Trib. Milano, sez. I civile, ordinanza 4 marzo 2015 (est. M. Flamini)

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1 Protezione internazionale: il richiedente nigeriano non ha diritto alla protezione, nemmeno umanitaria, se gli episodi allegati sono del tutto episodici Trib. Milano, sez. I civile, ordinanza 4 marzo 2015 (est. M. Flamini) Protezione internazionale Art. 8 direttiva 2004/83/CE Onere del richiedente di stabilirsi in una parte sicura del Paese Norma non trasposta dal Legislatore italiano Conseguenze Non applicabilità L'art. 8 della direttiva 2004/83/CE recante norme sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione minima riconosciuta prevede che "Nell'ambito dell'esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d'origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese. Nel valutare se una parte del territorio del paese d'origine è conforme al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese nonchè delle circostanze personali del richiedente all'epoca della decisione sulla domanda". La norma in esame della direttiva lascia dunque agli stati membri la facoltà se trasporla o meno del proprio ordinamento, nel caso dell'italia, la attuazione della direttiva è avvenuta tramite il D.Lgs. n. 251 del 2007 che non ha ripreso la disposizione dell'art. 8 della direttiva. Come riconosciuto dalla Cassazione ( n. 2294) ciò significa che quella disposizione non è entrata nel nostro ordinamento e non costituisce dunque un criterio applicabile al caso di specie. (Massima a cura di Giuseppe Buffone Riproduzione riservata) IN FATTO E DIRITTO Con ricorso ex art. 35 D.L.vo 25/08 proposto in data , cittadino della Nigeria, ha proposto opposizione avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato di Milano (provvedimento notificato al ricorrente il ) aveva rigettato la sua richiesta di protezione internazionale. A sostegno delle proprie domande il ricorrente deduceva: che era nato a.., dove aveva vissuto insieme alla sua famiglia (composta dal padre, dalla madre e dalla seconda moglie del padre); che aveva frequentato la Riproduzione riservata 1

2 scuola e che in seguito aveva iniziato a lavorare, come venditore di frutta al mercato; che il giorno di Natale del 2011 suo padre e sua madre si erano recati ad Abuja per trovare uno zio paterno e che erano stati uccisi nel corso di un attentato in una chiesa; che lui era rimasto a vivere a Benin City con la sua matrigna; che quest ultima lo aveva fatto rapire da alcuni ragazzi ed aveva cercato di ucciderlo per ottenere l eredità del padre, costituita da alcuni terreni (10 terreni e 5 case); che per paura di perdere la vita era stato costretto a lasciare la Nigeria. Il P.M ha ricevuto rituale notifica del ricorso introduttivo. Nell'udienza in camera di consiglio dopo aver sentito il ricorrente ed il suo difensore, il giudice ha riservato la decisione. Il ricorso, proposto ai sensi dell'art. 35 del D.Lvo n. 25 (Attuazione della Direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, applicabile nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 150/2011 ai procedimenti pendenti, come quello in esame, in virtù del disposto dell art. 36) è parzialmente fondato e merita accoglimento per i motivi che seguono. Ai sensi dell'art. 2 del D.Lvo n. 251, che dispone, conformemente alla Convenzione sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra il e ratificata con L n. 722, rifugiato è il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. Il successivo art. 3 dispone che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o dell'attribuzione della protezione sussidiaria, il richiedente debba presentare tutti gli elementi e la documentazione necessaria a motivare la relativa domanda. Ai sensi degli art. 5 e 7 del medesimo D.Lvo, ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale, gli atti di persecuzione paventati debbono essere sufficientemente gravi, per natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, potendo assumere, tra le altre, la forma di atti di violenza fisica o psichica, di provvedimenti legislativi, amministrativi e giudiziari discriminatori; responsabili della persecuzione o del danno grave debbono essere lo Stato, partiti od organizzazioni che controllano lo Stato od una parte consistente del suo territorio; soggetti non statuali, se i soggetti sopra citati, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione. È invece persona ammissibile alla protezione sussidiaria il "cittadino di un Paese non appartenente all'unione Europea o apolide che non possiede i requisiti per essere rifugiato, ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che se ritornasse nel Paese d'origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dall'art. 14 del decreto legislativo 19 novembre 2007 n. 251, e il quale non può, o a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della Riproduzione riservata 2

