Cassazione Sez. Lav., 18 aprile 2008, n Pres. Mattone Est. Di Nubila Logos Finanziaria spa c. INPS

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1 Cassazione Sez. Lav., 18 aprile 2008, n Pres. Mattone Est. Di Nubila Logos Finanziaria spa c. INPS Lavoro subordinato (rapporto di) Insolvenza del datore di lavoro Fondo di garanzia T.F.R. Legittimazione attiva Cessionario del credito Sussiste. L uso dell espressione «aventi diritto» con la quale l art. 2 della legge n. 297 del 1982 indica i soggetti legittimati a proporre domanda di intervento del fondo di garanzia non può assumere, neppure per ipotesi, portata restrittiva. Piuttosto, per «aventi diritto» si deve intendere gli aventi causa: in altri termini, senza attribuire alla dicitura «aventi diritto» un particolare significato tecnico ed una pregnanza limitativa, si deve privilegiare il senso comune delle parole e concludere che la richiesta di pagamento del T.F.R. presso il Fondo di Garanzia possa essere effettuata dal lavoratore o da un soggetto che abbia acquisito a titolo derivativo il diritto azionato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO MOTIVI DELLA DECISIONE 3. Con l unico motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell art. 360 c.p.c., n. 3, e della l. n. 297 del 1982, art. 2, e art. 12 Preleggi, e artt e 1949 c.c.: l espressione «aventi diritto» contenuta nell art. 2, citato non significa un rinvio all analoga espressione contenuta nell art c.c., comma 2, laddove sarebbe stato agevole inserire nell art. 2 un espresso rinvio all art Né giova la l. n. 297 del 1982, art. 2, comma 8, che dispone il divieto di utilizzare le disponibilità del fondo di garanzia al di fuori delle finalità istituzionali, trattandosi di norma che rafforza il vincolo di destinazione precludendo erogazioni che non si identifichino nel TFR. Non dubitandosi della cedibilità del credito per TFR, ne deriva che tra gli aventi diritto che possono richiedere il pagamento all INPS rientra anche il cessionario. 4. Sostiene in contrario l INPS che la l. n. 297 del 1982, in attuazione della Direttiva CE n , ha la finalità di tutelare i lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro, onde la relativa erogazione deve essere circoscritta a coloro che direttamente risentono del rischio protetto. Unico soggetto legittimato è quindi il lavoratore, cui possono sostituirsi gli «aventi diritto» che si identificano, stante l uso di espressione identica, nei soggetti indicati dall art c.c., come coloro che hanno diritto di percepire il TFR in sostituzione del lavoratore deceduto. La dicitura «aventi diritto» non può essere equiparata ad «aventi causa». 5. Replica in memoria integrativa la Logos spa che la stessa espressione «aventi diritto» si rinviene anche nel d. lgs. n. 80 del 1992, art. 1, il quale ha istituito l intervento del Fondo per il pagamento degli ultimi tre mesi di retribuzione. È noto

2 che il credito per retribuzione non spetta iure proprio ma si trasferisce mortis causa e pertanto non trova ingresso la disciplina di cui all art c.c.. Ma la norma usa la stessa espressione, e quindi rimane dimostrato che per «aventi diritto» non si deve intendere in senso restrittivo i soli soggetti legittimati a percepire iure proprio il TFR in caso di decesso, ma gli aventi causa. 6. Va premesso che l INPS non contesta la cedibilità in sé del credito per TFR; cosa che del resto è ammessa dalla giurisprudenza. Vedi al riguardo Cass n. 4930; qualora il lavoratore abbia ceduto, a garanzia di un finanziamento ricevuto, il proprio futuro credito per TFR, va escluso che la cessione integri un ipotesi di frode alla legge, consistente nella violazione del divieto di patto commissorio relativo al credito suddetto, essendo legittima (la) cessione del credito a fini di garanzia e non essendo estensibile in via analogica, oltre le alienazioni di diritti reali e la costituzione di ipoteca e di pegni anche di crediti, la disciplina di cui all art c.c., costituente norma di natura eccezionale. 7. La posizione assunta dall INPS quale ente gestore del Fondo e condivisa dai Giudici di merito appare ispirata all esigenza di circoscrivere il novero dei soggetti legittimati a valersi di fondi di solidarietà ed è innegabile come una certa perplessità possa cogliere l interprete nell ipotizzare che ad una erogazione avente tali caratteri possa accedere una finanziaria, beninteso previa cessione a titolo oneroso del credito relativo. A tale osservazione va peraltro contrapposta la considerazione che, ove la società cessionaria non ottenga soddisfacimento del credito acquisito, la cessione fatta pro solvendo espone il lavoratore ed i suoi aventi causa o aventi diritto all azione di restituzione, dato che il cedente garantisce ex lege l esistenza del credito (art Codice Civile) e può garantire nel contratto di cessione la bontà del credito ceduto (art stesso codice: il che sarà la regola in caso di contratti scritti predisposti dalla finanziaria). 