La corazzata Giulio Cesare

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1 UCCIO DE SANTIS PAOLINO VITOLO La corazzata Giulio Cesare I.S.S.E.S. Istituto di Studi Storici Economici e Sociali

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3 Le notizie e le immagini presenti in questo testo sono parzialmente tratte da: "Giulio Cesare (nave da battaglia)" Wikipedia, L'enciclopedia libera. 11 gen 2015, 15:10 UTC gen 2015, 15:10 < I.S.S.E.S. Istituto di Studi Storici Economici e Sociali

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5 Indice La costruzione... 7 Prima guerra mondiale e primo dopoguerra La ricostruzione Scafo Apparato Armamento Rientro in servizio Seconda guerra mondiale Armistizio L ammutinamento Il trattato di pace Novorossijsk L'affondamento... 37

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7 La costruzione La legge del 27 giugno 1909 approvò il secondo programma navale voluto dal ministro della Marina vice ammiraglio Mirabello che aveva caldeggiato la costruzione di nuove corazzate. Pertanto dopo la prima dreadnought italiana, la Dante Alighieri, la cui costruzione era stata già approvata nel 1906, si poterono impostare tre nuove unità di tipo dreadnought 1 : la Conte di Cavour, la Giulio Cesare e la Leonardo da Vinci da ton. Con questa nuova classe di unità si decise, tra l altro, di utilizzare le notevoli potenzialità dei cantieri navali nazionali e dei grandi Arsenali della Marina di La Spezia, Venezia e Napoli (completato dal Cantiere di Castellammare di Stabia), e dai complessi industriali dell Ansaldo e dell Odero a Genova, dell Orlando a Livorno e del Pattison a Napoli. La Conte di Cavour fu varata nel 1911 e completata nel 1915 dall Arsenale di La Spezia. La Giulio Cesare fu varata nel 1911 e completata nel 1914 dall Ansaldo di Genova. La Leonardo da Vinci fu varata nel 1911 e completata nel 1914 dall Odero di Genova. Seguirono subito dopo altre due corazzate, la Doria e la Duilio, varate entrambe nel 1913 rispettivamente nell Arsenale di la Spezia e a Castellammare e nell imminenza della guerra il programma di 4 nuove super dreadnought da t.: Caracciolo, Colombo, Colonna e Morosini. Queste quattro unità furono impostate tutte nel 1915, ma poi la loro costruzione fu interrotta. Solo la Caracciolo fu varata nel 1920 a Castellammare e mai completata. 1 Dal nome della HMS Dreadnought della Royal Navy britannica, varata nel 1906, prima corazzata con batterie di cannoni mono calibro e turbine a vapore. Fu una nave così rivoluzionaria che il suo nome divenne un termine generico per le navi da battaglia moderne, mentre quelle precedenti vennero definite pre-dreadnought. 7

8 Il suo scafo fu portato a rimorchio prima a La Spezia e poi a Baia (Napoli). Il generale del GN Giuseppe Rota elaborò un progetto per utilizzarlo per una portaerei (del tipo dell inglese Argus), ma la Marina non lo approvò perdendo così una grande occasione. Lo scafo fu venduto alla Compagnia Italia che voleva trasformarlo in transatlantico veloce, ma anche questo progetto fallì e pertanto fu demolito a Napoli nell ottobre Le tre unità della classe Cavour furono accumunate da un singolare ed avverso destino. Tutte e tre furono colpite e messe fuori combattimento non in battaglia, ma mentre erano ferme in porto. La Leonardo da Vinci andò perduta per sabotaggio il 2 agosto 1916 mentre era nel porto di Taranto. La Cavour fu danneggiata in modo irreparabile sempre a Taranto colpita da aerosiluranti inglesi l 11 novembre La Cesare esplose mentre era all ancora a Sebastopoli, quando era sotto bandiera russa, il 28 ottobre La corazzata Giulio Cesare, come abbiamo detto, fu impostata nel cantiere Ansaldo di Sestri Ponente il 24 giugno Fu varata dopo poco più di un anno, il 15 ottobre 1911, e fu completata il 14 maggio La sua costruzione richiese in totale quasi tre anni. La bandiera di combattimento, in seta, fu ricamata a mano dalle orfane dei militari a Torino. Il cofano 2 fu realizzato in bronzo con decorazioni a smalto. Bandiera e cofano furono pagati con una colletta fatta nelle scuole italiane e, nonostante le vicissitudini che portarono alla perdita della corazzata, sono tuttora sul suolo della Patria, a Roma, nel Sacrario delle Bandiere del Vittoriano. Cofano e bandiera furono consegnati il 7 giugno 1914 a Napoli, alla presenza del Duca d'aosta e di oltre mille invitati, da un comitato presieduto dal preside del Liceo Mamiani di Roma. L'unità ebbe nel corso della sua storia vari motti. Il primo fu Ad quamvis vim perferendam, tratto da una frase del libro III del De 2 Contenitore metallico destinato a conservare la bandiera di combattimento quando non in uso. 8

9 bello Gallico, in cui Cesare, commentando l'avanzata terrestre delle sue legioni contro i Galli, avendo inviato parte delle sue forze via mare con una flotta al comando di Decimo Bruto, descriveva le navi di questa flotta, come naves totae factae ex robore ad quamvis vim et contumeliam perferendam cioè navi costruite interamente in rovere per sostenere qualsiasi urto ed ogni percossa. Tale motto venne sostituito nel 1920 dal nuovo Caesar adest (Cesare è qui), tratto un'epigrafe in distici latini scelta in seguito ad un concorso pubblico, composta da Vito Vaccaro di Palermo. Infine il motto Guai agli inermi! venne adottato dopo la ricostruzione. La nave da battaglia aveva dimensioni di tutto rispetto: dislocamento a pieno carico: t lunghezza fuori tutto: 176,1 m larghezza al baglio massimo: 28 m pescaggio: 9,4 m L apparato propulsore a vapore era dotato di 24 caldaie e di 3 turbine Parsons e 4 assi motori, per una potenza totale di C.V. La velocità massima era di 21,5 nodi e l autonomia era di miglia a 10 nodi. L armamento era così costituito: 13 cannoni da 305/46 Mod (tre torri trinate + due torri binate) 18 cannoni da 120/50 Mod cannoni da 76/50 Mod lanciasiluri da 450 mm I cannoni da 305/46 furono costruiti dalla Armstrong di Pozzuoli, una fabbrica attiva nel campo delle artiglierie navali fin dal La corazzatura era distribuita su una cintura continua, attorno ai fianchi della nave, e sul ridotto 3 che si estendeva dalla torretta sopraelevata 3 Il ridotto o ridotto corazzato nelle navi militari era la porzione di scafo dotata di una forte corazzatura allo scopo di proteggere le parti più importanti della nave quali le artiglierie, l'apparato motore, i depositi munizioni. Il ri- 9

