre m e quello del Serchio (Z3) di quasi m, il culmine dello spartiacque della testata Nord del più grande bacino dell Arno risulta significativamente inferiore (1.657 m s.l.m.). Il Tevere presenta il bacino di più grande estensione areale in Italia dopo quello del Po (quasi km 2 ), ma una bassa altitudine mediana (poco più di 500 m s.l.m.); in effetti solo una porzione modesta di tale area presenta culmini elevati oltre i m, con m quello massimo nel bacino del Velino, affluente di sinistra del Tevere, nell area del massiccio del Gran Sasso (2.920 m s.l.m.). Questi rilievi segnano lo spartiacque tra i due versanti dell Appennino e lo stesso Gran Sasso (con le 10

12 montagne circostanti) alimenta i bacini impostati sull opposto versante, i più importanti dei quali sono quelli del Vomano, Pescara e Sangro, caratterizzati quindi dalle fasce altimetriche più elevate rispetto ai bacini che si affacciano sull Adriatico. Verso Sud, su entrambi i versanti, raramente le altitudini massime raggiungono i m s.l.m.; pochi esempi sono nel massiccio del Pollino che alimenta i bacini del versante ionico. Lo spartiacque appenninico non divide l Italia centro-meridionale in modo simmetrico, ma è spostato ad oriente. Ciò comporta, soprattutto nel distretto tosco-laziale, superfici dei bacini del versante tirrenico decisamente superiori a quelli del versante adriatico che, tra l altro, presentano un reticolo idrografico più ripido verso il mare, con maggiore sovrapposizione delle tipologie ambientali fluviali. L entità dei deflussi, a parità degli altri fattori edafici, è naturalmente condizionata dalle superfici dei bacini; pertanto i fiumi del versante tirrenico presentano generalmente regimi idrologici caratterizzati da una minore variabilità e con portate più abbondanti verso valle. Tipici esempi sono il Tevere e l Arno; in Italia troviamo il bacino del Po con km 2 (a Pontelagoscuro), seguito dal Tevere ( km 2 a Ripetta), dall Adige ( km 2 a Boara Pisani) e dall Arno (8.186 km 2 a S. Giovanni alla Vena), rispettivamente al secondo ed al quarto posto nella classifica dei più grandi bacini in Italia, ma merita segnalare anche il Volturno (5.558 km 2 a Cancello Arnone; al settimo posto della stessa graduatoria dopo il Tanaro ed Ticino) ed il Sele (3.235 km 2 ad Albanella; all undicesimo posto dopo l Adda, Reno e Dora Baltea). Sul versante adriatico solo il Pescara (3.125 km 2 a S. Teresa) e l Ofanto (2.716 km 2 a Samuele di Cafiero) sono alimentati da bacini di dimensioni significative, comunque inferiori a quelle dei bacini succitati per il versante tirrenico. Pertanto, sotto questo profilo, il distretto tosco-laziale è un area che si distingue in modo evidente rispetto al versante Adriatico. Diversamente dalle aree Z1 e Z2.1, caratterizzate da regimi pluviometrici medi con due massimi nelle stagioni intermedie e due minimi interposti, quelli dell Italia centro-meridionale presentano un solo minimo estivo ed un solo massimo. Il primo (generalmente più basso rispetto alla padania) si verifica quasi sempre in luglio e tende a valori man mano inferiori verso Sud, mantenendosi comunque superiore a 20 mm alle basse altitudini fino al Molise, Nord-Campania, Gargano, per diminuire rapidamente fino a valori decisamente scarsi, anche meno di 10 mm in Calabria e nel leccese. Il massimo è tardo-autunnale (ma con piogge che permangono relativamente elevate nei mesi successivi) in Toscana, Marche, Umbria ma, procedendo verso Sud, si sposta man mano nell inverno (dicembre e gennaio). Il rapporto tra massimo e minimo tende ad aumentare verso il meridione; mentre a Firenze il rapporto tra i valori di 114 mm di ottobre e di 23 mm di luglio è pari a 4,9 e ad Ancona è 3,6 (101 mm di ottobre e 28 mm di luglio), si passa a 9,6 di Napoli (125 mm di novembre e 13 mm di luglio), a 6,1 di Bari (115 mm di novembre e 19 mm di luglio) e addirittura a 20 a Reggio Calabria (96 mm di novembre ed appena 5 mm di luglio) 8. Nelle aree montane gli afflussi meteorici medi annui sono poco superiori a quelli delle fasce altimetriche inferiori, con minimi estivi meno pronunciati e valori medi mensili di luglio raramente inferiori a 30 mm. Non risulta una particolare distribuzione delle precipitazioni medie annue che permetta di distinguere i due versanti dell Appennino o in funzione della latitudine; piuttosto risulta un minimo (intorno a mm) nella Puglia e nella Basilicata orientale che si distingue abbastanza nettamente rispetto all Italia centro-meridionale. I regimi idrologici dei corsi d acqua alimentati dai versanti appenninici sono quasi tutti spiccatamente pluviali e con andamento che risente direttamente dei regimi pluviometrici sopra descritti. Risultano portate cospicue tardo-autunnali e invernali e portate medie estive decisamente inferiori. Le scarse piogge della stagione più calda, unitamente ai cospicui processi evapotraspirativi, determinano portate di magra molto scarse, con valori specifici quasi sempre inferiori a 1 1,5 l/s/km 2 ed ancor meno. Questi aspetti, verso Sud, si fanno sempre più pronunciati; nell inverno i fiumi diventano impetuosi e caratterizzati da forti carichi detritici, mentre in estate si trasformano in riganoli d acqua ed in alvei che si asciugano in diversi tratti; si tratta di situazioni che possono rendere difficile il mantenimento di comunità ittiche. Sul versante adriatico il Biferno presenta già caratteri di fiumara, seppure limitatamente (l altitudine massima supera, seppure di poco, i m s.l.m.). Verso Sud il fenomeno si accentua, anche per lo scarso effetto di volano idrologico per l assenza di fasce altimetriche elevate (altitudini massime di m s.l.m. per il Fortore e m s.l.m. per l Ofanto) e bacini di estensioni relativamente limitate. Le fiumare più caratteristiche sono quelle del versante ionico, ma i cui effetti sono parzialmente limitati dalle fasce altimetriche leggermente più elevate che caratterizzano i culmini del Pollino. Sul versante tirrenico le fiumare caratterizzano soprattutto la Calabria. Solo sulle testate dei bacini impostati sulla porzione occidentale dell Appennino tosco-emiliano (Serchio sul versante tirrenico) e sui rilievi intorno al Gran Sasso (Velino sul versante tirrenico e Vomano, Pescara, Sangro, su quello adriatico) possono risultare regimi di tipo nivopluviale (o di transizione con quello pluviale). 8 A Palermo, a fronte di un massimo medio di oltre 150 mm in dicembre, risulta una precipitazione mensile di luglio di appena 6 mm, con un rapporto tra i due valori pari a

13 4 - CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELLE TIPOLOGIE AMBIENTALI La Direttiva 2000/60/CE prevede che gli Stati membri individuino i corpi idrici superficiali ed effettuarne di tutti una caratterizzazione iniziale attraverso un metodo a scelta tra due sistemi A oppure B (punto dell Allegato II). Il primo prevede alcuni parametri descrittori obbligatori in funzione dell altitudine, delle dimensioni del bacino idrografico e della composizione geologica. Il sistema B, più complesso ed articolato e forse più adatto per il territorio italiano, prevede due gruppi di fattori che, per i fiumi, sono i seguenti: Fattori obbligatori - altitudine, latitudine e longitudine, composizione litologica e dimensioni. Fattori opzionali - distanza dalla sorgente del fiume, energia di flusso, larghezza, profondità e pendenza media del corpo idrico, forma e configurazione dell alveo principale, categoria in funzione della portata del fiume (flusso), configurazione della valle, trasporto di solidi, capacità di neutralizzazione degli acidi, composizione media del sub-strato, cloruro, intervallo delle temperature dell aria, temperatura media dell aria e precipitazioni. Sono espressioni generiche che necessitano di approfondimento ai fini dell individuazione di criteri applicativi per la distinzione delle tipologie ambientali (o zone ittiche) che sono le seguenti: Alpina (A), Salmonicola (S), Mista (M) e Ciprinicola (C). A tale scopo è opportuno considerare ciascuno dei succitati fattori, gli obbligatori e una parte degli opzionali, fra quelli meno complessi e che meglio si prestano per il territorio italiano. ALTITUDINE (fattore obbligatorio). È un parametro importante, soprattutto per un territorio come quello italiano, caratterizzato da elevate catene montuose su una superficie relativamente modesta e comprendente aree di pianura e prossime al mare, su uno sviluppo costiero molto articolato. Per la caratterizzazione altimetrica di un bacino la soluzione migliore è la sua curva ipsografica, che mette bene in evidenza la distribuzione delle diverse fasce altimetriche delimitate da isoipse con equidistanza dipendente dalla base cartografica utilizzata e dal livello di precisione dell analisi morfometrica. Dalla curva ipsografica si ricava l altitudine mediana (H med ), quota al di sopra e al di sotto della quale si trovano le due metà areali del bacino (Strahler, 1952, 1968). La determinazione di H med è una procedura relativamente complessa, 9 poco adatta per analisi su vaste porzioni territoriali sulle quali si siano individuate numerose stazioni per attività di monitoraggio. Più agevole è la determinazione dell altitudine della sezione (H sez ) rappresentativa del tratto fluviale di interesse e l altitudine massima del bacino sotteso (H max ). Al fine di facilitare i confronti tra bacini, conviene fare riferimento ad alcuni limiti altitudinali di particolare significato climatico (Mennella, 1967; Durio et al., 1982; Boano et al., 2003): LC0j - Limite Climatico dello zero termico medio mensile di gennaio; altitudine alla quale la temperatura media mensile di gennaio (il mese invernale più freddo 10 ) è pari a 0 C; al di sotto di quella quota non vi sono condizioni termiche per l accumulo di neve al suolo; l eventuale manto nevoso (salvo annate particolari, nei versanti meno esposti) si scioglie nel giro di pochi giorni e comunque entro il mese; la fascia altimetrica inferiore a tale limite concorre all alimentazione di regimi idrologici francamente pluviali (deflussi quali risposta diretta degli afflussi) e con coefficienti di deflusso prossimi ad uno per assenza (o quasi) di evapotraspirazione, come tipico dell inverno; oltre tale limite l acqua di origine meteorica di gennaio inizia ad essere disponibile, come deflussi, nel mese successivo, ancora nell inverno; alle quote superiori si fa più evidente l effetto del ritardo nella formazione dei deflussi rispetto alle precipitazioni, senza tuttavia diventare determinante nel condizionare i regimi idrologici. LC0w - Limite Climatico dello zero termico medio del trimestre invernale; altitudine alla quale la temperatura media mensile dei tre mesi invernali (dicembre, gennaio e febbraio) è pari o inferiore a 0 C; 11 lo scioglimento delle nevi accumulate nell inverno si manifesta, in modo apprezzabile, in marzo, 9 Un modo più semplice per determinare l altitudine mediana (H med ), seppure approssimativo, ma sufficiente per le applicazioni biologiche, consiste nell uso della seguente formula (Regione Piemonte, 1992): 0,9 H max + H sez H med = 2 dove H sez è l altitudine della sezione fluviale in studio e H max è l altitudine massima del relativo bacino sotteso. 10 È la situazione più frequente. Merita precisare che, nei climi marittimi (la costa italiana) il mese più freddo è febbraio, per l effetto di volano termico indotto dalla massa d acqua marina. Ma è un aspetto poco rilevante; infatti per individuare un mese con temperatura media mensile inferiore a 0 C, occorre salire almeno di 500 m verso l entro-terra dove, si assiste al passaggio a climi di tipo continentale, con minimo termico in gennaio. 11 Tenuto conto che febbraio è mediamente il meno freddo del trimestre invernale, in pratica il LC0i è l altitudine corrispondente alla temperatura media mensile pari a 0 C del febbraio stesso. 12

