Assegno divorzile: addio al parametro del tenore di vita

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1 Assegno divorzile: addio al parametro del tenore di vita Commento a Cass. Civile, sez. I, 10/05/2017, n Gli effetti dell estinzione del vincolo matrimoniale I presupposti dell assegno divorzile: il giudizio bifasico l interpretazione del sintagma normativo mezzi adeguati e l individuazione dell indispensabile parametro di riferimento, al quale rapportare l adeguatezza 3.1 l orientamento tradizionale e le critiche della Suprema Corte 3.2 L individuazione di un parametro diverso: l indipendenza economica 4. Conclusioni 1. Gli effetti dell estinzione del vincolo matrimoniale La Corte di Cassazione nella sentenza in oggetto individua, quale presupposto per il riconoscimento del diritto all assegno divorzile, alla luce di un interpretazione storico-evolutiva, che il richiedente sia privo di indipendenza o autosufficienza economica, superando così il precedente consolidato orientamento che individuava, invece, come parametro di riferimento lo stile di vita tenuto in costanza di matrimonio. Ai fini della disamina della questione, è opportuno premettere che, una volta sciolto il matrimonio civile (o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso) sulla base dell accertamento giudiziale, passato in giudicato il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi

2 persone singole, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali (art. 191 c.c., comma 1) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 143 c.c., comma 2), fermo ovviamente, in presenza di figli, l esercizio della responsabilità genitoriale, con i relativi doveri e diritti, da parte di entrambi gli ex coniugi (cfr. art. 317 c.c., comma 2, e da artt. 337-bis a 337-octies c.c.). Perfezionatasi tale fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale, il diritto all assegno di divorzio previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nel testo sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 è condizionato dal previo riconoscimento di esso, in base all accertamento giudiziale della mancanza di mezzi adeguati dell ex coniuge richiedente l assegno o, comunque, dell impossibilità dello stesso di procurarseli per ragioni oggettive. 2. I presupposti dell assegno divorzile: il giudizio bifasico Il comma 6 dell art. 5 statuisce che Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio dispone l obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell altro un assegno quando quest ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La lettera della norma, ad opinione della Corte, mostra con evidenza che la sua stessa struttura prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi, il cui oggetto è costituito, rispettivamente, dall eventuale riconoscimento del diritto (fase dell an debeatur) e solo all esito positivo di tale prima fase dalla determinazione quantitativa dell assegno (fase del quantum debeatur). La complessiva ratio della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di solidarietà economica (art. 2, in relazione all art. 23, Cost.), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali persone singole, a tutela della persona economicamente più debole (cosiddetta solidarietà post-coniugale ): sta precisamente in questo duplice fondamento costituzionale sia la qualificazione della natura dell assegno di divorzio come esclusivamente assistenziale in favore dell ex coniuge

3 economicamente più debole (art. 2 Cost.), sia la giustificazione della doverosità della sua prestazione (art. 23 Cost.). Osserva, dunque la Corte che se il diritto all assegno di divorzio è riconosciuto alla persona dell ex coniuge nella fase dell an debeatur, l assegno è determinato esclusivamente nella successiva fase del quantum debeatur, non già in ragione del rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, bensì in considerazione di esso nel corso di tale seconda fase, essendo lo stesso rapporto, ancorché estinto nella sua dimensione economico-patrimoniale, determinato, anche sul piano giuridico, in ragione del periodo più o meno lungo della vita in comune ( la comunione spirituale e materiale ) degli ex coniugi. L assegno divorzile non è, quindi, dovuto in presenza di mezzi adeguati dell ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità di procurarseli, vale a dire della indipendenza o autosufficienza economica dello stesso. Osserva sul punto la Corte che in carenza di ragioni di solidarietà economica, l eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della mera preesistenza di un rapporto matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata tendenzialmente sine die: il discrimine tra solidarietà economica ed illegittima locupletazione sta, perciò, proprio nel giudizio sull esistenza, o no, delle condizioni del diritto all assegno, nella fase dell an debeatur. 3. l interpretazione del sintagma normativo mezzi adeguati e l individuazione dell indispensabile parametro di riferimento, al quale rapportare l adeguatezza Tanto premesso, ai fini del riconoscimento o no, del diritto all assegno di divorzio all ex coniuge richiedente, la Corte procede all interpretazione del sintagma normativo mezzi adeguati e della disposizione impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive nonché, in particolare all individuazione dell indispensabile parametro di riferimento, al quale rapportare l' adeguatezzainadeguatezza dei mezzi del richiedente l assegno e, inoltre, la possibilitàimpossibilità dello stesso di procurarseli. 3.1 l orientamento tradizionale e le critiche della Suprema Corte E noto che, sia prima sia dopo le fondamentali sentenze delle Sezioni Unite nn e del 29 novembre 1990[1], il parametro di riferimento al quale