3 protezione di detto Paese"; più precisamente, secondo il citato art. 14 "sono considerali danni gravi: a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale". Se per un verso nelle controversie attinenti al riconoscimento dello status di rifugiato politico deve ritenersi in via generale attenuato l onere probatorio incombente sul richiedente - così come oggi esplicitato dall art. 3, comma 5 D.lvo 251/07-, d altra parte il richiedente protezione non è esonerato dalla prova. Secondo l insegnamento della Cassazione L'onere probatorio, deve dunque essere assolto seppur in via indiziaria tenendo conto delle difficoltà connesse a volte ad un allontanamento forzato e segreto, ma comunque a mezzo elementi aventi carattere di precisione, gravità e concordanza, desumibili dai dati, anche documentali, offerti al bagaglio probatorio ( )Il fatto che tale onere debba intendersi in senso attenuato non incide sulla necessità della sussistenza sia della persecuzione sia del suo carattere personale e diretto per le ragioni rappresentate a sostegno della sua rivendicazione (cfr. Cass. n /05), e soprattutto non pone a carico dell'amministrazione alcuno speculare onere ne' di concedere il beneficio del dubbio, ne' di smentire con argomenti contrari le ragioni addotte dall'istante. (Cass /06). In particolare, per accertare la veridicità e l'attendibilità delle circostante esposte dal ricorrente a fondamento delle proprie istanze di protezione internazionale deve farsi applicazione del regime dell'onere della prova previsto nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, che stabilisce che, se il richiedente non ha fornito la prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova vengono ritenuti comunque veritieri se: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) è stata fornita un'idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi, le dichiarazioni rese sono coerenti e plausibili e correlate alle informazioni generali e specifiche riguardanti il suo caso; c) il richiedente ha presentato la domanda il prima possibile o comunque ha avuto un valido motivo per tardarla; d) dai riscontri effettuati il richiedente è attendibile (v. Cass. 6879/11). Le vicende personali narrate dal ricorrente, in modo preciso e coerente con quanto dallo stesso riferito alla Commissione Territoriale ed alla Questura, appaiono del tutto attendibili. Quanto riferito da.., però, non appare sufficiente ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, in quanto si riferisce a vicende meramente privatistiche. In merito alle violenze subite dai ragazzi inviati dalla matrigna, si osserva come il ricorrente non abbia neanche allegato di aver provato ad ottenere protezione da parte delle autorità statuali. La domanda diretta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, pertanto, non può che essere rigettata. Riproduzione riservata 3

4 Sussistono però le condizioni per riconoscere al ricorrente la protezione sussidiaria in considerazione della grave situazione che ha caratterizzato la vita in Nigeria nell ultimo periodo e che ancora oggi non può ritenersi risolta. In via generale, osserva questo giudice che le esigenze di protezione internazionale derivanti da violenza indiscriminata non sono limitate a situazioni di guerra dichiarata o a conflitti internazionali riconosciuti. La definizione del termine conflitto armato interno non può pertanto essere troppo esigente. La lettura del corretto significato da attribuire al conflitto armato interno, in assenza di una definizione legale o un interpretazione unanimemente riconosciuta dovrà ispirarsi al diritto internazionale umanitario, in particolare all art. 1 del Protocollo II della Convenzione del In base a questa disposizione, per stabilire la sussistenza di un conflitto armato interno, dovrebbero essere considerati quali requisiti sufficienti l esistenza di chiare strutture di comando tra le parti in conflitto ed un controllo sul territorio tali da soddisfare quanto indicato nel Protocollo II. Ancora in via generale, osserva questo giudice che, come affermato dalla Corte di Giustizia, nei casi di violenza indiscriminata nel Paese di origine causata da un conflitto armato, colui che richiede la protezione sussidiaria in uno Stato membro non deve provare di essere minacciato personalmente proprio a causa dell'eccezionalità della situazione che di per sé fa supporre l'esistenza di un rischio effettivo per l'individuo di subire minacce gravi e individuali, nel caso di rientro nello Stato di origine, proprio a causa dell'elevato livello di violenza (Corte di Giustizia, Grande Sezione, n. 465). Ancora in via generale, osserva questo giudice che, come affermato dalla Corte di Giustizia, nei casi di violenza indiscriminata nel Paese di origine causata da un conflitto armato, colui che richiede la protezione sussidiaria in uno Stato membro non deve provare di essere minacciato personalmente proprio a causa dell'eccezionalità della situazione che di per sé fa supporre l'esistenza di un rischio effettivo per l'individuo di subire minacce gravi e individuali, nel caso di rientro nello Stato di origine, proprio a causa dell'elevato livello di violenza (Corte di Giustizia, Grande Sezione, n. 465). Ancora più di recente, la Corte di Giustizia (con riferimento alla domanda di protezione presentata da un cittadino della Guinea) ha precisato che: l articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che si deve ammettere l esistenza di un conflitto armato interno, ai fini dell applicazione di tale disposizione, quando le forze governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati o quando due o più gruppi armati si scontrano tra loro, senza che sia necessario che tale conflitto possa essere qualificato come conflitto armato che non presenta un carattere internazionale ai sensi del diritto internazionale umanitario e senza che l intensità degli scontri armati, il livello di Riproduzione riservata 4