8. Giova altresì ricordare che a sensi dell art c.c., il credito ceduto non perde la propria natura, ma si trasferisce al cessionario con i privilegi, le garanzie personali e reali e con gli altri accessori. 9. A prescindere dalle suesposte considerazioni, va peraltro posta la questione se la l. n. 297 del 1982, art. 2, nell istituire il Fondo perché si sostituisca al datore di lavoro nel pagamento del TFR «spettante ai lavoratori o loro aventi diritto», abbia inteso riferirsi ai soli aventi diritto indicati nell art c.c., comma 2 c.c., ovvero a qualunque avente diritto del lavoratore, cioè agli aventi causa in genere e quindi anche ad un cessionario a titolo oneroso, come nella specie. La tesi dell INPS, fatta propria dalla Corte di Appello, è che per aventi diritto si debbano intendere il coniuge, i figli, i parenti viventi a carico del defunto entro il terzo grado e gli affini pure viventi a carico entro il secondo grado. La tesi poggia sul fatto che tali soggetti sono indicati dal secondo comma dell art cit: «la ripartizione delle indennità, se non vi è accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno». 10. L espressione usata nell art. 2122, comma 2, non appare una espressione tecnica, ma indica soltanto riassuntivamente i soggetti citati nel primo comma, vale a dire coloro che hanno diritto alla percezione del TFR e del preavviso. Varrà la pena di ricordare che la Corte Costituzionale con sentenza n. 8 del 1972 ha dichiarato l illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non prevede che in mancanza delle persone indicate nel primo comma il lavoratore non possa disporre per testamento delle proprie indennità. Ne deriva che al TFR di un lavoratore defunto si può accedere anche per successione testamentaria, in

3 mancanza di coniuge e di prossimi congiunti. In questo caso l erede non è tra gli «aventi diritto», ma è certamente legittimato ad esigere il TFR. Dall art c.c., comma 2, non pare possa ricavarsi una nozione di aventi diritto connotata da un contenuto tecnico, al pari di una definizione legislativa, apparendo piuttosto che la norma abbia inteso riassuntivamente indicare «coloro che hanno diritto secondo il comma precedente». 11. L argomentazione esposta dalla ricorrente in memoria integrativa costituisce la riprova di quanto precede. Il d. lgs. n. 80 del 1992, art. 1, sulla garanzia dei crediti di lavoro, dispone che in caso di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, procedura di amministrazione straordinaria, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono ottenere a domanda il pagamento dei crediti di lavoro a carico del Fondo di garanzia. Nel caso in cui il datore di lavoro non sia assoggettabile ad una procedura concorsuale, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono chiedere il pagamento delle retribuzioni al Fondo a seguito dell infruttuoso esperimento di una esecuzione forzata. Appare evidente che in questo caso l uso dell espressione «aventi diritto» non può assumere, neppure per ipotesi, la portata pregnante che l INPS intende conferirle, perché i crediti per retribuzioni non vengono attribuiti ope legis in caso di morte del lavoratore, ma seguono le regole della successione. Quindi per «aventi diritto» si deve intendere, in questo caso con certezza, gli aventi causa. Ora non appare possibile ipotizzare che il legislatore abbia usato una identica espressione (aventi diritto) in due diverse fonti normative, attinenti rispettivamente alla garanzia del salario e del TFR, una volta in senso, per così dire, tecnico o limitativo ed altra volta in senso atecnico. 12. Appare quindi preferibile la soluzione che, senza attribuire alla dicitura «aventi diritto» un particolare significato tecnico ed una pregnanza limitativa, privilegi il senso comune delle parole e porti alla conclusione che la richiesta di pagamento del TFR presso il Fondo di Garanzia possa essere effettuata dal lavoratore o da un soggetto che abbia acquisito a titolo derivativo il diritto azionato. Trattasi della successione a titolo universale o particolare nel diritto soggettivo. 13. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata ed il processo, non essendo possibile una decisione di merito sulla base degli atti, va rinviato alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, anche per le statuizioni circa le spese.