4 rapportare l' adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del richiedente è stato costantemente individuato dalla Corte nel tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio. La Corte di Cassazione nella sentenza in commento ritiene, invece, che tale orientamento non è più attuale, ed in particolare evidenzia le seguenti ragioni. In primo luogo osserva la Corte che il parametro del tenore di vita se applicato anche nella fase dell an debeatur collide radicalmente con la natura stessa dell istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: infatti, con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale a differenza di quanto accade con la separazione personale, (che lascia in vigore, seppure in forma attenuata, gli obblighi coniugali di cui all art. 143 cod. civ.) -, sicchè ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale ivi condotto in una indebita prospettiva, per così dire, di ultrattività del vincolo matrimoniale. In secondo luogo, la Corte sottolinea come la scelta di detto parametro implica l omessa considerazione che il diritto all assegno di divorzio è eventualmente riconosciuto all ex coniuge richiedente, nella fase dell an debeatur, esclusivamente come persona singola e non già come (ancora) parte di un rapporto matrimoniale ormai estinto, anche sul piano economico-patrimoniale, avendo il legislatore della riforma del 1987 informato la disciplina dell assegno di divorzio, sia pure per implicito ma in modo inequivoco, al principio di autoresponsabilità economica degli ex coniugi dopo la pronuncia di divorzio. Inoltre, la considerazione del preesistente rapporto matrimoniale, anche nella sua dimensione economico-patrimoniale, è normativamente ed esplicitamente prevista soltanto per l eventuale fase del giudizio avente ad oggetto la determinazione dell assegno (quantum debeatur), vale a dire soltanto dopo l esito positivo della fase precedente (an debeatur), conclusasi cioè con il riconoscimento del diritto all assegno. Il parametro del tenore di vita costituisce, dunque, inevitabilmente ma inammissibilmente, una indebita commistione tra le predette due fasi del giudizio e tra i relativi accertamenti.

5 Osserva, inoltre, la Corte che le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fecero carico della necessità di contemperamento dell esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva, perché il divorzio è stato assorbito dal costume sociale (così la sentenza n del 1990) con l esigenza di non turbare un costume sociale ancora caratterizzato dalla attuale esistenza di modelli di matrimonio più tradizionali, anche perché sorti in epoca molto anteriore alla riforma, con ciò spiegando la preferenza accordata ad un indirizzo interpretativo che meno traumaticamente rompesse con la passata tradizione (così la sentenza n del 1990). Questa esigenza, tuttavia, si è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile[2]. Va altresì evidenziato che, dalla lettura dei lavori preparatori alla legge 74/1987 emerge la volontà del legislatore volto ad evitare che il giudizio sulla adeguatezza dei mezzi sia riferito alle condizioni del soggetto pagante anzichè alle necessità del soggetto creditore [3]. Nel giudizio sull an debeatur, infatti, non possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente l assegno successivamente al divorzio[4]. 3.2 L individuazione di un parametro diverso: l indipendenza economica Le precedenti osservazioni critiche verso il parametro del tenore di vita richiedono, pertanto, l individuazione di un parametro diverso, che sia coerente con le premesse. Il Collegio ritiene che un parametro di riferimento siffatto cui rapportare il giudizio sull' adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi dell ex coniuge richiedente l assegno di divorzio (e sulla possibilità-impossibilità per ragioni oggettive dello stesso di procurarseli) vada individuato nel raggiungimento dell indipendenza economica del richiedente: se è accertato che quest ultimo è economicamente indipendente o è potenzialmente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto. Tale parametro ha, innanzitutto, una espressa base normativa: infatti, esso è tratto dal vigente art. 337-septies, primo comma, cod. civ.[5], ove, in tema di

6 disposizioni in favore dei figli maggiorenni, stabilisce, nel primo periodo: Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. La legittimità del richiamo di questo parametro e della sua applicazione alla fattispecie in esame sta, innanzitutto, nell analogia legis (art. 12, comma 2, primo periodo, delle disposizioni sulla legge in generale) tra tale disciplina e quella dell assegno di divorzio, in assenza di uno specifico contenuto normativo della nozione di adeguatezza dei mezzi, a norma della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, trattandosi in entrambi i casi di prestazioni economiche regolate nell ambito del diritto di famiglia, dei relativi rapporti ed essendo la norma ispirata al medesimo principio di autoresponsabilità economica[6]. Tale principio di autoresponsabilità, che appartiene anche al contesto giuridico Europeo, essendo presente da tempo in molte legislazioni dei Paesi dell Unionevale certamente anche per l istituto del divorzio, frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi delle relative conseguenze, anche economiche. Inoltre, se il parametro della indipendenza economica condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione dovuta dai genitori, nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile e permanente (art. 238 cod. civ.) e di una specifica previsione costituzionale (art. 30, comma 1) che riconosce anche allo stesso figlio maggiorenne il diritto al mantenimento, all istruzione ed alla educazione -, a maggior ragione può essere richiamato ed applicato, quale condizione negativa del diritto all assegno di divorzio, in una situazione giuridica che, invece, è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge e, quindi, dalla piena riacquisizione dello status individuale di persona singola In questa prospettiva, il parametro della indipendenza economica è normativamente equivalente a quello di autosufficienza economica e può essere utilizzato quale parametro di riferimento. Individuato il nuovo parametro di riferimento, infine, la Corte si sofferma sul suo contenuto, indicando, tra i principali indici per accertare, nella fase di giudizio sull an debeatur, la sussistenza, o no, dell indipendenza economica dell ex