5 organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione (Corte di Giustizia, IV Sezione, 30 gennaio 2014, Aboubacar Diakité/Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides). In particolare, l intero territorio della Nigeria era ed è caratterizzato da un clima di violenze diffuse ed indiscriminate a causa di conflitti armati tra cristiani e musulmani. La stampa internazionale ha dato conto di sanguinosi scontri che hanno interessato la popolazione inerme e ancora oggi gli organi di stampa diffondono informazioni di violenze. I luoghi di culto cristiani in Nigeria sono diventati il principale obiettivo degli islamisti di Boko Haram, un gruppo legato ad Al Qaida, che si propone non solo di instaurare un califfato islamico nel nord del Paese, ma anche quello, più ambizioso e pericoloso, di innescare una guerra civile interreligiosa. Il nostro Ministero Affari Esteri segnala la difficile situazione in Nigeria evidenziando come la situazione della sicurezza è caratterizzata, in generale, da diffusi atti di criminalità. E attuale il rischio di atti di terrorismo e di violente sommosse. Permane elevato il rischio di incremento di azioni ostili, con particolare riferimento a rapimenti a danno di stranieri sia da parte della criminalità comune che da parte di gruppi terroristici, anche con esiti letali, come ampiamente ripreso dai mezzi d informazione italiani ed internazionali. Tale pericolo aumenta notevolmente soprattutto nelle aree più remote e più difficilmente controllabili da parte delle Autorità (avviso particolare, Viaggiare Sicuri, del ). Gli stessi documenti prodotti dalla Commissione Territoriale (e, in particolare, la Posizione dell Alto Commissariato delle Nazioni Unite sul non rimpatrio nella zona Nord Est nella Nigeria) evidenziano come, nella predetta zona del paese, a causa dei continui attacchi del gruppo fondamentalista di Boko Haram, sia un atto un vero conflitto armato. A considerazioni non dissimili, però, deve giungersi con riferimento alla zona meridionale della Nigeria dalla quale si ritiene provenga la ricorrente. Sconsigliati, infatti, sono i viaggi anche nel Delta del Niger che ha visto fino a tempi recenti azioni di cosiddetti militanti rivolte contro espatriati e imprese straniere e presenta elevati livelli di criminalità), se non per motivi di lavoro o necessità e con idonee precauzioni. Nella capitale Abuja si sono registrati diversi attentati di matrice terrorista: il primo ottobre 2010, in occasione della celebrazione del 50mo anniversario dell Indipendenza, il 16 giugno 2011, ai danni del Quartier Generale della Polizia, il 6 agosto 2011 alla sede delle Nazioni Unite. In occasione di ricorrenze particolari, principalmente legale a festività, religiose o laiche, si registrano allarmi su possibili attentati ad edifici pubblici, centri commerciali mercati e agli alberghi che ospitano edifici pubblici, centro commerciali, mercati e agli alberghi che ospitano clientela internazionale della capitale. Riproduzione riservata 5

