REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BOLOGNA SEZIONE LAVORO

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1 Sentenza n. 719/11 Pronunziata il 12/07/2011 Depositata il 25/08/2011 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BOLOGNA SEZIONE LAVORO Il Giudice Unico dott. Giovanni Benassi ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A Nella causa civile iscritta al n. 274 del Ruolo Generale Lavoro dell anno 2011, posta in decisione all udienza del 12 luglio 2011, promossa da: XX, rappresentato e difeso per mandato a margine del ricorso introduttivo di primo grado, dall avvocato XXX presso il cui studio in Bologna, via Frassinago n. 6, è pure elettivamente domiciliato Contro RICORRENTE XXXXXXX in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura generale alle liti rilascia per atto notaio Ambrosone in Roma del 31 luglio 2008, rep. n , racc. n. 9862,, dall avvocato Poli, presso il cui studio è pure elettivamente domiciliata, in Bologna, via Zanardi n. 28 Avente ad oggetto: contratto a tempo determinato CONCLUSIONI CONVENUTA Il procuratore del ricorrente chiede e conclude: "voglia l'ill.mo Giudice del Lavoro adito, previa ogni e più opportuna declaratoria, contrariis reiectis: in via principale: accertare e dichiarare l inefficacia e(o la nullità del termine apposto al contratto per violazione dell art. 1 d. legs. 368/01 e della direttiva 1999/70/CE; accertare e dichiarare, conseguentemente, che fra il sig. XX e xxxxx si sia costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dalla stipulazione del primo contratto,

2 ovvero dal 2 febbraio 2007, ovverosia quando l Ill.mo Giudice riterrà costituito il diritto, per illegittimità del termine apposto; condannare xxxxx, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a corrispondere al ricorrente il pagamento delle differenze retributive maturate e non corrisposte, nonché i contributi previsti, che la legge assicura inderogabilmente, al prestatore di lavoro subordinato, ance ai sensi degli artt c.c. e 36 Cost., oltre ad interessi e rivalutazione monetaria come per legge, sulla base della retribuzione globale corrispondente al Livello contrattuale "E"; condannare xxx Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, a reintegrare il ricorrente sul posto di lavoro nel quale ha svolto la propria prestazione lavorativa, nonché al risarcimento del danno subito dal lavoratore, da determinarsi in un indennità pari alla retribuzione globale di fatto a tempo pieno corrispondente al Livello contrattuale "E" dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione e non inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto così calcolata: retribuzione ordinaria 1.349,04; rateo 13ma 1349,04:12 112,42; rateo TFR 1.349,04:13,5 99,93; rateo ferie 1349,04:26x2,5 129,72; totale 1.691,11 ovvero nella diversa somma, maggiore o minore, che risulterà in corso di causa o sarà ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali; nonché condannare la convenuta al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali presso i competenti Istituti INPS ed INAIL; condannare xxx Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento del danno alla professionalità, da perdita di chances ed esistenziale, patito dal ricorrente e da liquidarsi in via equitativa nella misura pari ad 5.000,00 ovvero nella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia oltre ad interessi e rivalutazione monetaria come per legge; condannare xxx Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento di tutti i premi di produttività non corrisposti; in ogni caso: con vittoria si spese, competenze ed onorari, oltre maggiorazione del 12,5%, IVA e CPA, a carico della parte convenuta"; Il procuratore della società convenuta chiede e conclude: "voglia l'ill.mo Giudice del lavoro, ogni contraria eccezione e deduzione disattesa, rigettare il ricorso in quanto improcedibile, inammissibile e comunque rigettare lo stesso ricorso e le domande tutte in quanto infondate in fatto ed in diritto e, comunque, carenti di prova: in via subordinata e nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento del ricorso, si chiede che venga applicata la sola sanzione risarcitoria di cui all'articolo 32, commi quinto e sesto, della legge numero 183 del 4 novembre 2010, nella misura del minimo pari a 2,5 mensilità e, comunque, non oltre la metà del limite massimo dell'indennità fissata dal comma quinto; sempre in via subordinata e nella denegata ipotesi in cui l'adito Giudice dovesse ritenere dovute le retribuzioni, si chiede che nella quantificazione delle somme eventualmente dovute si tenga conto di quanto percepito da parte ricorrente per effetto della propria attività lavorativa prestata a favore di altri, e di quanto avrebbe potuto guadagnare usando l'ordinaria diligenza, secondo la misura che codesto illustrissima Corte riterrà opportuno determinare; con vittoria di spese, competenze ed onorari". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

3 con ricorso depositato il 20 gennaio 2011, XX, premesso di avere lavorato alle dipendenze di xxx Italiane dal 2 febbraio 2007 al 31 marzo 2007 con la qualifica di impiegato di livello E e mansioni di portalettere junior presso l'ufficio recapito CPD di San Giovanni in Persiceto a seguito della stipulazione, in data 2 febbraio 2009, di un contratto di lavoro a tempo determinato nel quale la posizione del termine era stata giustificata mediante richiamo al disposto di cui all'articolo 2, comma 1 bis, del d. legs. n. 368/2001; che al primo contratto ne erano seguiti altri due, con decorrenza dal 3 settembre 2007 al 31 ottobre 2007 e dall 1 febbraio 2008 al 31 marzo 2008 con assegnazione sempre della qualifica di impiegato di livello E e mansioni di addetto CRP junior presso l ufficio CMP di Bologna; e che, quindi, aveva complessivamente lavorato per un periodo complessivo di 177 giorni, ha convenuto in giudizio la xxx chiedendo, previa declaratoria di nullità del termine finale apposto ai contratti di lavori e del suo diritto ad essere assunto a tempo indeterminato, che venisse ordinato alla società convenuta di riammetterlo nel posto di lavoro già ricoperto; di corrispondere in suo favore una indennità pari alla retribuzione globale di fatto dovuta dal giorno del licenziamento a quello dell effettiva reintegrazione, in misura comunque non inferiore a cinque mensilità; di regolarizzare il rapporto dal punto vista previdenziale; e di risarcire il danno alla professionalità, da perdita di chances ed esistenziale, liquidandolo in via equitativa nella somma di 5.000,00. Il ricorrente ha sostenuto che il termine finale apposto al suo contratto di lavoro dovesse essere dichiarato nullo, in primo luogo, perché la società convenuta, avendo sistematicamente utilizzato forme di lavoro precario per sopperire ad esigenze cronicizzate di carenza del personale, aveva, sostanzialmente, eluso la disciplina normativa prevista a favore del lavoratore subordinato; in secondo luogo perché la successione nel tempo di più contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra le stesse parti si porrebbe in contrasto con la direttiva 1999/70/CE, in particolare con la clausola n. 5 dell accordo quadro del 18 marzo 1999; in terzo luogo, per violazione della clausola di contingentamento, nel senso che, negli anni 2007 e 2008, la società convenuta aveva ampiamente superato la quota massima fissata dalla legge per le assunzioni a tempo determinato. Radicatosi contraddittorio con la società xxx Italiane, che ha chiesto il rigetto della domanda, ed espletata l'istruttoria, all udienza del 12 luglio 2011, i procuratori delle parti hanno concluso come in epigrafe e la causa, dopo la discussione orale, è stata decisa come da dispositivo, di cui è stata data lettura, riservando, per la complessità della causa, il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La società convenuta eccepisce, preliminarmente, l'improcedibilità del ricorso per la mancata impugnazione della nullità del termine da effettuarsi, a pena di decadenza, entro 60 giorni, non essendo avvenuta alcuni impugnazione preventiva al ricorso giudiziario, né dopo la scadenza del contratto, né dopo l'entrata in vigore della legge numero 183/2010,