7 coniuge: 1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza ( dimora abituale : art. 43 c.c., comma 2) della persona che richiede l assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione. Precisa, infine, la Corte che la prova della non indipendenza economica dell ex coniuge che fa valere il diritto all assegno di divorzio, grava su quest ultimo[7]. 4. conclusioni In conclusione, ai fini del riconoscimento dell assegno divorzile, è necessario verificare nella fase dell an debeatur, informata al principio dell' autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi, se sussiste la mancanza di mezzi adeguati (o, comunque, impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive ), con esclusivo riferimento all' indipendenza o autosufficienza economica del coniuge, desunta dai principali indici del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione. Solo ai fini della determinazione dell assegno, nella fase del quantum debeatur, informata al principio della solidarietà economica dell ex coniuge (artt. 2 e 23 Cost.), ed alla quale può accedersi soltanto all esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, il giudice potrà tenere conto di tutti gli elementi indicati dalla norma, quali le condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, anche in rapporto alla durata del matrimonio. [1] cfr. ex plurimis, rispettivamente, le sentenze nn del 1978 e 4955 del 1989, e nn del 2013 e del 2015 [2] Il matrimonio si può sciogliere, previo accordo, con una semplice

8 dichiarazione delle parti all ufficiale dello stato civile, a norma del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 12, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, art. 1, comma 1). [3] Ciò costituiva un profilo sul quale, al di là di quelle che possono essere le convinzioni personali del relatore, qui irrilevanti, si è realizzata la convergenza della Commissione (cfr. intervento del relatore, sen. N. Lipari, in Assemblea del Senato, 17 febbraio 1987, 561 a sed. pom., resoconto stenografico, pag. 23). [4] Tale interpretazione è confermata, inoltre dal comma 9 dello stesso art. 5, ( I coniugi devono presentare all udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria ), in quanto il parametro dell' effettivo tenore di vita è richiamato esclusivamente al fine dell accertamento dell effettiva consistenza reddituale e patrimoniale dei coniugi: infatti se il primo periodo è dettato al solo fine di consentire al presidente del tribunale, nell udienza di comparizione dei coniugi, di dare su base documentale i provvedimenti temporanei e urgenti (anche d ordine economico) che reputa opportuni nell interesse dei coniugi e della prole (art. 4, comma 8) -, il secondo periodo invece, che presuppone la contestazione dei documenti prodotti (concernenti i rispettivi redditi e patrimoni), nell affidare al tribunale le relative indagini, cioè l accertamento di tali componenti economico-fiscali, richiama il parametro dell' effettivo tenore di vita al fine, non già del riconoscimento del diritto all assegno di divorzio al singolo ex coniuge che lo fa valere ma, appunto, dell accertamento circa l attendibilità di detti documenti e dell effettiva consistenza dei rispettivi redditi e patrimoni e, quindi, del giudizio comparativo da effettuare nella fase del quantum debeatur. E significativo, al riguardo, che il riferimento agli elementi del reddito e del patrimonio degli ex coniugi è contenuto proprio nella prima parte del comma 6 dell art. 5 relativa a tale fase del giudizio. [5] Tale parametro era già previsto dall art. 155-quinquies, comma 1, inserito dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 1, comma 2 [6] In ordine alla ratio dell art. 337-septies c.c., comma 1, come pure quella della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, alla luce di quanto già osservato (cfr.,

9 supra, sub n. 2.2) la norma è ispirata al principio dell' autoresponsabilità economica. A tale riguardo, è estremamente significativo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n del 2014, che ha escluso l esistenza di un obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente (nella specie, entrambi ultraquarantenni), ovvero di un diritto all assegnazione della casa coniugale di proprietà del marito, sul mero presupposto dello stato di disoccupazione dei figli, pur nell ambito di un contesto di crisi economica e sociale: (.) La situazione soggettiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l autonomia economica tramite l impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perchè contrastante con il principio di autoresponsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona (.). [7] Non v è dubbio che, secondo la stessa formulazione della disposizione in esame e secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione del relativo onere, allo stesso spetta allegare, dedurre e dimostrare di non avere mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni oggettive. Tale onere probatorio ha ad oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell indipendenza economica, e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte del medesimo coniuge, restando fermo, ovviamente, il diritto all eccezione e alla prova contraria dell altro (cfr. L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10). In particolare, mentre il possesso di redditi e di cespiti patrimoniali formerà normalmente oggetto di prove documentali salva comunque, in caso di contestazione, la facoltà del giudice di disporre al riguardo indagini officiose, con l eventuale ausilio della polizia tributaria (L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9) -, soprattutto le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale formeranno oggetto di prova che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l onere del richiedente l assegno di allegare specificamente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative.

10 Assegno divorzile: addio al parametro del tenore di vita Cass. Civile, sez. I, 10/05/2017, n rel. A. P. LAMORGESE, Pres. S. Di Palma La Suprema Corte, superando, in considerazione dell evoluzione del costume sociale, il proprio consolidato orientamento, ha stabilito che il riconoscimento del diritto all assegno divorzile postula che il giudice cui sia rivolta la corrispondente domanda accerti che l istante sia privo di indipendenza o autosufficienza economica (desumibile salvo altri rilevanti indici nelle singole fattispecie dal possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, dalle capacità e possibilità effettive di lavoro personale, dalla stabile disponibilità di una casa di abitazione), sicchè, solo ricorrendo tale condizione, potrà procedere alla relativa quantificazione avvalendosi di tutti i parametri indicati, dall art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, come sostituito dall art. 10 della l. n. 74 del 1987 (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio). Risarcimento del danno e termine decadenziale Corte Cost., sentenza 4 maggio 2017 n. 94, Pres. Grossi, Red. Criscuolo. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 111, primo comma, 113, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest ultimo in relazione all art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea dell art. 30, comma