10 di poppa fino a prua. La cintura, larga 2,8 m, di cui il 57% sopra linea di galleggiamento, aveva spessore massimo 250 mm e si assottigliava fino a 100 mm a prua ed a 120 mm a poppa. La cittadella 4 era protetta da una corazza di 220 mm di spessore. Il ponte era protetto da due strati da 12 mm e nelle parti inclinate raggiungeva i 40 mm totali. Le torrette avevano una protezione frontale di 280 mm e di 220 mm ai lati. La torre di comando di prua aveva una protezione di 280 mm mentre quella di poppa era solo di 160 mm. I pezzi da 120/50 mm avevano una protezione da 130 mm. La corazzatura pesava ben t (circa 1/4 del dislocamento) ed era tutta di acciaio al nichel, fornito da ditte statunitensi ed inglesi e sottoposto a cementazione, secondo il processo Krupp, presso le acciaierie di Terni. La nave fu dotata di un sistema di reti metalliche parasiluro, che venivano tese da un sistema di bracci buttafuori intorno alla nave. Il sistema poteva essere impiegato praticamente solo con la nave all'ancora. In navigazione, le reti venivano arrotolate e fissate, con i loro bracci, sui fianchi della nave. Tale sistema fu eliminato da tutte le navi della Regia Marina nel corso del L'apparato motore, che permetteva di raggiungere la velocità massima di 21 nodi, era costituito da tre gruppi indipendenti di turbine collegati a quattro assi portaeliche ed alimentati da ventiquattro caldaie tipo Babcock, di cui dodici con combustione a nafta e dodici con combustione mista carbone e nafta, a differenza delle gemelle Cavour e Leonardo da Vinci, le cui turbine erano alimentate da venti caldaie tipo Blechynden, di cui otto con combustione a nafta e dodici con combustione mista carbone e nafta. Ciascuna caldaia era collegata al doppio anello delle tubolature principali e sussidiarie di vapore ed era dotata di polverizzatori tipo Thornycroft per una migliore efficienza della combustione della nafta, soluzione che sarebbe stata adottata anche per le caldaie Yarrow delle successive Duilio. dotto era generalmente situato nella parte centrale della nave e si estendeva dal deposito della prima torre prodiera fino a quello dell'ultima torre di poppa. 4 La cittadella è un area blindata all interno della nave, usata anche su navi non da guerra. 10

11 Anche lo schema del funzionamento delle turbine era identico a quello che sarebbe stato adottato sulle successive Duilio, con ogni gruppo di turbine costituito da una turbina di alta pressione e da una di bassa pressione per la marcia avanti. Le due turbine sia di alta sia di bassa pressione dei gruppi laterali agivano su di un solo asse, mentre quelle del gruppo centrale agivano sui due assi centrali. La turbina di marcia indietro nei gruppi laterali era incorporata nella turbina di bassa pressione, mentre il gruppo centrale era dotato di due turbine di marcia indietro, una per ciascun asse. Le sei turbine di marcia avanti, che agivano sui quattro assi portaeliche, sviluppavano una potenza complessiva di kw ( CV), mentre le quattro turbine di marcia indietro, sviluppavano kw ( CV) di potenza. Nelle andature normali il vapore veniva introdotto direttamente ed indipendentemente in ciascuna delle tre turbine di alta pressione, da dove passava e si espandeva nelle corrispondenti turbine di bassa pressione per poi scaricarsi nei rispettivi condensatori. Per le andature a velocità ridotta venivano tenuti in azione o i due gruppi laterali solamente o il gruppo centrale. L'andatura più economica si otteneva mediante il funzionamento dei tre gruppi in serie, con il vapore che entrava nella turbina di alta pressione laterale destra, per poi passare a quella di alta pressione laterale sinistra e successivamente nelle turbine di alta e bassa pressione centrali e infine scaricarsi nel condensatore centrale. La riserva di combustibile era di 570 tonnellate di carbone e 350 tonnellate di nafta. L'autonomia era di miglia ad una velocità di 10 nodi. L'armamento principale si componeva di tredici cannoni da 305/46mm ripartiti in cinque torri, tre trinate e due binate, con una torre trinata al centro e altre due torri trinate e le due torri binate disposte a poppa e a prua, con le torri binate sopraelevate rispetto a quelle trinate. L'armamento secondario era costituito da 18 cannoni da 120/50mm e 22 cannoni da 76/50mm, mentre l'armamento silurante era costituito da tre tubi lanciasiluri da 450mm, ognuno dei quali dotato di tre silu- 11

12 ri. I cannoni da 120/50mm, come quelli della corazzata Dante Alighieri, erano Elswick Pattern, mentre i cannoni da 120/50mm delle unità gemelle Cavour e Leonardo da Vinci erano Vickers. Le torri corazzate dei cannoni da 305mm erano brandeggiabili mediante un sistema sia idraulico che elettrico, mentre l'elevazione delle munizioni dai depositi, il caricamento e la manovra delle grosse artiglierie all'interno delle torri erano solo idraulici. La manovra delle artiglierie secondarie era invece esclusivamente manuale. Figura 1 - La corazzata Giulio Cesare nel 1914, dopo il varo. 12

13 Prima guerra mondiale e primo dopoguerra All'entrata in guerra dell'italia nel primo conflitto mondiale la nave al comando del Capitano di Vascello Lobetti venne inquadrata nella I Divisione di base a Taranto. Il 13 marzo 1916 la corazzata venne spostata a Valona e, dopo essere rientrata a Taranto, nel dicembre 1916 venne dislocata a Corfù. Il 2 agosto intanto la corazzata gemella Leonardo da Vinci era affondata mentre si trovava ormeggiata a Taranto, in seguito ad un'esplosione causata molto probabilmente da un sabotaggio austriaco. Successivamente nel marzo 1917 la Giulio Cesare venne impiegata nel Mar Ionio, nell'adriatico meridionale e nelle isole dello Ionio. In totale durante il conflitto la corazzata venne impiegata per 40 ore in 3 missioni di guerra, specificatamente azioni di ricerca del nemico senza esito, e 966 ore in attività addestrative; la nave non venne quindi mai impiegata in azioni di combattimento a causa della politica passiva adottata dalle Marine italiana ed austriaca. Al termine del conflitto, il 10 novembre 1918, la Giulio Cesare, insieme alla Caio Duilio raggiunse Corfù per un periodo di esercitazioni. Il 9 settembre 1919 la Giulio Cesare rilevò a Smirne la Caio Duilio. La presenza di unità della Regia Marina in quelle zone fu conseguenza della vittoria sugli Imperi Centrali di cui faceva parte l'impero Ottomano, che venne diviso in zone di occupazione e di influenza, con i vincitori che tendevano a stabilizzare le loro occupazioni territoriali. L'Italia aveva particolare interesse alla zona di Smirne, dove operava il corpo di spedizione italiano e per appoggiare tali interessi la presenza di grandi navi da battaglia era determinante. Successivamente la nave venne impegnata in una crociera propagandistica verso l'america del Nord, toccando i porti di Gibilterra, Ponta Delgada, Faial, Halifax, Boston, Newport, Tompkinsville, New York, Philadelphia, Annapolis, Hampton Roads. Nel 1923 la Giulio Cesare prese parte all'attacco all'isola greca di Corfù, come rappresaglia per l'uccisione di rappresentanti italiani a Giannina. Il 27 agosto 1923 la missione militare italiana, presieduta 13