14 e diventa significativo in aprile, con residui ancora all inizio di maggio nei versanti meno esposti; al di sopra di tale limite le fasce altimetriche contribuiscono all alimentazione di regimi nivopluviali. LC0y - Limite Climatico dello zero termico medio annuo; è l altitudine alla quale la temperatura media annua è pari a 0 C; grosso modo vi sono le condizioni per accumulo di neve per metà anno, che solitamente si scioglie del tutto nel successivo semestre caldo ; la fascia climatica compresa tra tale limite e quello precedente concorre all alimentazione di regimi nivopluviali; la presenza, nelle testate dei bacini, di fasce altimetriche superiori comporta una significativa alimentazione dei deflussi con l ablazione, ancora in luglio e, seppure in modo meno evidente, anche in agosto. LCsp - Limite Climatico delle nevi persistenti; è l altitudine al di sopra della quale, in estate, la neve accumulata nella stagione fredda non si soglie completamente, accumulandosi ai residui dell anno precedente; nelle fasce altimetriche superiori vi sono le condizioni per la formazione e/o persistenza di isole glaciali, nevai perenni ed anche veri e propri ghiacciai, soprattutto quando tali aree sono sufficientemente estese per altitudini crescenti; le fasce altimetriche superiori al LCnp, in un bacino, concorrono, con l ablazione dei ghiacci, all alimentazione di regimi idrologici nivoglaciali. I limiti altitudinali climatici (LC) sopra descritti sono diversi nelle aree e sub-aree definite e rappresentate in fig. 1. Il limite climatico delle nevi persistenti (LCsp) è leggermente inferiore nel versante francese delle Alpi rispetto a quello interno, a causa delle più abbondanti precipitazioni scaricate dai fronti perturbati di origine Nord-occidentale. Nelle Alpi orientali è più basso grazie alla più diretta esposizione alle correnti orientali e Nord-orientali. Nell Italia centrale (area Z3 e sub-area Z2.2) l applicazione dei gradienti termici medi annui e stagionali sui valori delle temperature medie delle pianure, di circa 1 C superiori di quelle delle regioni settentrionali, portano alla determinazione dei limiti LC un poco superiori, soprattutto sul versante tirrenico, sottovento rispetto alle correnti orientali. La tab. 5 riporta i valori di LC caratteristici delle diverse aree e subaree Z. Quindi si è proceduto alla collocazione dei parametri H max e H sez nell ambito delle fasce altimetriche comprese tra i limiti altitudinali climatici (LC) in funzione delle tipologie ambientali A, S, M e C (tab. 6). Tab. 5 - Valori termici dei diversi limiti altitudinali climatici (LC) in funzione delle aree e sub-aree (Z). Z1.1 Z1.2 Z1.3 Z2.1 Z2.2 Z3 LCsp LC0y (*) (*) LC0w LC0j LCsp LC0y LC0w LC0j Limite Climatico delle nevi persistenti. Limite Climatico dello zero termico medio annuo. Limite Climatico dello zero termico medio del trimestre invernale (dicembre febbraio). Limite Climatico dello zero termico medio mensile di gennaio. (*) Poco rilevante; presente nel massiccio del Gran Sasso (spartiacque tra Z2.2 e Z3). LATITUDINE E LONGITUDINE (fattore obbligatorio). Le coordinate geografiche possono essere riferite al sito della sezione di riferimento rappresentativa del tratto fluviale in studio (ove si trova la stazione di campionamento relativo all ittiofauna o a qualche altro parametro ambientale), oppure potrebbero essere quelle corrispondenti ai paralleli ed ai meridiani tangenti al bacino sotteso. In linea di massima si tratta di indicazioni utili per l individuazione del tratto fluviale di interesse e/o del bacino che lo alimenta sotto il profilo della posizione geografica. Nel continente europeo, per linee generali, i climi sono via più rigidi all aumentare della latitudine e verso oriente. Il regime delle precipitazioni da prevalentemente oceanico, con medie annue più elevate e con distribuzione nei mesi meno variabile (salvo qualche incremento nelle stagioni intermedie), che domina le regioni occidentali, soprattutto quelle che si affacciano sull Atlantico, assume caratteristiche diverse verso oriente, fino a diventare di tipo continentale nell Europa centrale soprattutto orientale, con precipitazioni più abbondanti in estate e con inverni freddi e secchi. I fattori climatici, a loro volta, sono determinanti nel condizionare i regimi idrologici dei corsi d acqua. Risulta quindi evidente che la posizione geografica di un bacino o di un tratto fluviale, espressa mediante le coordinate, può far parte di un organico sistema classificativo. Il continente europeo è sufficientemente esteso per comprendere porzioni territoriali climaticamente diverse in funzione delle collocazioni geografiche e distinguibili rispetto ad altri fattori capaci di condizionare il clima o le caratteristiche dei fiumi. I corsi d acqua 13

15 italiani costituiscono un fitto intreccio idrografico su una porzione territoriale ridotta. È poco utile distinguere i bacini o le tipologie ambientali in funzione della collocazione geografica in un territorio così piccolo, in quanto è evidente che quasi tutti gli altri parametri ambientali sono ampiamente prevalenti. Vale, a questo proposito, riportare quanto G. Moretti già nel 1953 scriveva: Il fiume italico è sempre troppo breve e di troppa modesta portata per essere messo a paragone con i principali fiumi del continente europeo o di altri continenti... o, in generale, di territori molto più vasti di quello italiano, geologicamente più antichi e da molto più tempo immobili....solo il Po, che è l unico corso d acqua con esteso sviluppo,... potrebbe essere confrontato... con i fiumi europei. Si ritiene quindi poco opportuno proporre un sistema classificativo in funzione della latitudine e longitudine, almeno all interno delle aree Z1, Z2 e Z3. Piuttosto si ritiene utile definire le coordinate dei sistemi fluviali in studio in quanto utili per eventuali confronti con altre aree europee. Tab. 6 - Collocazione delle diverse tipologie ambientali (o zone A, S, M e C) in funzione del valore dell altitudine della sezione (H sez ) rappresentativa del tratto fluviale di interesse e di quella massima (H max ) del bacino sotteso nell ambito dei limiti climatici altitudinali (LC). Salmonicola Alpina > LCsp Alpina Alpina Alpina Mista Salmonicola Ciprinicola H max LCsp LC0y LC0y LC0w LC0w LC0j - Alpina Alpina Alpina Salmonicola Mista Ciprinicola - - Alpina Salmonicola Mista Salmonicola Mista Ciprinicola Salmonicola Mista Mista Ciprinicola < LC0j Ciprinicola > LCsp LCsp LC0y LC0y LC0w LC0w LC0j < LC0j H sez COMPOSIZIONE GEOLOGICA (fattore obbligatorio). La qualità delle acque che affluiscono a un corpo idrico superficiale non sono proprietà intrinseche, ma sono date dalle caratteristiche geolitologiche, morfometriche ed idrologiche del bacino imbrifero che lo alimenta (Vollenweider, 1979). Inoltre le acque di un fiume hanno un chimismo anche molto diverso che dipende essenzialmente dalle formazioni geologiche del bacino, e da altri caratteri ambientali; il tutto può essere complicato dalla presenza di acque sotterranee, talora di notevole portata, come si verifica nelle zone carsiche (Badino et al., 1991). Infatti al punto dell Allegato II della Direttiva 2000/60/CE si propone la composizione geologica tra i descrittori del sistema A e tra i fattori obbligatori del sistema B. Ai fini dell individuazione di criteri di estrema sintesi si propongono le seguenti categorie: BC - bacino prevalentemente cristallino; litotipi rocciosi-cristallini (essenzialmente di orgine magmatica e/o metamorfica) > 60 % del bacino; BS - bacino con significativa presenza di materiale sedimentario; litotipi sedimentari (essenzialmente di tipo clastico) > 40 % del bacino; 1 - bacino prevalentemente siliceo; litotipi non calcarei > 70 % del bacino; 2 - bacino con significativa presenza di materiale calcareo; litotipi calcarei > 30 % del bacino. La prevalenza di litotipi cristallini o sedimentari indica, grosso modo, la tendenza, rispettivamente meno evidente e più marcata, all intorbidimento delle acque in occasione di precipitazioni abbondanti e/o a carattere di rovescio. Il materiale detritico in sospensione è uno svantaggio per le cenosi acquatiche che possono subire danni soprattutto a carico degli apparati respiratori; le particelle fini (pelite) agiscono come abrasivo sui delicati tessuti adibiti agli scanbi gassosi a diretto contatto con l acqua. Per linee molto generali, nei bacini impostati su formazioni rocciose più resistenti al disfacimento, le acque tendono ad intorbidirsi meno facilmente o a ritornare limpide più velocemente dopo le maniofestazioni di piena. Ma esistono numerose eccezioni. La più evidente si riferisce ai bacini montani alimentati dall ablazione di ghiacciai; le acque, pur derivanti da areali a 14

16 struttura geologica nettamente cristallina, sono fortemente torbide, soprattutto in estate, proprio quando maggiore è l attività degli organismi che, per tale motivo, costituiscono cenosi acquatiche assai limitate. La prevalenza di litotipi silicei (1) o calcarei (2) incide sul chimismo delle acque. Spesso si ritiene tale aspetto molto importante, talora anche sopravalutandolo, soprattutto in relazione alle cenosi acquatiche. Queste tuttavia sono influenzate da numerosi altri fattori ed in modo tale da mascherare gli effetti del ph rispetto al quale l ambito di tolleranza della maggior parte degli organismi è superiore alla variabilità indotta dalla composizione delle formazioni geologiche dominanti. La composizione delle categorie succitate portano ai diversi gruppi: BC1 - bacino prevalentemente cristallino siliceo; gran parte del reticolo idrografico naturale superficiale delle sub-aree Z1.1 e Z1.2 e degli alti e medi bacini delle aree Z2 e Z3; BC2 - bacino prevalentemente cristallino e calcareo e/o con presenza significativa di calcare; gran parte degli alti e medi bacini della sub-area Z1.3; BS1 - bacino con presenza significativa di materiale sedimentario e prevalentemente siliceo; parte di pianura delle sub-aree Z1.1 e Z1.2, porzioni di valle dei bacini e pianura delle aree Z2 e Z3; BS2 - bacino con presenza significativa di materiale sedimentario con presenza significativa di calcare; porzioni di valle dei bacini e pianura della sub-area Z1.3. La Z1.3 (di pertinenza alpina orientale sul versante dell alto Adriatico) si distingue dalle altre per la prevalenza delle tipologie rocciose calcaree. I regimi idrologici sono condizionati, in qualche caso anche in modo eclatante, dalla circolazione sotterranea, tanto che la maggior parte dei bacini, contrariamente a quanto accade in tutta la Z1, sono di tipo pemeabile. Anzi proprio la composizione litologica di essi è responsabile di tale situazione idrologica. Il fenomeno del carsismo influenza sia il chimismo delle acque, sia i regimi idrologici e quindi potrebbero risultare differenze significative anche sotto il profilo biologico. La tab. 8 riporta gli elenchi delle specie ittiche autoctone (AUr) più rappresentative delle diverse aree e sub-aree individuate. Per tutta l area di pertinenza alpina risultano 18 specie, comuni nelle tre sub-aree Z1.1, Z1.2 e Z1.3. Inoltre per le quattro specie presenti come AUr esclusivamente in Z1 (sanguinerola, trota marmorata, temolo e scazzone) non risultano distinzioni tra le tre porzioni occidentale, centrale ed orientale. Costituisce una eccezione il panzarolo, specie AUr in Z1.2, ma presente anche in Z1.3 e soprattutto il cobite barbatello, presente unicamente in Z1.3. Una sola specie su 18 significa ben poco, tanto più tenendo conto che essa presenta un vasto areale (quasi tutta Europa). Panzarolo e cobite barbatello sono presenti nella porzione centro-orientale del bacino del Po probabilmente in quanto penetrati nel distretto padano-veneto attraverso la via pannonica descritta da Bianco (1987). La Cagnetta, nel bacino del Po, è presente unicamente in Z1.2, ma anche nel distretto toscolaziale (Z3). La bottatrice, in Italia è presente unicamente in Z1.2, ma forse è una specie esotica (Bianco, 1987, 1996). Quelli succitati sono solo alcuni esempi dai quali si comprende che anche solo la storia zoogeografica delle specie, in particolare del quaternario, costituisce un fattore regolante la distribuzione delle specie ben più importante rispetto ai condizionamenti del chimismo delle acque in funzione dei litotipi predominanti nei bacini idrografici. A complicare il tutto inoltre sono gli spostamenti di faune ad opera dell uomo. Per alcune specie infatti l autoctonia non è sicura, mentre per altre gli areali di distribuzione originari sono piuttosto incerti. Più interessante, ai fini biologici, risulta la distinzione tra BC e BS. Classicamente, da monte a valle, il bacino che alimenta il corso d acqua comprende porzioni sempre più ampie di fasce altimetriche meno elevate, fino ad estendersi in pianura, dove prevalgono i processi di sedimentazione, contemporaneamente al passaggio da zone salmonicole (o alpine) a quelle ciprinicole. Pertanto, in linea di massima e tenendo comunque conto delle numerose eccezioni che normalmente caratterizzano i sistemi con i quali si tenta di schematizzare i sistemi naturali, è possibile associare le tipologie ambientali A (alpina) e S (salmonicola) a bacini con litotipi predominanti cristallini (BC), la tipologia C (ciprinicola) a bacini con litotipi predominanti sedimentari (BS) e la tipologia M (mista) a bacini con litotipi intermedi (o di incerta clssificazione). DIMENSIONI (fattore obbligatorio). Si tratta della superficie del bacino imbrifero, fattore considerato anche nell ambito del sistema classificativo A di cui al punto dell Allegato II della Direttiva 2000/60/CE. La Direttiva propone una classificazione distinta in quattro classi: piccolo ( km 2 ), medio (da > 100 a km 2 ), grande (da > a km 2 ) e molto grande (> km 2 ). Si propone di adottare lo stesso schema ma, in considerazione della morfologia del territorio italiano, con l aggiunta di una ulteriore categoria: molto piccolo (< 10 km 2 ). Come noto, lungo un corso d acqua, dalle sorgenti, generalmente a quote elevate in testata di bacino, verso valle, cambiano le condizioni ambientali in modo più o meno evidente, con incremento di portata, profondità, larghezza dell alveo, mentre diminuiscono pendenza, granulometria dei materiali, Tali parametri sono importanti nel condizionare la zonazione longitudinale sotto il profilo biologico (Cozzini et al., 1987) e soprattuto ittiologico. Merita citare, quali esempi, le prime proposte di Thienemann (1925) e di Heut (1949, 15