11 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), nella parte in cui stabilisce che «[l]a domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo». Principio di trasparenza, forme di accesso agli atti, ai dati e alle informazioni, contro limiti e tutela processuale Il termine trasparenza viene dal latino trans parire, guardare attraverso, il concetto applicato all attività amministrativa implica la conoscibilità e la comprensibilità dell organizzazione, nonché, dei meccanismi di funzionamento della PA. Turati, nel 1908, si auspicava che la casa della PA divenisse di vetro. Oggi quel monito può dirsi realizzato. La trasparenza rientra tra i principi cardini della PA e costituisce obiettivo perseguito e sempre più rafforzato dal legislatore. L importanza di tale principio deriva da una rivoluzione copernicana del diritto amministrativo e, in particolare, del modo di intendere il rapporto tra soggetto pubblico e cittadini. Ante legge 241 del 1990, si registrava, al contrario, una totale chiusura della PA verso i privati, del tutto estromessi dalla gestione della macchina pubblica. Ciò era dovuto anche ad un estrema fiducia nella PA, cui si aggiungeva una più rigida predeterminazione dell interesse pubblico da perseguire. Il sistema incominciò a mostrarsi poco compatibile con i principi costituzionali.

12 Era ipotizzabile una violazione dell art. 97 Cost che, imponendo l imparzialità e il buon andamento, implica un confronto con i destinatari dell attività amministrativa; dell art. 98 Cost., secondo cui i pubblici dipendenti sono all esclusivo servizio della Nazione; dell art. 21 Cost., che riconosce il diritto all informazione. Il privato, inoltre, non potendo accedere agli atti della PA, neppure a quelli che lo riguardavano, era costretto a proporre ricorsi al buio, con palese violazione degli artt. 24 e 111 Cost. Il quadro di riferimento inizia a mutare con la legge sul procedimento amministrativo e, ancor più incisivamente, con la riforma del 2005 che introduce la trasparenza tra i principi generali dell attività della PA (art. 1, comma 1, legge 241/1990). Disposizioni di analogo tenore si rinvengono anche in settori speciali, quali, ad esempio, quello dei contratti pubblici. Innanzitutto, si garantisce al privato la partecipazione nel procedimento amministrativo che lo vede coinvolto. Si rafforzano, in tal modo, i principi d imparzialità e buon andamento che impongono un raffronto tra tutti gli interessi coinvolti e l adozione della soluzione funzionale all obiettivo perseguito che comporta la minore compromissione delle posizioni antagoniste. Emerge già da questo dato lo stretto collegamento della trasparenza con gli altri principi fondamentali dell attività amministrativa. Altra importante novità riguarda l obbligo di motivazione ex art. 3, legge 241/1990, dei provvedimenti: il privato è, così, in grado di conoscere le ragioni che hanno portato all adozione di quell atto. La motivazione è importante anche per il giudice, perché fornisce un criterio interpretativo della scelta della PA, e per la collettività, quale forma di controllo democratico sulla gestione della res publica. Ancor più significativa risulta l introduzione del diritto di accesso, di cui agli artt. 21 e ss, legge 241/1990. L accesso è concepito in questa fase in chiave essenzialmente difensiva, quindi, risponde ad un interesse privatistico, più che di carattere pubblicistico. Esso serve a bilanciare il rapporto tra privato e PA: la ragione è da individuarsi in una soggezione di diritto, dovuta all esercizio da parte della PA di poteri autoritativi, cui si aggiunge una soggezione di fatto, quanto all attività di gestione ed erogazione dei servizi pubblici. Risulta evidente la ratio analizzando la legittimazione attiva riservata a chi abbia

13 un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridica collegata al documento di cui si richiede l ostensione. L art. 24, comma 4, legge 241/1990 ribadisce che l accesso non è finalizzato ad un controllo generalizzato dell attività amministrativa, ma deve risultare funzionale alla protezione di una specifica situazione giuridica dell istante. La giurisprudenza ha progressivamente ampliato il novero delle posizioni giuridiche tutelabili, ricomprendendo, ad esempio, anche gli interessi procedimentali, le aspettative di diritto, purché non si tratti di un mero interesse di fatto. È sufficiente un pregiudizio anche solo potenziale, infatti, non va confusa l attualità dell interesse con quella della lesione. L accesso, inoltre, non necessariamente deve collegarsi alla tutela processuale, potendo anche essere finalizzato a sollecitare l autotutela o la proposizione di un ricorso amministrativo. L importante è che ci sia un collegamento tra il documento che si richiede e la posizione che s intende tutelare. Può avere ad oggetto solo documenti già formati, non anche semplici dati o informazioni, onde non aggravare eccessivamente il carico di lavoro della PA. Il legislatore, confermando la tesi già seguita in giurisprudenza, ha poi espressamente riconosciuto l accessibilità agli atti interni, nonché, a quelli di pubblico interessi, seppur concernenti un attività privatistica. L istanza di accesso può avere, inoltre, quale legittimato passivo un soggetto formalmente privato, ma svolgente un attività di rilievo pubblico. Individuare i documenti di rilievo pubblicistico si mostra, però, operazione poco agevole, basti pensare al problema dell accesso esercitato dal dipendente di una società erogatrice di un servizio pubblico sul quale si è di recente pronuncia l Adunanza Plenaria (sentenza n. 13 del 2016). La ratio del diritto di accesso nell impianto della legge 241/1990 ne ha influenzato le modalità di esercizio: occorre un istanza motivata in cui si dia atto della strumentalità del documento richiesto rispetto alla posizione giuridica di cui si è titolari. Quel controllo generalizzato sull attività della PA, espressamente vietato dall art. 24 cit., viene garantito dal legislatore del 2013 con l introduzione di una nuova forma di accesso. Si allude al cd. accesso civico previsto dal d. lgs. 33/2013.