4 Cassazione Sez. Lav., 5 maggio 2008, n Pres. Ciciretti Est. Bandini INPS c. Futuro spa Lavoro subordinato (rapporto di) Insolvenza del datore di lavoro Legittimazione attiva Cessionario del credito Sussiste. La locuzione «avente diritto» indica semplicemente la posizione giuridica del soggetto che, a qualsiasi titolo, sia succeduto ad altri nella titolarità di un diritto. Ne consegue che appare arbitrario, in assenza di qualsivoglia richiamo testuale all art c.c., circoscrivere gli «aventi diritto» beneficiari della prestazione del Fondo e legittimati a richiederla ai soggetti indicati dal comma 1 di tale articolo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con l unico motivo di ricorso l Istituto ricorrente lamenta violazione della l. n. 297 del 1982, art. 2, commi 1, 2, 7 e 8, e dell'art c.c., in relazione all art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, osservando che la Corte territoriale non aveva colto esattamente il thema decidendum, non vertente sull incedibilità del credito per TFR ad una società finanziaria, bensì sulla configurabilità del diritto di quest ultima ad accedere alla tutela del Fondo di garanzia per ottenerne il soddisfacimento in luogo dell assicurato avente diritto; a ritenere la sussistenza del suddetto diritto della cessionaria ostavano invece: - la finalità sociale perseguita dai Fondo di garanzia, individuata dalla previsione secondo cui le risorse del Fondo stesso devono essere destinate esclusivamente a realizzare la sua finalità istituzionale, in conformità con quanto previsto dalla direttiva Cee n. 987/80; - la funzione solidaristica propria in generale delle prestazioni previdenziali, nella specie non disconosciuta dalla ritenuta natura retributiva delle obbligazioni gravanti sul Fondo di garanzia; - l utilizzo, nella l. n. 297 del 1982, art. 2, comma 1, della locuzione «aventi diritto», la stessa rinvenibile nell'art c.c., anziché quella di «aventi causa», più idonea a ricomprendere tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano succeduti nella titolarità del diritto dei prestatore di lavoro. 3. Un tanto premesso, osserva la Corte che, secondo il condiviso insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il diritto alla prestazione da parte dei Fondo non nasce direttamente dal rapporto di lavoro, ma dal distinto rapporto assicurativo - previdenziale, dovendo tuttavia ai contempo rilevarsi che, avendo il diritto comunitario imposto agli Stati membri di introdurre istituti idonei a garantire (in senso atecnico) l adempimento di crediti retributivi, va esclusa qualsivoglia

5 interpretazione che attribuisca al credito verso l organo di garanzia una diversa natura (cfr. Cass. n del 2005). in senso analogo hanno avuto già modo di esprimersi le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. S.U. n del 2002), con l enunciazione del principio secondo cui il credito del lavoratore per il trattamento di fine rapporto e per gli emolumenti relativi agli ultimi tre mesi del rapporto non muta la propria natura retributiva quando, in forza della l. n. 297 del 1982, e del d. lgs. n. 80 del 1992, sia fatto valere nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall Inps per l insolvenza o l inadempimento del datore di lavoro, con la conseguenza che il Fondo è tenuto a corrispondere il medesimo debito che grava sul datore di lavoro nei suo intero ammontare, comprendente la somma capitale e gli accessori. Tale ricostruzione dogmatica della situazione giuridica all esame consente dunque di escludere in radice che la prestazione da parte del Fondo di garanzia abbia finalità di carattere assistenziale, potendo al più ritenersi la sua funzione latu sensu solidaristica solo in quanto propria, in via generale, delle prestazioni rese nell ambito di un rapporto assicurativo previdenziale. Da ciò deriva, in difetto di una previsione generale atta a ricomprendere la prestazione in parola nell ambito dell incedibilità, che l eventuale insussistenza de diritto del cessionario a richiedere la prestazione stessa al Fondo di garanzia dovrebbe essere specificamente statuita (o, comunque, inequivocabilmente desumibile) dalla stessa normativa che regola l accesso alle prestazioni del Fondo. 