14 dal generale Tellini e incaricata dalla Conferenza degli Ambasciatori della delimitazione del confine greco-albanese, era stata trucidata in un'imboscata ed il capo del governo italiano Mussolini chiese che la flotta greca in un'apposita cerimonia rendesse gli onori alla bandiera italiana. La proposta era stata rifiutata dal governo greco e Mussolini replicò inviando una divisione navale composta dalle corazzate Cavour, Cesare, Doria e Duilio ad occupare Corfù. Dopo che le navi italiane bombardarono il 29 agosto il vecchio forte della città, il governo greco dovette accettare l'imposizione degli onori alla bandiera italiana che la Squadra navale italiana ricevette al Falero, uno dei porti presso Atene. Il 30 settembre 1923 le navi rientrarono a Taranto. Nel corso degli anni 20 l'unità fu sottoposta a vari lavori di ammodernamento e l'armamento antiaereo subì delle lievi modifiche con la sostituzione di sei cannoni da 76/50mm, con altrettanti da 76/40mm di più moderna concezione e la sostituzione dell'albero anteriore tripode con un albero quadripode a sostegno di una centrale telemetrica più alta che ne modificava il profilo. Nel 1925 sull'unità venne imbarcato un idrovolante da ricognizione Macchi M.18, che venne sistemato sul cielo della torre centrale in un'apposita sella brandeggiabile per poter orientare il velivolo secondo la direzione del vento. L'aereo veniva messo in mare ed issato a bordo per mezzo di un albero di carico. Nel 1926 per il lancio dell'idrovolante fu anche installata una catapulta. Il 12 maggio 1928 la nave fu posta in disarmo a Taranto e dal 1928 al 1933 fu utilizzata come nave d'addestramento per gli artiglieri. Nell'ottobre del 1933 lasciò La Spezia per rientrare in cantiere fino al 1937 per un radicale riammodernamento. 14

15 La ricostruzione I lavori di ricostruzione furono affidati ai Cantieri del Tirreno ed effettuati negli stabilimenti di Genova. La ricostruzione lasciò inalterato solo il 40% della struttura originale, riutilizzando in pratica solamente lo scafo e la corazzatura di murata, per il resto si trattò di una trasformazione radicale, con potenziamento dell'armamento, aumento del dislocamento e della potenza dell'apparato motore. Le modifiche cambiarono il profilo della nave e ne aumentarono le capacità di combattimento. Scafo La scafo fu allungato di 10,3m per aumentarne il coefficiente di finezza e contribuire ad aumentare la velocità della nave. Si operò sovrapponendo una nuova prora alla vecchia e dotando l'opera viva di un bulbo. In tal modo il castello di prua risultò allungato e allargato nella parte poppiera per proseguire nella sovrastruttura centrale, con i due fumaioli che risultarono più bassi e più ravvicinati; venne eliminato uno dei due alberi, quello che si trovava immediatamente dietro al torrione, mantenendo solamente quello poppiero che, in conseguenza dell'aumento di lunghezza della nave, risultò più arretrato. La parte poppiera, tranne l'abolizione di due assi portaeliche, non venne modificata ed i due timoni rimasero gli stessi. La protezione, sia verticale che orizzontale, subì solamente dei minimi ritocchi. La cintura verticale, al galleggiamento, mantenne lo spessore, assolutamente insufficiente per una nave che avrebbe probabilmente dovuto sostenere combattimenti con navi armate con cannoni da 381 mm. Invece, per rendere le due unità meno vulnerabili alle bombe di aereo, particolarmente a centro nave in corrispondenza dell'apparato motore, vennero applicate sul ponte di protezione due strati da 12 mm di lamiere di acciaio. La protezione orizzontale era costituita da un ponte di corridoio da 80 mm, uno di coperta da 13 mm e uno di sovrastruttura da mm, con spessori inferiori a prora e a poppa. Allo scopo di aumentare la protezione, intorno ai basamenti cilindrici delle torri di grosso calibro, vanne applicata una corazzetta di 50mm di spessore, sistemata ad una distanza di 50cm dalla protezione vera e 15

16 propria, per cui le torri si presentavano poggiate su basamenti più massicci, conferendo all'unità una sensazione di maggior potenza e sicurezza dal punto di vista estetico Il torrione fu completamente ricostruito. La sua protezione era di 260 mm a forma tronco-conica. Non molto elevato, aveva alla sommità una torretta rotante con due stereotelemetri con base di 7,2 m, per il calcolo della distanza dei bersagli, e le apparecchiature per la direzione tiro dei calibri principali. Il torrione ospitava la direzione di tiro occupata dal Primo Direttore di Tiro che tramite l'a.p.g. (Apparecchio di Punteria Generale) assegnava il bersaglio e comandava il fuoco delle batterie principali. La direzione di tiro era direttamente connessa con la Centrale di Tiro, posta alla base del torrione. Nel caso di avaria della stazione di tiro sul torrione, il fuoco dei cannoni principali poteva essere diretto dalla torre di prua superiore o da quella di poppa, subito dietro il fumaiolo, che ospitavano un telemetro da 9 m di base. La punteria della torre poteva sostituire l'a.p.g. asservendo le altre torri. Molto interessante era la protezione subacquea, costituita da cilindri assorbitori modello "Pugliese", dal nome dell'ingegnere e generale del Genio Navale Umberto Pugliese che fu il progettista di tale sistema. Tale protezione consisteva in due lunghi cilindri deformabili, che, posti lungo la murata, all'interno di una paratia piena, avevano il compito di assorbire la forza dell'onda d'urto provocata dall'esplosione di un siluro o di una mina, disperdendola all'interno del cilindro stesso. L'efficacia di tale protezione rimane controversa e non è stata né confermata né smentita dalle vicende belliche. Le Cavour ricostruite furono le prime unità ad adottare tale sistema di protezione, che sarebbe stato adottato in seguito anche nella ricostruzione delle Duilio e nella costruzione delle Littorio. Alla fine le modifiche portarono il dislocamento dell'unità a tonnellate. Apparato motore Le modifiche alla propulsione videro l'installazione di nuovi motori dalla potenza di kW ( CV), che nelle prove a tutta for- 16