14 Cambia la prospettiva della trasparenza, non più legata ad un interesse privatistico, bensì della collettività che deve poter verificare come le risorse pubbliche vengano impiegate. Il mutamento di rotta si spiega alla luce dei sempre più numerosi episodi di corruzione, nonché dei fenomeni di mala gestio, che vanno ad intaccare quel sentimento di fiducia nella PA, sulla base del quale, in passato, si tollerava la chiusura verso l esterno della macchina pubblica. Non a caso, infatti, il nuovo istituto è stato introdotto nell ambito del cd pacchetto anticorruzione. L art. 1, d. lgs. 33/2013, definisce la trasparenza quale accessibilità totale ai documenti, ai dati della PA. Tuttavia, quest apertura totale, almeno fino al 2016, non è stata reale, dal momento che il legislatore ha selezionato le informazioni da pubblicare sui siti istituzionalizzati. Il dato particolarmente rilevante è che l obbligo di pubblicazione deriva dalla legge e prescinde da un apposita istanza di parte. In caso di omissione, chiunque può, senza necessità di motivazione e costi di sorta, richiederne la pubblicazione. Per rafforzare il sistema si è prevista l istituzione di un responsabile della trasparenza (art 43); sono, inoltre, applicabili sanzioni a carico della PA inadempiente (artt. 46 e 47). Rispetto alla legge 241/1990, l impianto dell accesso civico è profondamente diverso: la finalità non è difensiva, ma di controllo; la legittimazione è riconosciuta a chiunque, senza necessità di motivazione; l oggetto è più ampio, non essendo limitato alle sole informazioni già contenute in documenti; differenti sono, altresì, le modalità, sussistendo un obbligo ex lege di pubblicazione. L accessibilità totale cui fa riferimento l art. 1 del d.lgs. 33/2013 viene realizzata dal legislatore con il d.lgs. 97/2016, emanato in attuazione della cd. riforma Madia. Come nel F.O.I.A. di origine anglosassone, viene riconosciuta la facoltà di accedere ad ogni dato, documento o informazione della PA, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione. Nell accesso civico semplice l istanza è richiesta solo in via successiva per le ipotesi di inadempimento della PA, mentre in quello generalizzato è sempre necessaria: si passa da una trasparenza proattiva a una reattiva, in cui c è sollecitazione del privato. L accesso generalizzato risulta molto differente da quello della legge 241/990,

15 sebbene in entrambi ci sia una richiesta del soggetto interessato: basti pensare che, sotto il profilo soggettivo, la legittimazione è riconosciuta a chiunque e, quanto all ambito oggettivo, può trattarsi anche di semplici dati o informazioni. Il Consiglio di Stato, nel parere al d.lgs. 97/2017, fornisce importanti indicazioni per la comprensione del nuovo istituto. La trasparenza è, ormai, un valore fondamentale per l attività amministrativa, ma bisogna evitare che la stessa si tramuti in eccessivi e, quindi, controproducenti oneri per la PA (la cd. burocratizzazione della trasparenza). L accesso generalizzato serve a ricostruire la fiducia, ormai smarrita, della collettività nei soggetti pubblici, dopo i numerosi casi di corruzione, mala gestio e inerzia. Il Consiglio di Stato, sempre in sede consultiva, individua uno stretto collegamento tra trasparenza e l art. 17 bis, legge 241/1990: la PA non deve essere inerte, in tal caso l ordinamento reagisce con la più severa delle sanzioni, ossia la perdita del potere di dissentire in ritardo. La ratio di questa accessibilità totale si rinviene anche nel fatto che l interesse pubblico, a differenza del passato, non è più rigidamente predeterminato dal legislatore, ma è il risultato di un dialogo con i soggetti privati, da qui la necessità di poter conoscere le varie fasi del procedimento amministrativo. La trasparenza, per quanto sia un valore fondamentale, necessita di essere bilanciata con altri interessi altrettanto meritevoli di tutela. La legge 241/1990 consente un accesso più profondo, dato che il privato agisce per proteggere una specifica posizione giuridica di cui è titolare; l accesso civico, semplice o generalizzato, ha portata più estesa, essendo riconosciuto a chiunque, ma, al tempo stesso, è meno profondo, difettando una precisa esigenza difensiva. Tale aspetto emerge dalla disciplina dei controlimiti. L art 24, legge 241/1990, prevede divieti assoluti e relativi. In particolare, va valutato l interesse alla riservatezza dei soggetti implicati nei documenti di cui è richiesta l ostensione. L accesso deve, in ogni caso, essere consentito ove la conoscenza sia necessaria per curare o difendere un proprio interesse giuridico. Il livello di tutela della riservatezza dipende dal tipo di dato considerato. Per i dati ordinari è lo stesso legislatore a stabilire la prevalenza dell esigenza difensiva, senza che la PA possa verificare la fondatezza della pretesa e senza che sia