5.1 Ad avviso del ricorrente la locuzione utilizzata «lavoratori o loro aventi diritto» andrebbe letta con riferimento all art c.c., comma 2, («La ripartizione delle indennità, se non vi è accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno») e, quindi, farebbe riferimento ai soggetti indicati ne precedente art c.c., comma 1, («In caso di morte dei prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli artt e 2120 c.c., devono corrispondersi al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado») sempre ad avviso dell Istituto, qualora il legislatore avesse voluto contemplare tutti coloro che, a qualsiasi titolo, fossero succeduti nella titolarità del diritto del prestatore di lavoro, avrebbe fatto ricorso alla più lata espressione di «aventi causa». 5.2 Osserva la Corte che la locuzione «avente diritto» indica semplicemente la posizione giuridica del soggetto che, a qualsiasi titolo, sia succeduto ad altri nella titolarità di un diritto, sicché: - da un lato non può considerarsi di contenuto più limitato rispetto a quella di «avente causa»; - dall altro il suo utilizzo, in difetto di ulteriori specificazioni, non è di per sé idoneo a circoscrivere ad una determinata categoria i soggetti succeduti nel diritto a cui viene fatto riferimento. Ne consegue che appare arbitrario, in assenza di qualsivoglia richiamo testuale all art c.c., circoscrivere gli «aventi diritto» beneficiari della prestazione del Fondo e legittimati a richiederla ai soggetti indicati dal comma 1 di tale articolo. In altre parole, se è indubbio che i soggetti indicati dall art c.c., comma 1, debbano essere qualificati, in caso di morte del prestatore di lavoro, come «aventi diritto» (ex lege) al trattamento di fine rapporto, del pari vanno qualificati come «aventi diritto» i successori per atto fra vivi ovvero mortis causa, ancorché diversi, questi ultimi, da quelli contemplati dal comma 1 (ed invero l art c.c., comma 3,

6 a seguito della pronuncia di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 8/1972, consente al prestatore di lavoro, in mancanza delle persone contemplate dal comma 1, di disporre per testamento delle indennità contemplate dalla norma), sicché risulta priva di consequenzialità logica l opzione ermeneutica che, dall utilizzo della locuzione «aventi diritto», pretende di circoscriverti la platea dei successori nel credito per TFR ai soli soggetti che vi siano succeduti ex lege ai sensi dell art c.c., comma La riprova di quanto testé rilevato è dei resto rinvenibile nella stessa lettera della L. n. 297 del 1982, art. 2, laddove, al comma 7, secondo periodo, prevede che «il fondo è surrogato di diritto al lavoratore o ai suoi aventi causa nel privilegio spettante sul patrimonio dei datori di lavoro ai sensi degli artt. 2751bis e 2776 c.c., per le somme da esso pagate»; ed invero - e contrariamente a quanto ritenuto dall istituto ricorrente - poiché la surrogazione presuppone l avvenuto pagamento a favore del creditore originario, la prevista surrogazione ex lege del Fondo agli «aventi causa» del lavoratore sta ad indicare che legittimati a richiedere il pagamento del TFR sono tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano succeduti nel relativo credito a prestatore di lavoro e non già soltanto, secondo la restrittiva interpretazione sostenuta dal ricorrente, gli «aventi diritto» di cui al combinato disposto dell art c.c., commi 1 e Il motivo all esame, nei distinti profili in cui si articola, deve quindi essere disatteso. 6. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso va pertanto respinto.