17 za giunsero a sviluppare una potenza di kW ( CV) e consentivano all'unità di raggiungere una velocità di 28 nodi. La produzione del vapore era assicurata da otto caldaie a tubi d'acqua con surriscaldatori di tipo Yarrow, con bruciatori a nafta che alimentavano due gruppi indipendenti di turbine Belluzzo, che azionavano due assi con eliche a tre pale. Vennero eliminati due dei quattro assi, mentre caldaie e gruppi turboriduttori trovarono posto in posizione centrale a poppavia del torrione comando. Ogni gruppo di turbine era composto da una turbina di alta pressione, da due turbine di bassa pressione con incorporata la marcia indietro e da un riduttore. I due gruppi vennero rispettivamente disposti in un locale a poppavia delle caldaie di sinistra e in un locale a proravia delle caldaie di dritta. La riserva di combustibile era di tonnellate di nafta e l'autonomia era di miglia ad una velocità di 20 nodi. L'apparato motore mostrò sempre grande affidabilità, non essendosi mai verificate avarie di grave entità ed avendo sempre retto abbastanza bene anche agli sforzi prolungati di navigazione a tutta forza. Armamento L'armamento nei lavori di ricostruzione venne radicalmente modificato. L'armamento principale vide l'eliminazione della torre a centro nave e la ritubazione delle altre torri da 305mm/46 a 320mm/44, per un totale di 10 cannoni in due torri trinate e due torri binate nelle classiche posizioni prodiera e poppiera, con le torri binate sopraelevate rispetto a quelle trinate. Il ricalibramento dei cannoni principali, consentito dal largo margine di resistenza dell'arma originale, permise di dotare la nave, e le altre unità sulle quali venne fatto questo imponente lavoro, di armi più potenti del 30% dei cannoni originali; i nuovi impianti, inoltre, ebbero la manovra elettrica in sostituzione di quella idraulica originale. L'armamento secondario fu totalmente modificato sbarcando tutti i vecchi cannoni e, dopo la ricostruzione, venne configurato in 12 cannoni OTO da 120/50mm, in 6 torrette binate, disposte tre per lato, che, con un'elevazione massima di 33º a cui corrispondevano metri di gittata, non erano utilizzabili contro gli aerei; questi cannoni 17

18 avrebbero equipaggiato tutte le classi di cacciatorpediniere costruiti per la Regia Marina a partire dagli anni 30: i Maestrale, gli Oriani e le due serie della classe Soldati. L'armamento antiaereo principale era costituito da 8 cannoni da 100/47mm in torrette singole, 4 per ogni lato della nave, con cui furono armati, oltre alle Cavour, tutti gli incrociatori. Esso poteva svolgere anche compiti antinave, ma in funzione antiaerea, con l'aumento della velocità dei velivoli e con le nuove forme di attacco in picchiata, mostrò diversi limiti, rivelandosi utile solo nel tiro di sbarramento, tanto che venne approntato un nuovo cannone, il modello singolo 90/50 A-1938 con affusto stabilizzato, che trovò posto sulle Duilio ricostruite e sulle Littorio. Completavano l'armamento antiaereo 16 cannoni da 37/54mm Mod in otto torrette binate, particolarmente utili contro gli aerosiluranti e in generale contro i bersagli a bassa quota, e dodici mitragliere da 20/65mm Mod. 1935, in sei impianti binati. I tubi lanciasiluri infine vennero rimossi. Figura 2 - La Giulio Cesare nel 1937, dopo la ricostruzione 18

19 Rientro in servizio I lavori di ricostruzione, iniziati il 25 ottobre 1933 durarono fino al 1º giugno Come detto precedentemente, erano stati effettuati presso i Cantieri del Tirreno di Genova. Al termine dei lavori il 3 giugno la nave raggiunse La Spezia per completare il ciclo delle prove e dei collaudi, terminati i quali, il 1º ottobre successivo entrò in squadra raggiungendo il 3 ottobre la propria base operativa di Taranto. La ristrutturazione ne fece complessivamente una nave di buon livello, anche se con scarse difese antiaeree e antisottomarine. Nel 1938, dopo aver preso parte nel mese di maggio alla parata navale di Napoli in occasione della visita di Hitler in Italia, a giugno effettuò una visita a Malta e a luglio visitò Cattaro e Sebenico. All'inizio di aprile 1939 la nave partecipò all'occupazione dell'albania. Nell'occasione la Regia Marina schierò davanti alle coste albanesi una squadra navale al comando dell'ammiraglio Arturo Riccardi, con insegna su Conte di Cavour, composta dalle due Cavour, fornite dalla scorta dei cacciatorpediniere della X Squadriglia e dalle torpediniere della XI Squadriglia, dai quattro incrociatori pesanti Zara, scortati dai cacciatorpediniere Oriani della IX Squadriglia e dalle torpediniere della VIII Squadriglia, dagli incrociatori leggeri Abruzzi e Garibaldi della VIII Divisione, scortate dai cacciatorpediniere Fulmine e Freccia e dalle torpediniere della I Squadriglia, dall'incrociatore Bande Nere, cui dal 9 aprile si aggregò il Cadorna, con la scorta dei cacciatorpediniere Da Recco, Folgore e Baleno, dei cacciatorpediniere della II Squadriglia, dalle torpediniere Pleiadi, Polluce, Prestinari e Pilo, per un totale di 2 corazzate, 8 incrociatori, 17 cacciatorpediniere, 16 torpediniere, cui sono da aggiungere la nave appoggio idrovolanti Miraglia, 12 sommergibili, varie unità minori quali MAS e varie motonavi su cui erano imbarcati in totale circa uomini, 130 carri armati e materiali di vario genere. Nonostante l'imponente spiegamento di forze, l'azione delle navi italiane nei confronti dei timidi tentativi di reazione da parte albanese si limitò sol- 19

20 tanto ad alcune salve sparate a Durazzo e a Santi Quaranta. Le forze italiane incontrarono scarsissima resistenza e in breve tempo tutto il territorio albanese fu sotto il controllo italiano, con re Zog costretto all'esilio. L'occupazione dell'albania, che poneva l'adriatico sotto l'esclusivo controllo italiano, con la possibilità di chiuderne definitivamente l'accesso, dal punto di vista politico rispondeva all'occupazione tedesca dei Sudeti, anticipando quella che nel primo periodo della seconda guerra mondiale sarebbe stata la cosiddetta "guerra parallela". Contemporaneamente intendeva far capire al resto d'europa, e soprattutto alla Francia, che i Balcani rientravano nella sfera d'influenza esclusiva dell'italia. Nei restanti mesi del 1939, e nei primi mesi del 1940, la Giulio Cesare, insieme ad altre unità della squadra navale, venne dislocata saltuariamente nelle acque albanesi, stazionando nei porti di Valona e Durazzo. Figura 3 - Cavour e Cesare, in linea di fila, passano vicino all'isola di Capri. 20