17 1954) che hanno costituito la base fondamentale della classificazione degli ambienti fluviali, ancora oggi ampiamente utilizzata, seppure con variazioni e adattamenti in funzione delle condizioni dei reticoli idrografici a livello regionale. In linea generale si ammette una relazione tra i parametri ambientali lungo un fiume da monte a valle e la superficie del bacino sotteso. È evidente che l incremento di tale superficie verso valle significa aumento di portata e quindi della profondità e della larghezza dell alveo, seppure parametri anche condizionati dalla diminuzione della pendenza. Ma tale relazione è condizionata da troppe eccezioni per concepire sistemi classificativi sulla base del semplicistico rapporto tra dimensioni e tipologie ambientali. Possiamo avere un piccolo bacino collinare con comunità ittica francamente ciprinicola paragonabile a quella del Po a valle del Ticino, con superficie di bacino sotteso di ben tre ordini di grandezza superiore. Oppure un bacino alpino molto piccolo può presentare condizioni ambientali tipiche della zona S come nella Dora Baltea presso Ivrea, ma con bacino > km 2. Nonostante tali difficoltà il parametro dimensioni è comunque utile ma, ai fini della classificazione delle zone ittiche, a condizione di considerarlo subalterno rispetto ad altri fattori che più direttamente influiscono sulle condizioni ambientali. A questo proposito si può fare riferimento alla tab. 6 relativa alla classificazione delle zone A, S, M e C in funzione dei limiti climatici altitudinali LC dove risultano alcune celle con indicazione di più di una tipologia ambientale; per una determinazione più precisa potrebbe tornare utile la valutazione delle dimensioni del bacino. In Italia gli unici bacini molto grandi (> km 2 ) sono quelli del Po (in Z1), Tevere (in Z3) e Adige (in Z1.3); sono presenti oltre 30 bacini grandi (da > a km 2 ) ed un elevato numero di bacini piccoli e molto piccoli, buona parte dei quali compresi nei precedenti. I tratti fluviali che sottendono bacini molto grandi sono tipicamente zone ciprinicole (C). Per quelli che sottendono bacini grandi la situazione è più complessa. Consideriamo due esempi eclatanti tra quelli che presentano H max > LCsp (~ m s.l.m. per Z1.1): Dora Baltea (con H max sul massiccio del M. Bianco) e Sesia (con H max sul massiccio del M. Rosa). Entrambi confluiscono nel Po a quote < LC0j (~ 600 m s.l.m.), rispettivamente 150 e 95 m s.l.m. (Regione Piemonte, 1991). Secondo la tab. 6 significa che i tratti terminali dei due fiumi possono essere zone S o M o C, con esclusione della sola zona A. Dai risultati dei campionamenti effettuati sull ittiofauna (Regione Piemonte, 2006) risulta una zona mista (M) per la Dora Baltea ed una zona ciprinicola (C) per il Sesia; pertanto si esclude per entrambi anche la zona S. Consideriamo ora due bacini medi (da > 100 a km 2 ) e precisamente Pellice e Chisone alla loro confluenza in Provincia di Torino, entrambi con H max > LCsp (3.171 e m s.l.m. rispettivamente); anche in questo caso la quota di confluenza è H sez < LC0j. Nuovamente, secondo la succitata tab. 6, l unica tipologia esclusa è quella alpina (A) e secondo i risultati dei campionamenti della fauna ittica risulta per entrambi una zona salmonicola (S). Si potrebbero citare numerosi altri esempi dai quali risulta, in generale, che nei casi in cui, in funzione del limiti climatici altitudinali (LC) risulti la possibilità di più tipologie ambientali, sono favorite le zone inferiori tanto più grandi sono le dimensioni dei bacini. Si può quindi proporre, seppure da considerare con molta cautela, il seguente schema: per tratti fluviali alimentati da bacini molto grandi vale unicamente la zona C; per tratti fluviali alimentati da bacini grandi valgono le zone M e C, improbabile la S, esclusa la zona A; per tratti fluviali alimentati da bacini medi non risultano indicazioni particolari; per tratti fluviali alimentati da bacini piccoli o molto piccoli risultano più probabili le zone superiori. TEMPERATURA (fattore opzionale). La temperatura dell aria è un indicatore climatico importante, in quanto condiziona l ambiente circostante il fiume e la temperatura delle acque. In riferimento alla letteratura climatica valgono le seguenti definizioni: temperatura media mensile; valore [ C] ottenuto dalla media delle temperature medie giornaliere di tutti i giorni di un determinato mese e per tutti gli anni dell intero periodo di osservazione di osservazione considerato (almeno anni; Bruce, Clark, 1966 ; Sokolov, Chapman,1974); temperatura media annua; valore [ C] ottenuto dalla media aritmetica delle dodici temperature medie mensili dell anno solare (da genaio a dicembre); regime termico medio mensile; andamento delle temperature medie mensili nell arco dell anno. Per definire li caratteri termici dell ambiente fluviale occorre disporre di stazioni meteorologiche che abbiano effettuato osservazioni in modo continuo e per un periodo di osservazione significativo, nell intorno del tratto di corso d acqua in esame, ma si tratta di una condizione poco frequente; inoltre è necessario effettuare elaborazioni relativamente onerose, a meno di disporre di studi climatici pregressi. Ma anche una buona definizione dei parametri fondamentali della temperatura dell aria spesso non è sufficiente per la classificazione tipologica dell ambiente fluviale, soprattutto in funzione della temperatura delle acque, fondamentale nel condizionare la composizione delle comunità ittiche. Molto dipende da ciò che accade a monte, cioè dal clima 16

18 che caratterizza il bacino sotteso. Molti corsi d acqua ai piedi della catena alpina, in pianura, caratterizzata da clima decisamente caldo, sono alimentati da bacini con buon sviluppo di fasce altimetriche elevate, con clima decisamente più fresco. Le elevate pendenze degli alvei fluviali conducono velocemente le acque verso valle concedendo ad esse poco tempo per scaldarsi e non è raro trovare delle comunità ittiche tipiche della zona S (salmonidi) a quote decisamente basse. Tutto sommato conosciamo abbastanza bene i valori termici ed i gradienti verticali caratteristici delle diverse aree del territorio italiano in funzione dell andamento ipsografico dei bacini. A questo proposito si può fare riferimento alla succitata tab. 5 che riporta i limiti climatici altitudinali per le diverse aree e sub-aree dei distretti Dpv e Dtl, in funzione delle H max e H sez del bacino sotteso al corpo idrico in esame 12. La tab. 6 già rappresenta una sintesi relativa alla classificazione delle tipologie ambientali in funzione dei caratteri termici, non solo del tratto fluviale, ma anche del territorio che lo alimenta. PRECIPITAZIONI (fattore opzionale). Facendo riferimento alla letteratura climatica valgono le seguenti definizioni: precipitazione media mensile; media aritmetica delle precipitazioni mensili di un determinato mese per tutti gli anni dell intero periodo di osservazione considerato (almeno anni; Bruce, Clark, 1966 ; Sokolov, Chapman,1974); precipitazione media annua; media aritmetica delle precipitazioni annue relative ad un periodo di osservazione. Anche somma delle precipitazioni medie mensili; regime pluviometrico medio mensile; andamento delle precipitazioni medie mensili nell arco dell anno. La media annua, per quanto interessante, soprattutto ai fini del confronto con altre regioni europee, è in realtà poco utile per la classificazione delle tipologie ambientali. La precipitazione media annua sulle terre emerse del Mondo è pari a circa 750 mm. La media europea è leggermente inferiore: 650 mm. La media italiana è compresa nell intervallo mm e poche località registrano precipitazioni comprese fra 600 e 700 mm (Mennella, 1967). Vi sono zone dove le piogge sono molto abbondanti; nelle Alpi orientali si possono raggiungere valori oltre mm. Ciò che più interessa sono i regimi pluviometrici ed in particolare la collocazione nell anno dei valori minimi, in quanto, con alcune eccezioni, determinano le magre idrologiche, a loro volta fattori limitanti delle cenosi acquatiche. Nell analisi dei regimi pluviometrici è importante evidenziare i massimi e i minimi principali e secondari e quindi effettuare confronti con i regimi termici (condizionanti i fenomeni evapotraspirativi che sottraggono acqua ai deflussi) per meglio mettere in evidenza le modalità con le quali gli afflussi meteorici contribuiscono alle disponibilità delle risorse idriche. I regimi tipici dell Italia centro-settentrionale sono i seguenti: 1. continentale; con massimo estivo e minimo invernale; interessa essenzialmente le porzioni più elevate dell arco alpino centrale in Z sublitoraneo alpino; con due massimi nelle stagioni intermedie, primavera ed autunno, di cui è moderatamente prevalente il primo e due minimi, di cui quello invernale nettamente inferiore a quello estivo; interessa le fasce altimetriche medie ed inferiori della Z1.2 comprendendo anche la fascia di pianura adiacente; si protende nella Valle d Aosta e sugli spartiacque dei rilievi Nord-occidentali del Piemonte, coinvolgendo, seppure marginalmente, anche la Z1.1; 3. sublitoraneo occidentale; con massimi nelle stagioni intermedie, ma con quello primaverile nettamente spiccato e due minimi, di cui quello invernale nettamente inferiore a quello estivo; interessa tutta la parte occidentale del bacino del Po (Z1.1), dal Tanaro al Ticino e ad eccezione del bacino della Dora Baltea, della testata di quello della Dora Riparia, delle Alpi Marittime e del Monferrato; 4. sublitoraneo padano; con due massimi nelle stagioni intermedie più o meno equivalenti e due minimi interposti di cui spesso quello estivo inferiore; è presente nella pianura tra i primi rilievi delle prealpi ed il corso del Po e si adentra nell ampia valle del Tanaro; 5. sublitoraneo appenninico; con due massimi nelle stagioni intermedie, con quello autunnale nettamente più elevato; il minimo estivo è inferiore a quello invernale; comprende tutta la regione dominata dai rilievi dell Appennino e da questi sino al Po e una porzione delle Alpi Marittime (Z2.1). 6. triveneto; il massimo si estende a due stagioni consecutive, estate ed autunno, talvolta gia partendo dalla primavera; risulta un unico evidente minimo invernale; comprende le Alpi orientali (Z1.3); 7. pianura triveneta; con massimo a tutto il periodo, piuttosto piovoso, da maggio a novembre; nell ambito di tale periodo si registra un picco in maggio o in giugno sulle prealpi ed uno in autunno in pianura (Z1.3); il minimo principale è in febbraio, ma risulta una lieve flessione in agosto. 12 Perosino e Spina (1988) considerano l altitudine mediana del bacino quale parametro morfometrico di base correlato con la temperatura media annua rappresentativa del bacino stesso nella determinazione dell indice fisico di produttività. 17