4 con violazione, quindi, dell'articolo 6 della legge numero 604/1966 come modificato dall'articolo 32 della legge numero 183/2010. L'eccezione è infondata. Si premette che la previsione di un termine di decadenza per l'esercizio delle azioni volte ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ad un contratto di lavoro è stata, per la prima volta, introdotta nel nostro ordinamento, anche relativamente ai contratti di lavoro già conclusi, come nel caso di specie, alla data di entrata in vigore della nuova normativa (24 novembre 2010), dalla disposizione contenuta nel comma 4, lettere a) e b), dell'articolo 32 della legge n. 183 del 4 novembre Tale nuova previsione normativa è, tuttavia, destinata ad entrare in vigore dal prossimo 1 gennaio Infatti, il comma 52 dell articolo 2 del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in legge 26 febbraio 2011 n. 10, ha aggiunto all'art. 32 della legge n. 183 del 2010, dopo il comma 1, il comma 1 bis, secondo cui "in sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere 31 dicembre 2011". Sebbene la formulazione letterale della norma e la sua collocazione, nel contesto dell articolo 32 della legge n. 183 del 2010, subito dopo il primo comma, possano lasciare intendere che l intenzione del legislatore era quella di rinviare nel tempo soltanto l applicazione del regime delle decadenze in materia di licenziamento, il coordinamento sistematico della nuova disposizione con le altre contenute nel medesimo articolo 32 conduce a diverse conclusioni. Deve, infatti, essere considerato che l operazione posta in essere dal legislatore sul regime delle decadenze con l articolo 32 citato è stata realizzata mediante la riscrittura dei primi due commi dell articolo 6 della legge n. 604 del Le disposizioni contenute negli originari commi 1 e 2 dell articolo 6 sono state raggruppate nel nuovo primo comma ed è stata inserita, nel nuovo secondo comma, una norma del tutto innovativa, volta a disciplinare il nuovo e complesso sistema delle decadenze. Quanto al contratto a tempo determinato, il legislatore non ha disciplinato in modo autonomo il regime delle decadenze per il tempestivo esercizio dell azione giudiziaria, ma, come si evince dalla formulazione letterale del comma 4 dell art. 32 citato, si è limitato ad estendere anche ai contratti a tempo determinato l applicazione delle disposizioni del novellato articolo 6 della legge n. 604 del Di conseguenza, nell originario disegno legislativo, dal 24 novembre 2010, data di entrata in vigore della legge n. 604 del 1966, tutti i contratti a tempo determinato, ancorché stipulati in epoca anteriore e la cui esecuzione fosse già cessata, sarebbero stati assoggettati alla medesima disciplina prevista

5 per l impugnazione dei licenziamenti dal "nuovo" articolo 6 della legge n. 604 del 1966 e, cioè, avrebbero dovuto essere impugnati, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla loro scadenza o, per quelli precedentemente cessati, dalla data di entrata in vigore della legge 183 del 2010 con qualsiasi atto scritto atto a rendere nota la volontà del lavoratore a contestare la legittimità del contratto a tempo determinato, cui avrebbe dovuto seguire, nei successivi 270 giorni l esperimento dell azione giudiziaria o la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Successivamente, però, il legislatore, con la legge n. 10 del 2011, ha, espressamente, differito l applicazione delle disposizioni contenute nel novellato testo del comma 1 dell articolo 6 della legge relative al termine di sessanta giorni per l impugnazione del licenziamento al primo gennaio 2012, così, contestualmente, differendo anche l operatività di tutte le altre norme, collegate e conseguenti, a partire dalla necessità di esperire l azione giudiziaria o la richiesta dell arbitrato o del tentativo di conciliazione nei successivi 270 giorni e per finire con quanto stabilito nei commi 3 e 4. In questi ultimi due casi, infatti, e significativamente in quello oggetto di causa afferente ad un contratto a tempo determinato, la sospensione dell applicazione ai licenziamenti del nuovo primo comma dell articolo 6 della legge n. 604 del 1966, ha comportato, in modo automatico, l impossibilità di estendere alle altre fattispecie previste nei commi 3 e 4 la necessità di procedere all impugnazione stragiudiziale nel termine di sessanta giorni non operando ancora quello stesso termine di sessanta giorni disciplinato dal testo novellato del primo comma dell art. 6 della legge n. 604 del 1966 ed essendo tutte ipotesi nelle quali, secondo la previgente disciplina, non era previsto alcune termine di decadenza per l esercizio dell azione giudiziaria. In altri termini, l intervento attuato con la legge n. 10 del 2011, pur agendo direttamente soltanto in materia di licenziamenti, ha differito, quale effetto riflesso necessario, all 1 gennaio 2012 anche l introduzione della disciplina delle decadenze nelle situazioni regolate nei commi 3 e 4, tra cui anche quelle afferenti al contratto a tempo determinato, posto che ha sospeso l efficacia normativa di quel termine di decadenza di sessanta giorni, strutturalmente diverso da quello previsto dall abrogato testo dell articolo 6 della legge n. 604 del 1996, che, disciplinato dal primo comma, era stato esteso alle ipotesi di cui ai successi commi 3 e 4, per le quali, in precedenza, l esercizio dell azione giudiziaria non era soggetto ad alcuna impugnazione stragiudiziale a pena di decadenza. Pertanto, anche per i contratti a tempo determinato, deve intendersi differita all 1 gennaio 2012 l operatività del sistema delle decadenze prevista dall art. 32 della legge n. 183 del xxx Italiane, poi, eccepisce l inammissibilità della domanda per l avvenuta acquiescenza del ricorrente alla risoluzione del contratto di lavoro, che sarebbe dimostrata dal lungo periodo di tempo intercorso fra la scadenza dell ultimo contratto (31 marzo 2008) ed il deposito del ricorso giudiziario (20 gennaio 2011) e dalla mancata offerta della prestazione