21 Seconda guerra mondiale Allo scoppio del secondo conflitto mondiale la nave era inquadrata nella V Divisione navi da battaglia di base a Taranto nell'ambito della I Squadra Navale, ricoprendo il ruolo di ammiraglia di Divisione con insegna dell'ammiraglio Brivonesi, mentre alla corazzata gemella Cavour venne assegnato il ruolo di ammiraglia della flotta con insegna dell'ammiraglio Inigo Campioni. Dopo avere preso il mare il 7 luglio al comando del Capitano di Vascello Angelo Varoli Piazza, per far parte della scorta ad un convoglio partito da Napoli il 6 luglio e diretto a Bengasi, il 9 luglio tale missione culminò nel primo scontro tra navi della Regia Marina e navi della Royal Navy: la battaglia di Punta Stilo. Nel corso dello scontro una salva lunga del Giulio Cesare danneggiò lievemente i caccia Hereward e Decoy. L'unità venne a sua volta colpita da un proiettile da 15 pollici (381 mm) sparato dalla corazzata britannica HMS Warspite, nave con insegna dell'ammiraglio Andrew Cunningham. Il colpo messo a segno dall'unità britannica da più di 24 km di distanza, stabilì il record per cannoneggiamento navale contro un bersaglio in movimento. In seguito a questa battaglia, in cui perirono settanta componenti dell'equipaggio, la sua bandiera venne decorata di medaglia d'argento al valor militare. I danni non furono gravi e dopo alcuni minuti di immobilità la nave riprese la navigazione. La Giulio Cesare venne colpita da una granata che, attraversato il fumaiolo poppiero, esplose provocando un principio d'incendio. Le esalazioni di fumo e gas, portate dai turboventilatori nei locali di quattro caldaie della nave, costrinsero allo spegnimento delle caldaie stesse. Intorno al punto dello scoppio restarono corpi di marinai straziati. Il colpo fu visto da Cunningham a bordo del Warspite. A questo punto, con solo quattro caldaie in funzione, la velocità venne ridotta a 18 nodi, mentre la nave si allontanava dal teatro di battaglia, pur continuando a sparare con i cannoni di poppa. Poco dopo, grazie al prodigarsi dell'equipaggio, due caldaie vennero riparate e, con sei caldaie in funzione, la velocità aumentò a 24 nodi. Così la Giulio Ce- 21

22 sare poté raggiungere Messina insieme con gli incrociatori Trento della III Divisione dell'ammiraglio Cattaneo. Pare che a sua volta anche la corazzata inglese fosse stata colpita da una delle Cavour, anche se la cosa non è mai stata confermata. Un Tenente di Vascello a bordo del Freccia, che si trovava a prora di una delle due corazzate impegnate in quel momento nel tiro balistico con la Warspite, vide alcuni proietti cadere vicino alla nave britannica e del fumo blu innalzarsi dalla corazzata inglese. Questa rilevazione fu confermata anche da alcuni uomini di vedetta del Giulio Cesare. Anche alcuni giornalisti imbarcati a bordo di varie unità italiane confermarono l'avvistamento del colpo. Anche se negli annali ufficiali britannici, pubblicati dopo la guerra, non viene fatta menzione di alcun colpo incassato dall'ammiraglia della Mediterranean Fleet, nell'autobiografia dell'ammiraglio Cunningham, pubblicata pochi anni dopo, viene citato il fatto che la Warspite rientrò in porto ad Alessandria con un notevole sbandamento e che molti pensarono che avesse subito danni. A detta di Cunningham, in realtà l'equipaggio stava solamente controllando eventuali danni sotto la linea di galleggiamento. Seguendo il filo logico di tali incongruenze, lo storico navale Enrico Cernuschi ha condotto una lunga ricerca, durata oltre cinque anni, ed ha rinvenuto una raccolta denominata ADM199 "Wartime damages to ships: Reports ", una collezione di documentazione risalente alla guerra, ed ha scoperto che i resoconti sulla Warspite erano mancanti e sostituiti da un foglietto dattiloscritto con la dicitura "Not available" (non disponibile). Tale assenza confermerebbe la teoria di una possibile "insabbiatura" da parte delle autorità britanniche, allo scopo di mantenere l'assoluto segreto sui danni subiti dalla Royal Navy durante il periodo nel Mediterraneo, in quanto i resoconti relativi a tale periodo erano stati sistematicamente ripuliti. La Giulio Cesare venne inviata all'arsenale di La Spezia per i necessari lavori di riparazione e il successivo 30 agosto prese parte con gran parte delle unità della Iª Squadra e con altre unità partite da Messina e da Brindisi ad un'azione di contrasto all'operazione Hats, con cui gli inglesi tentavano di far giungere un convoglio da Ales- 22

23 sandria d'egitto per rifornire Malta. La Squadra Navale italiana, che vedeva per la prima volta l'impiego delle due nuovissime navi da battaglia Vittorio Veneto e Littorio, non riuscì però a venire a contatto del nemico, anche a causa di una violenta burrasca che costrinse al rientro le navi italiane, non potendo i cacciatorpediniere reggere il mare. Superata indenne la notte di Taranto dell'11-12 novembre 1940, in cui la gemella Conte di Cavour venne gravemente danneggiata, la "Giulio Cesare" fu trasferita a Napoli insieme a Doria e Vittorio Veneto, con la scorta della X e XIII Squadriglia, dove partecipò alla difesa antiaerea della città. Il successivo 26 novembre la nave uscì in mare, in formazione con la Vittorio Veneto, altra nave da battaglia uscita indenne dalla notte di Taranto, e ad altre unità della I e della II Squadra, per intercettare la Forza H dell'ammiraglio Somerville, proveniente da Gibilterra, che aveva preso il mare per proteggere un convoglio diretto a Malta ed Alessandria. Il contatto tra le forze navali italiane e britanniche avvenne nei pressi della Sardegna e culminò il 27 novembre nella battaglia di Capo Teulada. Nell'occasione la corazzata Vittorio Veneto venne aggregata alla Vª Divisione Corazzate, andando a ricoprire il ruolo di "nave insegna". Dopo il rientro a Napoli, nel pomeriggio del 15 dicembre, avuto notizia che il giorno precedente gli inglesi avevano nuovamente attaccato la base di Taranto, danneggiando l'incrociatore pesante Pola, la Giulio Cesare, insieme con Vittorio Veneto, Zara, Gorizia e con i cacciatorpediniere della VII, IX e XV Squadriglia, salpò con destinazione La Maddalena, rientrando il 29 dicembre a Napoli dove nel frattempo erano state rafforzate le difese antiaeree. Il successivo 8 gennaio, in concomitanza con l'operazione Excess, la città partenopea venne bombardata da aerei della Royal Air Force di base a Malta e la nave fu lievemente danneggiata, essendogli cadute vicino tre bombe, una delle quali, scoppiando sulla banchina, provocò infiltrazioni d'acqua nella carena, causando avaria ad una turbina, mentre alcune schegge di un'altra bomba causarono la morte 23