7 Cessione del credito al trattamento di fine rapporto e legittimazione a richiedere l intervento del fondo di garanzia La Suprema Corte, con due sentenze rese a breve distanza l una dall altra, ha avuto modo di chiarire una questione della quale non constano precedenti. I casi che hanno dato origine alle sentenze che si commentano prendono le mosse da fattispecie analoghe, ossia dalla cessione del credito al trattamento di fine rapporto (di seguito: t.f.r.), che il lavoratore vantava nei confronti del datore di lavoro, in favore di una società finanziaria, alla quale il lavoratore aveva richiesto un mutuo. In entrambi i casi, a causa del fallimento dei datori di lavoro, le società avevano insinuato il proprio credito nel passivo fallimentare, senza tuttavia trovare soddisfazione. Per tale ragione, decorsi i termini previsti dall art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, inoltravano domanda di pagamento del t.f.r. e dei relativi crediti accessori al fondo di garanzia, ma inutilmente. In particolare, l INPS opponeva la carenza di legittimazione attiva. Le identiche questioni giuridiche sottese alle sentenze possono essere scomposte in due aspetti, l uno prodromico all altro. Anzitutto un primo problema, in realtà in entrambi i casi trattato solo marginalmente dal Collegio giudicante perché non contestato o contestato solo debolmente dall Istituto, si pone in relazione alla cedibilità del t.f.r. da parte dei lavoratori. Il secondo riguarda invece la legittimazione a richiedere l intervento del fondo di garanzia istituito dall art. 2 della legge 29 maggio 1982, n Quanto alla possibilità per il lavoratore di cedere il proprio t.f.r. maturando, in dottrina le posizioni sono diversificate, mentre nelle uniche due sentenze di cui si ha notizia, la giurisprudenza si è pronunciata in favore della soluzione positiva. In effetti, la Cassazione ha riconosciuto, nel settore dell impiego privato, la libera cedibilità dell intero t.f.r. maturando o di quote di esso, in quanto si tratterebbe di cessione di credito futuro con effetti obbligatori per le parti (Cass. 10 agosto 2005, n , in Riv. It. Dir. Lav., 2006, II, pag. 373, con nota di P. SOLE, Sull ammissibilità della cessione del t.f.r.: tra dubbi e riforme). Nell altra occasione nota in cui la Cassazione si è pronunciata, l ammissibilità della cessione del credito al t.f.r. è stata affermata sulla base dell osservazione per la quale non sussist[e] nell ordinamento un esplicito divieto legale in ordine a tale cessione e non [è] il credito del lavoratore in ordine a tale indennità un credito avente natura strettamente personale, ossia non ricorrono le due ipotesi di divieto previste dall art Cod. Civ. (Cass. 1 aprile 2003, n. 4930, in Lav. Giur., 2004, pag. 579, con nota di D. SIMONATO, La cessione a scopo di garanzia di credito per trattamento di fine rapporto; anche in Riv. It. Dir. Lav., 2003, II, pag. 756, con nota M. CORTI, Inesistenza di limiti alla cessione del t.f.r. in garanzia: la cessione del credito retributivo tra categorie civilistiche e art. 36 Cost.; anche in Orient. Giur. Lav., 2003, pag. 343, con nota A. DE PALMA, Cedibilità del credito per il trattamento di fine rapporto). Peraltro, i divieti legali alla cessione, in quanto eccezioni al principio della libera cedibilità e stante il divieto di cui all art. 14 Preleggi, non potrebbero essere estesi oltre i casi per i quali sono stati previsti. Il principale di essi è costituito dall art. 5 del d.p.r. 5 gennaio 1950, n. 180, che, per il solo pubblico impiego, ammette la cessione di «stipendi, salari, pensioni e altri emolumenti» solo a fronte di prestiti che rispettino

8 le condizioni previste da un decreto ministeriale all uopo adottato ed in ogni caso mai per importi superiori al quinto del loro ammontare. In dottrina (P. SOLE, op. cit., pag. 373; di D. SIMONATO, op. cit., pag. 579; M. CORTI, op. cit., pag. 756; A. DE PALMA, op. cit., pag. 343), le osservazioni critiche alla cedibilità del t.f.r. si sono appuntate di volta in volta sulla mancata esigibilità del diritto, che maturerebbe solo alla scadenza del rapporto; o sulla disciplina limitativa prevista in caso di pignoramento o sequestro, che dovrebbe essere applicata in via analogica; o sulla presunta illegittimità costituzionale di un interpretazione che ammetta la cedibilità del t.f.r., per contrarietà all art. 36 Cost., che, affermando la funzione anche alimentare di esso, ne vieterebbe la totale disponibilità. In realtà, l argomento basato sul momento della costituzione del diritto (sulla quale R. PESSI, Il trattamento di