6 Il sito per l Istituto per il Commercio estero evidenzia che un altro problema è la violenza dovuta alla criminalità comune, diffusa in generale in tutto il Paese ma con zone ad alto rischio per la sicurezza personale nel Sud, soprattutto nell area del Delta del Niger e nella città di Lagos, e agli scontri interetnici e/o interreligiosi nel centro e nel Nord. I documenti prodotti da parte convenuta all udienza del evidenziano come, dopo un periodo di tregua, il MEND sia tornato alla guerriglia. Le difficoltà dell area del Delta del Niger ed i nuovi attacchi del MEND, peraltro, emergono anche dai documenti allegati dalla Commissione Territoriale, dai quali risulta che solo fino al 2012 vi era stata una sospensione delle azioni guerrigliere da parte di tale movimento. I gravi e continui scontri presenti su tutto il territorio nigeriano rendono pertanto estremamente difficoltosa l individuazione di posizioni consolidate di forza o di stati maggiormente sicuri e delineano, al contrario, proprio un quadro socio politico caratterizzato dal pericolo di gravi danni alla persona che la protezione sussidiaria mira ad evitare. In merito alla possibilità per il ricorrente di recarsi a vivere in regioni diverse del Paese senza incorrere in rischi si osserva quanto segue. L'art. 8 della direttiva 2004/83/CE recante norme sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione minima riconosciuta prevede che "Nell'ambito dell'esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d'origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese. Nel valutare se una parte del territorio del paese d'origine è conforme al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese nonchè delle circostanze personali del richiedente all'epoca della decisione sulla domanda". La norma in esame della direttiva lascia dunque agli stati membri la facoltà se trasporla o meno del proprio ordinamento, nel caso dell'italia, la attuazione della direttiva è avvenuta tramite il D.Lgs. n. 251 del 2007 che non ha ripreso la disposizione dell'art. 8 della direttiva. Come riconosciuto dalla Cassazione ( n. 2294) ciò significa che quella disposizione non è entrata nel nostro ordinamento e non costituisce dunque un criterio applicabile al caso di specie. Nel caso in esame, peraltro, la forte diffusione delle violenze e la ripetitività nel tempo delle stesse, portano questo giudice a ritenere non sicura per il ricorrente un ipotetica via di fuga interna. E appena il caso di ricordare che, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, il giudice nazionale ai fini dell accertamento della condizione ostativa prevista dall art. 698 comma primo c.p.p., può fondare la propria decisione in ordine all esistenza di violazioni dei diritti umani elaborati nel Paese richiedente anche sulla base di documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative Riproduzione riservata 6

7 (quali ad esempio Amnesty International e Human Rights Watch, la cui affidabilità sia generalmente riconosciuta sul piano internazionale (Cass dell 8 luglio 2010). Tale orientamento, che deve intendersi esprimere un principio di ordine generale, trova, del resto, le proprie radici nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani che ormai da tempo riconosce la piena rilevanza ed utilizzabilità dei rapporti informativi redatti da organizzazioni internazionali impegnate nella tutela dei diritti umani (cfr. Corte Europea dei diritti dell uomo, , Saadi c. Italia). In questo contesto ritiene il Tribunale (con orientamento condiviso anche da parte della giurisprudenza di merito, cfr. Corte d Appello di Roma, ; Tribunale di Roma ; Tribunale di Bologna ) che in Nigeria al momento vi sia una situazione di pericolo grave per l incolumità delle persone derivante da violenza indiscriminata ancora presente in loco, dal quale discenda ex art. 14 lett. c) D. L.vo 251/07 il diritto di alla protezione sussidiaria. Va dunque riconosciuta al ricorrente la protezione internazionale nella forma della protezione sussidiaria. In considerazione del recente grave peggioramento della situazione civile e politica della Nigeria, del fatto che l Amministrazione dello Stato non si è costituita e non ha resistito alla domanda del ricorrente, appare corretto prescindere dalla pronuncia di condanna alle spese. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, eccezione o istanza disattesa: in accoglimento del ricorso riconosce a la protezione internazionale nella forma della protezione sussidiaria ; spese non ripetibili; dispone che la presente ordinanza sia notificata al Ministero dell interno presso la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale presso la Prefettura di Milano e sia comunicata al Pubblico Ministero. Milano, 4 marzo 2015 Il Giudice Martina Flamini Riproduzione riservata 7

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