19 8. Appenino centrale; generalmente risulta un solo minimo estivo (quasi sempre luglio) ed un solo massimo tardo-autunnale, ma con precipitazioni che si mantengono relativamente elevate nei mesi successivi ed in misura via via superiore verso Sud (Z2.2 e Z3). La classificazione sopra riportata prevede 8 tipi, rispetto ai quali, ai fini della formazione dei deflussi e in riferimento alle cenosi acquatiche, conviene proporre una semplificazione. In primo luogo conviene mettere in evidenza la presenza dei due massimi, quando presenti, ma senza distinguere tra quello principale e secondario; le comunità acquatiche fanno poca differenza nelle situazioni comunque caratterizzate da abbondanza d acqua. Invece conviene puntare maggiormente l attenzione sulla collocazione del minimo principale. Secondo Mennella (1967) i tipi triveneto e pianuta triveneta sono regimi modificati del sublitoraneo alpino, più o meno caratterizzati da un minimo invernale e da un lungo periodo piovoso comprendente, oltre alle stagioni intermedie, anche quella estiva. Pertanto i tipi descritti ai succitati punti 1, 7 e 8 possono essere raggruppati in un unica categoria continentale. I tipi sublitoraneo alpino e occidentale sono relativamente simili, in quanto entrambi con due massimi nelle stagioni intermedie, con quello primaverile più o meno spiccato e soprattutto il minimo principale invernale, nettamente inferiore a quello estivo. Pertanto i tipi descritti ai succitati punti 2 e 3 possono essere ragruppati in un unica categoria sublitoraneo. I tipi siblitoraneo padano e appeninico presentano ancora due massimi in primavera ed autunno, ma il minimo principale si colloca in estate. Pertanto i tipi descritti ai succitati punti 4 e 5 possono essere ragruppati in un unica categoria appenninico-padano. Infine rimane il tipo (8) dell appennino come categoria a parte. In sintesi si propone la seguente classificazione: RPpc - Regime Pluviometrico continentale; massimi nelle stagioni intermedie, ma con minimo secondario estivo interposto di poco inferiore; minimo principale invernale piuttosto evidente; caratterizza la Z1.3 e le testate dei bacini della Z1.2. RPps - Regime Pluviometrico sublitoraneo; massimi nelle stagioni intermedie, con evidente minimo secondario estivo e minimo invernale ancora più accentuato; interessa le fasce altimetriche medie e inferiori dei rilievi fino a comprendere gran parte della pianura in Z1.2 e costituisce la tipologia dominante in Z1.1. RPap - Regime Pluviometrico appennico-padano; massimi nelle stagioni intermedie, con evidente minimo secondario invernale e minimo estivo ancora più evidente; costituisce la tipologia dominante in Z2.1. RPac - Regime Pluviometrico appenninico centrale; un solo massimo dal tardo autunno ad inizio inverno da Nord a Sud ed un solo minimo estivo; caratterizza Z2.2 e Z3. REGIME IDROLOGICO (fattore opzionale). Il regime idrologico è uno dei più importanti parametri, condizionato dalle caratteristiche climatiche, geomorfologiche e ambientali del bacino (tipologia dei suoli, copertura vegetale, usi delle risorse idriche, ). La forma del grafico dell andamento delle portate nell anno è la sintesi di tutte le componenti succitate. L aspetto che più interessa le cenosi acquatiche è l entita dei minimi idrologici. Quando c è abbondanza d acqua non vi sono problemi: i fiumi funzionano bene e la disponibilità è sufficiente sia per la tutela, sia per lo sfruttamento delle risorse idriche. I problemi emergono durante le magre, spesso anche indipendentemente dagli usi umani dell acqua; frequentemente le scarse portate costituiscono situazioni di stress idrologico. In base a tali considerazioni, Forneris et al. (2005b) hanno proposto uno schema valido per il bacino del Po: nivoglaciale con massimo principale estivo; nivopluviale con minimo secondario tardo estivo; pluviale sublitoraneo con minimo principale estivo (Q 355s > 2 l/s/km 2 ); 13 pluviale sublitoraneo con minimo principale estivo molto scarso (Q 355s 2 l/s/km 2 ). Tale schema tiene conto del fatto che per i regimi nivopluviali ed ancor più per quelli nivoglaciali, la tipologia del regime pluviometrico è meno rilevante rispetto a quanto accade per i regimi pluviali; ciò che conta è la notevole disponibilità idrica estiva che distingue i nivoglaciali dai nivopluviali; entrambi con minimo principale netto nell inverno. Nei regimi pluviali si ha una sorta di parallelismo con l andamento pluviometrico, ma il minimo principale cade sempre in estate, anche quando quello pluviometrico è invernale, a causa dei notevoli processi evapotraspirativi che, nella stagione calda, sottraggono acqua ai deflussi. Conviene pertanto mettere in evidenza l entità delle magre estive. I regimi idrologici condizionati da quelli pluviometrici con minimo 13 La Q355 è la portata media annua di durata pari a 355 giorni [l/s; m 3 /s], valore medio annuo di portata disponibile in alveo per almeno 355 giorni, molto simile alla portata di magra normale (Perosino, 1989), la minima istantanea annuale con tempo di ritorno di 2 anni. Il valore assoluto di tale portata è poco utile per confrontare bacini diversi per dimensioni. Meglio utilizzare il valore specifico (Q 355s ), il contributo [l/s] concesso dall unità [km 2 ] di superficie di bacino [l/s/km 2 ]. 18

20 principale invernale presentano magre estive meno pronunciate; quelli condizionati da regimi pluviometrici con minimo principale estivo presentano portate di magra decisamente inferiori, in quanto alla scarsità delle piogge si aggiungono le perdite apparenti dovute all evapotraspirazione. Pertanto adeguando lo schema succitato al territorio molto più vasto dell insieme dei distretti padano-veneto e tosco-laziale, vale il seguente schema: RIng RInp RIpc - Regime Idrologico nivoglaciale; con unico minimo invernale (gennaio - febbraio) e unico massimo estivo (giugno - luglio) fortemente condizionato dal regime termico responsabile dell ablazione dei ghiacci nelle fasce altimetriche superiori del bacino (> LCsp); presente in tutta l area Z1, in particolare nelle testate dei bacini; prevalentemente zone A ed S, ma anche M per i grandi bacini; - Regime Idrologico nivopluviale; il regime dei deflussi risponde a quello degli afflussi, ma con i primi che si mantengomo elevati anche all inizio dell estate, fino a superare le quantità di acqua meteorica per il contributo delle nevi accumulate nell inverno; tale effetto perdura tanto più a lungo (anche fino a tarda estate) tanto più elevate sono le fasce altimetriche superiori (almeno per > LC0y); presente in tutta l area Z1, esclusivamente nelle testate dei più elevati bacini della Z2.1 (soprattutto nella sua porzione più occidentale) e delle Z2.2 e Z3 (soprattutto intorno al massiccio del Gran Sasso); zone A ed S, ma anche M per i medi bacini; - Regime Idrologico pluviale continentale; il regime idrologico segue un andamento parallelo a quello delle precipitazioni di tipo continentale; pertanto con un minimo principale invernale, e con minimo secondario estivo piuttosto elevato; caratterizza soprattutto la Z1.3, in particolare a valle dei regimi RIng e RInp quando presenti e soprattutto nell area di pianura; zone S, M e C; esclusivamente C per i grandi bacini; RIpe/1 - Regime Idrologico pluviale con minimo estivo; regime idrologico condizionato da quello pluviometrico sublitoraneo (RPps); la minima portata estiva difficilmente è inferiore a 2 l/s/km 2 ; interessa le aree di bassa altitudine della Z1, soprattutto nelle aree occidentale (Z1.1) e centrale (Z1.2); è anche presente nella fascia montana superiore (soprattutto occidentale) della Z2.1 e nella zona del massiccio del Gran Sasso; è esclusa la zona A; possibile la zona S; più probabile la zona M ed ancor più la zona C; RIpe/2 - Regime Idrologico pluviale con forte minimo estivo; regime idrologico condizionato da quelli pluviometrici appenninici (RPap ed RPac); la minima estiva è inferiore a 2 l/s/km 2 (ed anche meno nei bacini piccoli e medi con scarso sviluppo delle fasce altimetriche superiori); interessa la fascia pedemontana e di pianura delle Z2 e Z3; zone S, M e C. PENDENZA e COMPOSIZIONE DEL SUBSTRATO (fattori opzionali). La granulometria dei materiali dell alveo fluviale è in relazione con i processi erosione/sedimentazione legati alla velocità del flusso idrico e questo e quindi alla pendenza dell alveo stesso. Forneris et al. (2005b) hanno proposto una semplificazione del sistema classificativo dei clasti dei sedimenti (tab. 7). Nonostante le esperienze acquisite nell ambito dei campionamenti relativi all ittiofauna, spesso effettuati con la compilazione di schede riportanti le coperture percentuali dei materiali in funzione delle granulometrie, è difficile proporre relazioni semplici e dirette tra la composizione del substrato/pendenza e tipologie ambientali definite sulla base delle cenosi acquatiche. O meglio è possibile, ma a condizione di prevedere schemi a maglie molto grandi, in grado di fornire risultati utili, ma insufficienti, da soli, a caratterizzare un ecosistema fluviale; essi vanno considerati con cautela e confrontati con altri paremetri, compresi quelli sopra descritti. Pertanto conviene ricorrere a rappresentazioni grafiche, come quella illustrata in fig. 2. Individuato un tratto fluviale di interesse, sufficientemente esteso e rappresentativo, si procede con una valutazione a stima delle percentuali delle classi granulometriche presenti in alveo. Quindi si individua sul diagramma di fig. 2 l ambito più simile a quello rilevato, per ricavare infine la/e tipologia/e ambientale/i verificandone la corrispondenza con i relativi intervalli dei valori di pendenza, questa valutata, per esempio, secondo i criteri sugeriti da Forneris et al. (2005b). Nei casi di presenza di sola pelite o accompagnata da minori % di sabbia, l unica tipologia possibile è quella ciprinicola (C); in assenza di granulometrie inferiori alla roccia in posto e massi, la tipologia possibile è quella alpina (A). Negli altri casi si possono associare più di una zona ittica. Con abbondanza di ghiaia, accompagnata da banchi di sabbia e da rari depositi di pelite, sono possibili le zone S, M (più probabile) ed anche C; una pendenza K < 3 % può escludere la zona S; nel caso di un grande bacino è più probabile la zona C; tuttavia potrebbero rimanere dei dubbi ed in tal caso rimane da valutare, quale parametro definitivo, la comunità ittica, quando non eccessivamente alterata dalla presenza di specie esotiche. Occorre molta prudenza nel definire la tipologia ambientale sulla base dei parametri fin qui descritti. Alcuni corsi d acqua appenninici, soprattutto nelle aree con rilievi che si affacciano direttamente sul mare, giungono alla foce in ambienti climaticamente caldi, con temperature massime estive relativamente elevate, adatte a faune limnofile. Ma la caratterizzazione di tali ambienti potrebbe portare ad individuare ambienti di tipo M o addirittura S; infatti tali 19

21 corsi d acqua scorrono in alvei ripidi, con processi erosivi ancora nettamente prevalenti, con dominanza di ghiaie grossolane e anche di massi o addirittura con banchi di roccia in posto. In questi casi rimane fondamentale la verifica mediante l analisi della comunità ittica. Tab. 7 - Classificazione delle categorie granulometriche utilizzata nella letteratura geomorfologica. classificazione dei grani dimensioni dei grani [mm] velocità corrente [cm/s] ghiaia con massi > 256 molto rapida (> 100) ghiaia con ciottoli grossolani rapida (61 100) ghiaia con ciottoli medi 4 64 ghiaia con ciottoli piccoli 2 4 moderata (31 60) sabbia molto grossolana 1 2 sabbia grossolana 0,5 1 1/2 1/1 sabbia media 0,25 0,5 1/4 1/2 lenta (6 30) sabbia fine 0,125 0,25 1/8 1/4 sabbia molto fine 0,0625 0,125 1/16 1/8 silt grossolano 0,0312 0,625 1/32 1/16 silt medio 0,0156 0,0312 1/64 1/32 silt fine 0,0078 0,0156 1/128 1/64 molto lenta (0 5) silt molto fine 0,0039 0,078 1/256 1/128 argilla < 0,0078 < 1/256 Classificazione semplificata delle categorie granulometriche proposta da Forneris et al. (2005b). Al argilla/limo o pelite Grani di dimensioni inferiori a 0,1 mm Sb sabbia Grani di dimensioni 0,1 2 mm Gf ghaia fine Clasti di dimensioni 2 60 mm Gg ghiaia grossolana Clasti di dimensioni 6 25 cm Gs massi Massi di dimensioni cm Ms grandi massi Massi di dimensioni superiori al metro. Rc roccia in posto Banchi di roccia non frammentata. Fig. 2 - Relazione schematica tra composizione granulometrica dei fondali dei corsi d acqua e tipologie ambientali (zone ittiche A, S, M e C). Sono anche indicati gli ambiti di variabilità delle pendenze degli alvei (K) e le velocità medie del flusso idrico. Roccia in posto (Rc), grandi massi (Ms), massi (Gs), ghiaia grossolana (Gg), ghiaia fine (Gf), sabbia (Sb), argilla/limo o pelite (Al). Altro esempio può essere rappresentato da alcuni ambienti alimentati da risorgive, frequenti soprattutto in Z1.2 e Z1.3. In particolare si fa riferimento a quegli ecosistemi acquatici alimentati, per una porzione significativa, 20