24 di cinque uomini dell'equipaggio e il ferimento di altri venti. Alle 17:00 del 9 gennaio Vittorio Veneto e Giulio Cesare lasciarono gli ormeggi, visto che anche Napoli non era più sicura, la prima per La Spezia, la seconda verso Genova, da dove, effettuate le necessarie riparazioni, alla fine di gennaio del 1941 raggiunse La Spezia. Il successivo 8 febbraio si ebbe notizia che navi britanniche della Forza H, tra cui la portaerei Ark Royal, provenienti da Gibilterra erano in avvicinamento verso le coste italiane. Pertanto una forza navale al comando dell'ammiraglio Angelo Iachino, formata da Cesare, Doria e Vittorio Veneto, con la scorta della X e XIII Squadriglia, uscì in mare alla ricerca del nemico, convinta che l'obiettivo degli inglesi fosse la Sardegna. La flotta italiana si sarebbe dovuta incontrare il mattino seguente presso l'asinara con gli incrociatori della classe Trento della III Divisione provenienti da Messina con la scorta dei cacciatorpediniere della XI Squadriglia. Purtroppo però il contatto con la flotta inglese non avvenne, perché il mattino seguente le unità inglesi, eludendo il contatto con le navi italiane si presentarono davanti a Genova bombardando la città. Inizialmente la scelta di bombardare la città fu dovuta sia all'importanza di Genova come città industriale, sia alla volontà di dare un segnale alla Regia Marina che neanche nel Tirreno le navi italiane sarebbero state al sicuro. Inoltre nel cantiere erano in riparazione le corazzate Giulio Cesare e Caio Duilio; di queste la prima lasciò Genova alla fine di gennaio e la seconda fu scambiata per la Littorio. Comunque il servizio segreto inglese era venuto a conoscenza che a Genova sarebbe giunto Franco per incontrare il 12 febbraio a Bordighera Mussolini e nell'incontro il Duce avrebbe sicuramente tentato di convincere il Caudillo spagnolo a entrare in guerra a fianco dell'asse. Se la Spagna fosse entrata in guerra, la prima conseguenza sarebbe stata la caduta di Gibilterra e tutto il Mediterraneo sarebbe diventato dominio dell'asse. Per impedire a tutti i costi che il governo spagnolo facesse tale passo, occorreva dimostrare la debolezza dell'italia, incapace persino di proteggere le proprie coste; perciò il bombardamento di Genova, progettato come operazione militare, di- 24

25 venne una questione politica e dovette essere effettuato prima dell'arrivo di Franco in Italia. Le forze dell'ammiraglio Iachino, venute a conoscenza dell'attacco a Genova tentarono di raggiungere il nemico in ritirata verso Gibilterra, ma per una serie di disguidi arrivarono quando ormai era troppo tardi e non riuscirono a stabilire il contatto. Mancato l'incontro, le unità raggiunsero Napoli l'11 febbraio, proseguendo poi per La Spezia. Fino alla fine del 1941, la corazzata Giulio Cesare fu assegnata a compiti di scorta ai convogli. Nel dicembre 1941 partecipò alla scorta del convoglio M42, culminato nella prima battaglia della Sirte, in cui faceva parte della forza di copertura a distanza insieme a Doria e Littorio. Effettuò poi la sua ultima missione di guerra partecipando dal 3 al 6 gennaio 1942 all'operazione M43, che aveva la finalità di far trasferire tre convogli per un totale di sei navi a Tripoli, sotto la protezione diretta ed indiretta della maggior parte delle forze navali. Anche in questa occasione la Giulio Cesare, insieme a Doria e Littorio, costituiva la scorta indiretta. Rientrata a Taranto, la corazzata venne dichiarata obsoleta per missioni operative, ed utilizzata solamente per operazioni di addestramento. Il 30 dicembre 1942 venne inviata a Pola, per essere utilizzata, anche a causa della mancanza di carburante, come nave caserma e come nave di addestramento statico; nella città istriana si trovava il giorno dell'armistizio. Armistizio A seguito delle clausole armistiziali, il 9 settembre 1943 dopo aver ricevuto l'ordine da parte del Re di consegnarsi a Malta insieme al resto della flotta. L ammutinamento Sulla Cesare si ebbe, in occasione dell armistizio, il più grande episodio di dissenso e ribellione all improvvisa resa e all ordine di portare la navi a Malta a consegnarsi agli inglesi. 25

26 Alla notizia dell armistizio la nave fu frettolosamente messa in condizione di partire e vennero anche reimbarcate la munizioni. La partenza avvenne alle ore 15 del 9 settembre, ma il Comandante, Vittorio Carminati, non fece trapelare quale fosse la destinazione e la sorte a cui andavano incontro. La nave uscì con equipaggio ridotto e nel pomeriggio mosse per la sua destinazione insieme alla torpediniera Sagittario e alla corvetta Urania. All'uscita del porto un sommergibile tedesco attendeva la corazzata, ma la torpediniera Sagittario, intuite le intenzioni del sommergibile, intervenne immediatamente e gli si lanciò contro tentando di speronarlo e lo costrinse a scansarsi, per cui il siluro lanciato dal battello tedesco mancò il bersaglio andando ad infrangersi sulla scogliera. La corazzata aveva ricevuto l'ordine di andare a Cattaro in Dalmazia per rifornirsi di carburante, dato che la nafta che si trovava nei serbatoi era insufficiente a raggiungere Malta e di rimanere lì in attesa di nuovi ordini. Intanto giunse notizia che Trieste e Fiume erano state occupate dai tedeschi e con Venezia ogni comunicazione era interrotta. Nella grande nave in navigazione in Adriatico nella notte tra il 9 e il 10 settembre cominciò a diffondersi un diffuso malessere soprattutto tra un gruppo di sottoufficiali che si interrogò, insieme al Capo Servizio del Genio Navale maggiore Fornasari (direttore di macchina), al Capitano del Genio Navale Spotti ed al Guardiamarina Tentoni, sul loro destino e su quello della loro bella unità. Affiorò in tutti il ricordo dei 68 commilitoni caduti allo scontro di Punta Stilo con gli inglesi. L idea di consegnarsi al nemico ripugnava a tutti. Alle 22:30 di quella notte del 9 settembre, quando la nave era all altezza di Ancona, il 2 capo Filipponi prese l iniziativa di chiedere, tramite il capitano Spotti, al Comandante di chiarire le sue intenzioni. 26