6 di lavoro prima della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione pervenuta il 28 settembre Anche questa eccezione è infondata. La società convenuta ripropone la nota questione dello scioglimento del rapporto di lavoro a tempo determinato per mutuo consenso sulla quale, nonostante vivaci contrasti nella giurisprudenza di merito, la Corte di Cassazione (cfr. Cass. n /08, n /08, n /07, n /07), è ferma nel ritenere che, nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva considerato la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso) (v. da ultimo Cass. n. 6634/11 e n. 6379/11). In sostanza, xxx Italiane sostiene che l inattività del lavoratore, protrattasi per circa tre anni dalla cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato, congiunta alla volontà risolutiva da esso dimostrata, possa integrare una sorta di acquiescenza alla risoluzione del rapporto di lavoro, omettendo, però, ogni specificazione degli elementi diversi dal mero decorso del tempo dai quali dovrebbe, in concreto, essere desunta la volontà (tacita) del ricorrente di risolvere per mutuo consenso il rapporto di lavoro già in essere con xxx Italiane. Giova, infatti, ricordare che, secondo i principi generali del diritto civile, dal silenzio serbato da una parte non possono essere di per sé desunte delle conseguenze di carattere giuridico, a meno che una disposizione normativa o contrattuale non autorizzi ad orientare l interpretazione del comportamento inerte serbato dalla parte verso una particolare manifestazione di volontà. In altri termini, nel caso, come in quello in esame, di asserito comportamento concludente nel quale, cioè, è assente una espressa dichiarazione di volontà della parte, la mera inerzia tenuta dal lavoratore non costituisce, di per sé, indice sicuro di una chiara e certa volontà comune di porre definitivamente termine ad ogni rapporto di lavoro, ma la parte, che invoca il mutuo consenso quale causa di estinzione del rapporto contrattuale, deve allegare e dimostrare l esistenza di particolari circostanze, significative nel senso di qualificare la volontà (tacita) della parte come rivolta ad accettare il definitivo scioglimento del rapporto di lavoro.

7 Poiché, nella specie, xxx Italiane si è limitata a prospettare la questione sotto il profilo astratto senza fornire alcun elemento utile per qualificare, nel senso auspicato, la mera inerzia del ricorrente, per altro protrattasi per meno di due anni cioè fino al 28 settembre 2009, data di ricevimento da parte della società convenuta della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, con offerta della prestazione di lavoro, e quindi per un periodo non particolarmente significativo, l eccezione di risoluzione del contratto di lavoro per mutuo consenso risulta infondata e, come tale, va disattesa. 3. Venendo ad esaminare le questioni di merito, va premesso che la fattispecie in esame concerne tre contratti a tempo determinato, il primo dei quali stipulato il 2 febbraio 2007, nel quale l apposizione del termine di scadenza pacificamente al 31 marzo 2009 era stata giustificata ai sensi dell articolo 2, comma 1 bis, del d. legs. N. 368 del 2001, così come modificato dalla legge 23 dicembre 2005, n Più dettagliatamente, il lavoratore, inquadrato nel livello E del c.c.n.l. di settore ed assegnato alle mansioni di portalettere junior presso il CDP di San Giovanni in Persiceto e, poi, di addetto CRP junior presso l Ufficio CMP di Bologna, ha prestato servizio, con il primo contratto, dal 2 febbraio 2007 al 31 marzo 2007, per 58 giorni; con il secondo, dal 3 settembre 2007 al 31 ottobre 2007, per 59 giorni; con il terzo dall 1 febbraio 2008 al 31 marzo 2008, per 60 giorni; per un periodo complessivo di 177 giorni. In ordine alle questioni poste dalla difesa della parte ricorrente, va, in primo luogo, disattesa l interpretazione di parte della giurisprudenza di merito (Tribunale di Milano del 7 giugno 2007 e del Tribunale di Foggia del 19 marzo 2007) secondo cui la disciplina prevista dall art. 2, comma 1 bis, del d. lgs. deve essere considerata come aggiuntiva rispetto a quella dettata dall art. 1 della stessa norma, cioè che le assunzioni a termine effettuate sulla base di tale norma oltre al rispetto dei limiti in essa fissati debbano contenere l indicazione di una delle specifiche causali di cui all art. 1. L art. 2 del d. lgs. n. 368 del 2001, rubricato "Disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo e i servizi aeroportuali" prevede che "E consentita l apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato quando l assunzione sia effettuata da aziende di trasporto aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al quindici per cento dell organico aziendale che, al 1 gennaio dell anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui al presente articolo". La formulazione della norma è identica alla previsione di cui all art. 1, lett. f, della legge n. 230 del 1962, introdotta con la legge 25 marzo 1986 n. 84, che, appunto, consentiva la stipula di contratti a termine per le imprese operanti nel settore del trasporto aereo e nel