22 da acque di origine sotterranea ai piedi della catena alpina, in alta pianura. I fondali sono spesso dominati da granulometrie fini, presentano scarse pendenze e i flussi idrici lenti (moderati in qualche caso). Tali condizioni farebbero presupporre zone ciprinicole (C). Non sempre è possibile fare riferimento ad altri parametri, quali le altitudini o le dimensioni, in quanto non sono facilmente individuabili i bacini sottesi. In tali situazioni le acque, anche nelle estati più calde, sono relativamente fresche, adatte ai cripinidi reofili ed anche ai salmonidi, che cotituiscono comunità ittiche caratterizzanti le zone S o M, nonostante i parametri dell ambiente fisico esprimano zone C. Gli esempi citati dimostrano che non esistono sistemi classificativi certi ed inequivocabili per la classificazione delle tipologie ambientali 14. Se ben studiati ed organizzati possono individuare correttamente la maggior parte delle situazioni ma, come frequentemente accade ogni volta che si vuole ingabbiare la Natura in schemi di sintesi, rimangono sempre dei casi costituenti eccezioni o non inquadrabili negli schemi stessi. In molti di questi casi la discriminante fondamentale è l analisi delle cenosi acquatiche, tra le quali le comunità ittiche costituiscono parte fondamentale. 5 - DESCRIZIONE DELLE TIPOLOGIE AMBIENTALI La classificazione delle tipologie fluviali è essenziale ai fini della determinazione della qualità delle comunità ittiche, così come fondamentale è la scelta dei parametri ambientali da utilizzare per la classificazione stessa. Non è possibile operare delle distinzioni nette e precise; si tratta infatti di distinguere insiemi complessi di fattori fisici e biologici che spesso tendono a sfuggire rispetto a rigide schematizzazioni. Nel capitolo precedente si sono proposti alcuni parametri da considerare prioritariamente (tra quelli indicati dalla Direttiva Comunitaria 2000/60/CE) nel tentativo di predisporre una classificazione, ma da valutare con grande cautela, accettando come ineludibile una certa soggettività degli ittiologi nell interpretare le condizioni ambientali generali osservabili in fase di campionamento. Nel seguito sono descritte più compiutamente le tipologie ambientali (o zone ittiche) anche delle comunità ittiche. A (zona alpina - temperature massime estive < 10 C). Corsi d acqua dell area di pertinenza alpina (Z1) sulle testate dei principali bacini, generalmente con superfici dei bacini sottesi inferiori a 100 km 2 o affluenti dei corsi d acqua delle principali vallate alpine. Il regime idrologico è nivoglaciale o nivopluviale (a seconda delle estensioni delle fasce altimetriche prossime o superiori al limite climatico delle nevi persistenti), in qualche raro caso anche pluviale. La portata di magra normale è invernale, con valori specifici raramente inferiori a 4 l/s/km 2. Torrenti di alta montagna e porzioni superiori e mediane degli affluenti dei corpi idrici principali delle maggiori vallate alpine, caratterizzati da elevate pendenze (10 20 %, ma anche superiori al 30 %), con granulometria degli alvei costituita da ghiaia grossolana, massi e roccia in posto, con netta prevalenza dell erosione sui processi sedimentari. Possono appartenere a questa categoria torrenti della fascia prealpina o di alta collina, con altitudine massima del bacino sotteso compresa tra i limiti climatici dello zero termico medio di gennaio e dello zero termico medio del trimestre invernale, su versanti acclivi e con elevata copertura vegetale in grado di garantire una buona ombreggiatura che limita il riscaldamento estivo delle acque. I valori medi annui assoluti delle portate idriche sono limitate, per le ridotte dimensioni dei bacini sottesi, a 2 3 m 3 /s e con portate di magra intorno a poche centinaia di l/s, ma anche decisamente minori. Le portate sono ridotte a qualche l/s per i più piccoli torrenti, alimentati da versanti collinari e pedemontani caratterizzati da minori potenzialità idriche che, nelle fasi di magra più pronunciata, 14 Merita citare la proposta di Perosino e Spina (1988) che hanno elaborato un indice detto indice fisico di produttività (Ipf) che costituisce una sintesi di alcuni dei parametri principali sopra descritti e precisamente la portata media annua Q med [l/s], l altitudine mediana del bacino sotteso H med [m s.l.m.] e la pendenza dell alveo K [%]: 10 LogQ Ipf = 3 K H med Esso varia entro i limiti 0,5 30 circa che, grosso modo, rappresentano i rapporti tra le produttività di un piccolo torrente di alta montagna e di un grande fiume di pianura. Le principali caratteristiche morfometriche ed idrologiche di un corso d acqua sono quantificate per mezzo di un unico valore di sintesi. Forneris e Perosino (1992) hanno analizzato i parametri relativi alla portata media annua, l altitudine mediana e pendenza ed alla classificazione delle zone ittiche delle 300 stazioni considerate dalla Carta Ittica Relativa al Territorio della Regione Piemontese (Regione Piemonte, 1991), al fine di visualizzare la relazione tra le tre variabili considerate con la distribuzione delle comunità ittiche. Verificate tali relazioni, hanno correlato i valori Ipf di tali sezioni con le relative classificazioni in zone ittiche e hanno quindi proposto alcuni valori limite, di carattere puramente indicativo e che, rispetto alle zone A, S, M e C, sono così schematizzati: Ipf < 3 per la zona alpina (A), Ipf = 3 5 per la zona salmonicola (S), Ipf = 5 10 per la zona mista (M) e Ipf > 9 per la Zona ciprinicola (C). 21

23 garantiscono appena la presenza dell acqua. Ambienti in condizioni limiti per la sopravvivenza di fauna acquatica: acque naturalmente torbide e molto fredde anche in estate per i torrenti alimentati dai nevai e dai ghiacci, pendenze talora molto elevate costituenti ambiti invalicabili per gli spostamenti longitudinali dei pesci, forti variazioni di portata. La comunità ittica naturale (attesa) è povera di specie o costituita da salmonidi accompagnati dallo scazzone; oppure assente, anche in mancanza di alterazioni, soprattutto nei più piccoli torrenti alle più elevate altitudini, fortemente limitati dalle condizioni climatiche o in corsi d acqua minori caratterizzati da notevoli pendenze e da salti invalicabili per i pesci; in tali situazioni la presenza di comunità ittiche potrebbe essere conseguenza di immissioni. In qualche caso potrebbero risultare presenti, con popolazioni esigue, altre specie di accompagnamento (es. vairone), spesso in ambienti di dubbia classificazione in zona A. S (zona salmonicola - temperature massime estive C). Corsi d acqua dell area di pertinenza alpina (Z1) generalmente con superfici dei bacini sottesi superiori a 100 km 2, costituenti i corpi idrici principali delle porzioni mediana e terminale delle vallate alpine fino anche allo sbocco in pianura e dei tratti terminali dei loro più importanti affluenti. Il regime idrologico è nivoglaciale o nivopluviale o di transizione con quello pluviale, quasi mai francamente pluviale. La portata di magra normale è invernale, con valori specifici raramente inferiori a 4 l/s/km 2. Alvei con pendenza nell intervallo 5 15 % (anche fino al 25 %), ma difficilmente sono riscontrabili salti invalicabili per l ittiofauna. La granulometria prevalente è grossolana, accompagnata da massi, più raramente con roccia in posto, mentre compaiono alcuni banchi di ghiaia fine. I bacini sottesi presentano una buona porzione di fasce altimetriche elevate, con climi rigidi; i processi evapotraspirativi sono modesti e ciò, unitamente all incremento delle precipitazioni che solitamente caratterizza le zone montuose, comporta maggiori potenzialità idriche. Pertanto si hanno buone portate, con valori medi annui che comunque difficilmente superano i 20 m 3 /s, mentre le portate di magra raramente scendono sotto i 300 l/s. Nella maggior parte dei casi sono i tratti fluviali posti a valle delle zone alpine (A), ma l individuazione dell ambito di passaggio tra le due zone può risultare poco agevole. Solitamente la zona S sottende bacini con fasce altimetriche superiori al limite climatico dello zero termico medio del trimestre invernale. Se queste sono poco estese (ma almeno costituenti il 25 % circa del bacino) il limite superiore della S, in assenza di salti naturali invalicabili per l ittiofauna, potrebbe estendersi anche ad altitudini significativamente superiori a m, relegando decisamente la zona A alle aree prossime alle sorgenti. Con ampie superfici superiori al limite climatico dello zero termico medio annuo e soprattutto quando l altitudine massima del bacino è superiore al limite climatico delle nevi persistenti, il limite della zona S potrebbe scendere di alcune centinaia di metri. Tale fenomeno risulta evidente nei corsi d acqua con regime nivoglaciale (es. bacini della Dora Baltea, Alto Sesia, Toce, Adige, ). Sono ambienti generalmente più produttivi e con una fauna ittica più diversificata rispetto alla precedente tipologia. Corsi d acqua dell area di pertinenza appenninica (Z2 e Z3) sulle testate dei principali bacini, generalmente con superfici dei bacini sottesi inferiori a 100 km 2, con regime idrologico di transizione tra il pluviale ed il nivopluviale, assai raramente di tipo francamente nivopluviale quando le altitudini massime sono prossime al limite climatico dello zero termico medio del trimestre invernale. Possono costituire ambienti classificabili in zona S, seppure caratterizzati da regimi idrologici francamente pluviali, anche i tratti fluviali immediatamente a valle di alcuni dei suddetti corpi idrici principali, quindi con superfici dei bacini sottesi superiori a 100 km 2 (compresi i loro affluenti), quando impostati su versanti acclivi e ben ombreggiati per la buona copertura forestale, comunque generalmente a quote superiori al limite dello zero termico medio di gennaio, raramente fino a m s.l.m. Nei corsi d acqua principali gli alvei sono interessati prevalentemente da erosione, con pendenze intorno al 5 10 %, con dominanza di ghiaia grossolana e media, accompagnata da massi e talora da roccia in posto. Gli affluenti hanno pendenze più accentuate (fino al %), esercitano una forte erosione ed hanno alvei caratterizzati da materiale grossolano, fino a frequenti massi e roccia in posto. Le portate medie annue raramente superano i 2 3 m 3 /s, con minime annue invernali di poche decine di l/s in corrispondenza dei tratti spiccatamente montani e minime annue estive verso valle di poco superiori e caratterizzate da contributi di 2 3 l/s/km 2. Sono ambienti con forti limiti ambientali, quali un ampia variabilità del regime idrologico e scarse potenzialità idriche dei bacini sottesi in fase di magra. Ciò comporta una scarsa diversificazione biologica in termini di composizione in specie. La comunità ittica può risultare anche assente, soprattutto nei più piccoli torrenti alle più elevate altitudini, caratterizzati da notevoli pendenze e da salti invalicabili; in tali situazioni la presenza di comunità ittiche potrebbe essere conseguenza di immissioni, soprattutto con trote fario. M (zona mista - temperature massime estive C). Corsi d acqua dell area di pertinenza alpina (Z1) generalmente con superfici dei bacini imbriferi sottesi superiori a km 2, costituenti i corpi idrici principali significativamente a valle dello sbocco delle vallate alpine in pianura. Il regime idrologico è nivopluviale, raramente nivoglaciale o di transizione con quello pluviale, quasi mai francamente pluviale. 22