fine rapporto: la maturazione del diritto, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1983, pag. 311) non sembra essere probante, visto che è pacifico che la cessione possa riguardare anche crediti futuri o perfino eventuali, senza che ciò comporti nullità del contratto per indeterminatezza o indeterminabilità dell oggetto (si tratterebbe infatti di cessione con efficacia obbligatoria che dispiega i suoi effetti solo al momento in cui il credito viene in esistenza: Cass. 31 agosto 2005, n , in Fallim., 2006, pag. 538, con nota di C. TRENTINI, Revocabilità ed inefficacia della cessione di crediti futuri; Cass. 22 aprile 2003, n. 6422, in Foro Pad., 2004, I, pag. 19; Cass. 19 giugno 2001 n. 8333, in Riv. Not., 2002, pag. 435, con nota di S. VOCATURO, Libera cedibilità dei crediti, anche futuri; Cass. 17 marzo 1995, n. 3099, in Giust. Civ. Mass., 1995, pag. 627). Trattandosi inoltre di un negozio a schema tipologico indeterminato, ben può lo scopo di garanzia costituire un profilo causale sufficiente, ai sensi dell art Cod. Civ., idoneo a giustificarne la legittimità (T. MANCINI, La cessione dei crediti futuri a scopo di garanzia, Milano 1968, pag. 8 e segg.). Quanto alla possibilità di applicazione in via analogica della disciplina del pignoramento (art. 545 Cod. Proc. Civ.) o del sequestro (art. 671 Cod. Proc. Civ.), non sembra che possa essere utilmente prospettata, in quanto si tratta di istituti non comparabili, pensati per difendere il patrimonio del lavoratore dall aggressione di pretese altrui; nel caso della cessione, invece, il sacrificio dell interesse proprio è voluto dallo stesso soggetto per soddisfare interessi sempre propri. Ancora meno conferente è il richiamo, da taluni prospettato (P. SOLE, op. cit., pag. 378), alla possibilità che il giudice divorzile possa assumere, a tutela del coniuge che ha diritto all assegno di mantenimento, provvedimenti restrittivi alla disponibilità di retribuzione e degli altri emolumenti percepiti dal coniuge obbligato all assegno (art. 8 della l. 1 dicembre 1970, n. 898), circostanza che anzi testimonia la libera cedibilità del crediti e che si motiva in conseguenza degli interessi pubblici sottostanti alla vicenda. Né, da ultimo, varrebbe la supposta contrarietà all art. 36 Cost. ed alla natura di retribuzione differita e quindi con funzioni anche alimentari del credito al t.f.r. (e a tale fine si cita anche la Convenzione OIL 1 luglio 1949, n. 95: vd. M. CORTI, op. cit., pag. 760): conformemente al principio di libertà, non si vede perché il soggetto non possa disporre come meglio ritiene dei propri diritti, magari sacrificando interessi di natura alimentare futuri per provvedere ad interessi della stessa natura attuali, con valutazione comparativa che solo a lui è rimessa, mediante la richiesta di un prestito garantito dalla cessione di un diritto che potrà esigere solo in futuro. Ancora più radicalmente, si ritiene che le funzioni alimentari che assolvono gli emolumenti retributivi rilevino solo quando si debba operare un bilanciamento con interessi

9 altrui che con questo confliggano, e non quando sia il lavoratore a disporre dei propri interessi. Quanto alla seconda questione che la sentenza pone, ossia quello della legittimazione attiva a chiedere l intervento del fondo di garanzia, si ritiene utile premettere brevi cenni all istituto. Il fondo di garanzia per la corresponsione del trattamento di fine rapporto costituisce uno degli strumenti che l ordinamento, con diversità di tecniche e metodi di intervento, prevede per la tutela dei crediti del lavoratore, in ragione della natura alimentare di cui essi sono dotati. In particolare, il legislatore è intervenuto dapprima istituendo il fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto (art. 2 legge 29 maggio 1980, n. 297), come patrimonio separato presso l INPS; in seguito, con il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, ha dilatato l area di intervento del fondo, chiamato ad intervenire non solo per la mancata o parziale erogazione del t.f.r., ma anche per i crediti di lavoro inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto (artt. 1 e 2) ed i contributi previdenziali obbligatori che siano stati omessi e che si siano prescritti (art. 3) (su di esso, tra gli altri cfr. A. BELLAVISTA, voce Insolvenza del datore di lavoro, in Enc. Dir., aggiornamento, Milano 2000, pag. 688; G. CIVALE, Insolvenza dell imprenditore e tutela dei crediti di lavoro, in Riv. Giur. Lav., 1993, I, pag. 441; G. CANAVESI, Contribuzione prescritta e automaticità delle prestazioni nell ordinamento