16 necessaria la sussistenza di un azione giudiziaria già in atto. Per i dati sensibili, invece, è richiesta l indispensabilità della conoscenza che la PA dovrà valutare. Rigore ancora maggiore è previsto per i dati sensibilissimi, ossia quelli idonei a divulgare lo stato di salute e la vita sessuale di terzi: in tal caso, a norma dell art 60, d.lgs. 196/2003 cui si rinvia, è necessario che l accesso sia funzionale alla tutela di una posizione giuridica di pari rango. In ogni caso va fatta applicazione del principio di proporzionalità, per cui l accesso non va negato ove sia possibile tutelare adeguatamente l interesse altrui con cancellazioni o omissis. Il d.lgs. 33/2013 richiama i limiti della legge 241/1990 che, però, vanno adattati a questa differente forma di accesso, nella consapevolezza che la pubblicazione dei dati su siti a chiunque visibili rende più probabile una lesione della riservatezza. Su tali basi, i dati ordinari sono pubblicabili; per quelli sensibili è richiesto il requisito dell indispensabilità da valutarsi in rapporto all esigenza di controllo sull attività amministrativa; per i dati sensibilissimi, è opinione condivisa che ne vada esclusa la pubblicazione, in quanto non avrebbe senso verificare la sussistenza di un controinteresse di pari rango, considerando che il dato è conoscibile da chiunque. Anche il d.lgs. 97/2016, come la legge 241/1990, distingue tra divieti assoluti e relativi, posti a tutela di interessi tanto di carattere pubblicistico che privatistico. Tra questi ultimi, quella che desta maggiori interessi è l esigenza di tutela dei dati personali: l accesso deve essere negato ove gli stessi possano subire un concreto pregiudizio. Mancando un obbligo di pubblicazione stabilito a monte dal legislatore, si riconosce una maggiore discrezionalità della PA chiamata a verificare, se e in che misura, l esigenza di controllo sull attività amministrativa possa dirsi prevalente rispetto ai controinteressi individuati. In linea di massima, dovrebbero ritenersi non ostensibili i dati sensibili e sensibilissimi, limitando l istituto ai soli dati ordinari. Anche l ANAC protende per tale soluzione, pur rimarcando la necessità di analizzare le peculiarità di ciascuna richiesta di accesso. Il legislatore con una disposizione che non trova rispondenza nella legge 241/1990, né nel d.lgs. 33/2013, dà rilievo in sede procedimentale, ancor prima che processuale, alla posizione di eventuali controinteressati individuati dalla PA. Questi possono, ricevuta apposita comunicazione, presentare una motivata

17 opposizione di cui la PA deve tener conto nel riconoscere o meno l accesso. Le diverse rationes dell istituto si manifestano, altresì, sotto il profilo della tutela processuale. Nell impianto della legge 241/1990 l eventuale silenzio della PA all istanza di parte è equiparato al mancato accoglimento della stessa. Contro il diniego, espresso o tacito, e contro un eventuale differimento, l istante può fare richiesta di riesame al difensore civico, ove costituito, o presentare ricorso ex art. 116 cpa. La disposizione individua un rito speciale in cui i termini sono ridotti e la sentenza è in forma semplificata. Il giudice, se ritiene fondata l istanza, può ordinare alla PA l esibizione del documento, ciò perché quel bilanciamento tra contrapposti interessi non costituisce un potere discrezionale riservato al soggetto pubblico, ma ben può essere fatto in via sostitutiva dal GA. La tutela processuale è, quindi, di tipo impugnatorio, con la possibilità di ottenere una sentenza di condanna ad un facere a carico del soggetto pubblico. Il rito di cui all art. 116 cpa è stato esteso anche all accesso civico ed è attivabile dal privato che abbia preventivamente presentato istanza finalizzata ad ottenere la pubblicazione delle informazioni omesse. Sebbene il rito sia lo stesso, nelle ipotesi di accesso civico si potrebbe configurare una giurisdizione oggettiva, posto che il privato non agisce per tutelare una posizione giuridica personale, ma ai fini dell interesse pubblicistico, qual è il controllo sull organizzazione e sull attività della PA. Si è, infatti, parlato di un azione popolare correttiva; l unica peculiarità è che la legittimazione è subordinata all aver presentato una preventiva istanza. Il giudice, nel valutare la fondatezza della richiesta, non deve verificare se il documento sia o meno funzionale alla tutela di una peculiare posizione giuridica, bensì se la pubblicazione sia stata imposta dal legislatore. Con la riforma del 2016, il legislatore ha introdotto una significativa novità, accogliendo sul punto i suggerimenti del Consiglio di Stato, ossia che il procedimento di accesso civico debba concludersi con un provvedimento motivato ed espresso. Il silenzio della PA non può essere equiparato a un diniego, ciò introdurrebbe un elemento di opacità da evitare: si verificherebbe, così, il paradosso che un provvedimento in materia di trasparenza neghi all istante di conoscere gli argomenti in base ai quali l accesso non gli è accordato. Riemerge,