24 Portata di magra normale invernale, con valori specifici raramente inferiori a 4 l/s/km 2. Alvei con pendenze mediamente nell intervallo 3 6 %, con assenza di salti naturali invalicabili per l ittiofauna. Granulometria prevalente costituita da ghiaia, soprattutto media ed in minor parte grossolana, da rari massi, e roccia in posto assente, insieme a vasti banchi di ghiaia fine e di sabbia; rare le granulometrie più fini. I bacini sottesi, analogamente alle zone S, presentano una significativa porzione di fasce altimetriche elevate, caratterizzate da buone potenzialità idriche. Tenuto conto della maggiore estensione dei bacini si hanno portate relativamente elevate, con valori medi annui che possono superare i 20 m 3 /s, mentre quelli assoluti di magra raramente scendono sotto i l/s. Nella maggior parte dei casi sono tratti fluviali a valle delle zone salmonicole. Nei bacini meno estesi e con altitudini massime inferiori al limite climatico dello zero termico medio annuo ed in assenza di regimi idrologici di tipo nivoglaciale in testata, la tipologia superiore è generalmente una zona S ed il passaggio alla zona mista si colloca, grosso modo, nella fascia pedemontana ( m s.l.m.), comunque sotto il limite climatico delle zero termico medio di gennaio. Nei bacini più estesi e con altitudini massime superiori al limite dello zero termico medio annuo ed ancor più in quelli con altitudine massima superiore al limite climatico delle nevi persistenti e con regimi idrologici nivoglaciali almeno in testata, sono superiormente presenti entrambe le zone A ed S. Le elevate portate e l origine in quota di buona parte dei deflussi comporta temperature più basse e maggiore turbolenza delle acque anche verso valle; pertanto il passaggio alla zona mista si sposta verso l alta pianura, talora anche sotto i 200 m s.l.m. In taluni casi (es. Dora Baltea) le fasce altimetriche poste sopra il limite di m s.l.m. sono molto estese ed il regime si mantiene con una tipologia nivoglaciale anche in pianura, tanto che la zona mista risulta molto compressa verso valle, anche fino a risultare assente. Possono costituire ambienti M anche i corsi d acqua con bacini interamente o in buona parte, impostati in fasce altimetriche inferiori al limite climatico dello zero termico medio mensile di gennaio, con regime idrologico pluviale non classificabili in S per condizioni evidentemente adatte ai ciprinidi reofili e nei quali l eventuale presenza di salmonidi è sostenuta da immissioni. oppure di risalita dal corpo idrico recettore. Corsi d acqua dell area di pertinenza appenninica (Z2 e Z3) nelle medie vallate dei principali bacini, generalmente in ambienti posti sotto il limite dello zero termico medio di gennaio e con regime idrologico francamente pluviale, ma con portata specifica di magra normale estiva pari o superiore a 2 l/s/km 2 verso Nord o anche ad 1,5 l/s/km 2 nell Appennino centrale. Nei bacini con apprezzabili estensioni areali delle fasce altimetriche prossime al limite climatico dello zero termico medio del trimestre invernale il passaggio dalla zona S alla zona M può risultare inferiore al limite succitato, fino anche a m s.l.m. Nelle porzioni superiori dei bacini con fasce altimetriche elevate meno estese, ma con altitudine massima almeno superiore al limite climatico dello zero termico di gennaio, risulta assente la zona S e la classificazione in zona M può interessare tutto il reticolo idrografico. Le portate medie annue sono variabili in funzione dell estensione dei bacini sottesi, caratterizzate da valori specifici relativamente elevati per l abbondanza delle precipitazioni tardo autunnali ed invernali. Il regime pluviometrico presenta uno spiccato minimo estivo; mancano i contributi dei serbatoi nivali che viceversa caratterizzano i bacini alpini impostati su fasce altimetriche ben più elevate. Di conseguenza il minimo idrologico è estivo, ma con portate specifiche di magra normale raramente inferiori a 2 l/s/km 2 sul versante padano e a 1,5 l/s/km 2 verso Sud. Tale situazione idrologica consente comunque deflussi estivi sufficienti ed il mantenimento di condizioni idrauliche idonee ad organismi reofili. Le pendenze rimangono relativamente elevate, intorno a 2 5 % (talora anche leggermente inferiori) e si hanno alternanze di situazioni di erosione e di depositi insieme ad una accentuata diversificazione dei materiali litoidi; si possono rinvenire brevi tratti con fondali profondi con roccia in posto, zone con ghiaie talora grossolane e addirittura con massi ed altre zone dominate da materiali con granulometrie decisamente più fini, fino alla sabbia, ma raramente pelitici. C (zona ciprinicola - temperature massime estive > 20 C). Corsi d acqua dell area di pertinenza alpina (Z1) con superfici dei bacini imbriferi molto variabili, talora costituenti i tratti terminali e di limitata lunghezza dei principali tributari del Po e dell alto Adriatico ed a valle delle zone S e soprattutto M. Possono anche costituire tratti fluviali molto più estesi quando alimentati da bacini di grandi dimensioni che, pur presentando fasce altimetriche elevate, quindi caratterizzati superiormente da regimi nivopluviali o addirittura nivoglaciali in testata, sono anche costituiti da ampie superfici sotto il limite climatico dello zero termico medio di gennaio; sono tipici esempi i fiumi Po e Sesia. In altri casi costituisco quasi l intero reticolo idrografico dei bacini collinari e/o impostati su fasce altimetriche tipicamente di pianura. Il regime idrologico è tipicamente pluviale, in qualche raro caso di transizione con il nivopluviale. Per questa tipologia ambientale la portata di magra normale è estiva, con valori specifici comunque non inferiori a 2 l/s/km 2. Alvei caratterizzati da pendenze inferiori al 2 %, con assenza di salti naturali invalicabili per l ittiofauna. La granulometria prevalente è costituita da ghiaia (soprattutto fine/media quando presente) e da 23

25 vasti banchi di sabbia e/o di peliti. Sono ambienti generalmente caratterizzati da una elevata produttività e da una fauna ittica ben diversificata. Corsi d acqua dell area di pertinenza appenninica (Z2 e Z3) nelle aree di pianura, solitamente a quote inferiori a 200 m s.l.m., a valle delle zone M quando alimentati da bacini con estese fasce altimetriche superiori al limite climatico dello zero termico medio di gennaio o con altitudini massime prossime al limite climatico dello zero termico medio del trimestre invernale. I reticoli idrografici alimentati da bacini con altitudini massime inferiori a quello dello zero termico di gennaio sono interamente classificabili nella zona C. Anche per questi ambienti le portate medie annue sono assai variabili in funzione delle estensioni dei bacini sottesi, ma ciò che più interessa è il regime medio, caratterizzato da forti magre estive, con valori specifici anche significativamente inferiori a 2 l/s/km 2 (fino a meno di 0,5 l/s/km 2 verso Sud), spesso su ampi letti fluviali dominati da materiali prevalentemente pelitici, con qualche banco di sabbia e qualche ghiareto, per la modesta pendenza (< 1 %). I più piccoli corsi d acqua di origine collinare presentano granulometrie dei fondali più grossolane e pendenze più accentuate, ma la magra estiva rimane il maggiore fattore limitante, accentuato dalle minori superfici dei bacini sottesi. 6 - COMUNITÀ ITTICHE DI RIFERIMENTO Un qualunque indice di valutazione dello stato di una data cenosi si basa sul confronto tra quella effettivamente rilevata in fase di campionamento con quella attesa (comunità di riferimento) per una determinata tipologia ambientale nell ambito dell areale idro-geografico in cui essa è compresa. Ciò vale anche per l ittiofauna; pertanto è importante definire le comunità tipiche potenzialmente riscontrabili nelle diverse zone (tipologie A, S, M e C) descritte nel precedente capitolo nell ambito delle diverse aree e sub-aree (Z) individuate nei distretti padano veneto (Dpv) e tosco-laziale (Dtl) e descritte nel capitolo terzo (fig. 1). Merita precisare comunque che le zone e le aree e sub-aree sono individuate non soltanto mediante criteri geografici, geomorfologici ed idrologici, ma anche in funzione degli areali di distribuzione originari delle diverse specie ittiche (cfr. carte in appendice). La tab. 8 mette in evidenza le analogie e le differenze tra i gruppi delle specie più rappresentative nei distretti e nelle principali aree. Tab. 8 - Elenchi delle specie ittiche autoctone (AUr) più rappresentative dell area Z1, delle sub-aree Z2.1 e Z2.2 (nell ambito del Distretto padano-veneto Dpv) e dell area Z3 (Distretto tosco-laziale Dtl). Distretto padano-veneto (Dpv) Distretto tosco-laziale Z1 - PERTINENZA ALPINA PERTINENZA APPENNINICA (Dtl - Z3) (Z1.1, Z1.2 e Z1.3) Z2.1 - versante padano Z2.2 - versante adriatico Anguilla Anguilla Anguilla Anguilla Vairone Vairone Vairone Vairone Cavedano Cavedano Cavedano Cavedano Scardola Scardola Scardola Scardola Barbo Barbo Barbo Barbo Gobione Gobione Gobione Lasca Lasca Lasca Ghiozzo padano Ghiozzo padano Ghiozzo padano Triotto Triotto Triotto Alborella Alborella Barbo canino Barbo canino Savetta Cobite Cobite Luccio Luccio Luccio Rovella Ghiozzo di ruscello Trota macrostigma Sanguinerola Trota marmorata Temolo Scazzone 18 specie 13 specie 9 specie 9 specie 24

26 Tab. 9 - Elenco delle specie ittiche con indicazione dei valori intrinseci (V), con valore positivo per quelle entro gli areali di distribuzione originari (AU), con valore -1 per quelle estranee (AL) e con valore 0 per quelle (A0) ai margini (accidentali), o di presenza incerta. Valori espressi in funzione delle aree e sub-aree (Z) e delle zone (A, S, M e C). Sono evidenziate le specie (AUr) utili ai fini dell individuazione delle comunità ittiche di riferimento. Il numero totale di specie AU (AUt) comprende anche quelle Aur. Tutte le specie non elencate sono considerate AL (-1). Z1.1 Z1.2 Z1.3 Z2.1 Z2.2 Z3 A S M C A S M C A S M C S M C S M C S M C Storione cobice Storione comune Storione ladano Anguilla Agone/cheppia/alosa Alborella Barbo canino Barbo Lasca Savetta Gobione Cavedano Vairone Sanguinerola Triotto Pigo Rovella Scardola Tinca Cobite Cobite mascherato Cobite barbatello Bottatrice Spinarello Cagnetta Ghiozzo di ruscello Panzarolo Ghiozzo padano Persico reale Luccio Carpione Garda (1) Carpione Fibreno (2) -1 Trota macrostigma Trota marmorata Salmerino alpino Temolo Scazzone Totale specie AU (AUt) Totale specie Aur (AUrt) ) V = 9 esclusivamente nei tratti terminali degli imissari e nel tratto iniziale dell emissario del lago del Garda. 2) V = 9 esclusivamente nei tratti terminali degli imissari e nel tratto iniziale dell emissario del lago di Posta Fibreno. La tab. 9, per ogni tipologia ambientale e per ciascuna area o sub-area, riporta l elenco delle specie presenti nell ambito degli areali di distribuzione originari e quindi considerate autoctone (AU), con indicazione del valore intrinseco positivo V (quello nell ultima colonna di tab. 2) se riscontrabili nelle tipologie ambientali adatte alla loro biologia, evidenziando, inoltre, le specie (AUr) ritenute importanti per la caratterizzazione delle comunità di riferimento (tab. 10). Alle specie (AL) fuori dai loro areali di distribuzione originari e comprese quelle alloctone rispetto al territorio italiano, si assegna un valore intrinseco negativo V =

27 Tab Elenco delle specie ittiche autoctone (Aur e loro valore intrinseco V ) utili ai fini dell individuazione delle comunità ittiche di riferimento in funzione delle aree e sub-aree (Z), con indicazione degli indici di rappresentatività (Ir) più probabili, dei punteggi P (V Ir) per ogni singola specie, del numero totale di specie (AUrt) e del risultante valore dell Indice Ittico (I.I.). Z1.1 Z1.2 Z1.3 Z2.1 Z2.2 Z3 Specie Aur V A S M C A S M C A S M C S M C S M C S M C Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Ir P Anguilla Alborella Barbo canino Barbo Lasca Savetta Gobione Cavedano Vairone Sanguinerola Triotto Rovella Scardola Cobite Ghiozzo di ruscello Panzarolo Ghiozzo padano Luccio Trota macrostigma Trota marmorata Temolo Scazzone AUrt Valore I.I

28 In linea di massima si osserva un incremento delle specie Au e Aur dalle zone superiori (A ed S) a quelle inferiori, netto al passaggio salmonicola - mista. Il maggior numero di specie si riscontra nell area di pertinenza alpina (Z1); un po meno ricco è il versante padano appenninico (Z2.1), con una diminuzione più evidente in quelli adriatico e tirrenico. Alle specie (A0) presenti nell area o sub-area nell ambito dei loro areali di distribuzione originari, ma in tipologie ambientali non adatte (solitamente pesci spiccatamente limnofili in zone superiori; es. scardola o alborella nelle zone A o S), oppure a quelle rispetto alle quali si nutrono dubbi, si assegna un valore intrinseco V = DETERMINAZIONE DELL INDICE ITTICO I campionamenti si effettuano soprattutto con la pesca elettrica, senza escludere reti e visual-census. I migliori risultati si ottengono nelle situazioni di magra; non si escludono altri momenti, quando le situazioni idrologiche e termiche lo permettano. In inverno è possibile effettuare campionamenti in particolari condizioni, oggetto di giudizio degli ittiologi. I rilievi, ai fini dell Indice Ittico, sono qualitativi e semiquantititativi, con copertura di ampie superfici sottese, con un passaggio con elettrostorditore. L azione di pesca deve essere accurata, avendo cura di esplorare i diversi microambienti, per garantire la massima probabilità di cattura di tutte le specie presenti ed una buona attendibilità sulla stima dell entità delle popolazioni e delle loro strutture. I parametri relativi alle dimensioni dell ambiente di campionamento sono la larghezza Pb-med [m] e la lunghezza L [m] dell alveo bagnato, tenendo conto dei limiti dell azione dell elettropesca, spesso nelle zone più accessibili presso le rive, nei fiumi di maggiore portata. Conviene stabilire dei limiti relativi alla lunghezza della stazione oggetto di campionamento; in linea di massima vale una lunghezza compresa tra 10 e 20 volte la larghezza (fig. 3) in funzione delle caratteristiche ambientali della stazione stessa e comunque con L 10 m. Non sono limiti rigorosi, in quanto molto dipende dalle condizioni del tratto fluviale oggetto di campionamento. Per un corso d acqua con Pb-med = 4 m, risulta una lunghezza consigliata della stazione L m. Ma in un torrente caratterizzato da scarsa portata e da profondità massime inferiori a 0,5 m, quindi con ogni sua porzione facilmente esplorabile con l anodo e con presenza esclusiva di salmonidi (o con lo scazzone quale unica specie di accompagnamento), si può ipotizzare una lunghezza minore, pari a L 50 m. Nel caso in cui la corrente sia troppo veloce per la sicurezza dell operatore e con zone troppo profonde per l azione dell anodo delle apparecchiature solitamente impiegate nei torrenti alpini (più leggere e più comode, ma meno potenti), potrebbe risultare necessario estendere la lunghezza della stazione anche fino al limite massimo L max 130 m. Fig. 3 - Diagramma rappresentativo della relazione tra la lunghezza (L) della stazione interessata dal campionamento ed il perimetro bagnato medio (Pb-med) della stessa, molto indicativamente entro la funzione L (10 20) Pb-med. La fascia in azzurro più intenso e delimitata dalle linee blu rappresenta le condizioni dimensionali consigliate per l attendibilità del campionamento. L area esterna in azzurro più chiaro rappresenta la tolleranza dimensionale della stazione per situazioni particolari (più difficili sopra o più semplici in basso), mentre le linee rosse indicano i limiti estremi oltre i quali il campionamento interessa una lunghezza troppo breve ai fini della massima probabilità di rinvenimento di tutte (o quasi) le specie o troppo lunga, cioè che potrebbe interessare tipologie ambientali diverse da quelle della stazione in studio. In ogni caso L 10 m. 27