27 Alla risposta evasiva di Carminati sul prossimo scalo a Cattaro, scattò la ribellione. Alle 2.15 gruppi di uomini armati si impossessarono della nave, il comandante ed altri ufficiali rimasti con lui vennero rinchiusi nel locale timoneria a poppa, praticamente agli arresti. Il Direttore di Macchina maggiore Fornasari dispose di aumentare la velocità facendo rotta per Ortona a Mare (la costa in quel momento era a circa 70 miglia) e cominciarono i preparativi per l autoaffondamento, sistemando cariche esplosive intorno alle prese a mare e nei locali caldaia. Ma poi tutto rientrò. In due ore di frenetiche trattative alla fine il Comandante assicurò che la sosta a Cattaro sarebbe stata solo tecnica e che se vi fosse stato pericolo di consegnare la nave ad una potenza straniera avrebbe dato immediatamente ordine di affondarla in cento metri di fondo. Alle 9:15 di quel 10 settembre il Comandante parlò all intero equipaggio, assicurò che la nave sarebbe restata con la bandiera italiana sotto comando italiano e promise che della ribellione non avrebbe fatto parola (non sarà così). La nave così proseguì in direzione di Cattaro, e dopo essere stata avvistata nella mattinata da un ricognitore tedesco e dopo essersi ricongiunta intorno alle 12:15 con la nave appoggio Miraglia proveniente da Venezia, intorno alle 13:15 dovette respingere un attacco aereo condotto da una formazione di Junkers Ju 87 Stuka. Durante l'attacco fu il guardiamarina Tentoni, che era stato uno dei più determinati nell'ammutinamento, ad organizzare il fuoco contraereo, scompaginando la formazione degli aerei tedeschi, che, sorpresi dalla reazione, sganciarono senza precisione le bombe, che finirono in mare. A prendere il comando della formazione fu il comandante del Miraglia, che era il più anziano, e nel pomeriggio le due navi ricevettero l'ordine di non recarsi più a Cattaro, ma a Taranto. Nel canale di Otranto la corazzata restò senza nafta e, rimorchiata da una nave inglese, giunse alla fine a Taranto alle 14 dell 11 settembre. 27

28 La nave raggiunse Taranto quando gli inglesi avevano già preso possesso della base; buona parte dell equipaggio (tutti quelli che avevano partecipato alla ribellione) venne sbarcata. Nel giugno 1945 la Commissione di Inchiesta sui fatti verificatisi a bordo della Cesare contestò al maggiore Fornasari, al capitano Spotti e al guardiamarina Tentoni una serie di addebiti. Ma la Marina, in considerazione degli alti motivi ideali che avevano ispirato la ribellione, ebbe un atteggiamento molto comprensivo verso i protagonisti dell ammutinamento e il procedimento si concluse il 9 novembre 1946 con la pena della sospensione di 12 mesi dall impiego, provvedimento però subito condonato. L episodio dimostra che c erano uomini in arme che non volevano arrendersi e venir meno all onore. Le sorti della bella nave erano segnate da un crudele destino. La Giulio Cesare, ceduta alla Russia in seguito al trattato di pace, saltò in aria misteriosamente il 28 ottobre Ma di questo si parlerà nel seguito. L'episodio di ribellione a bordo della nave non fu il solo ad essersi verificato nelle ore seguenti alla proclamazione dell'armistizio. La sera dell'8 settembre, quando il ministro della Marina de Courten annunciò alle basi di La Spezia e di Taranto l'armistizio e l'ordine del Re di salpare con tutte le navi per Malta, tra gli equipaggi si rischiò la rivolta ed in quelle concitate ore c'era chi proponeva di lanciarsi in un ultimo disperato combattimento, chi di autoaffondarsi. Nella base di La Spezia, l'ammiraglio Bergamini, avvertito telefonicamente da de Courten dell'armistizio ormai imminente e delle relative clausole che riguardavano la flotta, andò su tutte le furie per poi formalmente accettare con riluttanza gli ordini. Lasciò gli ormeggi ed innalzò il gran pavese, non adempiendo così all'obbligo delle clausole dell'armistizio di innalzare il pennello nero del lutto sui pennoni ed i dischi neri sulle tolde. Andò così incontro al suo tragico destino, che si consumò il pomeriggio del 9 settembre, quando la corazzata Roma, sulla quale era imbarcato, affondò, sventrata da una bomba teleguidata Fritz-X sganciata da un Dornier Do 217 tedesco. 28

29 Nella base di Taranto il contrammiraglio Giovanni Galati, comandante di un gruppo di incrociatori, essendosi rifiutato di dirigersi a Malta, dichiarando l'intenzione di salpare per il nord, o per cercare un'ultima battaglia o per autoaffondare le navi, venne messo agli arresti in fortezza dall'ammiraglio Brivonesi, suo superiore, che aveva tentato invano di convincerlo ad obbedire agli ordini del Re, al quale aveva prestato giuramento. Altri esempi di rifiuto della resa furono quelli dei comandanti delle torpediniere Pegaso e Impetuoso, Riccardo Imperiali e la Medaglia d'oro Cigala Fulgosi, che avendo soccorso i naufraghi della corazzata Roma, trasportandone i feriti alle Baleari, dopo aver usufruito delle 24 ore di ospitalità regolamentari, l'11 settembre 1943, al momento di ripartire, invece di dirigersi a consegnare le loro navi agli inglesi le autoaffondarono all'uscita del porto. Anche due sommergibili, il Serpente e l Ametista, si autoaffondarono il 12 settembre 43 in Adriatico, davanti ad Ancona, per non consegnarsi. Tornando alla Giulio Cesare, la corazzata, giunta a Taranto l 11 settembre, ormeggiò alla boa nel Mar Grande e dopo aver fatto rifornimento di nafta ripartì per Malta alle 14:00 del 12 settembre insieme alla nave appoggio idrovolanti Miraglia. Alle 7:25 del giorno successivo nei pressi di Capo Passero le due unità italiane incontrarono una formazione inglese formata dalla nave da battaglia Warspite e quattro cacciatorpediniere e, dopo essersi messe in linea di fila alla corazzata inglese, raggiunsero Malta a mezzogiorno dello stesso giorno riunendosi al resto dello flotta, il cui comando era stato assunto dall'ammiraglio Da Zara. In ottemperanza alle clausole armistiziali la bandiera italiana non venne ammainata e l'equipaggio italiano rimase a bordo delle navi. Le navi italiane internate a Malta rientrarono a Taranto i primi giorni di ottobre del 1943, ad eccezione delle corazzate. Le Littorio vennero internate ai Laghi Amari nel canale di Suez, mentre la Giulio Cesare, che insieme alle Duilio rimase internata nella base inglese con equipaggio ridotto, fu autorizzata al rientro il 17 giugno 1944 Fece ritor- 29