8 settore dei servizi aeroportuali senza la necessaria sussistenza di una specifica causale temporanea. Considerato che il legislatore ha integralmente riportato nel d. lgs. n. 368 del 2001 la formulazione della norma in precedenza vigente, appare evidente che lo stesso abbia inteso prevedere per le imprese operanti nel settore del trasporto aereo una autonoma possibilità di stipula di contratti a tempo determinato all interno di limiti temporali e quantitativi individuati dalla norma. Sarebbe certamente anomalo ritenere che il legislatore con l introduzione dell art. 2 del d. lgs. n. 368 del 2001 abbia inteso introdurre una fattispecie del tutto differente rispetto a quella introdotta dall art. 1, lett. f), della legge n. 230 del 1962 e per fare questo ne abbia riportato, parola per parola, l intero testo. Del resto la ratio dell art. 1 lett. f) della legge n. 230 del 1962 era chiaramente volta ad introdurre una disciplina di favore per le aziende operanti nel settore del traffico aereo e dei servizi aeroportuali, considerato che le stesse potevano stipulare contratti a tempo determinato incontrando limiti meno rigidi e rigorosi rispetto a quelli gravanti sulla generalità dei soggetti. Pertanto, nel momento in cui il d. lgs. n. 368 del 2001 ha integralmente riportato la norma di cui all art. 1 lett. f) della legge n. 230 del 1962, ha chiaramente riprodotto la medesima ratio agevolatrice di imprese operanti in un settore specifico e determinato. Accogliendo l interpretazione secondo cui l art. 2 del d. lgs. n. 368 del 2001 intendeva introdurre una disciplina che non prescinda ma si aggiunga ai presupposti di cui all art. 1 della stessa norma, l effetto sarebbe esattamente opposto rispetto a quello di agevolare le imprese indicate, in quanto le stesse potrebbero stipulare contratti a termine non solo rispettando i criteri generali di cui all art. 1, ma anche quelli previsti dall art. 2, introducendo così, per tali imprese, una disciplina molto più rigorosa e restrittiva proprio per le aziende operanti in quel settore. Che il legislatore sia passato da una disciplina di maggior favore rispetto ad un determinato settore ad una disciplina di netto sfavore per lo stesso settore, pur riproducendo la stessa disposizione normativa, non appare una tesi in alcun modo sostenibile, anche perché non sorretta da alcuna concreta esigenza: non si comprenderebbe, infatti, in alcun modo la ratio in base alla quale il legislatore avrebbe inteso per il settore del trasporto aereo, prima assistito da una disciplina di favore, introdurre una disciplina maggiormente restrittiva in relazione alla possibilità di stipulare contratti a termine. Del resto lo stesso termine utilizzato nel testo della rubrica ("disciplina aggiuntiva") trova una evidente spiegazione qualora letto nel suo insieme ("disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo e i servizi aeroportuali") nel senso che il termine aggiuntivo non è riferito ai criteri di cui all art. 1 ma alle aziende che operano nel settore in questione: considerato che è pacifico che le imprese operanti nel settore indicato possano avvalersi sia di contratti a termine stipulati ai sensi dell art. 1, sia di contratti a termine stipulati ai sensi dell art. 2, quest ultima disciplina, per le imprese in questione, si aggiunge a quella prevista per la generalità dei soggetti.

9 Questa interpretazione risulta dal tenore letterale delle due norme, considerato che entrambe iniziano utilizzando la stessa locuzione"e consentita l apposizione di un termine alla durata del contratto.", lasciando così chiaramente intendere che entrambe sono destinate a disciplinare i casi in cui la previsione di un termine sia legittima. La distinzione tra le due ipotesi è che quella prevista dall art. 1 costituisce norma di carattere generale, valida indistintamente per ogni soggetto datoriale, mentre quella di cui all art. 2 è applicabile solo da un determinato e specifico settore di impresa; il fatto che la rubrica descriva il contenuto dell art. 2 come "disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo ed i servizi aeroportuali", lungi dal fornire argomenti alla tesi di parte ricorrente, ulteriormente dimostra che l intenzione del legislatore è quella di introdurre un ipotesi tipica di apposizione del termine diversa, in quanto si aggiunge, a quelle previste in via generale dall art Ciò premesso, ad analoghe conclusioni interpretative può pervenirsi anche in relazione all ipotesi aggiunta nel comma 1 bis dall art. 1, comma 558, della legge n. 266 del 2005 relativa alle imprese concessionarie del servizio postale. L identità di disciplina tra le due ipotesi non può essere messa in dubbio considerato che il comma 1 bis prevede espressamente che "le ipotesi di cui al comma 1 si applicano anche ", lasciando così in maniera non equivoca intendere che il legislatore abbia voluto estendere la medesima disciplina prevista dal primo comma in relazione alle imprese operanti nel settore del trasporto aereo anche alle imprese concessionarie del servizio postale. Ciò, del resto risulta chiaramente dai lavori parlamentari relativi alla norma poi riprodotta dall art. 1, comma 558, della legge n. 266 del 2005, considerato che il relatore in sede di commissione ha dichiarato " talune disposizioni del disegno di legge finanziaria riguardano poi il settore postale, tra cui in primo luogo quanto recato dal comma 67 dove, ai fini dell'applicazione del contratto di programma , in relazione agli obblighi del servizio pubblico universale per i recapiti postali, si prevede lo stanziamento di un contributo in favore di xxx italiane Spa per l'ulteriore importo di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006, 2007 e Nella relazione tecnica di accompagnamento al disegno di legge finanziaria, nel testo presentato al Senato, si illustrano le motivazioni alla base di tale previsione. Al contempo, ricorda come la IX Commissione abbia recentemente deliberato l'avvio di un'indagine conoscitiva sulla "qualità" del servizio fornito agli utenti e sul processo di liberalizzazione in atto nel settore postale", che consentirà di approfondire le diverse tematiche del settore. Al comma 18, si prevede quindi che il Ministero dell'economia e delle finanze e xxx italiane Spa determinino con apposita convenzione i parametri di mercato e la modalità di calcolo del tasso da corrispondere con decorrenza 1 o gennaio 2005 sulle giacenze dei conti correnti in essere presso la tesoreria dello Stato, su cui affluisce la raccolta effettuata tramite conto corrente postale, con la finalità "di consentire una riduzione di almeno 150 milioni di euro rispetto agli interessi a tale titolo dovuti alla società dall'anno 2005". Con il comma 376 si prevede, a sua volta, l'estensione alle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste delle previsioni dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 368 del che reca una disciplina aggiuntiva per il settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali - in ordine alla possibilità di apporre un termine fino a sei mesi alla durata del contratto di lavoro nei periodi da aprile ed ottobre di ogni anno. Ricorda al riguardo che, affrontando la questione dei lavoratori precari nel settore postale, la IX Commissione ha espresso specifici indirizzi al Governo con