29 Nei grandi fiumi, per oggettive difficoltà dovute alla scarsa o nulla accessibilità di una o più zone entro la stazione di campionamento, anche con l ausilio di una imbarcazione o a causa dell inefficacia dell azione dell anodo in acque troppo profonde, l area campionata potrebbe risultare una frazione rispetto a quella totale della stazione. Anche in tali casi, per incrementare la probabilità di cattura del maggior numero delle specie presenti, conviene estendere il parametro L. In un corso d acqua con Pb-med = 30 m dovrebbe valere L = m. In difficili condizioni di campionamento, tenuto conto che in alcune porzioni della stazione non è possibile operare, conviene considerare una lunghezza vicina al valore superiore; a volte ciò non è sufficiente e occorre andare oltre, ma non sopra il valore L max = 700 m o poco più. Si ritiene poco opportuno indicare valori estremi L max e L min ; in fondo ciò che conta è la garanzia di cattura di tutte le specie potenzialmente presenti. In realtà occorre considerare che la L min impone condizioni minime al di sotto delle quali si ipotizza uno sforzo di pesca insufficiente. La L max è importante, in quanto non si può estendere eccessivamente il parametro di lunghezza della stazione. La fig. 3 individua L 800 m anche per i più grandi fiumi. Lunghezze superiori potrebbero interessare tratti fluviali caratterizzati da ambienti diversi, rispetto ai quali potrebbe risultare utile individuare altre stazioni, in quanto abitate da comunità ittiche diverse. Per ogni specie si riportano dati indicativi della consistenza e della struttura di popolazione secondo lo schema descritto in tab. 11. Si utilizza un indice di abbondanza (Ia) composto da un numero e da una lettera. Per esempio 2a significa specie presente con popolazione strutturata, 3b significa specie abbondante con popolazione non strutturata per assenza o quasi di adulti, 1c significa specie sporadica con popolazione non strutturata per assenza o quasi di giovani. 15 Ia Descrizione Tab Indici di abbondanza e di struttura di popolazione delle specie ittiche (Ia). Assente (qualora, durante un campionamento, risultassero assenti individui di una determinata specie, quando 0 invece le condizioni ambientali presupporrebbero diversamente, occorrono verifiche a monte ed a valle, controllare la letteratura (se esistente) e procedere ad interviste presso i pescatori locali. Specie sporadica (cattura di pochissimi individui, anche di un solo esemplare; tanto da risultare poco significativa 1 ai fini delle valutazioni sulle caratteristiche della comunità ittica e di quelle ambientali; sotto il profilo puramente numerico si evidenziano rischi circa la capacità di automantenimento della specie). 2 Specie presente (pochi individui, ma in numero probabilmente sufficiente per l automantimento). 3 Specie abbondante (molti individui, senza risultare dominante). 4 Specie molto abbondante (cattura di molti individui, spesso dominante). a b c Popolazione strutturata (individui di diverse classi di età; presenti sia i giovani, sia individui in età riproduttiva). Popolazione non strutturata (assenza, o quasi, di adulti; prevalenti o esclusivi individui giovani). Popolazione non strutturata (assenza, o quasi, di giovani; prevalenti o esclusivi individui adulti). Le modalità per la determinazione degli indici di abbondanza (Ia; tab. 11) sono generiche; non sono forniti precisamente i criteri che permettono l attribuzione dei valori Ia = 1, 2, 3 e 4. È una questione non ancora risolta ma importante, in quanto, per quanto riguarda l I.I., si vogliono evitare campionamenti di tipo quantitativo, solitamente onerosi e non sempre affidabili. Si ammette la soggettività dell ittiologo che effettua i campionamenti e ciò rappresenta una impostazione metodologica che ha caratterizzato molti studi fin qui effettuati. Non ci si pone l obiettivo di risolvere questo problema, ma occore stabilire almeno i criteri che individuano il passaggio dall indice Ia ad un altro indice Ir (indice di rappresentatività), utile ai fini dell I.I. In particolare si propone il seguente schema: Ir = 1,0 per Ia = 1 (indipendentemente dalla struttura di popolazione); Ir = 1,5 per Ia = 2/3 (con struttura di popolazione b o c ); Ir = 2,0 per Ia = 2/3 (con struttura di popolazione a ); Ir = 2,0 per Ia = 4 (indipendentemente dalla struttura di popolazione). Tale distinzione permette l applicazione dell I.I., mentre l annotazione per tutti i valori Ia fornisce indicazioni di carattere molto generale sulla consistenza delle popolazioni ittiche. Quando, per una determinata specie, si riscontra una abbondanza molto elevata, tanto da risultare, in modo evidente, dominante rispetto alla comunità ittica nel suo complesso, si pone Ia = 4 ed Ir = 2,0 indipendentemente dalla struttura di popolazione. Importante 15 Con Ia = 1, può essere difficile descrivere la struttura di popolazione. In molti casi, rimane soltanto l indicazione del numero (1). Per alcune specie (solitamente predatori ai vertici della catena alimentare) l indice 1 neppure è indicativo dell abbondanza, in quanto è normale la presenza di pochi individui. 28

30 risulta individuare i criteri per il passaggio, su base numerica, dell indice Ir dal valore 1,0 al valore 2,0 per valori Ia 4; essi sono descritti in tab. 12, con l avertenza di utilizzare il valore intermedio (Ir = 1,5) per le popolazioni relative alle specie che, in fase di campionamento, risultano destrutturate ( b e c ). Tab Numero minimo di individui (N) affinchè una specie possa considerarsi almeno presente (Ir 1,5). In blu sono indicate le specie autoctone (AU) per i distretti padano-veneto (Dpv) e tosco-laziale (Dtl) considerati nel loro insieme. In rosso sono indicate le specie alloctone (AL). Specie (denominazione volgare) N Barbo, lasca, cavedano, alborella, rovella, vairone, ghiozzo padano e alborella meridionale Barbo canino, scardola, sanguinerola, triotto, gobione, savetta e ghiozzo di ruscello. 15 Agone/cheppia/alosa, temolo, panzarolo, lavarello, bondella e gambusia. 10 Anguilla, pigo, tinca, cobite, cobite barbatello, persico reale, trote (marmorata e suoi ibridi, macrostigma, del Garda, del Fibreno, iridea e fario), salmerini alpino 17 e di fonte, persico sole, persico trota, Ictalurus sp. 18, cagnetta, scazzone, carpa, carpa erbivora, Carassius sp. 19 5, pesce rossso, pseudorasbora, aspio, gardon, rodeo amaro, abramide e barbo d oltralpe. Cobite mascherato, spinarello, acerina e misgurno. 3 Storioni (comune, cobice e ladano), bottatrice, luccio, siluro e lucioperca. 2 Per le specie con N < 5 vale Ir = 1 per Ia = 1 e Ir = 2 per Ia > 1, indipendentemente dalla struttura di popolazione (si esclude il valore V = 1,5). In fase di campionamento si compila una scheda già predisposta, ove sono indicate le specie AU e A0 delle liste delle tab. 9 relative all area o la sub-area di pertinenza con i relativi valori intrinseci (V) e con lo spazio utile per riportare le eventuali specie AL, assegnando a ciascuna l indice Ir ed attribuendo la tipologia ambientale (Tp = una delle zone ittiche A, S, M o C) all ambiente campionato. Per ogni specie si calcola il punteggio P = V Ir, dove Ir = 1,0-1,5-2,0 secondo i criteri descritti in tab. 12. Per ciascuna specie può risultare P = V se sporadica, oppure P = 1,5V - 2,0V se presente o abbondante o molto abbondante. Dalla somma dei punteggi si ottiene l I.I. In molti casi le specie esotiche non sono importanti nel condizionare il risultato finale, ma lo influenzano abbassandolo un poco. In altri casi tale influenza è significativa, quando sono presenti più specie alloctone e con buone popolazioni. In tratti fluviali con popolazioni numerose di persico sole, persico trota e pesci rossi (situazione non rara), essendo per ciascuna P = V I = (-1) 2 = -2, risulta un abbassamento dell I.I. di ben 6 punti. In alcune situazioni può risultare una predominanza delle specie alloctone, con conseguente forte decremento del valore dell I.I., fino anche ad assumere valori negativi. 8 - CONCLUSIONI: STATO DELLE COMUNITÀ ITTICHE Al punto dell Allegato V della Direttiva 2000/60/CE vengono descritte le condizioni di qualità in funzione delle definizioni degli stati ecologici elevato, buono e sufficiente. Per quanto attiene la fauna ittica risulta quanto segue: I. Stato elevato. Composizione e abbondanza delle specie che corrispondono totalmente o quasi alle condizioni inalterate. Presenza di tutte le specie sensibili alle alterazioni tipiche specifiche. Strutture di età delle comunità 20 ittiche che presentano segni minimi di alterazioni antropiche e non indicano l incapacità a riprodursi o a svilupparsi di specie particolari. II. Stato buono. Lievi variazioni della composizione a abbondanza delle specie rispetto alle comunità tipiche specifiche, attribuibili agli impatti antropici sugli elementi di qualità fisico - chimica e idromorfologica. Strutture di età delle comunità 20 ittiche che presentano segni di alterazioni attribuibili a impatti antropici sugli elementi di qualità fisico-chimica o idromorfologica e, in taluni casi, indicano l incapacità a riprodursi o a svilupparsi di una specie particolare che può condurre alla scomparsa di talune classi d età. 16 Specie alloctona nei distretti padano-veneto (Dpv) e tosco-laziale (Dtl). 17 Specie per la quale si nutrono forti dubbi circa la sua autoctonia (Piccinini et al., 2004; Betti, 2006). Per essa vale P = 0 esclusivamente in Z1.2 e Z Comprende Ictalurus melas (pesce gatto), Ictalurus punctatus (pesce gatto punteggiato) e Ictalurus nebulosus (pesce gatto nebuloso). 19 Comprende Carassius carassius (carassio) e Carassius auratus (pesce rosso). 20 Probabilmente si intende delle popolazioni anziché comunità. 29