italiano e nella dimensione comunitaria, in Riv. Giur. Lav., 1992, pag. 465). Al fondo di garanzia per il t.f.r., i crediti di lavoro e i contributi per la previdenza obbligatoria (sul quale, cfr. A. VALLEBONA, La garanzia dei crediti da lavoro e della posizione previdenziale in caso di insolvenza del datore di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 1993, I, pag. 72; sul versante operativo, cfr. le istruzioni rese dall INPS con circolare 7 marzo 2007, n. 53, che costituisce il precipitato delle disposizioni vigenti e degli orientamenti giurisprudenziali sull istituto), il legislatore del 1992 ha aggiunto un ulteriore e «apposito fondo di garanzia» presso l INPS, «contro il rischio derivante dall omesso o insufficiente versamento da parte dei datori di lavoro [ ] dei contributi dovuti per forme di previdenza complementare» (a chiarimento del quale, di recente, è intervenuta la circolare INPS 22 febbraio 2008, n. 23). Come noto, salvo che per l omessa o irregolare contribuzione alla previdenza obbligatoria, il sistema è basato sul (parziale) accollo dei crediti su un fondo ad hoc, che, liquidato il lavoratore, si surroga nei suoi diritti: lo scopo del fondo, ai sensi dell art. 2, co. 1, l. n. 297 del 1982, è infatti quello di «sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto» (Cass. 2 febbraio 2004, n. 1848, in Giust. Civ., 2004, I, pag. 1757, con nota di L. RONDELLI, Ancora sui presupposti di attivazione del fondo di garanzia). Legittimati a chiedere l intervento sono «il lavoratore o i suoi aventi diritto»; la procedura ed i termini della domanda variano (art. 2, co. 2-5) a seconda che il datore inadempiente sia o meno soggetto alle procedure concorsuali, ma sono entrambi diretti ad accertare che le «garanzie patrimoniali s[ia]no in tutto o in parte insufficienti» (Cass. 20 maggio 2004, n , in Riv. It. Dir. Lav., 2005, II, pag. 453, con nota adesiva di N. GHIRARDI, Fondo di garanzia dell INPS e mancata insinuazione al passivo fallimentare). In altri termini, l intervento è sussidiario rispetto a tutte le altre forme di tutela che l ordinamento consenta di esperire, tanto che è necessario corredare la domanda rivolta all INPS dei documenti che provino che il lavoratore in maniera attenta abbia cercato di soddisfare il suo credito, ad esempio insinuandolo

10 prontamente nel passivo fallimentare o procedendo diligentemente ad un esecuzione poi rimasta infruttuosa. Pur non richiedendosi che il lavoratore esperisca tutte le azioni possibili, bisogna che dimostri di aver cercato di realizzare il proprio credito in modo serio ed adeguato (Cass. 29 gennaio 2002, n. 1136, in Not. Giur. Lav., 2002, pag. 380), ossia producendo fra i documenti a supporto della domanda ad esempio il verbale che attesti l infruttuoso pignoramento mobiliare (P. BOER, Il fondo di garanzia del T.F.R. e le condizioni del suo intervento, in Riv. Giur. Lav., 1991, III, pag , nota a Pret. Monza 7 maggio 1991). Ora, come detto, la questione sottoposta al giudice di legittimità verteva sulla legittimazione attiva della società finanziaria a proporre domanda all Istituto previdenziale in qualità di cessionaria del credito. Secondo l INPS, infatti, il legislatore della legge n. 297, con l espressione «lavoratori o loro aventi diritto», avrebbe circoscritto la possibilità di inoltrare la domanda al lavoratore e, in caso di suo decesso, ai soli soggetti indicati dall art Cod. Civ., che impiega la stessa dizione per indicare i soggetti beneficiari dell indennità a causa di morte (cfr. anche la circolare INPS 7 marzo 2007, n. 53, 2). Nei giudizi instaurati, la difesa dell Istituto si è appuntata da una parte su una interpretazione sistematica dell espressione, secondo la quale l identità di essa con quella adoperata dall art Cod. Civ. impone all interprete di dar loro identico significato; dall altra, su una lettura teleologica dell istituto del fondo di garanzia, che assolverebbe a scopi assistenziali in favore del lavoratore e solo di questi che difettano quando sia avvenuta una cessione del credito al t.f.r.. In realtà, nell unica sentenza di merito di cui si ha notizia, questa lettura restrittiva non ha trovato accoglimento (App. Ancona 18 dicembre 2007, in Guida al lav., 2008, n. 15, pag. 41, con osservazioni redazionali adesive; la sentenza è in corso di pubblicazione anche in Dir. merc. lav., 2008, fasc. 2, con nota critica di M. NAPOLITANO, Cedibilità del credito per tfr e concetto di avente diritto ). L interpretazione restrittiva fondata sul richiamo al significato che l art Cod. Civ. assegna alla espressione non sembra