10 l'approvazione della risoluzione n nella seduta del 28 luglio 2005" (dal resoconto stenografico della seduta del 22 novembre 2005 della IX Commissione della Camera dei Deputati tratto dal sito internet camera.it). Dai lavori preparatori emerge con evidenza che il legislatore con la norma in questione abbia voluto estendere alle imprese concessionarie di servizi postali la disciplina (di favore) introdotta per le imprese nel settore del trasporto aereo; includere la società xxx Italiane S.p.A. tra i beneficiari di tale estensione, considerato che la norma è inserita in un contesto che fa proprio riferimento a tale ultima società; incidere sul bilancio dello Stato, come emerge chiaramente dalla collocazione della norma in questione all interno della legge finanziaria per l anno La previsione di un ipotesi di apposizione del termine tipizzata dal legislatore e diversa da quelle contemplate nell art. 1 non significa affatto che i contratti a termine conclusi ex art. 2 siano assoggettati ad un regime giuridico diverso dagli altri, trovando sicuramente applicazione anche per i contratti conclusi ex art. 2 l impianto normativo generale del lavoro a tempo determinato. Il legislatore ha introdotto una disciplina aggiuntiva, tipizzando per alcuni settori (prima limitati al trasporto aereo, adesso estesi anche ai servizi postali) la ragione della stipulazione di contratti a termine prescindendo dalle ragioni economiche-organizzative, ma i contratti così stipulati sono soggetti tanto alle formalità previste dai commi 2 e 3 dell art. 1 quanto alla disciplina sulla proroga e sulla successione de contratti (art. 4 e 5) quanto al principio di non discriminazione (art. 6) ed in genere a tutte le disposizioni contenute nel d. lgs. n. 368 del Quanto sopra esclude che possano ravvisarsi violazioni della carta costituzionale sia sotto il profilo della violazione dell art. 3 (argomentando diversamente la stessa previsione di una disciplina del contratto a termine, prevedendo un trattamento difforme rispetto ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato, dovrebbe ritenersi in contrasto con la Costituzione, ipotesi ampiamente esclusa dalla stessa Corte Costituzionale la quale ha già più volte riconosciuto la legittimità di discipline differenziate del lavoro a termine giustificate dalle peculiari caratteristiche dei singoli rapporti di lavoro, vedi sentenza n. 80 del 1994, ordinanza n. 347 del 1998 e sentenza n. 419 del 2000), sia sotto il profilo della violazione dell art. 76 non essendo la legge n. 266 del 2005 attuativa di alcuna delega. Con sentenza dell 8 luglio 2009 n. 214 la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell art. 2, comma 1 bis, del d. lgs. n. 368 del La Corte, in particolare, ha dichiarato che: "Innanzitutto non è ravvisabile alcuna lesione dell'art. 3 della Costituzione. La norma censurata costituisce la tipizzazione legislativa di un'ipotesi di valida apposizione del termine. Il legislatore, in base ad una valutazione operata una volta per tutte in via generale e astratta delle esigenze delle imprese concessionarie di servizi postali di disporre di una quota (15 per cento) di organico flessibile, ha previsto che tali imprese possano appunto stipulare contratti di lavoro a tempo determinato senza necessità della puntuale indicazione, volta per volta, delle ragioni giustificatrici del termine. Tale valutazione preventiva ed astratta operata dal legislatore non è manifestamente irragionevole. Infatti, la garanzia alle imprese

11 in questione, nei limiti indicati, di una sicura flessibilità dell'organico, è direttamente funzionale all'onere gravante su tali imprese di assicurare lo svolgimento dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali, nonché la realizzazione e l'esercizio della rete postale pubblica i quali "costituiscono attività di preminente interesse generale", ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio). In particolare, poi, in esecuzione degli obblighi di fonte comunitaria derivanti dalla direttiva 1997/67/CE, l'italia deve assicurare lo svolgimento del c.d. "servizio universale" (cioè la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 chilogrammi; la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi; i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati: art. 3, comma 2, del d. lgs. n. 261 del 1999); tale servizio universale "assicura le prestazioni in esso ricomprese, di qualità determinata, da fornire permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane, a prezzi accessibili a tutti gli utenti" (art. 3, comma 1); l'impresa fornitrice del servizio deve garantire tutti i giorni lavorativi, e come minimo cinque giorni a settimana, salvo circostanze eccezionali valutate dall'autorità di regolamentazione, una raccolta ed una distribuzione al domicilio di ogni persona fisica o giuridica (art. 3, comma 4); il servizio deve esser prestato in via continuativa per tutta la durata dell'anno (art. 3, comma 3). Non è, dunque, manifestamente irragionevole che ad imprese tenute per legge all'adempimento di simili oneri sia riconosciuta una certa flessibilità nel ricorso (entro limiti quantitativi comunque fissati inderogabilmente dal legislatore) allo strumento del contratto a tempo determinato. Si aggiunga che l'art. 2, comma 1-bis, del d. lgs. n. 368 del 2001 impone alle aziende di comunicare ai sindacati le richieste di assunzioni a termine, prevedendo così un meccanismo di trasparenza che agevola il controllo circa l'effettiva osservanza, da parte datoriale, dei limiti posti dalla norma. La questione non è fondata neppure sotto il profilo della pretesa violazione degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione. La norma censurata si limita a richiedere, per la stipula di contratti a termine da parte delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, requisiti diversi rispetto a quelli valevoli in generale (non già l'indicazione di specifiche ragioni temporali, bensì il rispetto di una durata massima e di una quota percentuale dell'organico complessivo). Pertanto il giudice ben può esercitare il proprio potere giurisdizionale al fine di verificare la ricorrenza in concreto di tutti gli elementi di tale dettagliata fattispecie legale". 5. Parte ricorrente sostiene, poi, l incompatibilità dell art. 2, comma 1 bis, con la normativa europea, con particolare riferimento alla mancanza nell art. 2 di ragioni di carattere oggettivo che giustifichino il ricorso al contratto a termine ed alla previsione di una disciplina deteriore per i lavoratori, situazione questa preclusa dalla normativa comunitaria. Anche questa eccezione è infondata. La direttiva 1999/70/CE in materia di contratti a termine effettivamente ribadisce il principio generale in forza del quale il contratto a termine costituisce comunque un eccezione rispetto alla regola generale che continua ad essere quella del contratto a tempo indeterminato: nel preambolo dell accordo, recepito dalla direttiva, le parti