31 III. Stato sufficiente. Composizione e abbondanza delle specie che si discostano moderatamente dalle comunità tipiche specifiche a causa di impatti antropici sugli elementi di qualità fisico - chimica o idromorfologica. Strutture di età delle comunità 20 ittiche che presenta segni rilevanti di alterazioni antropiche che provocano l assenza o la presenza molto limitata di una percentuale moderata delle specie tipiche specifiche. Inoltre alla lettera A dell Allegato 1 del Decreto Legislativo 152/2006, in coerenza con la succitata Direttiva, tra gli elementi qualitativi per la classificazione dello stato ecologico riguardanti i fiumi (A.1.1) prevede anche la composizione, abbondanza e struttura di età della fauna ittica, con le stesse indicazioni sopra elencate. Inoltre, a proposito del monitoraggio dello stato ecologico e chimico delle acque superficiali (A3), prevede, per quanto attiene l ittiofauna, campionamenti da effettuarsi periodicamente e con frequenza temporale non superiore a 3 anni. L Indice Ittico riassume, in un unico valore di sintesi, i punti succitati. Infatti tiene conto: del numero di specie che costituiscono la comunità ittica, con valore dell I.I. tanto più elevato quanto più numerose sono le specie autoctone (AU) considerate con valore intrinseco (V) positivo; in sostanza con una valutazione analoga a quella proposta da Bianco (1990) sull impiego di indici e di coefficienti per la valutazione dello stato di degrado dell ittiofauna autoctona delle acque dolci ; dell abbondanza di ciascuna specie attraverso la valutazione dell indice di abbondanza (Ia) e soprattutto dell indice di rappresentatività (Ir); infatti con Ir = 1 potrebbero risultare serie difficoltà per l automantenimento; con Ir = 1,5 risultano più o meno evidenti problemi circa lo stato della popolazione; con Ir = 2 risulta una popolazione strutturata ed anche relativamente o molto abbondante; della presenza di specie alloctone (AL) che contribuiscono ad abbassare l I.I. (V negativo), in quanto la loro presenza è considerata un grave impatto negativo, quasi sempre irreversibile. L I.I. porta a valori bassi per i torrenti nelle testate dei bacini, per esempio zone A dell area Z1, popolati da trote fario di immissione, talora insieme a una o poche specie di accompagnamento. Dal punto di vista naturalistico, in funzione della ricchezza biologica (diversità numero di specie) e della presenza di specie rare e/o endemiche e/o che destano preoccupazione per il loro stato di conservazione, tali ambienti presentano comunità ittiche poco interessanti, quasi esclusivamente sostenute da immissioni ai fini alieutici. L interesse naturalistico aumenta verso valle, dove le condizioni ambientali permettono la presenza di un numero crescente di specie. Ciò non è in contraddizione rispetto alla definizione pregiate frequentemente data alle acque montane. Esse presentano generalmente una migliore qualità chimica e biologica, in ambienti caratterizzati da elevata qualità paesaggistica ed interessanti per l attività alieutica. Questi aspetti si riferiscono a valori antropici che, seppure importanti e meritevoli di attenzione per la gestione del territorio, non sono coerenti con una oggettiva qualificazione del valore naturalistico basato soprattutto sulla ricchezza biologica. Verso valle, soprattutto nelle zone M e C, gli indici I.I. sono più elevati. In tali situazioni il riscontro di indici bassi è probabile conseguenza di alterazioni e pertanto, seppure con cautela, gli I.I. si possono utilizzare anche come indici di qualità ambientale, in diversi casi anche nelle zone S. La tab. 10 esprime i possibili valori dell I.I. in condizioni ideali, in funzione delle aree e sub-aree (Z), delle tipologie ambientali (A, S, M e C), delle possibili comunità ittiche di riferimento ed ipotizzando l assenza di specie esotiche. Gli indici più elevati sono quelli relativi alle zone miste e ciprinicole, ma relativamente buono risulta l indice relativo alla zona salmonicola in Z1. Come atteso risulta invece un indice basso per la zona alpina (A) e relativamende modesto per la zona salmonicola (S) nelle aree di pertinenza appenninica (Z2 e Z3), dove sono probabili poche specie. Il numero di specie aumenta verso valle. Nell area di pertinenza alpina (Z1), la comunità di riferimento della zona A è costituita soltanto da trota e scazzone; in S si aggiungono temolo, vairone e barbo canino, ma il numero di specie diventa significativo (12/13) nella zona mista (M), in quanto ai pesci precedenti si aggiungono ciprinidi tipicamente reofili; analoga diversificazione risulta per la zona ciprinicola (C). Nell area di pertinenza appenninica si passa da due specie (vairone e barbo canino, talora anguilla) nella zona salmonicola a 5 9 specie nella zona mista e a 7 12 specie in quella ciprinicola. Le due aree Z2 e Z3 si distinguono bene rispetto alla Z1 soprattutto per l asenza di trota marmorata e temolo, mentre del tutto occasionale risulta lo scazzone nel reticoloidrografico di pertinenza appenninica. Sulla base delle precedenti osservazioni si può quindi affermare che l I.I. esprime un valore assoluto di qualità naturalistica che permette confronti tra le comunità ittiche dei diversi ecosistemi fluviali qualunque essi siano, anche ai fini applicativi di tutela e gestione delpatrimonio ittico secondo quanto già illustrato in introduzione. Tale valore può anche essere interpretato sulla base di quello atteso rispetto alle comunità di riferimento arrivando quindi ad esprimere una classe di qualità (CQ) in funzione dello stato di conservazione/alterazione della comunità ittica in esame. Considerando quindi i valori dell Indice Ittico indicati, in tab. 10, 30

32 rappresentativi delle comunità ittiche di riferimento per le diverse zone nelle diverse aree e sub-aree, si propone la divisione in classi di qualità (Cl) secondo quanto proposto in tab. 11. Tab Classi di qualità (CQ = I V) in funzione dell Indice Ittico I.I. nelle aree e sub-aree (Z) in funzione delle tipologie ambientali (Tp: zone Alpina A, Salmonicola S, Mista M e Ciprinicola C ). I - Stato II - Stato III - Stato IV - Stato V - Stato Distretti, aree e sub-aree Tp elevato buono sufficiente scadente pessimo Dpv (Distretto padano - veneto) Z1 (area di pertinenza alpina) Z2 (area di pertinenza appenninica) Dtl (Distretto tosco - laziale) Z1.1 (sub-area di pertinenza alpina occidentale sul versante padano) Z1.2 (sub-area di pertinenza alpina centrale sul versante padano) Z1.3 (sub-area di pertinenza alpina orientale sul versante adriatico) A > < 3 S > < 5 M > < 6 C > < 7 A > < 3 S > < 5 M > < 6 C > < 7 A > < 3 S > < 5 M > < 5 C > < 6 S > < 4 M > < 5 Z2.1 (sub-area di pertinenza appenninica sul versante padano) C > < 6 Z2.2 (subarea di S > < 4 pertinenza appenninica M > < 4 sul versante adriatico) C > < 5 S > < 3 Z3 M > < 4 C > < BIBLIOGRAFIA (Autori citati) AUTORI VARI, I.F.F. Indice di Funzionalità fluviale. Agenzia Nazionale per la Protezione dell Ambiente. Roma. BADINO G., FORNERIS G., PASCALE M., PEROSINO G.C., La fauna ittica della Provincia di Torino. Riv. Piem. St. Nat., XXIV: Carmagnola (To). BADINO G., FORNERIS G., PEROSINO G.C., Ecologia dei fiumi e dei laghi. Regione Piemonte. EDA, Torino. BETTI L., Ragioni zoogeografiche, autoecologiche e storiche a sostegno dell autoctonia della popolazione di salmerino alpino (Salvelinus alpinus L.) delle Alpi centro-meridionali. Atti X Conv. Naz. A.I.I.A.D. Montesilvano (Pescara), 2-3 aprile Biologia Ambientale, 20 (1): BIANCO P.G., L inquadramento zoogeografico dei pesci d acqua dolce d Italia e problemi determinati dalle falsificazioni faunistiche. Atti II Conv. Naz. AIIAD Biologia e gestione dell ittiofauna autoctona di Torino (5-6 giugno 1987): Assessorati Pesca della Regione Piemonte e della Provincia di Torino. BIANCO P.G., Proposta di impiego di indici e di coefficienti per la valutazione dello stato di degrado dell ittiofauna autoctona delle acque dolci. Atti III Conv. Naz. A.I.I.A.D. (Perugia, settembre 1989). Riv. Idrobiol. 29,1: Assisi (Pg). BIANCO P.G., Inquadramento zoogeografico dell ittiofauna continentale autoctona nell ambito della sottoregione euro - mediterranea. Atti IV Con. Naz. AIIAD Distribuzione della fauna ittica italiana di Trento (12-13 dicembre 1991): Provincia Autonoma di Trento. Istituto Agrario di S. Michele all Adige. BOANO G., PEROSINO G.C., SINISCALCO C., Sistemi di analisi naturalistiche relative alla redazione di rapporti di compatibilità ambientale ed alla predisposizione di strumenti per la pianificazione, tutela e gestione delle risorse naturali. Settore Tutela della Fauna e della Flora della Provincia di Torino. BRUCE J.P., CLARK R.H., Introduction to hydrometeorology. Pèrgamon Press, Toronto. BRUNO S., Pesci e crostacei d acqua dolce. Giunti, Firenze. COLANTONI P., FABBRI A., ROSSI E., SARTORI R., Panoramica sulla geologia dei mari italiani. Acqua - Aria, 8:

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35 STORIONE COBICE Acipenser naccarii STORIONE COMUNE Acipenser sturio Areale Distribuzione Stato Specie Valore intrinseco Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione AD = 1 AD = 3 ST = 3 V = AD ST = 3 3 = 9 ST = 3 V = AD ST = 1 3 = 3 34

36 STORIONE LADANO Huso huso ANGUILLA Anguilla anguilla Areale Distribuzione Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie Valore intrinseco AD = 2 ST = 3 V = AD ST = 2 3 = 6 AD = 1 ST = 2 V = AD ST = 1 2 = 2 35

37 AGONE/CHEPPIA/ALOSA Alosa fallax ALBORELLA Alburnus alburnus alborella Areale Distribuzione AD = 2 Stato Specie ST = 2 Valore intrinseco V = AD ST = 2 2 = 4 Areale Distribuzione AD = 3 Stato Specie ST = 1 Valore intrinseco V = AD ST = 3 1 = 3 36

38 BARBO CANINO Barbus meridionalis caninus BARBO Barbus plebejus Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie ST = 2 V = AD ST = 3 2 = 6 AD = 2 ST = 1 Areale Distribuzione AD = 3 Valore intrinseco V = AD ST = 2 1 = 2 37

39 Areale Distribuzione AD = 3 LASCA Chondrostoma genei SAVETTA Chondrostoma soetta Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie ST = 2 V = AD ST = 3 2 = 6 AD = 3 ST = 2 Valore intrinseco V = AD ST = 3 2 = 6 38

40 GOBIONE Gobio gobio CAVEDANO Leuciscus cephalus Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie ST = 1 V = AD ST = 1 1 = 1 AD = 1 ST = 1 Areale Distribuzione AD = 1 Valore intrinseco V = AD ST = 1 1 = 1 39

41 VAIRONE Leuciscus souffia SANGUINEROLA Phoxinus phoxinus Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie ST = 2 V = AD ST = 2 2 = 4 AD = 1 ST = 2 Areale Distribuzione AD = 2 Valore intrinseco V = AD ST = 1 2 = 2 40

42 TRIOTTO Rutilus erythrophthalmus PIGO Rutilus pigus Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie ST = 1 V = AD ST = 3 1 = 3 (AD = 3 ST = 2 Areale Distribuzione AD = 3 Valore intrinseco V = AD ST = 3 2 = 6 41

43 ROVELLA Rutilus rubilio SCARDOLA Scardinius erythrophthalmus Areale Distribuzione AD = 3 Stato Specie ST = 2 Valore intrinseco V = AD ST = 3 2 = 6 Areale Distribuzione AD = 1 Stato Specie ST = 1 Valore intrinseco V = AD ST = 1 1 = 1 42

44 TINCA Tinca tinca COBITE Cobitis taenia bilineata Areale Distribuzione Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie Valore intrinseco AD = 1 ST = 1 V = AD ST = 1 1 = 1 AD = 2 ST = 2 V = AD ST = 2 2 = 4 43

45 COBITE MASCHERATO Sabanejewia larvata COBITE BARBATELLO Barbatula barbatula Areale Distribuzione Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie Valore intrinseco AD = 3 ST = 3 V = AD ST = 3 3 = 9 AD = 1 ST = 2 V = AD ST = 1 2 = 2 44

46 BOTTATRICE Lota lota SPINARELLO Gasterosteus aculeatus Areale Distribuzione Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie Valore intrinseco AD = 1 ST = 2 V = AD ST = 1 2 = 2 AD = 2 ST = 2 V = AD ST = 2 2 = 4 45

47 CAGNETTA Salaria fluviatilis GHIOZZO DI RUSCELLO Padoobius nigricans Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie ST = 2 V = AD ST = 2 2 = 4 AD = 3 ST = 2 Areale Distribuzione AD = 2 Valore intrinseco V = AD ST = 3 2 = 6 46

48 PANZAROLO Knipowitschia punctatissima GHIOZZO PADANO Padogobius martensii Areale Distribuzione AD = 3 Stato Specie ST = 3 Valore intrinseco V = AD ST = 3 3 = 9 Areale Distribuzione AD = 3 Stato Specie ST = 1 Valore intrinseco V = AD ST = 3 1 = 3 47

49 PERSICO REALE Perca fluviatilis LUCCIO Esox lucius Stato Specie Valore intrinseco Areale Distribuzione Stato Specie ST = 1 V = AD ST = 1 1 = 1 AD = 1 ST = 2 Areale Distribuzione AD = 1 Valore intrinseco V = AD ST = 1 2 = 2 48

50 TROTA MACROSTIGMA Salmo [trutta] macrostigma TROTA MARMORATA Salmo [trutta] marmoratus Areale Distribuzione AD = 2 Stato Specie ST = 2 Valore intrinseco V = AD ST = 2 2 = 4 Areale Distribuzione AD = 3 Stato Specie ST = 2 Valore intrinseco V = AD ST = 3 2 = 6 49

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