18 pertanto, quel collegamento tra trasparenza e silenzio già evidenziato dal Consiglio di Stato, in riferimento all art. 17 bis, legge 241/1990. Contro il diniego, l interessato, oltre che fare istanza di riesame al responsabile della prevenzione della trasparenza, può fare ricorso ex art. 116 cpa ( così, l art. 6, comma 7, d.lgs. 97/2016). Va dato, però, atto della mancata riforma dell art. 116 cit. che, ad oggi, fa esclusivo riferimento all accesso civico connesso all inadempimento degli obblighi di pubblicazione. Anche per l accesso civico generalizzato potrebbe configurarsi un ipotesi di giurisdizione oggettiva. Residua un dubbio sull azione esperibile in caso di inerzia della PA a fronte dell istanza di accesso civico. È verosimile immaginare, fino ad un intervento legislativo espresso, l attivazione del rito sul silenzio inadempimento di cui all art. 117 cpa, anziché quello delineato dall art. 116, con tutte le conseguenze che ne derivano quanto ai termini di impugnazione. Il legislatore, coerentemente con la tutela procedimentale riconosciuta, espressamente attribuisce anche ai controinteressati la facoltà di ricorrere nei casi di accoglimento della richiesta. Alla luce degli ultimi interventi normativi può dirsi, come dallo stesso Consiglio di Stato riconosciuto, che la casa della PA sia diventata di vetro, tuttavia, l accessibilità, sebbene generalizzata, deve sempre fare i conti con la tutela di controinteressi, in particolare, la riservatezza. È coerente solo nelle ipotesi ex legge 241/1990 un accessibilità più profonda, dato che il privato agisce a tutela di una specifica posizione giuridica di cui è titolare, inoltre, il documento richiesto resta nella sua sfera di conoscibilità. Ed è questa la ragione per cui, nonostante l introduzione dell accesso civico generalizzato, quello difensivo continua ad avere un ruolo di tutto rilievo, che ne impedisce l eliminazione dal sistema normativo. Meno utile risulta, invece, l accesso civico semplice, tanto che il Consiglio di Stato aveva suggerito di inglobarlo in quello generalizzato, tuttavia, una tale soluzione non è apparsa del tutto opportuna: eliminare gli obblighi di preventiva pubblicazione può comportare un incremento delle istanze di accesso a cui la PA deve rispondere in modo espresso e motivato.

19 Principio di trasparenza, forme di accesso agli atti, ai dati e alle informazioni, contro limiti e tutela processuale Il termine trasparenza viene dal latino trans parire, guardare attraverso, il concetto applicato all attività amministrativa implica la conoscibilità e la comprensibilità dell organizzazione, nonché, dei meccanismi di funzionamento della PA. Turati, nel 1908, si auspicava che la casa della PA divenisse di vetro. Oggi quel monito può dirsi realizzato. La trasparenza rientra tra i principi cardini della PA e costituisce obiettivo perseguito e sempre più rafforzato dal legislatore. L importanza di tale principio deriva da una rivoluzione copernicana del diritto amministrativo e, in particolare, del modo di intendere il rapporto tra soggetto pubblico e cittadini. Ante legge 241 del 1990, si registrava, al contrario, una totale chiusura della PA verso i privati, del tutto estromessi dalla gestione della macchina pubblica. Ciò era dovuto anche ad un estrema fiducia nella PA, cui si aggiungeva una più rigida predeterminazione dell interesse pubblico da perseguire. Il sistema incominciò a mostrarsi poco compatibile con i principi costituzionali. Era ipotizzabile una violazione dell art. 97 Cost che, imponendo l imparzialità e il buon andamento, implica un confronto con i destinatari dell attività amministrativa; dell art. 98 Cost., secondo cui i pubblici dipendenti sono all esclusivo servizio della Nazione; dell art. 21 Cost., che riconosce il diritto all informazione. Il privato, inoltre, non potendo accedere agli atti della PA, neppure a quelli che lo riguardavano, era costretto a proporre ricorsi al buio, con palese violazione degli artt. 24 e 111 Cost. Il quadro di riferimento inizia a mutare con la legge sul procedimento

20 amministrativo e, ancor più incisivamente, con la riforma del 2005 che introduce la trasparenza tra i principi generali dell attività della PA (art. 1, comma 1, legge 241/1990). Disposizioni di analogo tenore si rinvengono anche in settori speciali, quali, ad esempio, quello dei contratti pubblici. Innanzitutto, si garantisce al privato la partecipazione nel procedimento amministrativo che lo vede coinvolto. Si rafforzano, in tal modo, i principi d imparzialità e buon andamento che impongono un raffronto tra tutti gli interessi coinvolti e l adozione della soluzione funzionale all obiettivo perseguito che comporta la minore compromissione delle posizioni antagoniste. Emerge già da questo dato lo stretto collegamento della trasparenza con gli altri principi fondamentali dell attività amministrativa. Altra importante novità riguarda l obbligo di motivazione ex art. 3, legge 241/1990, dei provvedimenti: il privato è, così, in grado di conoscere le ragioni che hanno portato all adozione di quell atto. La motivazione è importante anche per il giudice, perché fornisce un criterio interpretativo della scelta della PA, e per la collettività, quale forma di controllo democratico sulla gestione della res publica. Ancor più significativa risulta l introduzione del diritto di accesso, di cui agli artt. 21 e ss, legge 241/1990. L accesso è concepito in questa fase in chiave essenzialmente difensiva, quindi, risponde ad un interesse privatistico, più che di carattere pubblicistico. Esso serve a bilanciare il rapporto tra privato e PA: la ragione è da individuarsi in una soggezione di diritto, dovuta all esercizio da parte della PA di poteri autoritativi, cui si aggiunge una soggezione di fatto, quanto all attività di gestione ed erogazione dei servizi pubblici. Risulta evidente la ratio analizzando la legittimazione attiva riservata a chi abbia un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridica collegata al documento di cui si richiede l ostensione. L art. 24, comma 4, legge 241/1990 ribadisce che l accesso non è finalizzato ad un controllo generalizzato dell attività amministrativa, ma deve risultare funzionale alla protezione di una specifica situazione giuridica dell istante. La giurisprudenza ha progressivamente ampliato il novero delle posizioni giuridiche tutelabili, ricomprendendo, ad esempio, anche gli interessi procedimentali, le aspettative di diritto, purché non si tratti di un mero interesse