12 riconoscono che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro tra datori di lavoro e lavoratori. Questo principio, peraltro affermato di recente anche dal legislatore nazionale con l introduzione del comma n. 1 all art. 1 del d. lgs. n. 368 da parte dell art. 1, comma 39, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, tuttavia, non comporta automaticamente l incompatibilità di una disciplina nazionale che preveda la stipulazione di un contratto a tempo determinato senza l indicazione di una specifica causale, ma unicamente che è preclusa al legislatore nazionale l adozione di una disciplina attraverso la quale il ricorso al contratto a termine possa ritenersi generalizzato ed indiscriminato, con la conseguenza che, stante il carattere eccezionale del contratto a termine, questo debba essere previsto in situazioni specifiche e peculiari. Con l introduzione dell art. 2, comma 1 bis, il legislatore non ha liberalizzato la stipulazione di contratti a termine da parte delle imprese concessionarie di servizi postali avendo, al riguardo, previsto precisi limiti temporali e quantitativi. Né può essere ipotizzata la violazione del considerando n. 7 che recita "che l utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi". Al riguardo, si rileva che la disposizione deve essere letta unitamente alle altre disposizioni inserite nella direttiva medesima e nell accordo ad essa allegato. In primo luogo la clausola n. 1 dispone testualmente che l obiettivo dell accordo è: a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. Emerge chiaramente che l attenzione del legislatore comunitario non sia tanto rivolta alla stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, quanto piuttosto al fenomeno della successione di una pluralità di contratti a tempo determinato che in sé può determinare la possibilità di abusi che la direttiva intende prevenire. Coerentemente con tale finalità l unica disposizione in cui è previsto che il contratto a termine debba riportare l indicazioni di ragioni obiettive è proprio quella relativa al rinnovo del contratto e non anche in sede di stipula di un primo contratto a termine. Infatti, la clausola n. 5 dispone che: "Per prevenire gli abusi derivanti dall utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a)ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti".

13 Inoltre, la clausola n. 3), nel definire il lavoratore a termine, specifica che il termine è determinato da condizioni oggettive quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico, con ciò ricollegando le ragioni oggettive non già alla specificazione di causali sottese all apposizione del termine bensì all esigenza di certezza del termine nel senso che la sua scadenza va collegata ad eventi oggettivi. Nella sentenza Mangold (sentenza 22 novembre 2005 C-144/04) la Corte di Giustizia dell Unione Europea, chiamata a pronunciarsi proprio sulla compatibilità di contratto a termine stipulato senza una ragione oggettiva ma solo in base all età del lavoratore, ha circoscritto l oggetto della direttiva europea al solo tema degli abusi da successione di contratti a termine, sostanzialmente affermando che la disciplina di un unico contratto estraneo ad una catena di rapporti non è oggetto della direttiva ed è quindi libera da vincoli comunitari. La Corte ha infatti affermato che "la clausola 5, punto 1 dell accordo quadro mira a prevenire gli abusi derivanti dall utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato ed essendo il contratto oggetto di causa il primo ed unico contratto di lavoro tra esse stipulato l interpretazione della clausola 5) è priva di pertinenza ai fini della soluzione della controversia". Analogamente la Corte nella sentenza Adeneler (sentenza del 4 luglio 2006 C-212/04) ha specificato che "la clausola 5) n. 1 deve essere interpretata nel senso che essa osta all utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che sia giustificata dalla sola circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa o regolamentare generale di uno stato membro" precisando che la nozione di ragioni obiettive ai sensi di detta clausola "esige che il ricorso a questo tipo particolare di rapporti di lavoro quale previsto dalla normativa nazionale sia giustificato dall esistenza di elementi concreti relativi in particolare all attività di cui trattasi ed alle condizioni del suo esercizio". Ne deriva, in conclusione, che l accordo e la direttiva non pongono vincoli causali all iniziale contratto a termine bensì solo al suo rinnovo, affermazione in linea con lo scopo della direttiva che è quello di garantire il rispetto del principio di non discriminazione e di prevenire gli abusi derivanti dall utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato. La disposizione di cui all art. 2 del d. lgs. n. 368 del 2001 deve essere letta anche alla luce del decimo considerando della direttiva ove si fa salva la possibilità che ciascuno Stato tenga conto delle circostanze relative a particolari settori e occupazioni, ed avallando così la possibilità che il legislatore nazionale disciplini in maniera difforme taluni settori produttivi in ragione di una loro peculiarità. Nella fattispecie la peculiarità del servizio postale può individuarsi nell interesse nazionale ad una corretta gestione dello stesso, nella necessaria continuità del servizio e nella