corretta da un punto di vista sistematico: anzitutto, si tratta di norme diverse, usate in contesti diversi e che esprimono finalità diverse. La Corte costituzionale, avendo riconosciuto la possibilità di disporre con atto mortis causa delle somme di cui all art Cod. Civ. anche in favore di soggetti diversi da quelli indicati nella norma, ha ammesso che l espressione «aventi diritto» può non avere quella portata restrittiva che invece le si vorrebbe attribuire (sentenza 19 gennaio 1972, n. 8, in Rass. Giur. ENEL, con nota di G SANTORO- PASSARELLI, Riflessioni sulla natura giuridica delle indennità spettanti ai superstiti in caso di morte del lavoratore). In secondo luogo, la stessa lettera della legge n. 297 del 1982 mostra che il legislatore ha usato l espressione senza volerle conferire un significato tecnico: mentre nei commi 2 e 5 ricorre l espressione «aventi diritto», nel comma 7 dello stesso art. 2 si impiega la diversa espressione «aventi causa», che sicuramente a giudicare dal tenore della norma ha lo stesso significato della prima. Ora, se il legislatore avesse voluto cristallizzare un criterio selettivo, si sarebbe attenuto ad un maggiore rigore formale, adoperando sempre la stessa locuzione, o avrebbe specificato quali soggetti possono essere considerati «aventi diritto». L argomento sistematico, dunque, depone nel senso prospettato dalla sentenza n di Cassazione, secondo la quale, molto semplicemente, «aventi diritto» designa coloro che «hanno diritto». D altra parte, nello stesso codice civile, il legislatore adopera entrambe le espressioni («aventi diritto» e «aventi causa») in maniera

11 indifferenziata, senza attribuire loro un particolare significato se non quello fatto palese dalle parole; ed ogni volta che ha voluto restringere il novero dei soggetti cui esse si riferiscono, lo ha fatto espressamente (cfr., ad esempio, l art. 64 Cod. Civ.). Quanto all altro argomento invocato dall INPS, ossia la funzione assistenziale che il fondo assolverebbe natura che varrebbe ad escludere la legittimazione del cessionario del credito non sembra cogliere nel segno (riassume efficacemente le ragioni a favore della natura assistenziale dell intervento del fondo e le conseguenze applicative D. GARCEA, Rassegna critica della giurisprudenza sul Fondo di garanzia, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2005, pag. 645). In realtà, avuto riguardo al generale impianto della legge n. 297, sembra più aderente allo scopo dell istituto riconoscere alle prestazioni erogate dal fondo la stessa natura del t.f.r., ossia natura retributiva con finalità latamente previdenziali. A tale proposito, le Sezioni unite di Cassazione (con una serie di sentenze destinate a comporre un contrasto sorto sulla possibilità di cumulare agli interessi il maggior danno da svalutazione monetaria, del 26 settembre 2002, n , 13989, 13990, 13991, in D&L Riv. crit. dir. lav., 2003, pag. 179; Cass. S.U. 26 settembre 2002, n è pubblicata anche in Riv. Giur. Lav., 2002, II, pag. 807, con nota adesiva di D. CARPAGNANO, Le Sezioni Unite della Cassazione sul cumulo degli accessori sul TFR) hanno avuto modo di affermare che il credito del lavoratore non cambia natura per il solo fatto che sia stato accollato ad un istituto previdenziale (vd. anche Cass. S.U. 3 ottobre 2002, n , in Giust. Civ. Mass., 2002, pag. 1768). Non risulta pertanto giustificata la lettura delle norme che intenda limitare al solo lavoratore il diritto a richiedere l intervento del fondo in ragione delle sue presunte funzioni assistenziali. In conclusione, la cedibilità del credito è giustificata dal fatto che non è escluso che le esigenze che il t.f.r. (o l intervento sostitutivo del fondo di garanzia) è destinato (in futuro) a soddisfare possano emergere anche in costanza del rapporto di lavoro, piuttosto che solo alla cessazione del rapporto o, come preteso dall istituto previdenziale, alla morte del lavoratore. In altri termini, la cessione del credito futuro al t.f.r. maturando esprime da parte del lavoratore un esigenza economica coerente alle finalità del fondo di garanzia: introdurre un limite al diritto di surroga che spetta al cessionario varrebbe a rendere, sia pure in via indiretta, meno appetibile l acquisizione del credito da parte di società finanziarie limitando la sua cedibilità. La legittimazione delle società finanziarie cessionarie del credito al t.f.r. è così la naturale conseguenza della sua libera cedibilità. VINCENZO PUTRIGNANO Dottore di ricerca dell Università degli Studi di Macerata

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