30 no a Taranto il 28 giugno dopo un sosta di 10 giorni ad Augusta, e rimase inattiva fino al termine delle ostilità. Durante il conflitto aveva effettuato 38 missioni di guerra, delle quali 8 per ricerca del nemico, 2 per scorta ai convogli e protezione del traffico nazionale, 14 per trasferimenti e 14 per esercitazioni, per un totale di miglia percorse e 912 ore di moto effettuate. Durante la cobelligeranza effettuò 4 missioni per trasferimento, percorrendo miglia per 93 ore di moto. Il trattato di pace Al termine della guerra, in ottemperanza alle clausole del trattato di pace, la corazzata venne ceduta all'unione Sovietica, come risarcimento per danni di guerra. Il trattato prevedeva che le navi destinate alla cessione, fossero cedute in condizioni di operare e pertanto prima della cessione l'unità venne sottoposta ad alcuni lavori, effettuati nel Cantiere navale di Palermo. Le dure condizioni imposte dal trattato di pace riguardo alla flotta, divisa tra i vincitori e con notevoli limitazioni per il futuro, portarono nel dicembre del 1946 alle dimissioni del Capo di Stato Maggiore della Marina Ammiraglio Raffaele de Courten, che si dimise in segno di protesta contro le condizioni imposte dal Trattato, che non tenevano in conto nel modo dovuto del leale atteggiamento tenuto dalla Marina per tutto il periodo della cobelligeranza sin dal momento dell'armistizio. La cessione delle navi alle nazioni vincitrici, ed in particolare all'unione Sovietica, dove si trovavano ancora migliaia di prigionieri di guerra italiani, creò un gran fermento fra gli equipaggi della Marina Militare e sdegno in tutta Italia, al punto che durante gli ultimi mesi prima della consegna vennero prese eccezionali misure di sorveglianza mediante ronde, sia sulla banchina che in tutto il porto. Intorno alle carene delle navi destinate ad essere cedute avvenivano continue ispezioni subacquee, con immersioni di palombari ogni trenta minuti, nel timore che vi potessero essere applicate cariche esplosive in grado di provocarne l'affondamento. Tra le unità da cedere ai sovietici quelle maggiormente indiziate di essere oggetto di sabotaggio erano la corazzata Giulio Cesare e la nave scuola Cristoforo Colom- 30

31 bo. Si scoprì pure che appartenenti ai FAR e reduci della Xª MAS avevano pianificato l'affondamento della Cristoforo Colombo, che era un mito per tutti i marinai, avendo addestrato generazioni di ufficiali e che quindi bisognava sottrarre all'onta della cessione allo straniero. In particolare i sovietici, oltre alla Giulio Cesare e alla Colombo, ottennero l'incrociatore Emanuele Filiberto, i cacciatorpediniere Artigliere e Fuciliere, le torpediniere classe Ciclone, Animoso, Ardimentoso e Fortunale, e i sommergibili Nichelio e Marea, oltre al cacciatorpediniere Riboty, che non venne ritirato a causa della sua obsolescenza ed altro naviglio, quali MAS e motosiluranti, vedette, navi cisterna, motozattere da sbarco, una nave da trasporto e dodici rimorchiatori. Oltre al Riboty, una piccola parte della quota di naviglio destinata ai sovietici non venne ritirata a causa del pessimo stato di manutenzione e per questa parte di naviglio i sovietici concordarono una compensazione economica. I sovietici avevano cercato di ottenere una delle due moderne corazzate Littorio, che non essendo state ritirate da Stati Uniti e Inghilterra, cui erano state assegnate, furono lasciate all'italia con la clausola che sarebbero state demolite. I sovietici, non essendo riusciti ad ottenere nessuna delle due moderne unità, pretesero che alle due corazzate fossero tagliate, con la fiamma ossidrica, le volate dei cannoni e distrutte, a colpi di mazza, le pale delle turbine. La consegna delle navi ai sovietici sarebbe dovuto avvenire in tre fasi a partire da dicembre 1948 per concludersi nel giugno successivo. Le unità principali erano quelle del primo e del secondo gruppo. La corazzata Giulio Cesare faceva parte del primo gruppo, insieme all'artigliere e ai due sommergibili, mentre del secondo gruppo facevano parte l'emanuele Filiberto, la nave scuola e le torpediniere. Per tutte le navi la consegna sarebbe avvenuta nel porto di Odessa, ad eccezione della corazzata e dei due sommergibili la cui consegna era prevista nel porto albanese di Valona, in quanto la Convenzione di Montreux non consentiva il passaggio attraverso i Dardanelli di navi da battaglia e sommergibili appartenenti a stati privi di sbocchi sul Mar Nero. Il trasferimento sarebbe dovuto avvenire con equipaggi civili italiani sotto il controllo di rappresentanti sovietici e con le navi battenti bandiera della Marina Mercantile, con le autorità governa- 31

32 tive italiane responsabili delle navi sino all'arrivo nei porti dove era prevista la consegna. Per prevenire possibili sabotaggi, le navi dei primi due gruppi sarebbero state condotte ai porti di destinazione senza munizioni a bordo, che sarebbero state trasportate successivamente a destinazione con normali navi da carico. Si fece eccezione con la Giulio Cesare, consegnata con 900 tonnellate di munizioni, che comprendevano anche 1100 colpi dei cannoni principali e l'intera dotazione di 32 siluri da 533mm dei due battelli subacquei. Figura 4 - La Giulio Cesare nel 1948, in procinto di essere trasferita all'unione Sovietica Novorossijsk La corazzata, il 9 dicembre 1948 venne trasferita da Taranto ad Augusta, dove il 15 dello stesso mese passò in disarmo insieme alle unità facenti parte del primo gruppo. La nave venne definitivamente radiata dal registro navale italiano a decorrere dal 15 dicembre 1948 con decreto del Presidente della Repubblica del 29 aprile Nella base di Augusta nel gennaio del 1949 giunse un gruppo di 56 membri degli equipaggi delle unità in fase di consegna, tra cui il comandante della corazzata, il Capitano di 1º rango Jurij Zinov'ev (in russo: Юрий Зиновьев) che aveva iniziato la sua carriera come 32

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