21 di fatto. È sufficiente un pregiudizio anche solo potenziale, infatti, non va confusa l attualità dell interesse con quella della lesione. L accesso, inoltre, non necessariamente deve collegarsi alla tutela processuale, potendo anche essere finalizzato a sollecitare l autotutela o la proposizione di un ricorso amministrativo. L importante è che ci sia un collegamento tra il documento che si richiede e la posizione che s intende tutelare. Può avere ad oggetto solo documenti già formati, non anche semplici dati o informazioni, onde non aggravare eccessivamente il carico di lavoro della PA. Il legislatore, confermando la tesi già seguita in giurisprudenza, ha poi espressamente riconosciuto l accessibilità agli atti interni, nonché, a quelli di pubblico interessi, seppur concernenti un attività privatistica. L istanza di accesso può avere, inoltre, quale legittimato passivo un soggetto formalmente privato, ma svolgente un attività di rilievo pubblico. Individuare i documenti di rilievo pubblicistico si mostra, però, operazione poco agevole, basti pensare al problema dell accesso esercitato dal dipendente di una società erogatrice di un servizio pubblico sul quale si è di recente pronuncia l Adunanza Plenaria (sentenza n. 13 del 2016). La ratio del diritto di accesso nell impianto della legge 241/1990 ne ha influenzato le modalità di esercizio: occorre un istanza motivata in cui si dia atto della strumentalità del documento richiesto rispetto alla posizione giuridica di cui si è titolari. Quel controllo generalizzato sull attività della PA, espressamente vietato dall art. 24 cit., viene garantito dal legislatore del 2013 con l introduzione di una nuova forma di accesso. Si allude al cd. accesso civico previsto dal d. lgs. 33/2013. Cambia la prospettiva della trasparenza, non più legata ad un interesse privatistico, bensì della collettività che deve poter verificare come le risorse pubbliche vengano impiegate. Il mutamento di rotta si spiega alla luce dei sempre più numerosi episodi di corruzione, nonché dei fenomeni di mala gestio, che vanno ad intaccare quel sentimento di fiducia nella PA, sulla base del quale, in passato, si tollerava la chiusura verso l esterno della macchina pubblica. Non a caso, infatti, il nuovo istituto è stato introdotto nell ambito del cd pacchetto anticorruzione.

22 L art. 1, d. lgs. 33/2013, definisce la trasparenza quale accessibilità totale ai documenti, ai dati della PA. Tuttavia, quest apertura totale, almeno fino al 2016, non è stata reale, dal momento che il legislatore ha selezionato le informazioni da pubblicare sui siti istituzionalizzati. Il dato particolarmente rilevante è che l obbligo di pubblicazione deriva dalla legge e prescinde da un apposita istanza di parte. In caso di omissione, chiunque può, senza necessità di motivazione e costi di sorta, richiederne la pubblicazione. Per rafforzare il sistema si è prevista l istituzione di un responsabile della trasparenza (art 43); sono, inoltre, applicabili sanzioni a carico della PA inadempiente (artt. 46 e 47). Rispetto alla legge 241/1990, l impianto dell accesso civico è profondamente diverso: la finalità non è difensiva, ma di controllo; la legittimazione è riconosciuta a chiunque, senza necessità di motivazione; l oggetto è più ampio, non essendo limitato alle sole informazioni già contenute in documenti; differenti sono, altresì, le modalità, sussistendo un obbligo ex lege di pubblicazione. L accessibilità totale cui fa riferimento l art. 1 del d.lgs. 33/2013 viene realizzata dal legislatore con il d.lgs. 97/2016, emanato in attuazione della cd. riforma Madia. Come nel F.O.I.A. di origine anglosassone, viene riconosciuta la facoltà di accedere ad ogni dato, documento o informazione della PA, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione. Nell accesso civico semplice l istanza è richiesta solo in via successiva per le ipotesi di inadempimento della PA, mentre in quello generalizzato è sempre necessaria: si passa da una trasparenza proattiva a una reattiva, in cui c è sollecitazione del privato. L accesso generalizzato risulta molto differente da quello della legge 241/990, sebbene in entrambi ci sia una richiesta del soggetto interessato: basti pensare che, sotto il profilo soggettivo, la legittimazione è riconosciuta a chiunque e, quanto all ambito oggettivo, può trattarsi anche di semplici dati o informazioni. Il Consiglio di Stato, nel parere al d.lgs. 97/2017, fornisce importanti indicazioni per la comprensione del nuovo istituto. La trasparenza è, ormai, un valore fondamentale per l attività amministrativa, ma bisogna evitare che la stessa si tramuti in eccessivi e, quindi, controproducenti

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