14 circostanza che non si tratta di servizio ad intensità costante, ma caratterizzato da periodi di maggiore attività rispetto ad altri. Non risulta, infine, pertinente il richiamo alla clausola di non regresso contenuta nella clausola n. 8) della direttiva. Il divieto di riduzione del livello generale di tutela offerto ai lavoratori è testualmente circoscritto nella clausola 8 par. 3 "all ambito coperto dall accordo stesso". Come affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Mangold prima citata "una reformatio in peius della protezione offerta ai lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato non è in quanto tale vietata dall accordo quadro se non è in alcun modo collegata con l applicazione di questo". Quanto sopra è stato ribadito dalla stessa Corte di Giustizia che con ordinanza dell 11 novembre 2010 (causa Vino contro xxx Italiane S.p.A.), giudicando proprio sulla conformità dell art. 2, comma 1 bis, del d. lgs. n. 368 del 2001, ha ulteriormente ribadito che "la clausola 8, punto 3, dell accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, quale quella prevista dall art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368/2001, la quale, a differenza del regime giuridico applicabile prima dell entrata in vigore di questo decreto, consente a un impresa, quale xxx Italiane, di concludere, rispettando determinate condizioni, un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato con un lavoratore senza dover indicare le ragioni obiettive che giustifichino il ricorso a un contratto concluso per una siffatta durata, dal momento che questa normativa non è collegata all attuazione di detto accordo quadro... Nondimeno, una normativa nazionale non può essere considerata contraria a detta clausola nel caso in cui la reformatio in peius che essa comporta non sia in alcun modo collegata con l applicazione dell accordo quadro. Ciò potrebbe avvenire qualora detta reformatio in peius fosse giustificata non già dalla necessità di applicare l accordo quadro, bensì da quella di promuovere un altro obiettivo, distinto da detta applicazione... si evince che l adozione dell art. 2, comma 1 bis, del decreto n. 368/2001 mirava a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire, ai fini dell attuazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/67/CE, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio, un funzionamento efficace delle diverse operazioni postali rientranti nel servizio universale e, pertanto, perseguiva uno scopo distinto da quello consistente nel garantire l attuazione dell accordo quadro nell ordinamento nazionale. Peraltro, il governo italiano ha affermato, in sede di osservazioni scritte, che questa disposizione mirava essenzialmente, nel quadro di misure destinate a limitare e razionalizzare la spesa pubblica, a salvaguardare l equilibrio economico e la gestione di xxx Italiane". Inoltre, nella stessa ordinanza la Corte di Giustizia ha precisato che, come si evince dai considerando quattordicesimo e diciassettesimo della direttiva 1999/70, nonché dal terzo comma del preambolo, dai punti 7-10 delle considerazioni generali e dalla clausola 1 dell accordo quadro, quest ultimo non ha lo scopo di armonizzare tutte le norme nazionali relative ai contratti di lavoro a tempo determinato, bensì mira unicamente, mediante la

15 fissazione di principi generali e di requisiti minimi, a stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, a prevenire gli abusi derivanti dall utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. Orbene, la clausola 4 dell accordo quadro, che riguarda specificamente l applicazione del principio di non discriminazione, si limita a prevedere, secondo il suo disposto, che i lavoratori a tempo determinato non debbano essere trattati, per quanto riguarda le condizioni di impiego, in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, a meno che non sussistano ragioni oggettive per un diverso trattamento. Da ciò deriva che, nell ambito dei contratti di lavoro a tempo determinato, il principio di non discriminazione è stato attuato e concretizzato dall accordo quadro unicamente per quanto riguarda le disparità di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato comparabili. Viceversa, le eventuali disparità di trattamento tra determinate categorie di lavoratori a tempo determinato non sono soggette al principio di non discriminazione sancito dall accordo quadro. Sulla base di tali premesse la Corte ha ribadito che per quanto concerne la clausola 5 dell accordo quadro, la quale riguarda la prevenzione contro l uso abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, benché essa possa imporre eventualmente agli Stati membri l obbligo di adottare, conformemente al suo punto 1, lett. a), una misura che richieda il ricorso a ragioni oggettive, un siffatto obbligo verte unicamente, tenuto conto dell oggetto di questa clausola, sul rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione e non si applica pertanto alla conclusione di un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato. Conclude la Corte di Giustizia che l accordo quadro non obbliga gli Stati membri ad adottare una misura che imponga di giustificare ogni primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato. 6. In merito alle ulteriori eccezioni sollevate da parte ricorrente va osservato quanto segue: a) la società convenuta, come risulta dalla documentazione integrativa della scheda di contingentamento prodotta in allegato alla memoria di costituzione (doc. 4) depositata in data 16 giugno 2011, ha rispettato il limite quantitativo del 15% dell'organico aziendale riferito, come previsto dalla norma, al 1 gennaio dell'anno di riferimento dell'assunzione di cui trattasi (nella specie 2007 e 2008); b) la società convenuta, con il documento prodotto in allegato alla memoria di costituzione al numero tre, ha dimostrato di avere dato comunicazione alle organizzazioni sindacali provinciali di categoria delle richieste di assunzione; c) la società convenuta, con il documento prodotto in allegato alla memoria di costituzione al numero cinque, ha altresì dimostrato di avere predisposto il documento di valutazione dei rischi, dovendosi sul punto evidenziare che, in questo tipo di controversia,

16 il giudice, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, è chiamato soltanto ad accertare l'esistenza di tale documento senza possibilità di estendere il suo sindacato alla congruità delle scelte operate dal datore di lavoro sulla valutazione dei rischi in concreto; d) essendo pacifico in causa che i contratti di lavoro sono stati stipulati, il primo tra febbraio e marzo 2007, il secondo tra settembre e ottobre 2007, e il terzo tra febbraio e marzo 2008, per complessivi 177 giorni, e che il ricorrente è stato adibito a mansioni di portalettere junior e di addetto CRP junior, risulta altresì soddisfatti gli ulteriori limiti temporali fissati dalla norma, con particolare riferimento alla durata complessiva dei singoli rapporti, contenute al di sotto di quattro mesi essendo la prima e la terza assunzione intervenute in periodi dell'anno diversi da quello compreso tra aprile e ottobre e al di sotto del limite di sei mesi per la seconda, avvenuta proprio tra aprile ed ottobre. In ordine alla contestazione di cui alla precedente lettera a), non può essere condivisa la tesi espressa dalla parte ricorrente secondo cui in caso di superamento della percentuale del 15% dell organico aziendale, la sanzione da applicare dovrebbe essere quella della nullità. In senso contrario, giova osservare che, seppure la norma non appaia formulata in maniera chiara (nella percentuale non superiore al 15% dell organico aziendale, riferito al 1 gennaio dell anno cui le assunzioni si riferiscono), la sanzione della nullità non può colpire tutti i contratti ma solo quelli stipulati dopo il superamento della soglia massima prevista dalla legge. In altri termini, se al momento dell assunzione oggetto di causa la società convenuta aveva stipulato un numero di contratti a termine inferiore al 15% dell organico, il contratto la cui apposizione del termine è oggetto del giudizio - non può essere dichiarato nullo e la circostanza che, eventualmente, nel corso dell anno solare tale limite quantitativo possa essere superato non è, comunque, idonea la nullità sopravvenuta di un contratto che al momento della stipula doveva ritenersi valido. Argomentando diversamente si dovrebbe affermare che un atto valido possa diventare nullo per un evento sopravvenuto del tutto estraneo al rapporto. Allora, la contestazione della parte ricorrente non avrebbe dovuto riguardare il superamento del limite nell anno solare, circostanza questa del tutto irrilevante, ma il concreto e specifico superamento del limite quantitativo al momento della stipula del contratto impugnato, con conseguente illegittimità del medesimo. 6. Quanto alla successione dei contratti nel tempo, è bene procedere dalla rilettura dell articolo 2, comma 1-bis D.Lgs. 368/2001, il quale così stabilisce: "le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando l assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell organico aziendale, riferito al 1º gennaio dell anno cui le assunzioni si riferiscono "

17 Osserva il giudicante che la norma ora richiamata, come si evince dall impiego della congiunzione "e", consente l assunzione di lavoratori mediante contratti stipulati per periodi che, anche cumulativamente, non superino i sei mesi nell arco temporale tra aprile ed ottobre di ogni anno e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti. Tale interpretazione, che si impone avuto riguardo al chiaro tenore letterale della norma, non sembra confliggere con la clausola n. 5 della Direttiva 1999/70 di attuazione dell Accordo Quadro dalla stessa recepito. La Corte di giustizia delle Comunità Europee ha, al riguardo, ribadito (sentenza Angelidaki in data 23 aprile 2009 nei procedimenti riuniti da C- 378/07 a C-380/70) che, per prevenire gli abusi derivanti dall utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. La Corte ha, quindi, ulteriormente precisato che la clausola 5, n. 1, di detto accordo mira ad attuare uno degli obiettivi perseguiti dell accordo medesimo, vale a dire limitare il ricorso a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la "precarizzazione" della situazione dei lavoratori dipendenti, e che "la stessa formulazione di tale clausola indica in modo inequivocabile che le diverse misure da essa considerate sono concepite come "equivalenti"". Le ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo di tali contratti di lavoro successivi, previste in via alternativa alla durata massima totale degli stessi contratti ed al numero dei rinnovi di questi ultimi, devono ritenersi sussistenti. La Corte Costituzionale, nella richiamata pronuncia di rigetto della eccezione di illegittimità dell art. 2, comma 1-bis, D.Lgs n. 368/2001, aggiunto dall art. 1, comma 558, della legge 23 dicembre 2005 n. 266, (sentenza n. 214 in data 14 luglio 2009), ha affermato che "la norma censurata costituisce la tipizzazione legislativa di un'ipotesi di valida apposizione del termine", in base ad una valutazione, operata in via "preventiva ed astratta" dal legislatore "delle esigenze delle imprese concessionarie di servizi postali di disporre di una quota (15 per cento) di organico flessibile". Ed ha sottolineato che "la garanzia alle imprese in questione, nei limiti indicati, di una sicura flessibilità dell'organico, è direttamente funzionale all'onere gravante su tali imprese di assicurare lo svolgimento dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali, nonché la realizzazione e l'esercizio della rete postale pubblica i quali "costituiscono attività di preminente interesse generale", ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il

18 miglioramento della qualità del servizio). In particolare, poi, in esecuzione degli obblighi di fonte comunitaria derivanti dalla direttiva 1997/67/CE, l'italia deve assicurare lo svolgimento del c.d. "servizio universale" (.); tale servizio universale "assicura le prestazioni in esso ricomprese, di qualità determinata, da fornire permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane, a prezzi accessibili a tutti gli utenti" (art. 3, comma 1); l'impresa fornitrice del servizio deve garantire tutti i giorni lavorativi, e come minimo cinque giorni a settimana, salvo circostanze eccezionali valutate dall'autorità di regolamentazione, una raccolta ed una distribuzione al domicilio di ogni persona fisica o giuridica (art. 3, comma 4); il servizio deve esser prestato in via continuativa per tutta la durata dell'anno (art. 3, comma 3). Non è, dunque, manifestamente irragionevole che ad imprese tenute per legge all'adempimento di simili oneri sia riconosciuta una certa flessibilità nel ricorso (entro limiti quantitativi comunque fissati inderogabilmente dal legislatore) allo strumento del contratto a tempo determinato..". La Corte ha, quindi, considerato "che l'art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001 impone alle aziende di comunicare ai sindacati le richieste di assunzioni a termine, prevedendo così un meccanismo di trasparenza che agevola il controllo circa l'effettiva osservanza, da parte datoriale, dei limiti posti dalla norma". Deve, quindi, rilevarsi che le imprese concessionarie di servizi postali, nella stipulazione degli indicati contratti, già dovevano sottostare a limiti temporali e quantitativi anche anteriormente alle previsioni di cui al comma 4 bis dell art. 5 D.Lgs. 368/2001, introdotto legge n. 247/2007. Inoltre, l interpretazione data all art. 2 comma 1-bis D.Lgs. 368/2001 e la conseguente affermata legittimità dei contratti a termine stipulati nel rispetto del termine congiunto di sei mesi nell arco temporale da aprile ad ottobre di ogni anno e di quattro mesi nei diversi periodi, risulta ulteriormente avvalorata proprio dal comma 4 bis dell art. 5 D.Lgs. 368/2001, introdotto legge n. 247/2007. Tale norma disciplina l ipotesi di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti introducendo il limite alla durata del rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore di 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l altro. La indicata previsione normativa costituisce un valido parametro valutativo per escludere nel caso in esame abusi nella successione dei contratti a termine intercorsi tra le parti. Non solo, infatti, il lavoratore ha operato complessivamente per soli 177 giorni, ma la durata complessiva dei tre rapporti di lavoro è stata ampiamente inferiore a 36 mesi, essendo intervenuta la prima assunzione il 2 febbraio 2007 e cessata l ultima il 31 marzo La domanda, pertanto, non può trovare accoglimento. Tenuto conto della complessità della materia trattata e dell esistenza di forti contrasti nella giurisprudenza appare equo compensare le spese del grado.

19 P.Q.M. Ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, rigetta la domanda proposta da Parla Roberto con ricorso depositato il 20 gennaio 2011; compensa fra le parti le spese del grado; considerata la particolare complessità della controversia fissa il termine di giorni 60 per il deposito della sentenza. Bologna il 12 luglio 2011 Il Giudice Unico Depositato in Cancelleria il

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